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  1. #11
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    Originally posted by lobosinistro


    Quante possono essere le persone che seriamente esaudiscono i tuoi desideri rivoluzionari? Per non parlare di quante persone riusciresti a "convertire" in maniera seria, premesso che dopo tu però vada bene a loro...

    Un saluto
    Non importa quanti sono,
    non e' il numero che conta,ma la qualita' delle persone.
    Saluti

  2. #12
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    E' sbagliato, a mio modo di vedere, purtroppo. Il numero conta, molto, moltissimo, enormemente.
    E' quello che ti permette di alzare le barricate, è quello che ti permette di farti sentire facendo provare timore e non provocando ilarità. Il numero è quello che riempie le piazze e le vie, il numero è quello che crea fiducia, il numero è importante.

    Sì, meno della qualità, indiscutibile. Ma è certo che dopo la qualità, molte volte a pari dignità, viene il numero, la quantità.

    Uno che agita il manganello se è da solo finisce che lo prende lì; dieci è molto più difficile, cento lottano, mille mettono a soqquadro una città.

    Ciao.



  3. #13
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    Ti faccio una domanda semplice
    meglio 10 persone decise,o 1000 inutili?
    Ti cito anche alcune parole"alla massa che segue sempre il pastore come un gregge....preferiamo un gruppo di uomini decisi e risoluti..."
    le parole non son proprio le stesse...ma rammenti chi le disse?
    Ciao
    anzi 77+11!

  4. #14
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    Il numero è indispensabile come massa d'urto...

    Ma al comando deve esserci un'élite, e se così non è nascono guai grossi...

    Saluti.

  5. #15
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    Originally posted by I'm Hate
    "alla massa che segue sempre il pastore come un gregge....preferiamo un gruppo di uomini decisi e risoluti..."

    ..."che in men che non si dica saranno isolati da un paio di camionette della polizia, portati in caserma, schedati se non denunciati per ricostituzione del disciolto partito fascista, attesi fuori dalla teppaglia rossa che scriverà anche sui muri della stessa caserma "fasci merda" e poi per giocare scaricherà una gragnuola di colpi addosso ai malcapitati. A meno che i malcapitati non siano pezzi del tipo del povero Nanni De Angelis il quale ne sollevava dieci per volta fasciandosi l'altra mano per complicarsi il gioco".

    Dai ragà nun scherzamo.


