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  1. #61
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    Il cardinale Roncalli (aka Giovanni XXIII)

  2. #62
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    Citazione Originariamente Scritto da Luca
    Come dice spesso Guelfo: "C'è molta gente nel pittoresco mondo dei "tradizionalisti" che inciampa nella cappa magna".
    Però la cappa magna è bella davvero... Io, uffa, non l'ho ancora mai vista utilizzare dal vivo...



  3. #63
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    Giovanni XXIII e la libertà religiosa

    Il concetto cattolico di libertà e di dignità

    Leone XIII, nell’Enciclica «Libertas» (20 giugno 1888): «La libertà, dono di natura nobilissimo, è proprio unicamente degli esseri intelligenti o ragionevoli e conferisce all’uomo questa dignità, di essere in mano del suo consiglio ed avere intera padronanza delle sue azioni. La qual dignità però importa moltissimo come sia sostenuta, perché dall’uso della libertà derivano del pari e sommi beni e sommi mali. Può, infatti, l’uomo obbedire alla ragione, seguire il bene morale e tendere diritto all’ultimo suo fine; e può invece mettersi in tutt’altra via, e correndo dietro a false immagini di bene, turbare l’ordine debito, ed esporsi da se stesso ad inevitabile rovina. Il nostro Redentore Gesù Cristo, restaurando ed elevando la dignità primitiva di natura, recò alla volontà grandissimo giovamento; e... la innalzò a più nobile segno. Per la stessa ragione assai benemerita di sì eccellente dono di natura fu e sarà sempre la Chiesa cattolica, come quella che ha per officio di propagare a tutti i secoli i benefizi recatici da Gesù Cristo».

    Il libero arbitrio

    Leone XIII distingue: «La libertà naturale, (d’ordine psicologico) è principio e fonte nativa da cui scaturisce ogni altra libertà».
    Essa, «Innalzandosi alla conoscenza delle ragioni immutabili e necessarie del vero e del bene, è in grado di giudicare della contingenza dei beni particolari. Ora, come la semplicità, spiritualità ed immortalità dell’anima, così la libertà sua nessuno afferma più alto, nessuno con più costanza difende della Chiesa cattolica, che le insegnò sempre, e le sostiene qual dogma».
    Si tratta della responsabilità umana: risposta dovuta anzitutto a Dio.
    «Libertà morale. Poiché ogni mezzo ha ragione di bene utile, e il bene, in quanto bene, è oggetto proprio dell’appetito, ne segue che il libero arbitrio è dote della volontà, anzi è la volontà stessa, in quanto ha, nell’operare, facoltà di elezione». Il bene voluto è conosciuto da un giudizio della ragione.
    Così la volontà, come la libertà che ne deriva, ha per oggetto il bene conforme alla ragione.
    La possibilità di errare, per difetto di giudizio, «Dimostra che siamo liberi, come la malattia, che siamo vivi, ma dell’umana libertà non è che difetto. Discorre su ciò il San Tommaso: ‘Il poter peccare non è libertà, ma servaggio’. Basti quel che egli dice commentando le parole di Gesù Cristo: - chi fa il peccato è schiavo del peccato (Giovanni 8, 34). ‘L’uomo è ragionevole per natura […] si muove da sé e però da libero, quando opera secondo ragione: ma quando contro ragione, come fa quando pecca, allora egli è mosso quasi da un altro, e tirato e imprigionato nei termini altrui: chi fa il peccato ne è schiavo».

    La libertà e la Legge: «Tale essendo dunque nell’uomo la condizione della sua libertà, troppo era necessario avvalorarla di lumi ed aiuti, che in tutti i moti suoi la indirizzassero al bene e la ritraessero dal male; altrimenti di grave danno sarebbe riuscito all’uomo il libero arbitrio».
    «E primieramente fu necessario porgli una legge, ossia una regola di ciò, che si ha da fare ed omettere... Nello stesso arbitrio dell’uomo adunque, ossia nella morale necessità che gli atti volontari nostri non discordino dalla retta ragione, va cercata, come in radice, la prima causa dell’esserci necessaria la legge. E nulla può dirsi o concepirsi più perverso e strano di quella massima: che l’uomo, perché naturalmente libero, deve andare esente da legge; il che, se fosse vero, ne seguirebbe che per essere liberi dovremmo essere irragionevoli. Ma la verità si è che proprio per questo l’uomo va soggetto a legge, perché è libero per natura».
    «L’uomo, per necessità di natura, trovasi in una vera e perpetua dipendenza da Dio, così nell’essere come nell’operare, e però non può concepirsi umana libertà se non dipendente da Dio e dalla sua divina volontà. Negare a Dio tale sovranità, o non volervisi assoggettare, non è libertà ma abuso di libertà e ribellione, e in siffatta disposizione d’animo consiste appunto il vizio capitale del liberalismo. Il quale però prende molte forme, potendo la volontà in modo e gradi diversi sottrarsi alla dipendenza dovuta a Dio e a chi ne partecipa la autorità».

    La vera libertà consiste, quindi, nel fatto che, con l’aiuto dell’ordinamento giuridico della società, l’uomo possa vivere liberamente secondo il bene e il fine per cui fu creato.
    La libertà fisica e sociale dev’essere pertanto difesa nella legge, cioè se qualcuno abusa della propria libertà contro il bene e la libertà comune, la società ha il diritto e il dovere d’impiegare la coercizione per impedirlo.
    Ecco il corollario inevitabile del problema della libertà umana: perché la legge sia rispettata, assicurando la libertà generale, l’autorità deve esercitare la coazione che, perciò, va valutata come servizio alla libertà di tutti.
    Si può addurre un semplice esempio nel consesso civile dove sono stabilite delle tasse per i servizi comuni, che ogni cittadino deve pagare.
    Si è liberi, nel foro intimo, di discordare da una norma, ma chi si prende la libertà, in foro esterno, di non adempiere ai suoi obblighi, pagando le tasse, va soggetto a coercizione che secondo le leggi del Paese può risolversi anche nella galera.
    Tanto meno è ammessa la libertà personale o associata di insorgere contro l’osservanza delle leggi umane legittimamente approvate.
    Se ciò si applica alle leggi umane, che dire della Legge divina?

