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    BENEDETTO XVI

    DISCORSO AI PARTECIPANTI AL PELLEGRINAGGIO ALLA TOMBA DI S. PIETRO PROMOSSO DALLA COMPAGNIA DI GESÙ (GESUITI)


    Basilica di S. Pietro, 22.4.2006

    Cari Padri e Fratelli della Compagnia di Gesù,

    è con grande gioia che vi incontro in questa storica Basilica di San Pietro, dopo la Santa Messa celebrata per voi dal Card. Angelo Sodano, mio Segretario di Stato, in occasione di varie ricorrenze giubilari della Famiglia Ignaziana. A tutti rivolgo il mio cordiale saluto. Saluto in primo luogo il Preposito Generale, P. Peter-Hans Kolvenbach, e lo ringrazio per le cortesi parole con cui mi ha manifestato i vostri comuni sentimenti. Saluto i Signori Cardinali con i Vescovi ed i sacerdoti e quanti hanno voluto partecipare all’odierna manifestazione. Insieme ai Padri e ai Fratelli, saluto anche gli amici della Compagnia di Gesù qui presenti, e tra loro i molti religiosi e religiose, i membri delle Comunità di Vita Cristiana e dell’Apostolato della Preghiera, gli alunni ed ex-alunni con le loro famiglie di Roma, d'Italia e di Stonyhurst in Inghilterra, i docenti e gli studenti delle istituzioni accademiche, i numerosi collaboratori e collaboratrici. L’odierna vostra visita mi offre l’opportunità di ringraziare insieme a voi il Signore per aver concesso alla vostra Compagnia il dono di uomini di straordinaria santità e di eccezionale zelo apostolico quali sono sant'Ignazio di Loyola, san Francesco Saverio e il beato Pietro Favre. Essi sono per voi i Padri e i Fondatori: è giusto, perciò, che in quest'anno centenario li ricordiate con gratitudine e guardiate a loro come a guide illuminate e sicure del vostro cammino spirituale e della vostra attività apostolica.

    Sant'Ignazio di Loyola fu anzitutto un uomo di Dio, che pose al primo posto nella sua vita Dio, la sua maggior gloria e il suo maggior servizio; fu un uomo di profonda preghiera, che aveva il suo centro e il suo culmine nella Celebrazione eucaristica quotidiana. In tal modo egli ha lasciato ai suoi seguaci un’eredità spirituale preziosa che non deve essere smarrita o dimenticata. Proprio perché uomo di Dio, sant’Ignazio fu fedele servitore della Chiesa, nella quale vide e venerò la sposa del Signore e la madre dei cristiani. E dal desiderio di servire la Chiesa nella maniera più utile ed efficace è nato il voto di speciale obbedienza al Papa, da lui stesso qualificato come "il nostro principio e principale fondamento" (Costituzioni della Compagnia di Gesù, p. I,162). Questo carattere ecclesiale, così specifico della Compagnia di Gesù, continui ad essere presente nelle vostre persone e nella vostra attività apostolica, cari Gesuiti, affinché possiate venire incontro fedelmente alle urgenti attuali necessità della Chiesa. Tra queste mi pare importante segnalare l’impegno culturale nei campi della teologia e della filosofia, tradizionali ambiti di presenza apostolica della Compagnia di Gesù, come pure il dialogo con la cultura moderna, che se da una parte vanta meravigliosi progressi in campo scientifico, resta fortemente segnata dallo scientismo positivista e materialista. Certamente, lo sforzo di promuovere in cordiale collaborazione con le altre realtà ecclesiali, una cultura ispirata ai valori del Vangelo, richiede una intensa preparazione spirituale e culturale. Proprio per questo, sant’Ignazio volle che i giovani gesuiti fossero formati per lunghi anni nella vita spirituale e negli studi. E’ bene che questa tradizione sia mantenuta e rafforzata, data pure la crescente complessità e vastità della cultura moderna. Un’altra grande preoccupazione per lui fu l'educazione cristiana e la formazione culturale dei giovani: di qui l’impulso che egli diede all’istituzione dei «collegi», i quali, dopo la sua morte, si diffusero in Europa e nel mondo. Continuate, cari Gesuiti, questo importante apostolato mantenendo inalterato lo spirito del vostro Fondatore.

    Parlando di sant’Ignazio non posso tralasciare il ricordo di san Francesco Saverio, di cui lo scorso 7 aprile si è celebrato il quinto centenario della nascita: non solo la loro storia si è intrecciata per lunghi anni da Parigi e Roma, ma un unico desiderio - si potrebbe dire, un’unica passione - li mosse e sostenne nelle loro pur differenti vicende umane: la passione di dare a Dio-Trinità una gloria sempre più grande e di lavorare per l'annunzio del Vangelo di Cristo ai popoli che lo ignoravano. San Francesco Saverio, che il mio predecessore Pio XI di venerata memoria ha proclamato "patrono delle Missioni cattoliche", avvertì come sua missione quella di "aprire vie nuove" al Vangelo "nell'immenso continente asiatico". Il suo apostolato in Oriente durò appena dieci anni, ma la sua fecondità si è rivelata mirabile nei quattro secoli e mezzo di vita della Compagnia di Gesù, poiché il suo esempio ha suscitato tra i giovani gesuiti moltissime vocazioni missionarie, e tuttora egli resta un richiamo perché si continui l’azione missionaria nei grandi Paesi del continente asiatico.

    Se san Francesco Saverio lavorò nei Paesi d’Oriente, il suo confratello e amico fin dagli anni parigini, il beato Pietro Favre, savoiardo, nato il 13 aprile 1506, operò nei Paesi europei, dove i fedeli cristiani aspiravano ad una vera riforma della Chiesa. Uomo modesto, sensibile, di profonda vita interiore e dotato del dono di stringere rapporti di amicizia con persone di ogni genere, attirando in tal modo molti giovani alla Compagnia, il beato Favre trascorse la sua breve esistenza in diversi Paesi europei, specialmente in Germania, dove per ordine di Paolo III prese parte, nelle diete di Worms, di Ratisbona e di Spira, ai colloqui con i capi della Riforma. Ebbe così modo di praticare in maniera eccezionale il voto di speciale obbedienza al Papa "circa le missioni", divenendo per tutti i gesuiti del futuro un modello da seguire.

    Cari Padri e Fratelli della Compagnia, quest’oggi voi guardate con particolare devozione alla Beata Vergine Maria, ricordando che il 22 aprile del 1541 Ignazio e i suoi primi compagni emisero i voti solenni dinanzi all’immagine di Maria nella Basilica di San Paolo fuori le Mura. Continui Maria a vegliare sulla Compagnia di Gesù perché ogni suo membro porti nella sua persona l’«immagine» di Cristo Crocifisso per aver parte alla sua resurrezione. Assicuro per questo un ricordo nella preghiera, mentre a ciascuno di voi qui presente ed all’intera vostra famiglia spirituale imparto volentieri la mia benedizione, che estendo anche a tutte le altre persone religiose e consacrate che sono intervenute a questa Udienza.

  2. #12
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    CARD. ANGELO SODANO

    OMELIA DURANTE LA CELEBRAZIONE EUCARISTICA PER IL PELLEGRINAGGIO ALLA TOMBA DI S. PIETRO PROMOSSO DALLA COMPAGNIA DI GESÙ (GESUITI)


    Basilica di S. Pietro, 22.4.2006

    Venerati Confratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato,

    Cari Membri della Compagnia di Gesù,

    Fratelli e sorelle nel Signore!

    "Alleluia, alleluia" è l’esclamazione gioiosa che sgorga dal nostro cuore in questo periodo pasquale, mentre contempliamo la potenza del Risorto, che ribalta la pesante pietra del sepolcro ed appare ai suoi discepoli in tutto lo splendore della sua gloria.

    "Alleluia, alleluia" ripetiamo anche noi oggi, volgendo lo sguardo su ciò che il Signore, per mezzo del suo Santo Spirito, ha operato nella Chiesa nel corso della sua storia, suscitando in essa sempre nuove forme di santità.

    Il nostro sguardo si sofferma oggi, in modo particolare, su tre grandi figure di Religiosi, che hanno gettato le basi della Compagnia di Gesù: Ignazio di Loyola, Francesco Saverio e Pietro Favre.

    1. Nel clima pasquale

    E’ una storia gloriosa quella che oggi ci spinge a cantare in coro il nostro alleluia, nella gioiosa atmosfera della Pasqua.

    Un insigne storico della liturgia, il compianto Padre Joseph Jungmann della Compagnia Gesù, nel suo noto trattato "Missarum Solemnia", ben ci ha spiegato il valore della breve esclamazione biblica dell’Alleluia che pervade tutta la Chiesa in questo tempo di gaudio pasquale. Egli anzi ci ricordava che prima della riforma liturgica di San Pio X l’Alleluia si ripeteva addirittura nove volte nella Domenica in Albis, per esprimere tutta la gioia dei cristiani di fronte ai doni del Signore (Ibidem, Verlag Herder, Wien 1949, n. 434).

    Con tale atteggiamento interiore anche noi oggi vogliamo cantare un inno di lode all’Onnipotente, ripetendo le parole del Salmo responsoriale: "Haec dies quam fecit Dominus, exultemus et laetemur in ea - Questo è il giorno fatto dal Signore, rallegriamoci ed esultiamo in esso" (Sal. 117).

    2. L’odierna celebrazione

    Con questo spirito siamo qui convenuti, intorno all’altare del Signore, per rinnovare il Sacrificio eucaristico, offrendoci con Cristo al Padre in atteggiamento di adorazione, di ringraziamento, di espiazione e di supplica. Sono le quattro note finalità di ogni Celebrazione eucaristica, secondo la dottrina della Chiesa.

    Al riguardo ricordo ancora con nostalgia le profonde lezioni che ci teneva nella Pontificia Università Gregoriana il compianto Padre Giuseppe Filograssi, S.I., che, come maestro insigne e vero uomo di Dio, ci introduceva a conoscere sempre meglio i vari aspetti del "mysterium fidei".

    3. Di fronte alla Maestà Divina

    Anche oggi il primo motivo che ha riunito la Famiglia ignaziana intorno all’altare del Signore è quello dell’adorazione verso il Padre, nostro Creatore e Signore. Egli, con il suo Santo Spirito, ha suscitato nel cuore dell’Europa, cinque secoli fa, i tre grandi giganti di santità, che noi oggi vogliamo ricordare. Questi volevano "Deo militare - militare al servizio di Dio", come diceva il Papa Paolo III nella Bolla "Regimini militantis Ecclesiae" del 27 settembre 1540. Essi volevano costituire una Compagnia "per il maggior servizio, lode e gloria del Nome di Dio" (Costituzioni, n. 693), confidando che "la divina e somma Maestà volesse servirsi della Compagnia per la diffusione" del suo Regno (Costituzioni, n. 190).

