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Risultati da 1 a 5 di 5
  1. #1
    tra Baltico e Adige
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    Predefinito Articolo di Pansa su Libero

    Chicca da incorniciare di D'Alema..."Berlusconi “mi sta sul cazzo, come tutti i settentrionali"
    meditate,meditate,se pensate che mollino qualcosa di quello che è nostro vi sbagliate di grosso,gli stiamo sul cazzo e se possono ci affondano di sicuro.

    Quanto è attuale questa frase di 150 anni fà "Del resto siate sicuro che se non sarete in guerra con gli altri Stati dell'Italia Meridionale, non sarete mai amici e neanche alleati sinceri"



  2. #2
    Fascista antiamericano
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    Predefinito Rif: Articolo di Pansa su Libero

    Il problema è che Pansa è padanissimo (esattamente di Casale Monferrato).

  3. #3
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    Predefinito Rif: Articolo di Pansa su Libero

    Da spedire a tutti gli elettori padani del PD.
    Ultima modifica di belenos; 17-09-09 alle 21:23
    Salus Padaniae suprema lex.
    Chi porta una svastica e dice di voler difendere la Padania, l'Italia o l'Europa, se non è un ragazzino di sedici anni giustamente incazzato ,è un adulto imbecille o un provocatore al servizio del nemico.

  4. #4
    independent
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    Predefinito Rif: Articolo di Pansa su Libero

    e postatelo, no?

  5. #5
    Blut und Boden
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    Predefinito Rif: Articolo di Pansa su Libero

    LA LIBERTA' DI STAMPA CHE PIACE A D'ALEMA E' QUELLA DI POL POT

    Con questo articolo comincia la collaborazione di Giampaolo Pansa con Libero. Giornalista, scrittore di saggi e romanzi, Pansa è una delle penne più celebri del giornalismo italiano.

    di GIAMPAOLO PANSA

    «I giornali? È un segno di civiltà non leggerli. Bisogna lasciarli in edicola». Chi ha sentenziato così? Il maledetto Caimano, ossia Silvio Berlusconi? Macché, è stato il democratico Massimo D'Alema. Max ha anticipato tutte le ire del Cavaliere nei confronti della carta stampata. Con assonanze sorprendenti. Compresa la strategia di darci dentro con le cause civili e le richieste astronomiche di danni. La prima scena risale al 31 ottobre 1992. Aeroporto di Lecce. Incontro D'Alema che aspetta il volo per Roma. È mattina presto, ma lui già schiuma di rabbia contro mia masnada di pessimi soggetti. I giudici di Mani Pulite. Gli editori. I giornali e i giornalisti. Primo fra tutti, Eugenio Scalfari, direttore di "Repubblica". Ringhia: «Scalfari ha leccato i piedi ai democristiani che stavano a Palazzo Chigi, da Andreotti a De Mila. E adesso fa il capo dell' antipartìtocrazia». Quarantotto ore dopo, intervistato dal "Giorno", Max si scaglia di nuovo contro "Repubblica": «Che-cosà si vuoi fare? Cacciare deputati e senatori, per lasciare tutto in mano a Scalfari?».
    (…)

    Stecche a sinistra
    L’aneddoto
    Da Mani pulite adAffittopoli, Baffino si è scagliato contro tutto il mondo della comunicazione «Pansa? Si fa leggere ma non sa di politica, come Prodi»

    EDITTI BULGARI
    Fatti e misfatti di Max l'epura-giomalisti

    «La stampa? Un problema, come la corruzione», «faziosi», «canaglie», «un circolo mediatico-giudiziario che distrugge le persone»: quando era il democratico D'Alema a gridare al complotto di carta e non l'aspirante dittatore Berlusconi

    Polpot
    «In questo Paese non si potrà fare qualcosa finché ci sarà di mezzo la stampa. La prima cosa da fare quando nascerà la Seconda Repubblica sarà una bella epurazione dei giornalisti in stile polpottiano»
    13 aprile 1993

    Bastonature
    «II livello di faziosità e di mancanza di professionalità è impressionante. Due giornalisti mi tengono e il terzo mi mena. I giornali non sono un contropotere, maun pezzo del potere, perciò sono inattendibili»
    Dicembre 1995