    La Chiesa insegna che queste norme civili, più o meno eque, sono subordinate ad un ordine morale, ad una legge naturale che, essendo legata al bene e al fine dell’uomo, sovrasta e deve determinare le leggi civili.
    E già Papa Felice II ricordava: «L’errore cui non si resiste viene approvato; la verità che non viene difesa, viene oppressa».
    La causa dell’ortodossia è anche la causa dei princìpi della vita morale, per cui San Tommaso dice: «Come lo Stato punisce coloro che falsano le monete, a più ragione deve punire coloro che falsano le idee».
    La prima legge e il primo obbligo, anche civile, sono quindi la difesa del fondamento stesso delle leggi, del vero principio dell’ordine e dell’autorità.
    Infatti la libertà tra gli uomini deriva dalla Legge.
    Queste ragioni spiegano la necessità logica dell’Inquisizione e la sua difesa storica, per cui scrittori come Vittorio Messori spiegano: «L’Inquisizione fu la prima vera forma di garanzia giuridica, laddove esistevano solo la giustizia sommaria del linciaggio o quella, vergognosa, applicata dal potente del luogo pro domo sua».
    Le autorità della Chiesa cattolica, nella loro capacità di depositarie della Legge divina, sempre affermarono il precipuo dovere degli Stati d’assicurare la libertà della Chiesa d’insegnare la Parola divina e, di conseguenza, di considerare illecita la libertà personale o associata di istigare contro il suo insegnamento.
    Ciò costituisce delitto oggettivo di fronte al quale il potere civile non deve essere indifferente, ma deve reprimere con la forza, se necessario.

    Enciclica «Libertas»: «Nell’ordine sociale dunque la civile libertà, degna di questo nome, non consiste già in far quel che talenta a ciascuno, ciò che anzi partorirebbe confusione e disordine, che riuscirebbe in ultimo ad oppressione comune; ma in questo unicamente, che con la tutela e l’aiuto delle leggi civili si possa più agevolmente vivere secondo le norme della legge eterna».
    La Chiesa, depositaria della Legge di Dio, stabilisce che nessuno può essere costretto ad abbracciare questa Legge, che rifiuta in foro interno.
    Ma sempre ha dichiarato che non può essere riconosciuta una libertà di negare la Legge in foro esterno.
    Guidare con autorità divina la libertà umana è e sarà sempre la missione essenziale della Chiesa e del Papato; prova inconfondibile della sua identità soprannaturale.

    I diritti delle anime e della Chiesa

    Papa Pio XI insegna: «Diritti sacrosanti ed inviolabili... si tratta del diritto delle anime di procurarsi il maggior bene spirituale sotto il magistero e l’opera formatrice della Chiesa, di tale magistero e di tale opera unica mandataria divinamente costituita in quest’ordine soprannaturale fondato nel Sangue di Dio Redentore, necessario ed obbligatorio a tutti per partecipare alla divina Redenzione. Si tratta del diritto delle anime così formate di partecipare i tesori della Redenzione ad altre anime collaborando all’attività dell’Apostolato Gerarchico. E’ in considerazione di questo duplice diritto delle anime, che Ci dicevamo testé lieti di combattere la buona battaglia per la
    libertà delle coscienze, [che non è quella] maniera di dire equivoca e troppo spesso abusata a significare l’assoluta indipendenza della coscienza, cosa assurda in anima da Dio creata e redenta» (Enciclica «Non abbiamo bisogno», 29giugno 1931).
    Papa Pio XII insegna: «La Chiesa cattolica è una società perfetta, la quale ha per fondamento la verità della fede infallibilmente rivelata da Dio. Ciò che a questa verità si oppone è necessariamente un errore e all’errore non si possono obiettivamente riconoscere gli stessi diritti che alla verità. In tal guisa la libertà di pensiero e la libertà di coscienza hanno i loro limiti essenziali nella veridicità di Dio rivelatore» (Discorso 6 ottobre 1946).
    La libertà morale è «facoltà di muoversi nel bene» nella formula di San Tommaso d’Aquino: «La libertà è il potere di fare il bene, come l’intelligenza è la facoltà di conoscere il vero. La possibilità di fare il male non è l’essenza della libertà più di quanto la possibilità d’ingannarsi sia l’essenza dell’intelligenza, o la possibilità d’ammalarsi sia l’essenza della salute».
    La libertà di scegliere una religione che, se non è rivelata da Dio, è solo un’illusione, non è vera libertà.
    Dichiarare il diritto di tale libertà di illusione sulla Legge divina, è riconoscere il primato della coscienza e del libero esame sulla verità rivelata.
    Il che è interamente incompatibile con l’autorità della Chiesa di Dio e con la ragione.
    Fu il motivo della condanna di Lutero e dei modernisti.
    Tale dichiarazione da parte di un prelato implica il dissenso della propria autorità con l’autorità divina: una tacita rinuncia, non solo alla fede cattolica, ma alla sua carica nella Chiesa.
    Eppure, ciò è stato «rimeditato» e dichiarato in un documento del Vaticano II.

    Libertà e dignità secondo la «Dignitatis humanae personae»(DH)
    «1. Il diritto della Persona e delle Comunità alla libertà sociale e civile in materia religiosa.
    a) Nell’epoca attuale gli uomini divengono sempre più consapevoli della dignità della persona umana e cresce il numero di coloro che esigono di agire di loro iniziativa, esercitando la propria responsabile libertà... tanto delle singole persone quanto delle associazioni... (che) nella convivenza umana riguarda soprattutto i valori dello spirito, e in primo luogo il libero esercizio della religione nella società. Considerando tali aspirazioni... questo Concilio rimedita la tradizione sacra e la dottrina della Chiesa, delle quali trae nuovi elementi sempre in armonia con quelli già posseduti. [!?…]
    c) Questa unica vera religione crediamo che sussista nella Chiesa cattolica e apostolica...
    E tutti gli esseri umani sono tenuti a cercare la verità, specialmente in ordine a Dio e alla sua Chiesa, e, una volta conosciuta, ad aderire ad essa e conservarla.
    d) Il Concilio professa pure che questi doveri attingono e vincolano la coscienza degli uomini, e che la verità non si impone che in virtù della stessa verità...
    E poiché la libertà religiosa, che gli esseri umani esigono nell’adempiere il dovere di onorare Iddio, riguarda l’immunità dalla coercizione nella società civile, essa lascia intatta la dottrina tradizionale cattolica sul dovere morale dei singoli e della società verso la vera religione e l’unica Chiesa di Cristo.
    e) Inoltre questo Concilio trattando di questa libertà religiosa, si propone di enucleare la dottrina dei Sommi Pontefici più recenti intorno ai diritti inviolabili della persona umana e all’ordinamento giuridico della società».