    In realtà, anche nelle fatiche della vita apostolica, S. Ignazio voleva che Dio fosse servito per primo. Con lo stesso spirito S. Francesco Saverio si dedicava alle sue imprese missionarie ed il Beato Pietro Favre svolgeva la sua silenziosa opera di accompagnamento di tante anime in cerca di Dio.

    Tutto doveva essere "ad majorem Dei gloriam - a maggior gloria di Dio", come recita il motto che i nostri Santi ci hanno lasciato. Ed è con questo spirito che noi oggi vogliamo celebrare il nostro Sacrificio eucaristico.

    4. Il dovere del ringraziamento

    In secondo luogo noi oggi vogliamo ringraziare con Cristo il Padre che sta nei cieli per tutti i benefici che ha concesso alla Chiesa suscitando in essa i Santi che noi oggi ricordiamo. Noi oggi contempliamo Ignazio, Saverio e Pietro come uomini intimamente uniti fra di loro, ma sappiamo bene, dalle loro stesse testimonianze, che essi erano ben uniti fra loro perché intimamente uniti a Cristo. Insieme volevano appunto essere la Compagnia di Gesù, vivendo con il suo stesso stile di vita e lavorando con la stessa finalità per l’avvento del suo Regno. Certo Ignazio fu all’inizio di tale cordata, ma ben presto, a Parigi, mentre egli studiava alla Sorbona, si associò a lui Francesco Saverio, che veniva dalla terra di Navarra, e Pietro Fabbro, che proveniva dalla Savoia. Nacque così quell’emulazione reciproca, che li portò a dare vita alla Compagnia negli anni 1539-1540, appunto con il fine di "ayudar a las animas", aiutare le anime ad amare e servire il Signore.

    Noi oggi vogliamo ringraziare il Padre celeste per averci dato tali maestri di santità, che ci indicano il cammino dell’amore a Cristo e del conseguente impegno apostolico, per portare le anime a Dio.

    5. La domanda di perdono

    Memori poi che ogni Sacrificio eucaristico ha anche un fine propiziatorio, noi oggi vogliamo domandare perdono per le nostre infedeltà. In realtà,sappiamo bene che ogni impresa umana è fatta da figli di Adamo, che sono inclini al peccato, e che ogni giorno devono, pertanto, ripetere la preghiera insegnataci da Gesù, dicendo: "Pater noster …, libera nos a malo – Padre nostro…, liberaci dal male".

    Il male esiste nella storia dei singoli uomini, come in quella delle comunità. Già nel Collegio Apostolico vi fu Giuda che tradì il Signore, come Pietro che lo rinnegò. Anche per noi oggi il gallo ritorna sovente a cantare, invitandoci a piangere le nostre infedeltà e a domandare perdono al Signore.

    6. La preghiera per il futuro

    Infine, oggi vogliamo pure implorare dal Padre che sta nei cielo grazie abbondanti su tutta la Compagnia di Gesù, per la santificazione dei suoi membri e per la fecondità del loro ministero.

    L’attuale commemorazione segnerà così un’ora di grazia per la Famiglia ignaziana e la spingerà ad un nuovo ardore apostolico, per annunziare Cristo agli uomini d’oggi.

    Nel Vangelo odierno abbiamo nuovamente ascoltato il mandato missionario universale: "Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura" (Mc 16,15).

    In questa Santa Messa imploreremo per tutti noi la luce e la forza per adempiere tale missione. Come ai tempi di Gesù, anche oggi vi sono "messi che biondeggiano" (Gv 4,35) e che attendono solo l’arrivo dei mietitori.

    La nostra preghiera si elevi pertanto a Dio per la Compagnia di Gesù, perché possa continuare a svolgere con generosità la sua missione di annunciare al mondo d’oggi il Vangelo di Cristo, riprendendo lo slancio delle origini e l’ardore apostolico di Ignazio, Francesco Saverio e Pietro Favre.

    7. Conclusione

    Fratelli e sorelle nel Signore, con queste finalità celebreremo oggi il Sacrificio eucaristico. Grazie abbondanti scenderanno così sulla Chiesa, all’inizio di questo terzo millennio cristiano. Dal cielo interceda per noi Maria Santissima, che in questo giorno è particolarmente invocata come Madre della Compagnia di Gesù. Essa ci ottenga dal suo Divin Figlio la grazia di continuare con nuovo impegno nel santo servizio del Signore. Amen.

  3. #13
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    S. Ignazio a Manresa

    Visione a La Storta

    Juan Martínez Montañés, S. Ignazio, 1610 circa, Chiesa dell'Annunciazione, Siviglia

  4. #14
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    Cosa ne dice la Chiesa Cattolica (sugli Esercizi ignaziani)

    «Avendo [...] il diletto figlio, nobil uomo Francesco Borgia duca di Gandia, recentemente a noi fatto esporre che il diletto figlio Ignazio di Loyola [...] aveva compilati certi insegnamenti o Esercizi spirituali tratti dalle Sacre Scritture e dalle esperienze della vita spirituale e redatti in ordine adattissimo a muovere piamente gli animi dei fedeli [...] noi, che abbiamo fatto esaminare gli insegnamenti e tali Esercizi [...] li abbiamo riconosciuti pieni di pietà e di santità e che sono e saranno molto utili e salutari per l’edificazione e spirituale profitto dei fedeli [...] e tutte e singole le cose in essi contenute, con nostra certa scienza approviamo, lodiamo e, col patrocinio del presente scritto, comunichiamo. Molto esortiamo tutti i singoli i fedeli di Cristo d’ambo i sessi dovunque stabiliti che vogliano usare gli insegnamenti ed Esercizi tanto pii ed essere in quelli devotamente istruiti... Dato a Roma, presso san Marco, sotto l’anello del Pescatore, l’ultimo giorno di luglio 1548, anno quattordicesimo del nostro pontificato».
    Paolo III, lettera apostolica «Pastoralis officii» per l’approvazione e raccomandazione degli Esercizi spirituali di sant’Ignazio

    "Abbiamo sempre tenuto in grande considerazione l'abitudine agli Esercizi Spirituali (...) e non potreste certamente fare un'opera migliore per soccorrere il popolo, oggi esposto a così grandi pericoli.
    "(...) Il metodo di sant'Ignazio è particolarmente adatto a prevenire le menti e i cuori dalle insidie nascoste del Modernismo (...) e a non lasciarsi ingannare dalle menzogne dei socialisti".
    (San Pio X, Exercitiorum Spiritualium, 8 dicembre 1904)

    [Sant'Ignazio] "... ritiratosi nella grotta di Manresa, ammaestrato dalla stessa Madre di Dio nell'arte di combattere le battaglie del Signore, ricevette come dalle mani di Lei quel perfetto codice (...) di cui deve fare uso ogni buon soldato di Gesù Cristo".
    (Pio XI, Meditandibus nobis, 3-12-1922)

    "Non è certamente vero che questo metodo abbia perso efficacità o non corrisponda più alle esigenze dell'uomo moderno. Anzi, è una triste realtà che il liquore perde vigore quando viene diluito nelle acque incolori della super-adattazione e la macchina perde potenza quando vengono smontati alcuni pezzi fondamentali dell'ingranaggio ignaziano".
    (Pio XII, Esortazione ai pellegrini dell'Opera degli Esercizi spirituali Parrocchiali di Spagna, 24-10-1948)

    "Quanto all'ascetica del libro degli Esercizi, potremmo pensare che sant'Ignazio l'abbia scritto specialmente per la nostra epoca"
    (Pio XII, Discorso al Collegio germanico, 10-10-1952)

    "Il cristiano nel forte dinamismo degli Esercizi è aiutato ad entrare nell'ambito dei pensieri di Dio, dei suoi disegni, per affidarsi a Lui, Verità ed Amore (...) La scuola degli Esercizi Spirituali sia sempre un efficace rimedio al male dell'uomo moderno, trascinato dal vortice delle vicende umane a vivere fuori di se', troppo preso dalle cose esteriori: sia fucina di uomini nuovi, di autentici cristiani, di apostoli impegnati. E' il voto che affido all'intercessione della Madonna: la contemplativa per eccellenza, la maestra sapiente degli Esercizi spirituali"
    (Giovanni Paolo II, Osservatore romano 17-18 dicembre 1979).

    «Ignazio vi parla sempre di quel “magis”, di quel “di più” e di quel “seguimi”, a cui Cristo vi chiama, fissandovi con amore negli occhi ed interpellando la vostra libertà, come fece con il giovane di cui narra il Vangelo: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che hai, dallo ai poveri…, poi vieni e seguimi” (Mt 19,21-22).
    […] Come ai tempi di Ignazio, di Stanislao, di Luigi, di Giovanni, così anche adesso non mancano le grandi imprese da compiere per il Regno. Sono grandi, sono difficili, ma sono belle e appassionanti. Sono le sfide del terzo Millennio, sono le vostre sfide, sono le sfide che il Signore della storia pone davanti alla vostra generazione.
    Pertanto, non abbiate paura di essere santi! Abbiate il coraggio di cercare e trovare la verità al di là del relativismo e dell’indifferenza di chi tende a costruire il nostro mondo come se Dio non esistesse»
    (Giovanni Paolo II, Ai giovani partecipanti ad un convegno ignaziano, 12 settembre 1991)

    FONTE

  5. #15
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    Cosa si fa

    Dalle "ANNOTAZIONI" di Sant'Ignazio:
    "20. La ventesima: a chi è più libero da impegni e desidera ottenere il maggior frutto spirituale possibile vanno dati tutti gli esercizi conservando esattamente l'ordine con cui procedono (ed è anche utile scrivere le cose principali per non dimenticarle).
    In essi, di solito, tanto più progredirà nella vita spirituale, quanto più si allontanerà dagli amici e da tutti i conoscenti, e da ogni affanno per le cose terrene, trasferendosi, per esempio, dalla sua abitazione ordinaria in un'altra casa o camera più isolata, in modo da poter andare con libertà e tranquillità ogni giorno alla Messa del mattino e all'ufficio dei vespri senza che i suoi familiari lo disturbino.
    Da questo isolamento derivano, tra i molti altri, tre vantaggi principali: il primo è che, allontanandosi uno da amici e conoscenti, come pure dagli affari non proprio rettamente ordinati al servizio di Dio, merita non poco presso Dio; il secondo che, stando così isolato e avendo la mente non più così dispersa in molte cose come prima, ma raccolta e occupata in una sola, cioè ad obbedire al proprio Creatore e ad occuparsi della salvezza della propria anima, usa delle sue facoltà naturali con molta più libertà e scioltezza nella ricerca di quello che tanto desidera; il terzo è che quanto più l'anima si trova isolata e in solitudine, tanto più diventa capace di cercare e trovare il suo Creatore e Signore; e quanto più si avvicina a lui, tanto più si dispone a ricevere i doni dalla divina bontà.