  6. #16
    Dalla parte del torto!
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    Non occorre essere acuti osservatori per rilevare anche in questo forum quella classica dicotomia ordine/rivoluzione tipica dell'area di derivazione missista. Una dicotomia che spinge, dopo qualche anno di militanza a "destra", ad arruolarsi nei carabinieri, P.S.,finanza e fin'anche fra le guardie carcerarie.
    Nel fondo di queste scelte dev'esserci una particolare rivalsa nei confronti degli "altri" (autonomi,extracomunitari e irregolari vari), così da potergli finalmente rompere i coglioni col sigillo di stato. Tipica ,in questo senso,la posizione di chiusura nei confronti dei "giottini" e relativa solidarietà con le cosidette "forze dell'ordine" a cominciare sempre dai carabinieri. Non si riesce neppure a fingere una più plausibile neutralità fra i minchioni che protestano inutilmente e la sbirraglia chiamata a reprimerli.
    Il torto dei "giottini" è solo quellodi essere strumentalizzati dagli stessi che vorrebbero contestare, cioè quelle forze occulte che tendono a deviare il sacrosanto scontento popolare provocato dai guasti del mondialismo, verso falsi obbiettivi come le sagome di cartone rappresentate dagli sbirri e dai burattini politici che fingono di governare. Invece, quelli che muovono veramente i fili, i burattinai del potere reale, non si fanno certo conoscere. Sono comunque gli stessi che compilano i fogli di disposizioni planetarie che ci vengono lette davanti alle TV del mondo da quell'altro burattino che risponde al nome di Bush.
    Ragazzi, rendiamoci conto che i politici del mondo e i loro mercenari in divisa, sono messi ben in evidenza sotto i riflettori al solo scopo di concentrare su di loro, e solo su di loro, i malumori popolari ponendoli in tal modo a guisa di parafulmine ai veri reggitori del mondo i quali non potendosi "bruciare", come accade normalmente ai politici, ben si guardano dall'esporsi in prima persona. Questi individui sono tanto furbi nel loro operare che alla tesi del loro progetto, oppongono una antitesi addomesticata e di comodo che nel caso in questione è appunto il movimento "antiglobalista" il quale ovviamente antiglobalista non è.
    I coglioni, infatti, vorrebbero - come del resto si è preteso da loro - solamente una globalizzazione migliore magari di sinistra, insomma se globalizzazione dev'essere, che almeno sia riformista o meglio "progressista.
    Il solito dilemma destra-sinistra applicato questa volta al fenomeno mondialista, un vecchio gioco delle parti al quale anche noi abbiamo portato il nostro contributo. Se i "giottini" fossero infatti coerenti con una vera lotta antimondialista dovrebbero quanto meno chiedere la chiusura regolamentata dei mercati internazionali per non dire il ritorno ad una forma di autarchia continentale; tutti temi che a loro sfuggono completamente, limitati come sono al problema tutto riformistico di alleggerire gli interessi del F.M.I. al terzo mondo. Resta il fatto che siamo stati spodestati proprio sul tema della battaglia antimondialista, battaglia che era iniziata proprio nei nostri ambienti all'indomani della caduta del muro di Berlino e del ventilato NUOVO ORDINE MONDIALE.
    Parrà incredibile dirlo oggi, ma quando i "giottini" vestivano ancora alla marinara, il nostro ambiente affrontava seriamente l'emergente mondialismo. Correva l'anno 1990 quando il mensile della federazione MSI-DN di Parma dedicava un intero numero al mondialismo con il seguente articoletto:

    Era l'ottobre del 1950 quando sul primo numero della rivista "Epoca", il settimanale mondadoriano nato ad imitazione dei periodici americani tipo "Life", G.A. Borgese rispondendo ad una giovane lettrice che gli chiedeva spiegazioni su di un incombente "Governo mondialista" di cui già allora si sentiva parlare, così rispondeva: Si ci credo. E lei lo vedrà. O alzato su di noi su basi di giustizia o calcato su di noi dal tallone della forza.
    Borgese, in questa sua sintetica risposta non aveva fatto altro che ricalcare i concetti formulati il 17 febbraio 1950 dal banchiere americano P.Warburg al Senato degli Stati Uniti: Noi avremo un governo mondiale che questo ci piaccia o no. La sola questione è di sapere se sarà creato per consenso o per conquista.
    Il controllo geopolitico dell'intero pianeta è sempre stata l'aspirazione, che ora sembra potersi realizzare alla luce del sole, della massoneria internazionale. Scriveva A. Weishaupt , fondatore dell'ordine degli "Illuminati di Baviera" sul finire del '700: Bisogna legare insensibilmente le mani ai governanti e governarli senza aver l'idea di dominarli, in una parola bisogna creare un regime dominatore universale, una forma di governo che si estenda su tutto il mondo, senza sciogliere i legami civili. Intorno ai grandi della terra, bisogna radunare una legione di uomini infaticabili, che dirigano il loro lavoro secondo i fini dell'Ordine...I capi di Stato saranno governati invisibilmente affinchè diventino gli strumenti del nostro Ordine, nel governo dei loro Stati.(P. Mariel "Le società segrete che dominano il mondo",pp.45-46).A questa trama faceva eco negli anni '50 il banchiere ebreo Warburg: ..la necessità di una organizzazione totalitaria nel mondo, da dove sarà esclusa ogni nozione di primato di una nazione, sussiste sempre. Si realizzerà inevitabilmente alla sua ora che non servirebbe a nulla voler affrettare, perchè non bisogna cogliere che i frutti maturi. Occorre infatti considerare che l'allora nascente bipolarismo USA-URSS aveva da conseguire la "normalizzazione" delle coscienze europee col fine di pilotarle obliquamente verso la tappa finale del preconizzato regime mondialista. Del resto questa trama, che risale perlomeno allo scoppio della I° guerra mondiale, non conosce soste ma neppure balzi avventati. Non solo si estende dalla prima alla seconda guerra mondiale, ma essa comprende, nello spirito di Yalta, altri fenomeni come la decolonizzazione (ai danni dell'Europa) e gran parte dei fatti che hanno caratterizzato, il presente secolo (era il 1990).
    In questo senso possiamo considerare il susseguirsi delle varie guerre, a partire dal 1914, come un solo, grande conflitto con alterne fasi di non belligeranza. Con la prima guerra mondiale, fortemente voluta e foraggiata dall'internazionale massonica, si pervenne intanto a minare i bastioni imperiali dell'Europa con la sconfitta dell'Austria-Ungheria, Germania, Turchia e, per altri versi, della Russia zarista. Con il secondo ciclo di guerre (1939-1945) vennero stroncate le residue fiammate del nazionalismo europeo con la liquidazione politica dei paesi dell'Asse, ivi compreso l'impero giapponese. Più avanti, grazie al sottile gioco delle parti interpretato nella commedia dei pseudo contrasti Est-Ovest, vennero spogliati anche gli ultimi imperi coloniali dei cosidetti paesi vincitori come Francia, Belgio, Inghilterra e buon ultimo il Portogallo. Arriviamo così ai nostri giorni quando senza troppi clamori si costituisce la "Trilateral"con lo scopo dichiarato di piegare all'ideologia cosmopolita i vari governi delle nazioni. La "Trilateral" si presenta infatti come una super congrega di stampo massonico con articolazioni a livello planetario talchè, al suo confronto, le logge di un tempo ci appaiono inoffensivi sodalizi come le Pro Loco. Questa struttura, che aspira a porsi come governo ombra del mondo, può già contare sul controllo metodico dell'alta finanza così come del Council of Foreign Relations (C.F.R.) ed è in grado di condizionare la politica internazionale, la grande industria,le borse internazionali, nonchè il credito internazionale per mezzo della Banca Mondiale di Credito. Non a caso la "Trilateral", fondata agli inizi degli anni '70 dal finanziere David Rockfeller, conta oggi fra i suoi uomini di punta personaggi come Zbigniew Brzezinski per l'economia e Henry A. Kissinger per la politica internazionale. Questa sequenza di nomi piuttosto indicativa, potrebbe indurre all'idea di una "Trilateral" essenzialmente statunitense il che non sarebbe esatto anche se gli Usa rappresentano effettivamente il braccio armato di cui dispone tale organizzazione. La chiave di lettura si trova nel simbolo stesso che si è dato la "Trilateral": tre frecce che partendo da tre punti equidistanti (evidente il richiamo al triangolo massonico) convergono di sbieco al centro della figura stilizzata. I tre lati rappresentano in realtà le grandi plutocrazie mondiali Usa, Europa, Giappone, che trovano un loro ideale punto di convergenza in quel new world order di cui oggi ci parla un loro portavoce di nome Bush (padre).