    (segue dalla prima)
    Un vero figuro, Barbapapà. Anche perché è in combutta «con quell'analfabeta di andata e ritorno che si chiama Emesto Galli della Loggia». "Repubblica" prova ad ammansire D'Alema. Però il 13 novembre lui replica: «Ormai i giornali sono un problema in Italia, esattamente come la corruzione». La rabbia dalemista ha un motivo: siamo in piena Tangentopoli e la stampa da spago al pool di Mani Pulite, In un'intervista a "Prima Comunicazione" che in seguito citerò, Max dirà parole di fuoco sui giornali: «Si sono comportati in modo fazioso, scarsamente rispettoso dei diritti delle persone. Hanno alimentato una circolazione impropria di segreti giudiziari e il narcisismo della magistratura. La loro responsabilità morale è stata enorme: verbali, pezzi di verbali, notizie riservate sono diventati oggetto di uno sfrontato mercato delle informazioni. Uno spettacolo di iattanza indecente. Ha ragione la destra quando dice che c'è un circuito mediatico-giudiziario che ha distrutto delle persone». Il 13 aprile 1993, la rabbia di Max sembra al culmine. Dice: «In questo Paese non sarà mai possibile fare Qualcosa finché ci sarà di mezzo la stampa. La prima cosa da fare quando nascerà la Seconda Repubblica sarà una bella epurazione dei giornalisti in stile polpottiano». Ossia nello stile del comunista Pòi Pot, capo dei khmer rossi, il sanguinario dittatore della Cambogia. Ma la nuova Repubblica nasce sotto un segno che a Max non piace: la vittoria di Berlusconi nel marzo 1994. Achille Occhetto si dimette da segretario del Pds e a Botteghe Oscure s'insedia D'Alema. Per qualche mese, il nuovo incarico lo obbliga a un minimo di cautela. Ma la sua avversione per i giornali non è per niente svanita.

    La grana di affittopoli
    Nel giugno 1995, intervistato da Antonio Padellaro per "L'Espresso", riprende a ringhiare contro «l'uso spesso selvaggio dell'indiscrezione giudiziaria». E conclude che le cronache su Tangentopoli hanno «consumato quel poco di rispetto per lo stato di diritto e di cultura liberale esistente da noi. Il danno prodotto è stato enorme. Provo fastidio per il comportamento dei giornalisti: non aiuta di certo l'immagine dell'Italia». Il 1995 sarà un anno terribile per D'Alema e per Veltroni, direttore dell'Unità". Però Max non presagisce nulla. Il suo giornalista preferito è un televisionista: Maurizio Costanzo. In luglio, la Botteghe Oscure incaricano Costanze di ''stilare le nuove regole" dell'informazione. E D'Alema lo vuole accanto a sé nella Festa nazionale dell'Unità a Reggio Emilia. Insieme presentano il primo libro di Max, "Un paese normale", stampato dalla Mondadori di Berlusconi. La tempesta scoppia alla fine di agosto. È lo scandalo di Affittopoli, sulle case di enti pubblici ottenute dai politici a equo canone. Più saggio di Veltroni che strilla, ma resta dov'è, D'Alema trasloca. E sceglie la trasmissione di Costanze per annunciare il passaggio in un altro appartamento. Ma il suo disprezzo per la carta stampata resta intatto. Arrivando a coinvolgere politici incolpevoli. In quell'autunno dice di me: «Pansa si fa leggere sempre, ma ha un difetto: non capisce un cazzo di politica. C'è uno solo in Italia che ne capisce meno di lui: Romano Prodi». Nel dicembre 1995, Max affida a "Prima comunicazione" il suo lungo editto contro i giornali. Intervistato da Lucia Annunziata, spiega di sentirsi una vittima: «Due giornalisti mi tengono e il terzo mi mena». «Il livello di faziosità e di mancanza di professionalità è impressionante». «Non esiste l'indipendenza dell'informazione: i giornali non sono un contropotere, ma un pezzo del potere. E come tali sono inattendibili», «n loro compito è la destrutturazione qualunquista della democrazia politica». «Gli editori si contendono a suon di milioni i giornalisti più canaglia». Al termine del colloquio con l'Annunziata, prima dell'invito a non acquistare i giornali, D'Alema annuncia come si comporterà in futuro : «Se dovrò dire qualcosa di importante, lo dirò alla gente, non ai giornali. Andrò alla televisione. Mi metto davanti a una telecamera con la mia faccia, con le parole che decido di dire, senza passare per nessun mediatore. Se parli conia stampa, sei sicuro di perderci». Per coerenza, il 5 aprile 1996, alla vigilia delle elezioni politiche, D'Alema va in visita ufficiale a Mediaset. Accanto a Fedele Confalonieri, dice: questa azienda «è una risorsa del Paese». E rassicura i dipendenti: «Se vincerà l'Ulivo, non dovrete temere nulla. Mediaset è un patrimonio di tutta l'Italia!». L'Ulivo vince. Max spiega a Carlo De Benedetti: «Hai visto? Abbiamo vinto nonostante i tuoi giornali!». Ma D'Alema si sente prigioniero del Bottegone. Vorrebbe stare lui al governo. Prodi e Veltroni non gli piacciono. Sono «i due flaccidi imbroglioni di Palazzo Chigi». Poi la sua ostilità torna verso la stampa. In luglio tuona contro «il giornalismo spazzatura». E alla fine del mese, alla Festa dell'Unità di Gallipoli spiega: «Ormai c'è qualcosa di più che il normale pettegolezzo giornalistico, tendente ad alterare la verità. Ci sono lobby, interessi, gruppi che pensano spetti a loro dirigere la sinistra italiana». . ó II 2 agosto, durante la bagarre parlamentare sul finanziamento pubblico ai partiti, D'Alema ringhia ai cronisti: «Scrivete pure quello che vi pare, tanto i giornali non li legge nessuno. E anche voi contate poco: prima o poi vi licenzieranno». A imbufalirlo è sempre il ricordo di Affittopoli e quel che ritiene di aver subito dalla carta stampata: «Giornalismo barbarico, cultura della violenza, squadrismo a mezzo stampa». Perché Max si comporta così? In un'intervista citata dal "Foglio", Veltroni prova a spiegarlo; «Io sono gentile con i giornalisti. Dovrei fare come D'Alema che li chiama somari per ottenere la loro supina benevolenza». Ma forse esiste un problema nascosto: una forma inconsapevole di autolesionismo che spinge Max a cercarsi sempre dei nemici