    Osservazioni importanti
    1. Il silenzio e il raccoglimento interiore sono indispensabili.
    2. Per questo non si deve parlare, né formare gruppi, né passeggiare in gruppo (anche senza parlare).
    3. Non si deve entrare nelle camere degli altri ed anche nei locali di servizio (cucina, ecc.).
    4. Non si deve uscire senza necessità dalla propria camera nei tempi riservati all’orazione mentale.
    5. Il tempo libero è parte integrante degli Esercizi. Se non si ha niente in particolare da fare, si può leggere, prendere appunti, consultare un Padre Direttore, fare una visita a Gesù nel SS. Sacramento, ricorrere alla Santa Vergine rivolgendole qualche preghiera.
    6. L’esercitante deve essere puntuale in ogni esercizio e non deve ometterne alcuno senza avvertire un padre Direttore.
    7. Non si può fumare in sala da pranzo durante i pasti.
    8. Si prega di domandare ciò di cui si ha bisogno all'incaricato.
    9. Se qualcuno è indisposto, avvertire subito un padre Direttore.
    10. Non temere di chiedere ai padri Direttori ulteriori spiegazioni su ciò che non si è udito bene, o non si è chiaramente compreso.

    Dalle "ANNOTAZIONI" di Sant'Ignazio:
    [ATTENZIONE CI ACCOSTIAMO AL MISTERO DI DIO!]
    "3. La terza: siccome in tutti gli Esercizi spirituali seguenti usiamo degli atti dell'intelletto quando ragioniamo e di quelli della volontà quando muoviamo i sentimenti, avvertiamo che negli atti che sono principalmente della volontà, quando cioè parliamo vocalmente o mentalmente con Dio nostro Signore o con i suoi santi, si richiede da parte nostra maggiore rispetto di quando usiamo piuttosto dell'intelletto per riflettere".

    Non scoraggiarti se, soprattutto i primi giorni, la meditazione sembrerà arida. Il buon Dio vede gli sforzi che fai. Continua. Ma durante il tempo libero, va da un Padre. Ti aiuterà.

    Orario per gli Esercizi di sei giorni

    Ore 6,30 - Sveglia
    Ore 7,00 - Preghiere del mattino, orazione mentale.
    Ore 7,30 - Santa Messa
    Ore 8,05 - Colazione. Esame dell’orazione (può essere utile prendere appunti). Tempo libero
    Ore 9,30 - Sala conferenze: punti dell’orazione mentale. In camera: orazione mentale.
    Ore 10,30 - Esame dell’orazione (può essere utile prendere appunti).
    Ore 10,35 - Tempo libero.
    Ore 11,30 - Istruzione. Esame generale e particolare.
    Ore 12,30 - Pranzo. Riposo. Evitare ogni rumore.

    Pomeriggio

    Ore 14,30 - In cappella: visita a Gesù nel tabernacolo. Tempo libero.
    Ore 15,00 - Sala delle conferenze: punti dell’orazione mentale. In camera: orazione mentale.
    Ore 16,00 - Esame dell’orazione mentale (può essere utile prendere appunti).
    Ore 16,05 - Tempo libero.
    Ore 16,45 - In cappella o all’aperto: Via Crucis. Tempo libero.
    Ore 17,45 - Sala delle conferenze: punti dell’orazione mentale. In camera: orazione mentale.
    Ore 19,10 - Rosario.
    Ore 19,30 - Cena.
    Ore 21,00 - In cappella: punti dell’orazione mentale di domani mattina.
    Esame generale e particolare. Preghiere della sera.
    Riposo.

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  6. #16
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    Cosa hanno di diverso questi Esercizi?

    SANT'IGNAZIO DI LOYOLA (o Iñigo López de Loyola, Azpeitia 1491 - Roma 1556), nel 1521, costretto al letto per una ferita riportata nella difesa di Pamplona, leggendo le vita dei santi, fu acceso dal desiderio di seguire le orme di Cristo. Ritiratosi a Manresa, visse un'intensa esperienza spirituale alla scuola della Vergine Santa, che condensò nel libro degli Esercizi Spirituali. Divenuto preposito generale della Compagnia di Gesù, attese per il resto della vita all'organizzazione della Compagnia, stilandone le Costituzioni, inviando nelle Indie i primi missionari, avviando l'attività dei collegi e dando definitiva sistemazione ai suoi Esercizi spirituali, la cui pratica costituisce il fondamento della spiritualità gesuitica.

    Il Ven. Padre PIO BRUNONE LANTERI (1759-1830), formatosi alla scuola del padre gesuita Nicolaus Von Diessbach e allo spirito degli Esercizi Spirituali di Sant'Ignazio, operò contro Napoleone soprattutto proponendo la verità evangelica con una serie di iniziative intelligenti, miranti anche combattere la modernità. Fondò una Congregazione per dare gli Esercizi Spirituali, secondo il metodo di S. Ignazio, a tutte le categorie di persone, sia sotto forma di Missioni popolari, sia come Esercizi dettati in un clima di silenzio e solitudine, sia a gruppi, sia a singole persone, per aiutarli a cercare e trovare la volontà di Dio, per la scelta dello stato di vita, oppure per mettere ordine e meglio orientare la propria condizione di coniugato, sacerdote, religioso, professionista.

    Dopo la soppressione e il ristabilimento della Compagnia di Gesù, il Padre Generale JOHANNES PHILIPPE ROOTHAN (1783-1853), visse il tempo della nuova fondazione nella percezione che tutto il corpo della Compagnia di Gesù deve riallacciarsi autenticamente al carisma di sant'Ignazio e che per questo è di importanza capitale riprendere in mano e riscoprire la fonte primaria dello spirito ignaziano. Nel 1835, come segno concreto di tale urgenza, lo stesso padre generale pubblica una nuova traduzione latina degli Esercizi. Egli rivedrà più volte il testo, fino alla definitiva pubblicazione del 1852.

    Un religioso di questo secolo, FRANCESCO DA PAOLA VALLET (1883/1947), fu un grandissimo predicatore di Esercizi, che dettò a decina di migliaia di persone. Riuscì genialmente a condensare l'essenziale degli esercizi in cinque giorni. Grazie a lui, sono diventati accessibili a tutti. Indispensabili sono il silenzio e un luogo adatto alla contemplazione per restare in preghiera con il Signore. Gli ES sono fondamentalmente una scuola di preghiera: si sono contati più di dieci metodi di preghiera all'interno degli ES. Ma per pregare occorre silenzio e ascolto della Parola di Dio. Inoltre non bisogna "tradire" Ignazio togliendo parti essenziali del metodo. Anche nei cinque giorni ci sono dei capisaldi come gli esercizi di purificazione della prima settimana che sfociano nel Sacramento della Confessione, l'esercizio della "Considerazione della regalità di Cristo e la sua chiamata" all'inizio della seconda settimana, "i due stendardi" e l' "elezione" entrambe sempre nella seconda settimana e il mistero centrale della nostra fede cioé Passione e Resurrezione. Eliminare queste meditazioni significa non aver compreso lo spirito di Ignazio. Certo si possono usare esempi e parole più comprensibili per l'uomo moderno ma senza cambiare la sostanza del metodo. E' fondamentale comunque lasciare la struttura delle quattro settimane.

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  7. #17
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    Testimonianze di chi ha fatto questo tipo di Esercizi

    Testimonianza della Compagnia di Gesù.


    Essa è nata nel 1539, quando un gruppo di "maestri in arti", che avevano conseguito il baccellierato in filosofia e in teologia alla Sorbona di Parigi, fa gli Esercizi Spirituali sotto la guida di Ignazio di Loyola e decide di costituire un Ordine religioso.
    Gli Esercizi sono proprio l'origine della conversione del Fondatore e dell'Istituto religioso più grande della storia cattolica.

    Santa Gianna Beretta Molla (1922-1962), sposa, medico pediatra e mamma eroica. (v. QUI)

    Dal 16 al 18 marzo 1938, Gianna partecipa ad un ritiro spirituale secondo gli Esercizi di sant'Ignazio. Le numerose grazie che vi riceve lasceranno in lei un'impronta per tutta la vita: «Ascoltava gli altri e parlava poco, rispondeva con precisione come se ascoltasse una voce interiore... D'estate, portava le compagne nella casa per ritiri spirituali». Essa medesima spiega: «Il solo fatto di parlar bene non trascina, ma dare l'esempio, sì. Rendere la verità visibile nella propria persona; rendere la verità gradevole offrendo se stessi come esempio attraente, e, se possibile, eroico... Non abbiate paura di difendere Dio, la Chiesa, il Papa. Contro tutta questa campagna antireligiosa ed immorale, non si può rimanere indifferenti... Bisogna agire, immettersi in tutti i campi d'azione, sociale, familiare e politico. E darsi da fare, perché tutte le forze del male, oscure e minacciose, sono riunite».

    Servo di Dio Giuseppe Fanin (1924-1948), fidanzato, sindacalista, martirizzato dai socialisti (v. QUI)

    Il proposito espresso al termine degli Esercizi spirituali che svolse a Villa S. Giuseppe, a Bologna, nell'aprile 1947, gli ultimi della sua vita, fu quello di cercare la perfezione come giovane, che simultaneamente si consacra all'ideale della santità cristiana secondo S. Ignazio e si consacra pure a tutte le forme di attività apostolica del laicato per la salvezza della società. Poiché l'azione di Fanin si svolse in particolare per promuovere la giustizia sociale fra i lavoratori della terra.
    L'ultima sera, in sede, c'era troppa gente; tanta che Giuseppe Fanin con la fidanzata indugiano un po'; poi pensano di tornare a casa. Anche quella sera la passeranno assieme. Giuseppe era giunto all'appuntamento con un bel mazzo di fiori, ma quella sera aveva pensato di ritirarsi un po' per tempo. Sono le 21,45. Eccolo pedalare veloce per Corso Italia, per inoltrarsi verso casa, sulla strada di campagna, solo nella nebbia e nel buio. Era l’ora del Rosario che Giuseppe recitava ogni sera durante quel tragitto: un'ombra appare ferma sulla strada; Giuseppe esita e s'arresta; «Non ho mai fatto del male a nessuno; chi potrà farmi del male?!». Ora sono due, tre ombre che gli si serrano addosso bieche e nere come il tradimento.Mezz'ora dopo un corpo rantolante veniva trovato da un passante su un mucchio di ghiaia. «È un ubriaco» pensò alzando un lembo del gabardine. Sotto c'era un cranio fracassato. Attorno, nella nebbia fredda si intravedevano poche case. Ma nessuno aveva visto nulla, nessuno sapeva nulla. Eppure Giuseppe aveva lottato nella notte prima di soccombere. Quando i Carabinieri lo raccolsero, era a 30 metri dalla bicicletta; le mani deformate dal gonfiore e dai lividi dicevano ì suoi tentativi di difendere la testa. La lotta era stata impari: i cinque solchi nella nuca testimoniavano la ferocia con cui era stata menata la verga di ferro. Anche quando si era abbattuto sulla ghiaia i socialisti avevano continuato a battere fino a spezzare le ossa; all’Ospedale si riscontrarono altre ferite fonde di punteruolo nei fianchi: le belve, non contente di uccidere, avevano voluto torturare.