    Leo XIII «Immortale Dei»: «Se l’intelligenza aderisce a false idee, se la volontà sceglie il male e vi si attacca, né l’una né l’altra raggiunge la sua perfezione. Entrambe saranno inferiori alla loro innata dignità e diverranno corrotte».
    La dignità umana può solo essere ordinata al Vero.
    «Libertas»: «E a chi domandi quale di tante e fra loro opposte religioni sia quell’unica che dobbiamo seguire, quella certamente, rispondono la ragione e la natura, che fu istituita da Dio e che facilmente è riconoscibile da certi caratteri esteriori, scolpiti in essa per mano della Provvidenza divina, poiché in cosa di tanta importanza ogni errore sarebbe fatale».
    La ricerca della verità?

    Dice Tertulliano: «Cosa giova sentire coloro che confessano di essere ancora alla ricerca della verità? Se veramente la cercano è perché ancora non hanno trovato niente di certo, e, se sono alla ricerca, dimostrano la loro incertezza in ogni punto in cui sembrano provvisoriamente poggiarsi. Se anche tu sei alla ricerca e volgi gli occhi verso chi cerca, volgendo il tuo dubbio al dubbio loro, sarai inevitabilmente un cieco guidato da ciechi. Per insinuarci i loro scritti loro fingono essere in dubbio approfittando della nostra attenzione. Ma appena stabiliscono il contatto passano a sostenere quanto dicevano ricercare... ma dicono che è credendo che fanno la loro ricerca, poiché essa ha in mira la difesa della fede. Ora, prima di difenderla la rinnegano... non sono cristiani, né di fronte a sé stessi, tanto meno davanti a noi. Che fede posso discutere in questo modo fraudolento» («La Regola della Fede»).
    Ecco una saggia descrizione dei precursori del «dubbio modernista».
    Essi, aggiungendo inoltre che «la verità non si impone che in virtù della stessa verità», riprendono Wycliff, per il quale «la forza della parola di Dio» è legge da sé sufficiente per il regime universale della Chiesa.
    Eppure, qui si tratta del libero esercizio, nella società, della religione, naturalmente di quella vera, che dev’essere riconosciuta e dichiarata tale, e che, come la verità, è una: si tratta della religione cattolica.
    Stabilito ciò, e per farlo è stata istituita la Cattedra di Pietro, a quale altro interlocutore potrebbe riferirsi, trattando dell’esercizio della religione l’autorità cattolica?

    In verità, la DH, come si è capito poi, serviva per invitare le altre religioni ad un dialogo ecumenista di pace.
    Perciò emetteva segnali cifrati in un linguaggio sofistico, strano all’udito cattolico, perché implicava il riconoscimento della veracità di altre religioni.
    Per esempio, col dire che la confessione della vera fede non è, ma sussiste nella Chiesa cattolica, si insinua che la sua identità come Chiesa di Cristo, da assoluta passerebbe a relativa.
    Riguardo alla Verità che vincola le coscienze, col riferirsi soltanto a coloro che l’abbiano trovata, si allude a una fede non più universale e trascendente, ma immanente, legata al fondo delle coscienze.
    E poiché la verità si imporrebbe da sé nelle coscienze, essa sarebbe più soggettiva che oggettiva, nel qual caso la Chiesa non potrebbe giudicare e imporre censure e pene per difenderla; non avrebbe più senso l’autorità dogmatica e di giurisdizione divina della Chiesa, ma solo quella amministrativa. Ecco perché si può dire che tale dichiarazione implica, nella sua «inversione semantica» del senso della religione cattolica, una vera rinuncia all’autorità della Chiesa, quale essa è definita.

    Enciclica «Libertas»: «Ammettono la Chiesa, ‘ma non le riconoscono la natura e i diritti di società perfetta con vero potere di far leggi, giudicare, punire, ma solamente la facoltà di esortare, persuadere, governare, chi spontaneamente e volontariamente le si assoggetta. Con tali idee snaturano l’essenziale concetto di questa divina società, ne restringono ed assottigliano l’autorità, il magistero, l’influenza...’ ».
    Leone XIII si riferiva ai nemici della Chiesa, ma... se essi operassero all’interno del suo corpo, come fanno i modernisti?
    Potrebbero agire con l’autorità della Chiesa?

    Ora, se la DH si propone di «enucleare la dottrina dei Papi più recenti (che non può essere diversa da quella dei Papi più distanti), per continuarla», essa dovrebbe ribadire che la Legge divina vincola l’ordinamento giuridico della società di tutti gli uomini.
    Il fine dell’autorità della Chiesa è proprio di insegnare questo principio.
    Ma ormai è chiaro: il progetto era di ripensare la dottrina per introdurre concetti acattolici nascosti da un linguaggio d’apparenza cattolica.
    Ciò è già evidente dall’analisi dei documenti citati dalla DH; figuriamoci di fronte a quelli evitati! Ma continuiamo a leggerla.

    «2. Oggetto e fondamento della libertà religiosa fondata sulla stessa natura.
    a) Il Concilio [Vaticano II] dichiara che la persona umana ha il diritto alla libertà religiosa.
    Il contenuto di una tale libertà è che gli esseri umani devono essere immuni dalla coercizione da parte di singoli individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia potestà umana, così che in materia
    religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti,
    di agire in conformità a essa: privatamente o pubblicamente, in forma individuale o associata.
    Inoltre dichiara che il diritto alla libertà religiosa si fonda realmente sulla stessa dignità della
    persona umana quale si conosce, sia per mezzo della parola di Dio rivelata che tramite la stessa
    ragione. (1) Questo diritto della persona umana alla libertà religiosa deve essere riconosciuto e
    sancito come diritto civile nell’ordinamento giuridico della società».

    A sostegno del suo concetto di libertà religiosa la DH adduce in (1) il testo della Libertas: «Non meno celebrata delle altre è la libertà così detta di coscienza; la quale se prendasi in questo senso che ognuno sia libero di onorare Dio o di non onorarlo dagli argomenti recati di sopra è confutata abbastanza. Ma può avere ancora questo significato, che l’uomo abbia nel civile
    consorzio diritto di compiere tutti i suoi doveri verso Dio senza impedimento alcuno. Questa libertà vera è degna dei figli di Dio, che mantiene alta la dignità dell’uomo, è più forte di qualunque violenza e ingiuria, e la Chiesa la reclamò e l’ebbe carissima ognora».