    Ciò, però, come detto, non vuol dire fare dell'anticomunismo fuori dal tempo e dalla storia anche perchè dovremmo essere più comprensivi con gli antiglobal e dintorni se non altro perchè rappresentano la nostra copia speculare (destra-sinistra).
    Quando "ultradestra" e "ultrasinistra" si sono ritrovati obbligatoriamente insieme al 7°braccio del carcere romano, hanno finalmente scoperto le loro similitudini. La "sinistra" non è un problema, comunque non un nostro problema. Ritengo che l'unica discriminante possibile è fra i sostenitori dell'attuale sistema soggetto al mondialismo e tutti gli altri che invece non si riconoscono in tale sistema. Ma non si verrà mai a capo di nulla finchè gli antisistema di "destra e di sinistra" si scontreranno fra loro. Purtroppo a "destra e a sinistra" ben pochi hanno le idee chiare. Ma si deve anche considerare che i centri occulti hanno da sempre infiltrato le estreme per perpetuare questo gioco al massacro che rinforza il sistema. Se vuoi controllare una certa area non conforme all'omologazione stabilita o la distruggi con le provocazioini e le montature poliziesche oppure la compri in blocco. Con quattro soldi si possono finanziare e dirigere tutti i gruppi che si vuole. Basta qualche ex milioncino per uno straccio di sede, telefono e giornalino infrannuale e puoi condizionare a piacere questi gruppi. Questo vale per i piccoli gruppi come per i grandi partiti.
    Prendi l'ex Msi: questo partito è stato sempre condotto come si fa con un asino, a forza di carote e bastone. Carote in senso finanziario, piaceri e sedie parlamentari. Il bastone era invece rappresentato dalle disposizioni speciali come la "legge Scelba". Al 3° congresso dell'Msi a Lucca, passò per la prima e unica volta, la linea più vicina alla Rsi, antiNATO e socializzatrice. Scattò subito il ricatto demoamericano e nel gennaio 1950 si riuniva il C.C. in cui gli avversari della linea sociale votarono contro mentre la maggioranza, capeggiata da Almirante si asteneva!!!!! Venne quindi eletto segretario e garante dei filoamericani Augusto De Marsanich che neppure era parlamentare , era però ebreo e massone e tanto bastò.( Un Eddie Marsanich è vicepresidente del museo ebraico dedicato a Fausto Levi v. "ebrei presi per il naso" in "Panorama" n.23 del 20.8.1998).
    Sempre De Marsanich è quel tale che avrebbe coniato l'infame slogan adottato subito dal Msi, Non restaurare, non rinnegare. Dico "avrebbe" perchè in realtà quello slogan glielo aveva suggerito suo nipote, Alberto Moravia, il quale sarebbe stato anche l'estensore di tutti i suoi discorsi letti nelle assemblee missiste. Questo fatto è stato denunciato pubblicamente da Curzio Malaparte nella sua rubrica sul settimanale "Tempo" n.44 del 4 novembre 1954. Naturalmente l'ebreo-massone De Marsanich non aveva aderito alla Rsi, e tuttavia................
    Concludo anche dicendo che bisognerebbe una volta per tutte anche il problema nazionalista.
    Premesso,infatti, che la difesa delle identità nazionali è l'unico mezzo per scardinare il sistema mondialista e globalizzatore, dobbiamo anche considerare che dal 1945, l'Italia è tornata ad essere una semplice espressione geografica nel mappamondo dell'imperialismo mondialista.
    Per quanto mi riguarda ho abbandonato da tempo ogni velleità tardo nazionalista.
    Personalmente mi riconosco solamente in quelli che la pensano alla mia maniera, ma anche in coloro che pur non avendo il mio specifico punto di vista, lottano comunque contro l'avversario comune.Saltano così tutti gli steccati politici,sociali, razziali e quant'altro. Se l'Italia, si fa per dire, entra in conflitto con i Bantù e quest'ultimi mi sono in qualche modo organici ideologicamente o anche solo strategicamente nella lotta al mondialismo, beh, io sono al fianco dei Bantù. E' chiaro che questa posizione, per essere coerente, impone la totale insubordinazione ai politici collaborazionisti del potere mondialista. Ne discende pertanto la totale chiusura e indisponibilità nei confronti delle ff.aa. e altri organi poliziesco-repressivi, che vanno dalla magistratura ai carabinieri. E' bene ricordare che Mussolini, e con lui i Ministri del suo governo, non si sono mai voluti arrendere agli avversari. Non esiste trattato di pace tra noi e i proconsoli collaborazionisti che ci governano per delega altrui. Tanto è vero che dopo quasi 60 anni siamo ancora fuorilegge, giuridicamente discriminati essendoci negata la nostra identità per legge e questo alla faccia della tanto sbandierata democrazia, la democrazia di quelli che la pensano come "loro signori".

    Saluti frontisti
    Sinistra Nazionale!