    Beato Ivan Merz (1896-1928), single, ariete del movimento cattolico croato (v. QUI)

    Ivan ha sempre tenuto in gran considerazione gli esercizi spirituali, facendoli regolarmente una volta l'anno, raccomandandoli agli altri e organizzandoli per i suoi giovani. Durante gli esercizi Ivan appuntava le sue riflessioni sulle meditazioni e faceva i suoi buoni propositi. A questo mirano, infatti, gli esercizi spirituali dettati da Sant'Ignazio di Loyola, che poi la Chiesa ha fatto suoi: spronare l'anima sulla via della perfezione dopo averla aiutata nella ricerca della sua vocazione. Ed è stato per l'appunto durante un corso d'esercizi, nel novembre del 1923, che Ivan scelse la via più difficile dell'apostolato laicale, la "via dei re" di consacrazione della propria esistenza nel mondo per lavorare con tutte le proprie forze per il Regno di Cristo.

    Beato José Anacleto González Flores (1888-1927), Sposo e avvocato, martire cristero del Messico. (v. QUI e QUI)

    Nel 1905 fece un corso Esercizi di Sant'Ignazio di Loyola, dettati da missionari giunti da Guadalajara, che cambiò la direzione della sua vita. Promosse con successo il boicottaggio proclamato dai cattolici contro i mezzi di comunicazione e le imprese massoniche. Il suo esempio e le sue parole lo fecero diventare una figura simbolica riconosciuta e rispettata dai Cristeros. per questo fu arrestato il 1° aprile 1927, primo venerdì del mese. Anacleto subito fu torturato brutalmente: fu sospeso in aria legato ai polsi, mentre con i coltelli ferivano i suoi piedi nudi. Davanti la sua eroica resistenza cominciarono ad accanirsi sul resto del corpo e fu sottomesso secondo i suoi biografi ad altre torture innumerevoli e inenarrabili. Trovò la forza per opporsi alla tortura dei suoi compagni e ad animarli davanti alle crudeltà cui erano sottoposti. Un processo molto sommario condannò tutti alla pena di morte. Nel sentire la sentenza Anacleto rispose: "Una sola cosa dirò ed è che con totale disinteresse ho lavorato per difendere la causa di Gesù Cristo e della Sua Chiesa. Voi mi ucciderete, ma sappiate che con me non morirà la causa. Molti stanno dietro a me disposti a difenderla fino al martirio. Me ne vado, ma con la certezza che vedrò presto dal cielo il trionfo della religione della mia Patria". Poi Anacleto cominciò a recitare l'atto di contrizione seguito dai suoi compagni. Al termine della preghiera questi ultimi furono uccisi da una scarica di fucilate. Anacleto, nonostante i dolori, si diresse al generale che presenziava alla tortura dicendogli: "Generale ti perdono di cuore; molto presto ci vedremo di fronte al tribunale divino e lo stesso giudice che mi giudicherà, sarà anche il tuo, ed allora avrai in me un intercessore davanti a Dio". Poichè i soldati non si decidevano a sparargli, il generale ordinò ad un capitano di ucciderlo con una baionetta. Secondo le testimonianze di numerosi soldati pentiti, Anacleto gridò prima di morire: "Per la seconda volta ascolti l'America questo grido: Io muoio, ma Dio non muore! Viva Cristo Re!".

    Beato Carlo d'Austria (1887-1922), Padre di famiglia e di popoli (v. QUI)

    Carlo non è un fariseo o un bacchettono: ha sette bambini, una sposa... è spontneamente austero e serio, nel senso che è uno che prende sul serio la vita.... Forse la frequentazione dei gesuiti e gli Esercizi Spirituali, che ha fatto in gioventù, saranno serviti a fargli aplicare quel decisivo criterio del "tanto... quanto...", nei confronti delle cose terrene. Avviandosi all'esilio ove morirà, passa per la Svizzera, dove i framassoni fanno tre tentativi per avvicinarsi a lui, offrendogli la corona de' suoi padri in cambio di un accordo con loro. Ma Carlo li respinge con le parole: "Quanto a questo, io, come principe cattolico, non ho una parola da dire". E parlò così pur sapendo bene ciò che poi gli sarebbe successo... Lo dice a coloro che lo circondavano: "Ora ogni mia cosa avrà cattiva riuscita". Ma soggiunge: "Tuttavia non sarà mai ch'io accetti dal diavolo ciò che mi ha dato Iddio".

    Servo di Dio Garcia Moreno (1821-1875), sposo, avvocato, ingegnere, capo di Stato e martello contro la massoneria. (v. QUI)

    Nel 1873, i Redentoristi predicavano i Santi Esercizi nella capitale ad un immenso uditorio composto di tutte le classi. Il presidente alla testa del suo popolo assisteva a tutte le prediche. Dopo di aver ricondotto a Dio parecchie migliaia di uomini, la Missione ebbe termine coll'impianto della Croce, cerimonia che diede occasione ad una scena degna degli antichi tempi... Per appartenere in modo tutto particolare a Colei che chiamava la sua buona Madre celeste, risolvette, di entrare nella congregazione che i Padri Gesuiti avevano istituito nella capitale. All'osservazione che il suo posto sarebbe stato piuttosto tra la gente importante, rispose: “Vi ingannate, il mio posto è proprio in mezzo al popolo”. Da quel punto assistette regolarmente alle adunanze, alle comunioni generali ed agli altri esercizi della congregazione, felice ad un tempo e fiero di portare la medaglia di Maria in mezzo ai suoi cari operai, fieri essi pure di avere in mezzo a loro il presidente della Repubblica... Il presidente manifestò ai Vescovi riuniti il proposito che egli aveva formato di consacrare l'Equatore al Sacro Cuore di Gesù; e tale consacrazione offerse lo spettacolo unico al mondo di una nazione che, sfuggita alle unghie di Satana, si getta nel Cuore del suo Dio per amarlo, glorificarlo e servirlo. Era troppo, evidentemente; il capo di Stato che aveva tanto ardire da risollevare il vessillo di Cristo e calpestare quello di Satana, fu condannato a morte dal gran consiglio delle logge.

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    Finalità degli Esercizi

    P. Giorgio Bettan S.J., Alla scuola di S. Ignazio negli esercizi, Roma: ADP, 1986, pp. 11-19

    1. «Togliere via da sé tutte le affezioni disordinate». (Esercizi Sp., Ann, 1).

    Bisogna attaccare il male alla radice e la radice avvelenata è il cuore egoista, avido di piacere. Gesù volendo portare rimedio ai malati di spirito indicò la fonte intossicata: "Dal cuore provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adulteri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie. Queste sono le cose che rendono immondo l'uomo" (Mt 15, 19-20). Le affezioni disordinate non sono le affezioni peccaminose, malva5e che costituiscono di per sé peccato grave. Sono invece le inclinazioni dell'animo, tutte le tendenze che non hanno la loro giustificazione né nella fede né nella ragione. È il codice del mi piace e non mi piace eretto a sistema di vita. Una regola quindi senza logica, bizzarra, fatta di vari umori secondo i capricci di una natura malata.

    Questo terreno è l'humus patogeno da cui deriva ogni male.

    S. Giovanni della Croce conoscitore esperto del ginepraio del cuore umano, parla degli affetti disordinati in diversi tratti della «Salita del Monte Carmelo». Titoli di vari capitoli sono queste espressioni: «I desideri tormentano l'anima [ ... ], oscurano [ ... ], insozzano [ ... ], intiepidiscono e infiacchiscono lo spirito» (Opere 1962). Cosi egli fa un'analisi severa del male che producono.

    S. Teresa non è meno vigorosa nel recidere gli affetti disordinati.
    Viene richiesta un giorno del suo parere circa il desiderio di una persona riguardo una carica da assumere. Ne parla con il Signore e riceve la risposta che essa trascrive: «Quella persona potrà accettare solo quando avrà capito con verità e chiarezza che il vero dominio sta nel non aver nulla» (Opere, Roma, 1950, p. 390, n. 16). Finché non si raggiungerà la sanità del cuore e un certo equilibrio negli affetti, ci sarà sempre un grave ostacolo all'azione di Dio. Difficilmente si potrà captare il suo messaggio perché «affezione acceca ragione».

    La preghiera negli Esercizi fa penetrare nel Cuore di Gesù allo scopo di cambiare il proprio cuore.
    L'educazione affettiva, l'equilibrio dei propri sentimenti si potrà ottenere in un confronto sincero e in un prolungato colloquio con Cristo Crocifisso, con il suo Cuore squarciato.

    2 - «E, toltele, indagare e trovare la Volontà Divina» (Esercizi Sp., Annot. 1).

    Dio vuole essere ricercato: per questo si fa desiderare attendere.

    Colui che inizia un corso di Esercizi deve mettersi alla ricerca di Dio secondo determinate regole. S. Benedetto suppone questa disposizione in colui che batte alla porta del monastero; S. Ignazio la vuole in coloro che desiderano fare gli Esercizi: «Quanto più la nostra anima si trova sola e raccolta, tanto più si fa atta ad avvicinarsi al suo Creatore e Signore» (Esercizi Sp. Annot. 20).

    Questa ricerca di Dio si identifica con la ricerca della verità, della verità pratica, del disegno di Dio su ogni individuo sia per la sua attività personale che per il bene che può e deve compiere nella società. S. Agostino raccomandava: «Aggiungi la verità alla vita e troverai una vita felice» e così pregava: «Signore, Dio mio, unica mia speranza, ascoltami perché non mi abbia a stancare nella ricerca, ma fa che io cerchi il tuo volto sempre ardentemente. Tu dai la forza per cercarti e a colui dal quale ti sei fatto trovare dai la speranza di cercarti sempre di più» (De Trin. 1, XV, e. 28).

    Dio è l'infinito; colui che si avvicina a lui ha sempre nuove scoperte da fare, nuove strade da percorrere. Nella ricerca della divina volontà succede quello che avviene all'alpinista in montagna: alla prima catena di monti che egli vede, inizia il cammino con la speranza di raggiungere presto la vetta; quanto più sale s'accorge che ad una cresta ne seguono altre più elevate e il cammino non si ferma più.

    Non si può certo dire di conoscere la divina volontà perché si conosce il Decalogo; Dio invita, rivolge degli appelli, suscita desideri, stimola al più, al meglio; chi segue questa dinamica è amico di Dio agisce nello spirito di figlio del Padre. Niente porta alla ricerca della via che Dio ha tracciato per ogni anima come un corso di Esercizi Spirituali, fatto nel totale silenzio. In questa attività Maria SS. è modello meraviglioso, maestra impareggiabile, guida sicura.