    Sentiamo monsignor Antonio de Castro-Mayer: «Può un tale testo costituire una genuina difesa della libertà religiosa nel senso di immunità da coercizione esterna per il seguace di qualsiasi religione? L’espressione ‘nulla re impediente’ (senza alcun impedimento) dà a questo il significato di una libertà religiosa nel senso indicato (nella DH)? Il senso reale del testo non avvalla una simile interpretazione. Infatti, parlando della libertà per seguire la volontà di Dio ed eseguire i Suoi ordini, il testo colloca faccia a faccia l’uomo da una parte, la volontà di Dio e i suoi ordini dall’altra. E chiede per l’uomo la facoltà di eseguire questa volontà e questi ordini senza impedimenti. Si capisce subito che il testo parla della volontà di Dio e dei Suoi ordini come si presentano ufficialmente e oggettivamente. D’altronde, l’interpretazione favorevole al testo della DH sarebbe talmente opposta a tutto il contesto dell’Enciclica che è difficile comprendere come possa valersi di esso il testo conciliare. Leone XIII, che aveva appena difeso la repressione contro quanti oralmente o per scritto diffondono l’errore non potrebbe poi contraddire se stesso!».

    «Il senso della libertà ivi difeso da Leone XIII è chiaro: si tratta del diritto di seguire la volontà di Dio e di compiere i Suoi precetti d’accordo con la coscienza del dovere. Questa libertà, secondo l’Enciclica, ha per oggetto un bene conforme alla ragione; non si oppone al principio per cui la Chiesa concede diritti soltanto a quello che è vero e onesto; è qualificata come legittima e onesta, per distinguere dalla libertà dei liberali radicali o moderati».

    «Inoltre, il contesto prossimo del passo della Libertas che stiamo analizzando dà ancora più risalto al suo vero significato che non è quello che la DH gli vuol attribuire. Infatti, la Commissione del Segretariato per l’unione dei Cristiani, citando il testo testé analizzato (confronta opuscolo ‘Schema Declarationis de Libertate Religiosis’, 1965, pagina 19), ha trascritto solo il passo che abbiamo riportato sopra. Se la citazione si fosse estesa per qualche rigo, si sarebbe visto subito che il passo non si riferisce alla libertà religiosa nel senso di immunità da coercizione esterna contro la diffusione di religioni false. Poiché, di seguito, la Libertas dice: Siffatta libertà la usarono con intrepida costanza gli Apostoli, la sancirono con gli scritti gli Apologisti, la consacrarono martiri in gran numero col proprio sangue».

    «Ora, la libertà religiosa, interpretata nel senso di diritto delle false religioni all’immunità da coercizione esterna, non è difesa dalla stessa DH come insegnata espressamente dagli Apostoli, ma come avente radici nella rivelazione divina. Come potrebbe allora Leone XIII dire che gli Apostoli costantemente rivendicavano per sé tale libertà? E soprattutto, come potrebbe Leone XIII dire che un’innumerevole moltitudine di Martiri ha consacrato questa libertà col proprio sangue? Non si ha notizia di nessun martire che sia morto per difendere il diritto dei nicolaiti, degli gnostici, degli ariani, dei protestanti o degli atei a diffondere i loro errori. Sarebbe singolare questo eroismo a favore dei nemici della fede. Perciò torna evidente che il tratto citato della Libertas non riguarda la libertà religiosa nel senso di immunità da coercizione esterna per i divulgatori dell’errore».

    «Subito all’inizio del paragrafo seguente, Leone XIII dichiara: ‘Nulla di comune ha con lo spirito di sedizione e di rea indipendenza, né deroga punto al debito ossequio verso il pubblico potere, il quale intanto ha diritto di comandare e obbligare in coscienza, in quanto non discorda dal potere di Dio, e nell’ordine stabilito da Dio si mantiene. Ma quando si comandano cose apertamente contrarie alla divina volontà, allora si esce da quell’ordine e si va contro al volere divino e quindi non obbedire è giusto e bello».

    «Ora, l’ubbidienza dovuta al pubblico potere e il diritto dei cittadini di disubbidire alle leggi umane ingiuste non dimostrano la libertà religiosa nel senso di immunità da coercizione esterna nella pratica delle false religioni. Ciò riguarda la vera libertà, che è la facoltà di fare il bene, di seguire la volontà di Dio, di praticare la religione cattolica, senza essere in questo impedito da nessuno. Più avanti il testo è ancora più esplicito: ai liberali al contrario che fanno padrone assoluto e onnipotente lo Stato; che inculcano di vivere senza curarsi menomamente di Dio, tale libertà, congiunta a onestà e religione, è affatto ignota; tantoché ciò che altri faccia per mantenerla è, a giudizio loro, delitto e attentato contro l’ordine pubblico».

    «Sarebbe totalmente assurdo dire che i liberali sono contrari alla libertà religiosa nel senso di immunità da coercizione esterna per la diffusione delle religioni false. Si rende chiaro, perciò, che Leone XIII propone quella libertà legittima e onesta da lui stesso definita precedentemente nella stessa Enciclica, nel cui nome possiamo e per principio dobbiamo opporci alle leggi ingiuste.
    Queste considerazioni sul testo della Libertas, citato dalla DH, rendono facile la comprensione anche del vero senso delle altre citazioni».

    «Quando la ‘Mit brennender Sorge’ rivendica, contro il nazismo, il diritto del fedele a praticare la religione, il testo non afferma l’immunità dell’errore nell’ordine civile..., ma il diritto alla libertà dei figli della Chiesa: ‘Il credente ha un diritto inalienabile di professare la sua fede e di praticarla in quella forma che ad essa conviene. Quelle leggi, che sopprimono o rendono difficile la
    professione e la pratica di questa fede, sono in contrasto col diritto naturale’ (AAS, 1937, pagina 182). Pio XI, autore della ‘Mortalium animos’, in questa Enciclica fa una professione di fede in cui dice: ‘... a questa libertà sono segnati limiti dal comandamento della divina maestà, che ha voluto e fondato questa Chiesa come unità inseparabile nelle sue parti essenziali’. E’ perciò inconcepibile che si pretenda che questo Papa difendesse una nuova nozione cattolica di libertà, in opposizione ai Papi precedenti. E’evidente che, nello stesso modo in cui Leone XIII ha proclamato, in nome di questa libertà, il diritto di resistere alle leggi ingiuste dei governi liberali, anche Pio XI ha proclamato, in nome della stessa libertà, il diritto di resistere al nazismo».