  7. #17
    W Charles A. Lindbergh 21.5.1927
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    Originally posted by Tomás de Torquemada
    Il numero è indispensabile come massa d'urto...

    Ma al comando deve esserci un'élite, e se così non è nascono guai grossi...

    Saluti.

    Scusa, non voglio fare il presuntuoso, ma già Sun Tzu
    ne "l'Arte della guerra" aveva già superato, 2500 anni fa, questa visione del "confronto-scontro". I "soldati" non sono solo massa d'urto ma "agenti del cambiamento" e come tali devono essere motivati. E' logico che l'èlite, o gerarchia, deve essere ben salda al potere ed al comando della "massa", ma deve saper creare un unico fronte che sia un'unica cosa, ossia un corpo solo.
    Prosit

  8. #18
    W Charles A. Lindbergh 21.5.1927
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    http://www.neripozza.it/schedelibri/arteguerra.htm
    Sun Tzu-Sun Pin
    L'arte della guerra i metodi militari
    Il confronto e la competizione tra gli stati non dovrebbero mai essere risolti con il ricorso alle armi. Ma qualora la guerra fosse inevitabile, nessuno dei contendenti dovrà combattere con il desiderio del profitto o della gloria; i generali dovranno avere la massima cura dei loro uomini e cercare di ridurre al minimo i danni dell'avversario. Non sono, queste, considerazioni di un pacifista dal cuore tenero e spaventato da un possibile olocausto nucleare, ma i precetti di due antichi pensatori cinesi, Sun Tzu e Sun Pin contemporanei di Platone (V-IV secolo a.C.), autori dei due più famosi trattati orientali di strategia intitolati Arte della guerra e Metodi militari, presentati ora per la prima volta insieme. L'eccezionalità e il pregio della duplice edizione curata da Ralph Sawyer sono dovuti anche al fatto che la nuova traduzione dal cinese, l'ampia introduzione storica e il commento ai testi sono stati realizzati per rispondere alle esigenze di chiarezza e comprensione del lettore occidentale al quale, inoltre, è spiegata la concreta applicabilità degli antichi principi strategici anche al di fuori dell'ambito militare e nella vita quotidiana. Il successo che sta arridendo in Occidente al libro di Sun Tzu - e che contribuisce al definitivo superamento del pensiero militare di von Clausewitz secondo il quale scopo ultimo della guerra è la distruzione e l'annientamento del nemico - non deve stupire se si considera che i generali più geniali e vittoriosi e i più famosi rivoluzionari e guerriglieri dell'età contemporanea (da Napoleone a Kutuzof, da Lawrence d'Arabia a Mao e a Ho Chi-minh) avevano fatto dell'Arte della guerra il loro manuale preferito sposandone i principi fondamentali: la vera arte della guerra consiste nel vincere il conflitto prima di iniziarlo; in una guerra è vincente non tanto chi è in vantaggio numerico e di mezzi ma chi, usando strategie indirette, inattese e non ortodosse, trasforma i vantaggi del nemico in svantaggi e i propri limiti in punti di forza. Del resto il libro di Sun Tzu è stato il trattato di riferimento per strateghi e politici americani da Nixon in poi, fino a coloro che si sono trovati coinvolti nei recenti conflitti dell'Iraq e del Kosovo, nonché per gli agenti del K.G.B. e della C.I.A. Ma anche le strategie degli yuppies della finanza discendono dai principi di Sun Tzu e Sun Pin proprio perché essi insegnano come gestire in maniera vittoriosa qualsiasi forma di competizione, sia personale che collettiva, in qualsiasi campo (mondo degli affari e marketing, appunto, compresi) pur partendo da una situazione anche di manifesta inferiorità. Questa nuova edizione commentata dei due classici cinesi risponde infine a quella ripresa di attenzione per il pensiero strategico che caratterizza tutte le epoche di forti cambiamenti in cui, come nell'attuale, dovendo sostituire valori e istituzioni vacillanti ci si deve affidare al fattore umano e alla capacità di menti abili per elaborare un nuovo più organico rapporto tra mezzi e fini in un contesto di competizione generalizzata.