    Pio XI nella Costituzione Apostolica «Summorum Pontificum» insegna: «L'efficacia del metodo ignaziano e la somma utilità degli Esercizi, com'ebbe ad asserire il Nostro predecessore di venerata memoria Leone XIII, venne confermata "dall'esperienza di ormai tre secoli e dalla testimonianza di quanti in questo spazio di tempo fiorirono o per scienza ascetica o per santità di costumi".

    Oltre ai molti uomini illustri per santità usci i dalla stessa famiglia di Ignazio, i quali apertissimamente attestarono di aver, attinto da questa fonte la regola della loro virtù, ci piace ricordare, tra il clero secolare, quei due fulgidi luminari della Chiesa: San Francesco di Sales e S. Carlo Borromeo...

    Noi pertanto, persuasi che i mali dei tempi nostri traggono per la massima parte l'origine della mancanza di «chi rifletta nel suo cuore» (Ger. 12, 11); sapendo che gli Esercizi Spirituali, fatti secondo il metodo di S. Ignazio, sono di grande efficacia per superare le gravi difficoltà da cui è travagliata la società odierna; conoscendo la lieta messe che oggi, non meno che nei tempi andati, va maturando nei sacri ritiri, sia tra i religiosi e i sacerdoti secolari, sia tra i laici e - cosa particolarmente degna di attenzione ai nostri giorni - tra gli stessi operai; desideriamo ardentemente che la pratica di questi Esercizi Spirituali si diffonda sempre più largamente, e che sorgano più numerose e fioriscano prosperose quelle sante case dove - come a una scuola di vita perfettamente cristiana - si appartano i fedeli o per un mese intiero, o per otto giorni, o dove ciò non sia possibile, anche per più breve spazio di tempo».

    Giovanni Paolo Il disse il 1° febb. 1981 ad un gruppo di giovani: «Di cuore auspico che questi esercizi spirituali, costituiscano per ciascuno di voi un incontro, che ritempri le vostre forze spirituali corrobori il vostro impegno, e vi renda generosi testimoni di Cristo nel mondo di oggi».

    Il Concilio Vaticano II per i laici consacrati all'apostolato non ha nulla di più efficace ed utile da suggerire: «hanno a disposizione i ritiri e gli Esercizi spirituali per nutrire la propria vita spirituale, per conoscere le condizioni del mondo e scoprire ed impiegare i metodi adatti» (Decreto Apostolato dei laici n. 32).

    3 - «E trovare la volontà divina» (Esercizi Spir. Annot. 1)

    Sono molti i modi con i quali Dio parla all'anima e fa conoscere la sua volontà. L'illuminazione interiore, l'impulso e l'attrattiva ad una determinata attività, la scelta fatta con calma alla luce dei criteri soprannaturali, il consiglio di una persona prudente, sono modi ed espressioni di un linguaggio divino.

    Dio agisce nelle anime con maestria impareggiabile. Si adatta come una mamma che prende la mano del bambino facendogli scrivere il suo nome e lasciandogli la piacevole convinzione di averlo scritto lui. Se però quel bambino, fatto adulto, ha notevoli capacità, Dio gli dà il desiderio dell'ascesa, del perfezionamento; più progredisce più lo stimola e l'aiuta a progredire.

    Santa Teresa, narrando una sua visione, ricorda di aver ascoltato: «"Figliola come son pochi quelli che amano veramente! Se mi amassero per davvero, non nasconderei loro i miei segreti. Sai tu cosa vuol dire amarmi per davvero? Persuadersi che è menzogna tutto quello che a me non piace. Comprenderai chiaramente quanto ora non capisci dal profitto che ne avrà la tua anima". Cosi infatti è avvenuto e ne sia lode al Signore! D'allora in poi mi pare così pieno di vanità e di menzogna quanto non è ordinato alla sua gloria» (S. Teresa, Opere, pag. 383).

    Quando si comincerà a compiere con impegno la volontà di Dio in tutti i dettagli della vita ci si ritroverà nell'armonia e nella pace.

    4 - «In ordine alla salvezza dell'anima» (Esercizi Spirit., ibidem).

    La parola salvezza non significa solo salvezza eterna, ingresso in cielo; indica floridezza e gagliardia della vita spirituale nell'esercizio della fede, della speranza, e della carità.

    Fare gli Esercizi è già praticare la santità, esercitando e sviluppando le virtù teologali che sono la travatura della vita spirituale. Non si può stare con Cristo, all'unisono con il suo Cuore infinitamente amante, senza percepirne gli immancabili benefici.

    5 - Nella contemplazione di Cristo nei suoi misteri

    L'aspetto più toccante degli Esercizi ignaziani è la contemplazione affettuosa dei misteri di Cristo così da diventare convivenza, amicizia, comunione intima con Lui.

    Chi ha la fortuna di fare il "Mese" è invitato a ripetere più volte al giorno, all'inizio delle diverse contemplazioni per la seconda, la terza, la quarta settimana, con insistente richiesta, "l'intima conoscenza del mio Signore, Cristo Gesù per amarlo di più e seguirlo meglio".

    Intima conoscenza significa "andare al Cuore", "prendere Gesù per il cuore" come ripeteva S. Teresa di Gesù Bambino perché il cuore spiega Gesù ed Egli in ogni mistero svela il suo cuore.

    Solo cosi, cioè in Cristo, l'esercitante trova con maggiore chiarezza la volontà di Dio nella propria vita.

    FONTE

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    Che cosa richiedono gli Esercizi?

    P. Giorgio Bettan S.J., Alla scuola di S. Ignazio negli esercizi, Roma: ADP, 1986, pp. 20-27

    1 - «Solitudine operosa»


    Solitudine operosa che indica:
    Raccoglimento profondo che concentra ed unisce tutte le proprie facoltà portandole a Dio. S. Alberto Magno osserva "Colui che entra in se stesso e penetra nel suo intimo, oltrepassa se stesso e sale a Dio". (Dell'unione con Dio c. 7).
    Separazione dagli uomini e dalle cose della vita ordinaria, per raggiungere la vera libertà interiore. Ci si mette nel versante della contemplazione per ritornare carichi di energia nuova in quello dell'azione.
    S. Ignazio nell'annotazione 20 dice: ..."Da questo isolamento derivano tra i molti altri, tre vantaggi principali:
    Il primo è che, allontanandosi uno da molti amici e conoscenti, come pure da molte occupazioni non bene ordinate, per servire e lodare Dio nostro Signore, merita non poco dinanzi alla divina Maestà Sua.
    Il secondo: stando cosi isolato, senza avere la mente divisa in molte cose, anzi mettendo ogni impegno in una sola, e cioè nel servire il proprio Creatore e nell'aiutare la propria anima, usa più liberamente le proprie capacità naturali per cercare con diligenza ciò che tanto desidera.
    Il terzo: quanto più la nostra anima si trova sola e isolata, tanto più diventa capace di avvicinarsi e di unirsi al proprio Creatore e Signore; e quanto più cosi si unisce, tanto più si predispone a ricevere grazie e doni della sua divina e somma Bontà.
    Paolo VI ad un gruppo di collaboratori laici il 26 luglio 1963 raccomandava la fedeltà agli Esercizi annuali: «...quale immenso profitto per le vostre anime, quale edificazione per i vostri fratelli in questi tre giorni di totale silenzio ove centinaia di voi ogni anno vanno a mettersi in ascolto di Dio, a rifare le loro forze spirituali per ritornare più generosi ai combattimenti della vita. La fedeltà agli Esercizi Spirituali chiusi è sicurezza per il progresso dell'anima, pegno di una attività gioiosa e feconda al servizio della Chiesa e dei vostri fratelli».

    2 - La schiettezza trasparente

    La ricerca della verità è esigente - scrive Federico Ozanam - ed è necessaria la sincerità; tanto più se da questa verità dipende l'orientamento o la riforma della vita.
    1) Sincerità con colui che dirige gli Esercizi. Uno degli aspetti essenziali degli Esercizi ignaziani è dato dai colloqui di apertura e guida spirituale in ordine alla conoscenza di sé, di interpretazione dei segni divini nella propria vita, di una verifica della propria attività nella linea del Magistero della Chiesa, di uno stimolo ed incoraggiamento nella via della santità.
    2) Sincerità con sé stessi. Ciò che si cerca negli Esercizi è la divina volontà nella vita di ciascuno; quindi niente è più necessario, niente più utile e grande. Quanto si ricerca è nascosto, è il segreto del Re dei cuori: uno sguardo superficiale non basterebbe per capirlo. Poiché ogni uomo è terribilmente condizionato dall'ambiente, è necessario che si crei il clima adatto per questo lavoro interiore e impegnativo.

    3 - Intensa preghiera

    Negli Esercizi la preghiera è la condizione più importante. L'anima deve essere attenta e particolarmente sensibile con lo sguardo dell'amico tutto proteso all'amore del suo amico, con l'ansia del bimbo che vuole piacere a suo padre. Deve pervadere l'anima e il sentimento della devozione filiale reso vivo dalle invocazioni pie, affettuose; ripetute spesso. La varietà dei metodi di preghiera, i meravigliosi colloqui, la ricchezza stupenda delle meditazioni e contemplazioni porteranno ad aprire il proprio cuore al Cuore di Cristo che vuole aprirsi a noi.
    S. Agostino cosi parla: «Si chiede con amore, si cerca amando, si batte sotto l'impulso dell'amore, nell'amore ci si confida, nell'amore ci si stabilisce in Colui al quale ci si è affidati» (De Moribus Eccl. l. 1, c. 17).
    Negli Esercizi ci si deve aspettare il frutto più dalla grazia che dall'abilità umana; entra negli Esercizi con l'animo pieno di fiducia e prega così:
    «O beatissima grazia,
    che rendi ricco di virtù
    chi è povero di spirito
    e rendi umile di cuore
    chi è ricco di molti beni!

    Vieni, discendi in me,
    riempimi con la tua consolazione,
    affinché l'anima mia
    non cada per la stanchezza
    e l'aridità della mente.

    Ti supplico, o Signore,
    fa' che io possa trovare grazia
    dinanzi ai tuoi occhi,
    poiché,
    anche se non ottengo tutte le altre cose
    che desidera la natura,
    a me basta la tua grazia.

    Se anche sarò tentato
    e oppresso da molte tribolazioni,
    finché la tua grazia sarà con me,
    non mi abbatterò per questi mali.

    Essa è la mia forza,
    essa mi reca consiglio e aiuto;
    è più potente di tutti i nemici
    e più sapiente di tutti i sapienti.

    La grazia è maestra di verità,
    maestra di disciplina,
    Luce del cuore, sollievo nell'oppressione;
    mette in fuga la tristezza,
    alimenta la devozione,
    fa scaturire le lacrime.

    Che cosa sono io senza di lei,
    se non un legno secco,
    un fuscello inutile da buttar via?