    «Parimenti, quando Pio XII, durante la II Guerra Mondiale, con una semplice frase rivendicò, tra i diritti fondamentali della persona, il diritto al culto di Dio privato e pubblico, compresa l’azione caritativa religiosa, il suo testo non affermava - come abbiamo già osservato a proposito della Mit brennender Sorge - il diritto al falso culto reso a Dio in una religione non vera. Al contrario, egli intendeva affermare che all’uomo deve essere riconosciuto il diritto di rendere a Dio il vero culto, una volta che questo soltanto è il culto a Lui dovuto. Infatti, è ‘delirio’ affermare che la libertà di coscienza e di culto è diritto proprio di ogni uomo. E’ evidente che Pio XII non intendeva modificare la dottrina cattolica a riguardo (Gregorio XVI, Mirari vos e Pio IX, Quanta cura), ma difendeva soltanto la libertà legittima e onesta chiaramente spiegata da Leone XIII. Tanto più che nell’allocuzione ‘Ci riesce’, dove tratta ex professo della questione, nega qualsiasi diritto a quanto non corrisponde alla verità e alla norma morale».

    Dalla Pacem in terris (Ptr) alla Dignitatis humanae (DH)

    Da quanto visto fin qua, alla luce della dottrina cattolica e della ragione, traspare l’intenzione di assolutizzare il concetto di dignità umana e allo stesso tempo identificare il concetto di libertà umana a quello psicologico.
    L’uomo avrebbe la dignità d’essere libero di pensare, dire e fare quello che vuole e questa libertà è il segno di questa dignità innata.
    Quest’idea è un po’ quella dell’esistenzialismo per cui fare, pure il male, è prova del principale: esistere!
    Finora si è visto come la DH, per cambiare il senso della dottrina, inverte il senso degl’insegnamenti papali e patristici.
    Monsignor Castro-Mayer cita un altro l’esempio: «Seguivano una citazione di Lattanzio e un’altra di Leone XIII, ma né l’una né l’altra provano la proclamazione fatta, poiché Lattanzio parlava del diritto dei cristiani a praticare la loro religione nell’impero romano e Leone XIII precisava di quale libertà intendeva parlare, cosa che non fa invece l’enciclica di Giovanni XXIII. In questa, infatti, l’assenza di ogni precisazione fa sì che la proclamazione del diritto di ogni uomo a
    professare la propria religione può cadere sotto i colpi della condanna del liberalismo fatta da Leone XIII, proprio nella ‘Libertas’ di cui nella Ptr si cita un passaggio... procedimenti di tal fatta non sono onesti intellettualmente» (per dire il minimo...).
    La DH affermando di seguire gli ultimi Papi in verità segue e cita solo la Ptr di Giovanni XXIII, che preparò il terreno per tale «aggiornamento» libertario.

    La DH è basata sulla versione eterodossa della Pacem in terris (Ptr).
    Quale?
    La storia viene da lontano.
    Erasmo è stato un grande precursore di quest’apertura in campo teologico professando che «ogni uomo ha in sé la teologia», ed è «ispirato e guidato dallo spirito di Cristo, sia esso scavatore o tessitore».
    Lo scrittore Jacques Ploncard d’Assac, nel suo libro «L’Eglise occupée» (Edizioni de Chiré, Vouillé, 1972), parla delle conseguenze di queste idee fino ai nostri giorni, partendo dalla battuta di un monaco di Colonia: «Erasmo ha messo le uova, Lutero le farà schiudere».
    In esse c’era il sussurro invitante la coscienza umana ad emanciparsi, questa volta, però, in nome dello spirito ordinatore di Cristo.
    Sono le idee apparse nei secoli scorsi a delineare oggi la mentalità dei profeti della rivoluzione conciliare.

    Giovanni XXIII rilancia l’ambiguità erasmiana nella Pacem in terris, che, essendo il riferimento più citato nella DH, chiaramente contiene la frase chiave della revisione conciliare sui concetti di dignità umana e libertà religiosa: «In hominis iuribus hoc quoque numerandum est, ut et Deum, ad rectam conscientiae suae normam, venerari possit, et religionem privatim publice profiteri»; cioè «ciascuno ha il diritto di onorare Dio seguendo la retta norma della propria coscienza e di
    professare la propria religione in pubblico e in privato» (AAS 55, 1963, pagina 260).
    Ecco l’ambiguità rilanciata: si tratta di norme divine su cui si fonda la retta coscienza, ovvero di una retta norma, come giudizio della propria coscienza autonoma?
    L’abbozzo di quest’ambiguità di Erasmo era stata condannato dalla Chiesa nel passato.
    Nei nostri tempi essa ritorna rinforzata da Giovanni XXIII, per delineare il piano di aggiornamento conciliare.
    L’ambiguità si rivelerà la copertura lasciata cadere con l’opzione della DH per una «coscienza autonoma».
    Già la manovra per attuare quest’inversione svela la natura della sua sinistra intenzione.

    Il senso della DH «è il senso percepito dal padre Rouquette, che scriveva in Études del giugno 1963: - Essa [Ptr] è di fatto un evento che, per gli storici futuri, segnerà una svolta nella storia della Chiesa» (Monsignor F. Spadafora, «La Tradizione contro il concilio», pagine 240/1).
    Ecco il riassunto del testo postumo del P. Joseph de Sainte-Marie pubblicato dal «Courrier de Rome» (maggio 1987) e da «Itinéraires», (luglio-agosto 1987): «P. Laurentin lo testimonia... scrive - ‘questo diritto della persona... non è un’innovazione conciliare’, […] questa formula ‘che inizialmente era stata assunta tale e quale, non può essere mantenuta se non a costo di
    attenuazioni. Tuttavia, la dichiarazione presa nel suo insieme non scioglie certe ambiguità, ma perfino fa deduzioni su quanto era stato volontariamente mantenuto nella Ptr’. Ecco una confessione da considerare e Laurentin dice da chi l’ha avuta: padre Pavan (il teologo di Giovanni XXIII) in ‘Libertà religiosa e Pubblici poteri’, Milano, 1965, pagina357. Strano modo di insegnare la verità».