    Basta processi penali
    Meglio "ricchi risarciineiiti"
    Una sera del novembre 1996, dice a Claudio Binaidi, direttore dell' "Espresso": «Fate una campagna sguaiata contro dime. Vi mancano solo Michele Serra e Curzio Maltese, p oi sarete al completo . L'unica critica fondata che potreste farmi è di aver messo Prodi a Palazzo Chigi». Quindi spara su Berlusconi: «Mi sta sul cazzo come tutti i settentrionali. È un coglione ottuso. La sua stagione è finita». Il 1997 si apre con la causa civile che Max intenta all'"Espresso", Per aver rivelato la piantina della sua nuova casa, ci chiede un miliardo di lire. Non lo frena neppure l'onore di presiedere la Bicamerale. Il 5 maggio scandisce a Montecitorio un anatema globale: «L'ho detto una volta per'tutte, con validità erga omnes, con valore perpetuo: quello che scrivono i giornali è sempre falso». Alla fine di novembre si scatena contro l'Ordine dei giornalisti. Bisogna abolirlo, dice Max, visto che non garantisce la correttezza professionale. Poi nel gennaio 1998 annuncia di aver scovato l'arma finale per sistemare la carta stampata, È di una semplicità elementare: niente più processi penali ai giornalisti, bisogna instaurare «un sistema che consenta una rapida ed efficace tutela in sede civile e che preveda consistenti risarcimenti patrimoniali». ó Detto fatto, ecco in data 10 febbraio 1998 la causa civile di Max al " Corriere della sera" per quanto ha scritto«su un fantomatico piano D'Alema per il sindacato». Richiesta: due miliardi di lire. La sinistra non va in piazza a protestare. Eppure Max pretende dal «convenuto Ferruccio de Bortoli» anche il giuramento decisorio. Vale a dire che deve giurare di aver scritto la verità a proposito delle intimidazioni dalemiane sugli azionisti di via Solferino. Quale sorte ebbe questa causa? Confesso di non ricordarlo. Ma che importanza ha scoprirlo? D'Alema aveva tracciato un solco che, anni dopo, anche l'odiato Cavaliere avrebbe seguito.

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    Tacito, Agricola, 30/32.

 

 

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