    Dunque, o Signore,
    la tua grazia sempre mi preceda e mi segua;
    e senza interruzione mi dia la possibilità
    di essere sempre dedito a opere buone,
    per Gesù Cristo Figlio Tuo. Così sia».

    (Imitazione di Cristo, 1. 3, c. 55)

    4. Conclusione

    Giustamente Paolo VI, il 29 dicembre 1965, elogiando il paradigma meraviglioso e magistrale che S. Ignazio allora ha lasciato, diceva che bisogna vedere la profondità di dottrina che esso contiene, la ricchezza spirituale di cui è sorgente la applicabilità enorme che esso apre davanti. Proseguiva dicendo: «Dobbiamo allargare questa fonte di salvezza e di energia spirituale, dobbiamo renderla possibile a tutte le categorie: ai ragazzi, alla gioventù, agli operai, agli studenti, agli studiosi, alle persone colte, ai malati...»
    Giovanni Paolo II, il 16 dic. 1979, diceva: "La scuola degli Esercizi Spirituali è sempre un efficace rimedio al male dell'uomo moderno trascinato dal vortice delle vicende umane a vivere fuori di sé, troppo preso dalle cose esteriori, è fucina di uomini nuovi, di autentici cristiani, di apostoli impegnati".
    È il 31 luglio 1985:
    «In tale situazione di "deserto" e di silenzio" degli uomini e delle cose, l'esercitante, a somiglianza della Vergine SS., è chiamato ad ascoltare la Parola di Dio, ad accoglierla in un vitale e dinamico rapporto, a rimanere nella Parola, immergendosi in prolungata meditazione, in affettuosa orazione, in silenziosa contemplazione, a mettere in pratica la Parola, a proclamarla...».
    L'invito agli Esercizi Spirituali di S. Ignazio è una delle linee costanti del Magistero della Chiesa.
    Frutto eccellente degli Esercizi sarà fare spesso e vivere l'offerta di se stessi e del proprio vissuto quotidiano al Cuore di Cristo come viene suggerito dall'Apostolato della Preghiera.
    Cuore divino di Gesù, io ti offro, per mezzo del Cuore Immacolato di Maria, Madre della Chiesa, in unione al Sacrificio Eucaristico, le preghiere e le azioni, le gioie e le sofferenze di questo giorno: in riparazione dei peccati e per la salvezza di tutti gli uomini, nella grazia dello Spirito Santo, a gloria del divin Padre.
    In particolare secondo le intenzioni del Papa.

    È una spiritualità che aiuta il cristiano a trasformare la propria vita in un'offerta viva a gloria di Dio Padre. Cosi è vissuta la Madonna, la prima e perfetta cristiana, la vera Maestra degli Esercizi.

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    Un gran santo ci dice: andate a fare gli Esercizi!

    Lettera sull'utilità degli esercizi spirituali ove S. Alfonso descrive i vantaggi del ritiro, in particolare quando s'impone una decisione per dare una svolta alla propria vita. Il Santo stima sommamente gli esercizi fatti nella solitudine, "perché - dice - io riconosco di dovere a questa santa pratica la mia conversione e la risoluzione che io ho preso di lasciare il mondo". Molti esempi citati sono tratti dalle Notizie memorabili degli Esercizi Spirituali di Sant'Ignazio del Rosignoli, S. J.; ma il Santo li propone con un tono particolare: le riflessioni pregnanti e originali, le argomentazioni vive che a lui sono proprie e dona anche un timbro tutto personale a questa lettera per la quale ha largamente attinto da autori che hanno trattato la stessa materia. Questa Lettera ad un giovine studioso è stata citata da Pio XI nella sua lettera Mens nostra de Usu exercitiorum magis magisque promovendo, del 20 dicembre 1929, dove la definisce "pulcherrima quaedam epistola". Le edizioni di Torino intitolano questo piccolo trattato: Sull'utilità degli esercizi spirituali fatti in solitudine. (Cfr. Bibliographie générale des écrivains rédemptoristes, Louvain 1933, p. 149-150).

    S. Alfonso Maria de Liguori
    Dottore della Chiesa


    Sull'utilità degli esercizi spirituali


    1. Ho ricevuta la sua lettera, in cui mi fa sapere che ancora sta irresoluto circa lo stato di vita che deve eleggere; e che avendo partecipato al suo parroco il mio consiglio di andare per tal effetto a fare gli esercizj in quella casa che tiene suo padre in campagna, le ha risposto il detto parroco che non occorreva andare in quella casa a seccarsi il cervello per otto giorni in solitudine, ma bastava che sentisse gli esercizj che tra breve egli avrebbe dati al popolo nella sua chiesa. Giacché dunque ella su quest'ultimo punto degli esercizj di nuovo mi cerca consiglio, bisogna ch'io le risponda a lungo, e le faccia conoscere primieramente quanto maggior profitto apportano gli esercizj spirituali fatti in silenzio in qualche luogo solitario, che gli altri che si fanno in pubblico, con tornare in casa, ove la persona seguita come prima a discorrere e conversare con parenti ed amici; tanto più che in casa sua, come mi scrive, non ha una camera a parte ove ritirarsi: a questi esercizj in solitudine per altro io vivo troppo affezionato, mentre da essi riconosco la mia conversione e risoluzione di lasciare il mondo. Secondariamente poi le suggerirò i mezzi e le cautele con cui dovrà fare questi esercizj per ottenerne il frutto che desidera. La prego dopo che avrà letta questa mia, farla leggere ancora al signor suo parroco.

    2. Parliamo dunque prima del grande utile che apportano gli esercizj fatti nella solitudine, ove non si tratta con altri che con Dio, e prima di tutto vediamone la ragione.
    Le verità della vita eterna, come sono il grande affare della nostra salute, la preziosità del tempo che Dio ci dona, affinché accumuliamo meriti per l'eternità beata, l'obbligo che abbiamo di amare Dio per la sua infinita bontà e per l'amore immenso che ci porta, queste e simili cose non si vedono cogli occhi di carne, ma cogli occhi della mente.
    All'incontro è certo che se dal nostro intelletto non si rappresenta alla volontà il pregio di qualche bene o la deformità di qualche male, non mai la volontà abbraccerà quel bene né fuggirà quel male.
    Or questa è la rovina degli uomini attaccati al mondo; essi vivono fra le tenebre, ond'è poi che, non conoscendo la grandezza de' beni e dei mali eterni, allettati dal senso, si abbandonano a' piaceri vietati e così miseramente si perdono. Perciò lo Spirito santo, acciocché fuggiamo i peccati ci avvisa a tenere avanti gli occhi le ultime cose che ci hanno da avvenire, cioè la morte con cui finiranno per noi tutti i beni della terra, ed il giudizio divino, ove dovremo render conto a Dio di tutta la nostra vita: Memorare novissima tua, et in aeternum non peccabis (Eccl. 7. 40.). Ed in altro luogo dice: Utinam saperent et intelligerent, ac novissima providerent! (Deut. 32. 29.) Colle quali parole vuol farci intendere che se gli uomini rimirassero le cose dell'altra vita, certamente attenderebbero tutti a farsi santi, e non si porrebbero a rischio di fare una vita infelice per tutta l'eternità. Essi chiudono gli occhi alla luce, e così, restando ciechi, precipitano in tanti mali. Perciò i santi pregavano sempre il Signore che desse loro luce: Illumina oculos meos, ne unquam obdormiam in morte (Psal. 12. 4.). Deus illuminet vultum suum super nos (Psal. 66. 2.). Notam fac mihi viam in qua ambulem (Psal. 142. 8.). Da mihi intellectum, et discam mandata tua (Psal. 118. 73).

    3. Ora per ottenere questa luce divina bisogna accostarsi a Dio: Accedite ad eum et illuminamini (Psal. 33. 6.). Poiché scrive s. Agostino, che siccome non possiamo noi vedere il sole, se non col lume dello stesso sole; così non possiamo vedere il lume di Dio, se non col lume dello stesso Dio: Sicut solem non videt oculus, nisi in lumine solis, sic dominicum lumen non poterit videre intelligentia, nisi in ipsius lumine. Questo lume si ottiene negli esercizj: noi con quelli ci accostiamo a Dio, e Dio c'illumina colla sua luce.
    Altro non importano gli esercizj spirituali, che il distaccarci per quel tempo dal commercio del mondo e ritirarci a conversare da solo a solo con Dio.
    Ivi Iddio parla a noi colle sue ispirazioni, e noi parliamo a Dio, meditando, amandolo, dolendoci de' disgusti che gli abbiamo dati, offerendoci a servirlo in avvenire con tutto l'amore, e pregandolo che ci faccia conoscere la sua volontà, e ci dia forza di eseguirla. Dicea Giobbe: Nunc enim requiescerem cum regibus et consulibus terrae, qui aedificant sibi solitudines (Iob. 3. 13. et 14.).Chi sono questi re che si fabbricano le solitudini? Sono, come dice s. Gregorio, i dispregiatori del mondo, che si staccano dai tumulti mondani per rendersi degni di parlare da solo a solo con Dio: Aedificant solitudines, idest seipsos a tumultu mundi (quantum possunt) elongant, ut soli sint et idonei loqui cum Deo (In Iob. loc. cit.).
    A s. Arsenio, mentre egli stava esaminando i mezzi che dovea prendere per farsi santo, Iddio gli fece sentire: Fuge, tace, quiesce: fuggi dal mondo, taci, lascia di parlare cogli uomini, e parla solo con me; e così riposa in pace nella solitudine.
    In conformità di ciò s. Anselmo ad uno che si trovava affannato da molte occupazioni del secolo, e si lagnava che non aveva un momento di pace, scrisse così: Fuge paullulum occupationes tuas, absconde te modicum a tumultuosis cogitationibus tuis; vaca aliquantulum Deo et requiesce in eo. Dic Deo: Eia nunc doce cor meum, ubi et quomodo te quaeram; ubi et quomodo te inveniam. Parole che tutte convengono alla persona vostra: fuggi, gli disse, per qualche tempo da queste applicazioni terrene che ti fanno stare inquieto, e riposati ritirato con Dio. Digli: Signore, insegnatemi, dove e come io possa trovarvi, affinché vi parli da solo a solo, e insieme ascolti le vostre parole.

    4. Sì che ben parla Iddio a chi lo cerca, ma non parla in mezzo ai tumulti del mondo: Non in commotione Dominus, fu detto ad Elia (Reg. 19. 11.), allorché fu chiamato da Dio alla solitudine. La voce di Dio, come dicesi nello stesso luogo, è come un sibilo di un'aura leggiera, sibilus aurae tenuis, che appena si sente; e non già dall'orecchio del corpo, ma dall'orecchio del cuore, senza strepito, ed in una dolce quiete. Ciò appunto dice il Signore per Osea: Ducam eam in solitudinem et loquar ad cor eius (Os. 2. 14.). Quando Dio vuol tirare a sé un'anima, la conduce alla solitudine, lungi dagli intrighi del mondo e dal commercio degli uomini, ed ivi le parla colle sue parole di fuoco: Ignitum eloquium tuum (Psal. 118. 140.). Le parole di Dio diconsi parole di fuoco, perché liquefanno l'anima, come dicea la sacra sposa: Anima mea liquefacta est ut dilectus meus locutus est (Cant. 5. 6.), sicché la rendono facile a farsi governare da Dio, ed a prender quella forma di vita che Dio vuole da lei: parole in somma efficaci ed operative, che nello stesso tempo che si fanno udire operano nell'anima quello che Dio da lei richiede.