    L’ambigua formula della Ptr «può cadere sotto la condanna del liberalismo della Libertas di Leone XIII, della quale si cita un brano... Senza dubbio troviamo qui una delle ‘ambiguità mantenute volontariamente’ di cui parla Laurentin. A cosa serve invocare l’espressione ‘seguendo la giusta norma della coscienza’ per dire che si tratta qui della libertà religiosa concepita correttamente? Poiché siamo di nuovo di fronte ad una ambiguità. Si sa che la morale cattolica riconosce il diritto e proclama il dovere, di ogni uomo, di seguire il giudizio della ‘coscienza retta’: conscientia recta. S’intende con ciò il giudizio di una coscienza formata secondo le norme della virtù della prudenza e che si è conformata alla verità. Questa nozione classica si trova perfino nella Gaudium et Spes, 16. Di questa coscienza retta si proclama la dignità, che si estende fino alla coscienza invincibilmente erronea, quella di una persona che è nell’impossibilità morale e pratica di liberarsi dall’errore in cui si trova».
    Ma la retta coscienza non perde la sua dignità nel momento in cui aderisce all’errore per negligenza colposa?
    Non diviene allora decaduta, come è accaduto ai primi genitori espulsi dal Paradiso?

    «L’ambiguità della Ptr appare nella redazione latina del testo, che parla della ‘rectam conscientiae suae normam’, cioè della ‘norma retta della coscienza’. Si deve intendere il riferimento alla norma della ‘coscienza retta’ o di una ‘norma retta’, che sarebbe ogni giudizio in coscienza? Ognuno può capirlo come crede; e in ciò consiste l’ambiguità. Ognuno la applicherà perciò ugualmente nel senso che vuole, ma l’enciclica ha in se stessa un moto interno che ci dice in quale senso, secondo essa, tale ‘libertà’ dev’essere intesa. E’ il senso inteso da padre Laurentin e da padre Pavan, così come dai periti conciliari della ‘libertà religiosa’. Senza dubbio, continua immediatamente: non un cambiamento dei princìpi della antropologia cattolica, fondata sulla Rivelazione, ma una presa di posizione nuova vis-à-vis del mondo moderno. Soltanto questo? Forse si può anche dire questo della Ptr, a causa delle ‘ambiguità volontariamente mantenute’, ma ciò non è più possibile dopo la Dignitatis humanae, titolo della dichiarazione conciliare, dove si trovano princìpi che furono essi stessi cambiati».

    «La continuità tra la Pacem in terris e la Dignitatis humanae è evidente; lo dimostrano i testi quanto le testimonianze, incontestabili in questa materia, di Laurentin e di Rouquette. Abbiamo visto come il primo lo sottolinea. Ed ecco quanto diceva il secondo, nella stessa cronaca del giugno 1963, cioè tra la prima e la seconda sezione conciliare: ‘Tra i diritti derivati dalla dignità della persona umana, l’enciclica insiste sul diritto ad una libera ricerca della verità’ (non semplice ‘tolleranza’, ma ‘libero esercizio del culto’, e questo è detto con una confusione di campi e di punti di vista deliberatamente mantenuti».

    «Le posizioni prese in questo modo dall’enciclica arrivano a proporre il Segretariato per l’Unità nel progetto dello schema De libertate religiosa; il cardinale Bea, in un’intervista alla quale ci siamo riferiti, ha indicato che li c’era il suo spirito. Il paragone (tra il progetto di schema e la DH. 3) parla da sé e ci permette di identificare nella persona del cardinale Bea, l’autore del testo centrale della dichiarazione sulla libertà religiosa, o almeno, del suo ispiratore principale. Perciò ha provocato la dura reazione del cardinale Ottaviani, che rimase sconfitto solo a causa de mancato sostegno da parte della Sede che teoricamente rappresentava come Prefetto del Sant’Officio».

    «Il sofisma che si ripete in entrambi i testi consiste nel passare in modo indebito dall’affermazione innegabile, evidente e fondamentale, della libertà essenziale dell’atto di fede, libertà per la quale ogni pressione su tale atto distrugge la sua natura stessa, all’affermazione, per niente evidente, e di fatto negata tradizionalmente dalla Chiesa, di una libertà parimenti essenziale e illimitata a priori in materia di esercizio pubblico del culto religioso, qualunque esso sia. La Chiesa non nega nella pratica, in assoluto, ogni diritto di pubblica espressione alle altre religioni. In ciò la sua tolleranza è aumentata nel tempo».

    «La Pacem in terris e il Vaticano II si spingono al punto di mettere in causa gli stessi princìpi. E’ esattamente in questo che consiste la novità e il problema gravissimo posto dall’affermazione del testo conciliare (DH): un diritto alla libertà religiosa nel foro esterno iscritto nella natura umana e nell’‘ordine stesso stabilito da Dio’, diritto che si vuole limitato unicamente dalle esigenze d’'ordine pubblico’. Si noti anche, poiché il fatto è di massima importanza, un’altra somiglianza tra l’enciclica di Giovanni XXIII e la dichiarazione del Vaticano II: in entrambi i casi questi testi, di così pesanti conseguenze per la storia della Chiesa, e che così si pongono per il giudizio di tale magistero, non sono potuti venire alla luce che in seguito a gravi scorrettezze di procedura. Per quel che concerne la Ptr, ecco ancora la testimonianza di padre Rouquette: ‘So da buona fonte che il progetto in questione è stato redatto da monsignor Pavan, animatore delle Settimane sociali in Italia; la sua redazione è stata condotta in gran segreto; il testo non sarebbe sottomesso al Santo-Ufficio, i cui direttori non fanno mistero della loro opposizione al neutralismo politico papale. Si è voluto evitare così che il Santo-Ufficio differisse indefinitamente la pubblicazione del testo, come era successo con la Mater et Magistra».

    «La Ptr è stata pubblicata all’insaputa del Santo-Ufficio, essendo stata redatta e mantenuta segreta dal piccolo gruppo di periti - e di pressione - dal quale era l’opera. Analogo, ma ancora più grave, il corso seguito dalla DH. Le legittime obiezioni sollevate al piano di dichiarazione dal Coetus internationalis Patrum non furono ascoltate, ma respinte (confronta Rhin. Wiltgen, pagine 243-247)... Come la Ptr, e ancora più di questa, la dichiarazione conciliare è stata pubblicata in seguito a palesi violazioni delle regole. Non fu rispettato nel primo caso almeno il dovere di prudenza; nel secondo, perfino un diritto esplicito è stato conculcato».