  9. #19
    W Charles A. Lindbergh 21.5.1927
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  10. #20
    W Charles A. Lindbergh 21.5.1927
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    http://web.tiscali.it/gattidario/suntzu.htm

    Sun-tzu - "L'Arte della guerra"
    Scritto più di 2500 anni fa, L'arte della guerra di Sun-tzu è da sempre considerato un vertice della trattatistica di tattica militare. Adottato da strateghi e politici, deve la sua fortuna al superamento del pensiero militare di von Clausewitz: la vera arte della guerra consiste nel vincere il conflitto prima di iniziarlo; in una guerra è vincente non tanto chi è in vantaggio numerico e di mezzi ma chi, usando strategie indirette, inattese e non ortodosse, trasforma i vantaggi del nemico in svantaggi e i propri limiti in punti di forza. La concreta applicabilità di questi antichi principi strategici in ogni contesto in cui vige una competizione (business) hanno reso il trattato di Sun-tzu un punto di riferimento importante per moltissimi studi e scuole di management e marketing.
    Nel capitolo introduttivo "I calcoli strategici", Sun-tzu sostiene che uno stato (azienda) si basa su cinque elementi: la via, le condizioni atmosferiche, il terreno, il comandante e la tattica. Se li riferiamo al mondo del business possiamo riassumerli in questo modo: definizione degli obiettivi che si vogliono perseguire (massima performance, sicurezza, rendita, diversificazione), quantificazione delle risorse disponibili, individuazione del tempo degli investimenti (tolleranza nei confronti delle oscillazioni dei mercati e la loro diversificazione), individuazione di un professionista del settore, valutazione dei rendimenti storici dei prodotti. A questo punto i "capitani" d'industria dovranno "calcolare molto" prima d'intraprendere una battaglia perché solo "coloro che calcolano molto vinceranno; coloro che calcolano poco non vinceranno e tanto meno coloro che non calcolano affatto".
    Un altro principio di Sun-tzu riguarda la velocità d'azione. La vittoria appartiene al comandante che riceve le giuste informazioni nel più breve tempo possibile perché "la velocità è l'essenza della guerra, ciò da cui dipende ogni azione di un esercito". Nell'economia attuale un'azienda che è in grado di rispondere alle richieste dei clienti nel giro di poche ore, anziché di settimane, si trasforma da società di prodotti in società di prodotti e servizi e può accrescere il proprio volume d'affari. Gli strateghi aziendali dovrebbero quindi essere capaci di veicolare verso tutti i collaboratori l'idea che la sopravvivenza dell'azienda dipende dalla capacità di ciascuno di agire nel modo più rapido possibile coordinando sempre meglio informazioni e tempi.
    Nell'era del multimediale, l'utilizzazione delle informazioni digitali è il principale fattore di acquisizione della menzionata velocità. Utilizzando questo tipo di informazioni è infatti possibile migliorare in modo radicale la propria posizione rispetto a quella dei concorrenti in rapporto alla velocità di conoscere le tendenze di mercato e nel presentare nuove proposte. La gestione del "news management" attraverso Internet ricalca un'altra massima di Sun-tzu: "far sapere è spesso più importante di far ignorare". Non bisogna tuttavia dimenticare che "niente è duraturo, o definibile in assoluto". La voglia di attaccare a oltranza non tiene conto degli scenari in cui il comandante si trova ad agire. Bisogna ricordare che "la strategia si fonda sull'astuzia, è messa in moto dalla prospettiva di guadagno. È analitica, o sintetica, a seconda delle trasformazioni". Solo coloro che imparano a valutare ciò che è vago ampliando il territorio d'azione con ponderazione e flessibilità vincono senza dare battaglia (i più abili in assoluto). Ma triste è "il destino di uno che cerca di vincere le battaglie e di avere successo negli attacchi senza coltivare lo spirito di iniziativa, poiché il risultato sarà una perdita di tempo e una generale impotenza".

 

 
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