    5. Un giorno il Signore disse a s. Teresa: Oh quanto volentieri io parlerei a molte anime, ma il mondo fa tanto strepito nel loro cuore, che la mia voce non può sentirsi. Oh se si appartassero qualche poco dal mondo! Sicché, sig. D.N. mio carissimo, Iddio vuol parlarvi, ma vuol parlarvi da solo a solo nella solitudine, poiché se vi parlasse nella vostra casa, i parenti, gli amici e le faccende domestiche seguirebbero a fare strepito nel vostro cuore e non potreste udire la sua voce. Perciò i santi hanno lasciate le patrie e le loro case, e sono andati ad intanarsi in una grotta o deserto, oppure in una cella di qualche casa religiosa, per trovar ivi Dio ed ascoltar le sue voci.
    Narra s. Eucherio (Epist. ad s. Hilar.), che una persona andava cercando un luogo, ove potesse trovare Dio; andò per tal fine a consigliarsi con un maestro di spirito, quegli la condusse in un luogo solitario, e poi le disse: Ecco dove si trova Dio, senza dirle altro: e con ciò volle farle intendere che Dio non si trova in mezzo ai rumori del mondo, ma nella solitudine.
    Dice s. Bernardo, che meglio avea conosciuto Dio tra i faggi ed i cerri, che in tutti i libri di scienze che avea studiati. Il genio de' mondani è di stare in conversazione di amici a discorrere e divertirsi; ma il desiderio dei santi è di starsene nei luoghi solinghi in mezzo ai boschi, o dentro le caverne per trattenersi ivi a trattar solo con Dio, il quale nella solitudine tratta e parla colle anime alla famigliare, come un amico con un altro amico: Oh solitudo, esclama s. Girolamo, in qua Deus cum suis familiariter loquitur, ac conversatur!
    Dicea il venerabile p. Vincenzo Carafa, che nel mondo, se avesse avuto a desiderar qualche cosa, altro non avrebbe cercato che una grotticella con un tozzo di pane ed un libro spirituale, per viver sempre ivi lontano dagli uomini e farsela solo con Dio.
    Lo sposo de' cantici loda la bellezza dell'anima solitaria e l'assomiglia alla bellezza della tortorella: Pulcrae sunt genae tuae sicut turturis (Cant. 1. 9.). Appunto perché la tortorella fugge la compagnia degli altri uccelli, e se la fa sempre ne' luoghi più solitarj. Quindi è che gli angeli santi ammirano con gaudio la bellezza e lo splendore, del quale adorna sale in cielo un'anima, che in questo mondo è vivuta nascosta e solitaria, come in un deserto: Quae est ista quae ascendit de deserto deliciis affluens? (Cant. 8. 5.).

    6. Ho voluto scrivervi tutte queste cose, per farvi prendere amore alla santa solitudine; mentre spero che negli esercizj che farete non già vi seccherete il cervello, come dice il signor parroco, ma che Iddio vi farà provare tante delizie di spirito, che ne uscirete talmente innamorato degli esercizj, che non lascerete poi di farli ogni anno.
    Cosa che vi gioverà immensamente per l'anima in ogni stato che eleggerete; poiché in mezzo al mondo le faccende, i disturbi, e le distrazioni sempre inaridiscono lo spirito, e perciò bisogna da quando in quando adacquarlo e rinnovarlo, come esorta san Paolo: Renovamini autem spiritu mentis vestrae (Ephes. 4. 23.).
    Il re Davide affannato dalle cure terrene desiderava di volare, e fuggire da mezzo al mondo per ritrovar riposo: Quis dabit mihi pennas, volabo et requiescam? (Psal. 54. 7). Ma non potendo lasciare il mondo col corpo, cercava almeno da tempo in tempo di sbrigarsi dagli intrighi del regno che governava e si tratteneva in solitudine a conversare con Dio; e così trovava pace il suo spirito: Ecce elongavi fugiens, et mansi in solitudine (Ibid. vers. 8).
    Anche Gesù Cristo, che non aveva bisogno di solitudine affin di stare raccolto con Dio, pure per dare a noi esempio, si distaccava spesso dal commercio degli uomini, e se ne andava sopra de' monti e ne' deserti a fare orazione: Dimissa turba, ascendit in montem solus orare (Matth. 14. 23). Ipse autem secedebat in desertum et orabat (Luc. 5. 16.). E volea che i suoi discepoli dopo le fatiche delle loro missioni si ritirassero in qualche luogo solitario a riposar collo spirito: Venite seorsum in desertum locum et requiescite pusillum (Marc. 6. 31). Dichiarando con ciò che anche in mezzo alle occupazioni spirituali lo spirito alquanto si rilascia, dovendo trattar cogli uomini; onde bisogna ristorarlo nella solitudine.

    7. I mondani che sono avvezzi a divertirsi nelle conversazioni, ne' conviti e ne' giuochi, credono che nella solitudine, ove non sono tali spassi, si patisca un tedio insoffribile; e così veramente accade a coloro che tengono la coscienza imbrattata di peccati: perché quando essi stanno occupati negli affari del mondo, non pensano alle cose dell'anima; ma quando stanno disoccupati, in quella solitudine, dove non van cercando Dio, subito si affacciano loro i rimorsi della coscienza, e così nella solitudine non trovan quiete, ma tedio e pena. Ma datemi una persona che vada cercando Dio; ella nella solitudine non vi troverà tedio, ma contento e gioia: ce ne assicura il Savio: Non enim habet amaritudinem conversatio illius, nec taedium convictus illius, sed laetitiam et gaudium (Sap. 8. 16).
    No che non apporta amarezza né tedio il conversare con Dio, ma allegrezza e pace. Il venerabile cardinal Bellarmino nel tempo delle villeggiature, in cui gli altri cardinali andavano a divertirsi nelle ville, egli se ne andava in una casa solitaria a fare gli esercizj per un mese, e dicea che quella era la sua villeggiatura, ed ivi certamente ritrovava più delizie il suo spirito, che gli altri in tutti i loro spassi.
    S. Carlo Borromeo due volte l'anno faceva gli esercizj, ed in quelli trovava il suo paradiso, e mentre stava facendo in un anno questi esercizj sul monte di Varallo, gli venne l'ultima infermità che lo condusse alla morte.
    Così appunto dicea s. Girolamo, che la solitudine era il suo paradiso che trovava in questa terra: Solitudo mihi paradisus est (Ep. 4. ad Rust.).

    8. Ma qual contento, dirà taluno, può trovare una persona stando sola e non avendo con chi discorrere? No, risponde s. Bernardo, non è solo nella solitudine colui, che in quella va cercando Dio; perché ivi Dio stesso l'accompagna e lo tiene più contento che se avesse la compagnia dei primi principi della terra. Io, scrive il s. abate, non era meno solo che quando stava solo: Numquam minus solus, quam cum solus (Ep. ad Fratr. de M. etc.).
    Il profeta Isaia descrive le dolcezze che Dio fa provare a chi va a cercarlo nella solitudine: Consolabitur Dominus Sion, et consolabitur omnes ruinas eius; et ponet desertum eius quasi delicias, et solitudinem eius quasi hortum Domini. Gaudium et laetitia invenietur in ea, gratiarum actio et vox laudis (Isa. 51. 3.). Il Signore sa ben consolare l'anima ritirata dal mondo: egli le compensa a mille doppj tutte le perdite che fa de' piaceri mondani; le fa diventare la solitudine un giardino di delizie, ove ella trova una pace che sazia, non essendovi colà tumulto di mondo, mentre solo trovansi ivi ringraziamenti e lodi a quel Dio che così l'accarezza. Se altro contento non vi fosse nella solitudine, che il contento di conoscere le verità eterne, questo solo basterebbe a farla sommamente desiderare. Le verità divine son quelle che conosciute saziano l'anima, e non già le vanità mondane che sono tutte bugie ed inganni.
    Or questo appunto è quel gran piacere che si trova negli esercizj fatti in silenzio: ivi con chiaro lume si conoscono le massime cristiane, il peso dell'eternità, la bruttezza del peccato, il valore della grazia, l'amore che Dio ci porta, la vanità dei beni di terra, la pazzia di coloro che per acquistarli perdono i beni eterni e si acquistano un'eternità di pene.

    9. Quindi avviene poi che la persona alla vista di tali verità prende i mezzi più efficaci ad assicurare la sua eterna salute, e si solleva sopra se stessa, come parla Geremia: Sedebit solitarius et tacebit, quia levavit se super se (Thren. 3. 28.). Ivi distaccandosi dagli affetti terreni si stringe con Dio colle preghiere, co' desiderj di esser tutta sua, colle offerte di se stessa, e con altri replicati atti di pentimento, di amore, di rassegnazione, e così troverassi sollevata sopra le cose create, in modo che si riderà di coloro che tanto stimano i beni di questo secolo, mentr'ella li disprezza, conoscendoli troppo piccioli e indegni dell'amore di un cuore creato per amare un infinito bene che è Dio. È certo che chi esce dagli esercizj n'esce molto diverso e migliorato di quello che vi è entrato. Era sentimento del Grisostomo che per acquistar la perfezione era un grande aiuto il ritiramento: Ad adipiscendam perfectionem magnum in secessu subsidium.
    Quindi scrisse un dotto autore (Presso Com. p. 213.), parlando degli esercizj: Felix homo, quem Christus e mundi strepitu in spiritualia exercitia et solitudinem coelesti amoenitate florentem inducit. Beato colui che staccandosi da' rumori del mondo si lascia portare dal Signore agli esercizj, ove si gode la solitudine che partecipa delle delizie del cielo!
    Son buone tutte le prediche che si fanno nelle chiese, ma se gli uditori non si applicano a riflettere sopra di quelle, poco sarà il frutto che ne ricaveranno; le riflessioni sono quelle che partoriscono poi le sante risoluzioni; ma queste riflessioni non si faranno mai come debbono esser fatte, se non si fanno nella solitudine.
    La conchiglia quando ha ricevuta la rugiada del cielo subito si chiude e scende nel fondo del mare, e così forma la perla. È cosa indubitata che ciò è quello che perfeziona il frutto degli esercizj, il riflettere in silenzio, trattandosi da solo a solo con Dio, le verità intese nella predica o lette nel libro.
    Perciò s. Vincenzo de Paoli nelle missioni che faceva invitava sempre gli ascoltanti a fare gli esercizj chiusi in qualche luogo solitario. Una massima santa ben riflettuta basta a fare un santo.
    San Francesco Saverio lasciò il mondo per l'impressione che gli fece quella massima del vangelo: Quid prodest homini, si mundum universum lucretur, animae vero suae detrimentum patiatur? (Matth. 16. 26).
    Un certo giovane studente per una sentenza della morte suggeritagli da un buon religioso mutò la sua mala vita in una vita santa.
    S. Clemente Ancirano per un'altra sentenza dell'eternità che gli fu suggerita dalla madre: Negotium pro quo contendimus vita aeterna est, soffrì allegramente per Gesù Cristo molti tormenti che gli furono dati dal tiranno.