    Conseguenze della contraffazione dottrinale. «Il discorso sugli effetti di questi errori imposti alla Chiesa da gruppi di pressione per vie oltremodo subdole per la copertura dell’autorità pontificia o conciliare sarebbe vastissimo.
    Ci limitiamo ai titoli principali sotto i quali continuare la riflessione sulle loro conseguenze ed
    implicazioni.

    - La prima concerne l’autorità del magistero: se la Chiesa insegna oggi solennemente il contrario di quanto insegnò fino al 1963, significa che si era prima sbagliata. Ma se si era sbagliata, è fallibile, e lo è oggi come lo fu ieri. Che ragione avrei allora per credere in essa ora più che ieri?’.
    - La seconda è che proclamando oggi come principio assoluto il diritto naturale alla libertà religiosa, la ‘dichiarazione’ conciliare rappresenta una condanna di massa non solo dell’insegnamento precedente della Chiesa, ma anche del suo modo di agire; il che mette in causa non più semplicemente la sua potestas docendi, ma anche l’uso della sua potestas regendi. Per dei secoli la Chiesa avrebbe agito ignorando e conculcando un diritto naturale fondamentale della persona umana. E la negazione conciliare dei diritti e dei poteri della società civile in materia religiosa implica una analoga condanna di tutti i Papi degli ultimi secoli.
    - Peggio ancora, dalla concezione non solo laica ma abbastanza laicizzante che essa offre, la dichiarazione conciliare nega i diritti di Cristo sulla società civile, il che è non solo in contraddizione con l’insegnamento costante della Chiesa, ma anche con le verità più fondamentali della dottrina cristiana della Redenzione. C’è un’empietà in questo, nel senso proprio del termine, forse non del tutto esplicita, ma a causa della sua implicazione immediata. […]
    - Insomma, per tornare al piano dell’ordine naturale, questa separazione falsa e indebita di quanto concerne la religione rivelata dell’ordine della società civile risulta nella completa rovina delle fondamenta stesse di quest’ordine. Il caso estremo a cui porteranno i princìpi qui esposti sarà quello dell’esaltazione dello Stato come realtà suprema e ultima. Forse non sarebbe lui, in ultima analisi, a giudicare le esigenze dell’‘ordine pubblico’, in nome del quale esso sarebbe abilitato a
    regolamentare ‘la libertà religiosa’? E’ vero, si parla di un ‘ordine morale oggettivo’ per fondare questi diritti del potere civile, ma su cosa si fonderà questo stesso ordine se non si riconosce più allo Stato alcun dovere verso la legge naturale e la religione in quanto tale e verso la religione rivelata in particolare?».

    Come si vede, la via per l’inversione di rotta riguardo alla libertà cristiana fu aperta da Giovanni XXIII.
    Ora si deve analizzare il suo completamento nel Vaticano II sotto la direzione di Paolo VI.

    Arai Daniele

    Fonte: www.effedieffe.com

  4. #64
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    Predefinito Re: Giovanni XXIII, un "papa" buono ma per i nemici della Chiesa

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    Predefinito Re: Giovanni XXIII, un "papa" buono ma per i nemici della Chiesa


  6. #66
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    Predefinito Re: Giovanni XXIII, un "papa" buono ma per i nemici della Chiesa

    Lettera aperta di Pacificus a Giovanni XXIII

    Santità, sono un fedele della Chiesa Cattolica, oggi nell’anno di grazia 2014. Sono trascorsi cinquant’anni da quando Voi siete comparso davanti al Giudizio di Dio, e da allora di acqua sotto i ponti ne è passata tanta, soprattutto nel Tevere.

    Certo è inutile che io mi metta a raccontarVi anche solo le cose essenziali delle vicende di questi cinquant’anni che ci separano, perché Voi ovviamente sapete già tutto perfettamente.

    Vi scrivo semplicemente per comunicarVi alcuni pensieri che dagli ultimi giorni a questa parte – e Voi sapete meglio di tutti quello che è successo- mi sono venuti in mente, proprio su di Voi.

    Io non conosco ancora molto bene la Vostra vita, certo so della Vostra umile origine, dei Vostri anni giovanili, quando grazie al Vostro vescovo[1], che Voi avete sempre amato, siete andato a completare gli studi ecclesiastici a Roma[2].

    So bene poi della stima e amicizia che nutrivate per don Ernesto[3], tanto da farlo Vostro prete assistente la prima volta che Voi offriste il Divino Sacrificio.

    Immagino che in quegli anni di fermento, quando le novità[4] si diffondevano, soprattutto tra i giovani leviti come Voi, proprio all’ombra della basilica della Cristianità, anche Voi foste affascinato da quelle nuove vie, e forse ne provaste anche un certo trasporto.

    Ma era già l’epoca in cui il mitissimo Pio, dal sommo trono, con l’apostolica Autorità lanciava l’anatema[5].

    E Voi da allora, e per molti anni, studiaste bene di non dare scandalo con queste novità: durante quella gita – così mi pare si narri- Voi non voleste andare a trovare l’autore[6] di quel romanzo che sicuramente Voi avevate letto più volte, perché tale cosa avrebbe potuto comprometterVi la carriera.

    So bene che sentimenti Voi provaste nell’ascoltare le lezioni di apologetica di quel santo gesuita[7], quando in una calda estate venne al seminario della sua città, mentre Voi già avevate dei ruoli[8], so bene che la santa intransigenza di quel friulano –che Dio l’abbia in Gloria!- Vi disgustava veramente tanto: costui non lasciava spazio al minimo dialogo con il mondo, certo e sicuro su una dottrina di venti secoli di lotte, vero milite della milizia divina sulla terra – la Chiesa Cattolica – ; mentre Voi nel vostro cuore nutrivate sentimenti ben più benevoli verso quel mondo che forse non appariva così brutto.

    So bene della Vostra proverbiale obbedienza ai superiori, a cominciare dal Vostro amato vescovo; so bene che per i Vostri natali e per le Vostre esperienze, Voi avete sviluppato, in qualche modo, questa reverenza assoluta per l’ Autorità, reverenza che andava ben oltre la virtù, sfociando nel servilismo.

    Ma qui sono temerario: cinquant’anni fa Iddio Vi ha già giudicato anche per questo – o almeno presumo sia così – ma perdonatemi se mi sono spinto troppo in là.

    Voi certo avete avuto in sorte di vivere in un periodo in cui “batteva la storia”, e di cose ne avete viste e fatte vedere tante.

    Di paesi anche ne avete visti molti, di riti pure, dall’oriente all’occidente[9].

    Io non voglio pensare male: c’è chi dice che di riti Voi ne abbiate visti anche troppi[10], io voglio credere di no, e ad ogni modo cambierebbe poco.

    So poi dello stupore che Voi faceste provare nei palazzi patriarcali[11] quando invitavate i capi degli scismatici o delle false religioni, io voglio credere per mostrare loro la luce del santo Evangelo e la verità tutta intera, sicuramente li facevate sentire a loro agio, perché si dice ancora oggi, anzi oggi più che mai, del Vostro carattere “miracolosamente” buono.

    Alcuni insinuano che Voi desideravate ardentemente la somma cattedra della Chiesa Cattolica, molti altri invece dicono che Voi non Ve ne curavate, quando eravate principe.

    E così quando il grande Pio XII rese l’anima a Dio, poco dopo i signori cardinali elessero Voi, un “umile lavoratore nella vigna del Signore”.

    Certo non mostraste particolari emozioni, anzi le faceste provare agli altri quando decretaste la prima abolizione, e nessuno Vi baciò più la pantofola[12]. Poi serenamente Vi ritiraste “a recitare il rosario, il vespro e la compieta”, stando al racconto del Vostro fedele amico.[13]

    Io credo che Voi abbiate accettato veramente il Pontificato, senza nessuna riserva[14], anche se non siamo tutti concordi su questo, ma sicuramente dopo di Voi si fece e si fa altrimenti.

    Certo Voi avevate nel cuore anche il concilio di Trento e la Sacra Tradizione, perché mai faceste un atto pubblico palesemente contro di essa.

    Con ancora più certezza Voi avevate nel cuore anche il mondo, tanto che mai faceste un atto pubblico palesemente contro di esso.

    Voi, caro Papa, eravate così abituato ad obbedire che quando vi siete trovato a dover obbedire solo a Dio, e tramite Egli alla Chiesa tutta, nella sua storia, sicuramente Vi siete trovato a disagio[15].

    Infatti, oltre che ad Iddio, Voi avevate sempre obbedito anche a degli uomini: è un gran mistero di come in quei cinque anni Voi Vi regolaste.

    E così un anno prima di spirare Voi decideste di fare quello che faceste[16], ed è inutile che io Ve lo ricordi.

    Inutile ricordarVi quel gesto di quel cardinale genovese[17] che in intimità dal terrazzo vaticano Vi ammoniva sul confine che sarebbe sparito tra lo Stato vaticano e lo stato italiano, quasi a significare la fine della distinzione tra cose sacre e profane. Inutile ricordare alla Vostra anima, da mezzo secolo oramai non più sottoposta alla giurisdizione ecclesiastica, il tedio dei giorni che precedettero l’annuncio dell’evento al mondo, i mille dubbi che Voi, forse, aveste allora.

    Così mentre stava succedendo quello che successe – e ripeto che non voglio neppure nominare ciò che avvenne- Voi rendevate l’anima a Dio.

    Voglio credere come qualcuno dice, che sul letto di morte Voi abbiate detto: “ Mio Dio, cosa ho fatto!”.

    Voglio credere che di questo fatto mostruoso Voi vi siate debitamente pentito.

    Con tutto il cuore spero che Voi, dopo la purificazione che Dio stabilì, ora siate in Cielo, e possiate vedere faccia a faccia quel Dio che sulla terra Voi aveste l’onore e l’onere di rappresentare.

    Di là vediate la nostra miseria, e la miseria in cui Voi avete buttato la Chiesa.

    Di là vediate nel profondo la bestemmia mondiale che si è compiuta nel giorno in cui un tempo i neofiti deponevano le vesti immacolate[18].

    Di là… vediate un po’ vicino a che persona hanno appeso il Vostro ritratto, quel giorno in cui la Chiesa è stata umiliata.

    E questa visione, ed è solo il mio auspicio, possa essere l’ultima dolorosissima ed umiliante prova da superare, prima di giungere al Cielo.

    In Domino

    Pacificus



    [1] Monsignor Giacomo Radini Tedeschi, vescovo di Bergamo, il quale si dimostrò benevolo nei confronti dei modernisti.

    [2] Il seminarista Angelo Roncalli, dopo aver studiato al Seminario diocesano di Bergamo, vinse una borsa di studio e si traferì all’ Apollinare a Roma.

    [3] Don Ernesto Bonaiuti, capofila del modernismo italiano, poi scomunicato da Papa San Pio X

    [4] Ci riferiamo ovviamente al dilagare dell’eresia modernista nei primi anni del Novecento.

    [5] Ovvero l’Enciclica Pascendi Dominici gregis del 1907

    [6] Antonio Fogazzaro, autore, tra l’altro, de “Il Santo”

    [7] Ovvero Padre Guido Mattiussi SJ che tenne al seminario di Bergamo delle lezioni di apologetica nell’estate 1911

    [8] Insegnante di Storia della Chiesa presso il Seminario di Bergamo

    [9] Giovanni XXIII all’epoca era delegato apostolico in Bulgaria e Turchia.

    [10] Il riferimento alla presunta iniziazione massonica di Roncalli durante la sua permanenza in quelle terre.

    [11] Ci riferiamo a incontri privati dell’allora Patriarca di Venezia Roncalli con esponenti di altri culti e religioni.

    [12] Appena eletto, all’atto di obbedienza dei cardinali, dispensò i cardinali dal ”bacio del piede”.

    [13] Cioè il segretario, Loris Capovilla, oggi “cardinale”.

    [14] La papalità di Giovanni XXIII è discussa nel mondo cattolico integrale, secondo alcuni sarebbe vero Papa, secondo altri (in merito all’apertura del Concilio Vaticano secondo) non avrebbe avuto l’intenzione di fare il bene della Chiesa. Seguendo la posizione del teologo domenicano Monsignor Michel Louis Guerard des Lauriers, la vacanza della Sede è certo solo a partire dal 7 dicembre 1965

    [15] Cfr. Il mito del ?papa buono?: un articolo di Padre Innocenzo Colosio O.P. | Radio Spada

    [16] Vale a dire la convocazione del Concilio Vaticano II.

    [17] Il Cardinal Giuseppe Siri, arcivescovo di Genova.

    [18] Ci riferiamo alla domenica in Albis, quest’anno caduta il 27 aprile, giorno delle “canonizzazioni”.

    FOnte: https://www.radiospada.org/2014/05/l...iovanni-xxiii/

 

 
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