    10. Per fare poi il giusto concetto del bene che partoriscono gli esercizj fatti in solitudine, leggete, se avete qualche libro di questa materia, e vedete ivi le conversioni stupende avvenute per mezzo degli esercizj. Voglio qui accennarne alcune poche.
    Narra il p. Maffei che in Siena vi era un sacerdote pubblico scandaloso; questi, essendogli stati dati gli esercizj da un missionario che a caso era passato per Siena, non solo si ravvide e si confessò, ma un giorno, trovandosi in una chiesa un gran popolo, salì in pulpito, e piangendo con una fune al collo cercò perdono a tutti degli scandali dati, e dopo ciò andò a farsi cappuccino, e morì da santo; ed in morte dicea che tutto il suo bene lo riconoscea da quegli esercizj.
    Narra di più il p. Bartoli (Lib. 5), che un certo cavalier tedesco, il quale per essersi abbandonato a tutti i vizj era giunto a dar l'anima al demonio con una scrittura firmata col suo sangue, facendo poi gli esercizj, concepì tanto pentimento de' suoi peccati, che per il dolore svenne più volte, ed indi seguì a fare una vita penitente sinché visse.
    Inoltre narra il p. Rosignuoli (Notit. mem. de es. t. 3) che in Sicilia vi fu un figliuolo d'un barone il quale era diventato così dissoluto, che il padre dopo molti mezzi presi per vederlo corretto, e tutti riusciti vani, fu obbligato a porlo in una galea tra gli schiavi in catena; ma un certo buon religioso, avendone compassione, andò a trovarlo, e con belle maniere l'indusse a voler meditare certe massime di eternità nella stessa galea; terminate quelle meditazioni, il giovane volle farsi una confession generale, e fece una tal mutazione di vita, che il padre poi l'accolse con piacere in sua casa e seguì ad amarlo.

    11. Un altro giovane fiammingo, avendo fatti gli esercizj ed essendosi con quelli convertito da una pessima vita, disse poi agli amici che se ne ammiravano: voi vi maravigliate di me, ma io vi dico che se il demonio stesso fosse capace di fare gli esercizj, facendoli si ridurrebbe a penitenza.
    Un altro che era religioso, ma di così mali costumi che si era fatto intollerabile, fu mandato da' superiori a fare gli esercizj. Mentre egli andava se ne burlava e diceva agli amici: tenete apparecchiate le corone, per quando ritorno a farmele toccare. Ma fatti gli esercizj si mutò in maniera, che divenne l'esempio degli altri religiosi, i quali vedendo quella mutazione, vollero tutti essi fare gli esercizj.
    Certi altri giovani, vedendo altri loro amici che andavano agli esercizj, vollero accompagnarli, non già per cavarne frutto, ma per ridersi poi nella conversazione delle loro divozioni; ma avvenne tutto il contrario, poiché negli esercizj si compunsero talmente che diedero in sospiri e pianti, si confessarono tutti e mutarono vita.
    E di tali fatti potrei qui addurne altri mille; ma non voglio lasciare il caso di una monaca nel monastero di Torre di Specchi in Roma, la quale facea la letterata, ma menava una vita molto imperfetta. Questa di mala voglia cominciò a fare gli esercizj, che si faceano nel monastero; ma la prima meditazione che fece del fine dell'uomo le fece tale impressione, che cominciò a piangere, e se ne andò al suo padre spirituale e gli disse: Padre, voglio farmi santa e presto santa. Volea più dire, ma le lagrime le impedirono di più parlare. Ritirata poi nella cella, scrisse una carta, in cui donò a Gesù Cristo tutta se stessa, si diede a fare una vita penitente e ritirata, e così visse fino alla morte.
    Se altro non fosse, basta a far gran conto degli esercizj il vedere la stima che ne han fatta tanti uomini santi. S. Carlo Borromeo dalla prima volta che fece gli esercizj in Roma si pose a fare una vita perfetta.
    S. Francesco di Sales dagli esercizj riconobbe il principio della sua santa vita.
    Il p. Luigi Granata, uomo santo, dicea che non gli sarebbe bastata tutta la vita a spiegare le nuove cognizioni delle cose eterne che avea scoperte nel fare gli esercizj.
    Il p. d'Avila chiamava gli esercizj una scuola di sapienza celeste, e volea che i suoi discepoli tutti fossero andati agli esercizj.
    Il p. Lodovico Blosio benedettino dicea doversi rendere speciali grazie a Dio, per avere in questi ultimi tempi manifestato alla sua chiesa questo tesoro degli esercizj.

    12. Ma se gli esercizj giovano ad ogni stato di persone, sono di special giovamento a chi vuol eleggere lo stato di vita che ha da imprendere. E trovo scritto che il primo fine per cui furono istituiti gli esercizj fu questo di eleggere lo stato della vita, mentre da questa elezione dipende l'eterna salute di ciascuno. Non abbiamo già noi da aspettare che venga un angelo dal cielo ad assicurarci dello stato che abbiamo da eleggere secondo la volontà di Dio; basta mettersi avanti gli occhi lo stato che pensiamo di eleggere, indi dobbiamo riguardare il fine che abbiamo in questa elezione, e pesare le circostanze che vi sono.

    13. Questo è il punto principale, per cui desidero che voi facciate gli esercizj in silenzio, cioè per risolvere lo stato che avete da eleggere. Per tanto, quando sarete entrato negli esercizj, come spero, vi prego a mettere in pratica le cose che qui soggiungo. In primo luogo l'unico intento che voi avete da avere in questi esercizj, è di conoscere quel che Dio vuole da voi; perloché in andare in quella casa solitaria, andate dicendo fra voi: Audiam quid loquatur in me Dominus Deus (Psal. 84. 9), vado a sapere quel che mi dirà il Signore e che vuole da me. Inoltre è necessario che abbiate una volontà risoluta di ubbidire a Dio, e seguire la vocazione che Dio vi manifesterà, senza riserva. Di più è necessario che preghiate istantemente il Signore che vi faccia conoscere la sua volontà in quale stato vi voglia. Ma avvertite che per avere questa luce bisogna che lo preghiate con indifferenza. Chi prega Dio ad illuminarlo circa il suo stato, ma prega senza indifferenza, ed invece di stare uniformato alla volontà divina, vuole più presto che Dio si uniformi alla sua, costui è simile ad un piloto che finge di volere, ma in fatti non vuole che la nave cammini, mentre gitta l'ancora in mare e poi spande le vele; a costui il Signore non dà luce né parla. Ma se voi lo supplicherete con indifferenza e risoluzione di eseguire la sua volontà, egli vi farà conoscere chiaramente lo stato migliore per voi. E se mai trovaste ripugnanza, ponetevi avanti il punto della morte, pensate all'elezione che vorreste in quel punto aver fatta, e quella fate.

    14. Portatevi in quella casa un libro di meditazioni solite a farsi negli esercizj, e quelle meditazioni che leggerete vi serviranno in vece delle prediche; facendovi sopra così nella mattina come nella sera mezz'ora di riflessione per volta. Portatevi ancora qualche vita di santi o altro libro spirituale per farvi la lezione, e questi saranno i soli vostri compagni nella solitudine per quegli otto giorni. È necessario poi per aver questa luce e sentire quel che vi dice il Signore, che allontaniate da voi le distrazioni: Vacate et videte quoniam ego sum Deus (Psal. 45. 11). Per conoscer le divine chiamate bisogna sbrigarsi dal trattare col mondo. Ad ogni infermo nulla giovano i rimedj, se egli non li prende colla dovuta cautela, come di fuggir l'aria cruda, il cibo nocivo, la molta applicazione di mente; e così parimente, acciocché vi giovino gli esercizj per la salute dell'anima bisogna rimuovere le distrazioni nocive, come sono il ricever visite degli amici o ambasciate di fuori o lettere che vi vengono scritte. S. Francesco di Sales, quando stava agli esercizj mettea da parte le lettere che ricevea, e non leggevale se non terminati gli esercizj. Bisogna ancora lasciar di leggere libri curiosi ed anche di studio; allora bisogna studiare solamente il crocifisso. Perciò nella vostra camera non tenete altri libri che spirituali; e leggendoli, non li leggete per curiosità, ma solo per lo stesso fine di risolver lo stato di vita, che Dio vi farà conoscere voler da voi.

    15. Di più non basta togliere le distrazioni esterne, bisogna ancora rimuovere le interne: perché se deliberatamente vi applicherete a pensare a cose di mondo o di studio o simili, poco vi serviranno gli esercizj e la solitudine. Dice s. Gregorio: Quid prodest solitudo corporis, si defuerit solitudo cordis? (Mor. lib. 30. cap. 12).
    Pietro Ortiz agente di Carlo V volle andare al monastero di Monte-Cassino a fare gli esercizj; or mentre stava alla porta del monastero disse a' suoi pensieri quel che disse il nostro Salvatore a' suoi discepoli: Sedete hic, donec vadam illuc et orem (Matth. 26. 36): pensieri di mondo, trattenetevi qui fuori; finiti poi gli esercizj, ci rivedremo e parleremo. Mentre si sta agli esercizj bisogna valersi di quel tempo solamente per bene dell'anima, senza perderne un momento. Vi prego finalmente quando sarete negli esercizj di leggere questa breve orazione che qui sotto vi scrivo:

    Dio mio, io son quel miserabile che per lo passato vi ho disprezzato; ma ora vi stimo ed amo sopra ogni cosa, né voglio amar altro che voi. Voi mi volete tutto per voi, ed io voglio essere tutto vostro. Loquere, Domine, quia audit servus tuus. Fatemi sapere quel che volete da me, ché tutto voglio farlo; e fatemi specialmente intendere in quale stato volete che io vi serva: Notam fac mihi viam in qua ambulem.

    Raccomandatevi ancora negli esercizj con modo speciale alla divina Madre Maria, pregandola che vi ottenga la grazia di adempire perfettamente la volontà del suo figlio. E non vi dimenticate, quando farete gli esercizj, di raccomandarmi a Gesù Cristo, mentre io non lascierò di farlo con modo particolare per voi, acciocché il Signore vi faccia santo, come vi desidero; e con ciò mi protesto ec.

    FONTE

 

 
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