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  1. #1
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    Predefinito 31 Luglio - Sant'Ignazio di Loyola



    Ignazio è nato a Loyola, nei Paesi Baschi, da una famiglia di piccola nobiltà. Ha frequentato la corte e ha partecipato a campagne militari. Nel 1521, costretto a stare a letto per una ferita riportata nella difesa di Pamplona, ha trascorso il tempo leggendo una vita di Cristo e le vite dei santi. Queste letture lo animarono e emerse il desiderio di seguire Gesù.
    Iniziò un lungo periodo di pellegrinaggio esteriore e interiore. L'itinerario del "pellegrino" - così si definisce Ignazio stesso nel raccontare la sua vita - ebbe come prima tappa il paese di Manresa, vicino Barcellona. Qui ha vissuto un'intensa esperienza spirituale che si è prolungata lungo tutto l'arco della sua vita. Il libro degli Esercizi Spirituali è il condensato di questa esperienza del santo.
    Il cammino, sempre improntato a quello di un pellegrino, lo portò a Gerusalemme, dove gli fu proibito di stabilizzarsi, come avrebbe voluto, per cui dovette tornare in Europa.
    Arrivato a Barcellona, si dedicò agli studi per poter aiutare meglio gli altri.
    A Parigi, dove si era recato per approfondire e concludere la formazione filosofico - teologica, si costituì attorno a lui un gruppetto di una decina di studenti, che Ignazio stesso ha denominato "amici nel Signore". Questi "amici" (tra cui incontriamo Francesco Saverio, futuro santo e patrono delle Missioni) erano di diverse nazionalità e erano animati dallo stesso ideale di aiutare gli altri.
    Ignazio fu ordinato sacerdote a Venezia nel 1537 e nello stesso anno si recò a Roma.

    Lungo questo ultimo tratto di cammino verso la meta Ignazio ebbe un nuovo incontro forte con il Signore a La Storta, vicino Roma. E proprio a Roma quel gruppetto che si era formato a Parigi ora si mette a disposizione del Papa per essere inviato in missione ovunque: diventa la comunità che fonda la Compagnia di Gesù. Questa venne approvata dal Papa Paolo III nel 1540.
    Ignazio fu eletto primo Generale dei gesuiti. Fino al 1556, anno della sua morte, ha governato i gesuiti componendo le costituzioni dell'Ordine, scrivendo circa 6000 lettere e interessandosi di diverse dimensioni della società: dai governanti alle povere donne di strada, dal difendere e propagare la fede nello scacchiere nel mondo allora conosciuto alle questioni riguardanti singole persone.
    Ignazio fu in sintonia con il detto: "non farsi costringere dal massimo e tuttavia farsi contenere dal minimo: questo è divino"
    Gregrorio XV nel 1622 lo dichiarò santo.

  2. #2
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    Predefinito Le frasi che Ignazio amava ripetere



    Ad majorem dei gloriam - Per la maggior gloria di Dio
    E' il motto della Compagnia di Gesù. I religiosi della Compagnia devono vivere, agire ed operare come Compagni di Gesù e pertanto ogni loro azione, gesto o parola deve essere volta ad aumentare la "maggior gloria di Dio".

    Con toto el core, con tota l'anima, con tota la volontad
    E' una frase che Ignazio amava molto ripetere, mescolando il suo italiano sempre incerto con il suo caratteristico accento basco. Esprime la dedizione totale verso Dio e verso gesù, nonchè il completo donarsi per il servizio dei fratelli.

    En todo amar y servir
    "In tutto amare e servire". In queste due parole è raccolta l'essenza del programma di S. Ignazio: AMARE e SERVIRE. Ignazio era un uomo d'azione. L'amore, per quanto fondamentale, non doveva essere fine a se stesso, ma deve essere accompagnato dal servizio agli altri.

    L'amore si mostra nelle opere
    Si ribadisce con questa frase come Ignazio fosse uomo portato all'azione e al servizio, che è la più alta espressione dell'amore.

  3. #3
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    Predefinito Raccolta di preghiere



    Prendi, Signore,
    e accetta tutta la mia libertà,
    la mia memoria, il mio intelletto,
    e tutta la mia volontà,
    tutto ciò che ho e possiedo;
    tu mi hai dato tutte queste cose,
    a te, Signore, le restituisco;
    sono tutte tue,
    disponine secondo la tua volontà.
    Dammi il tuo amore e la tua grazia,
    queste sole, mi bastano.

    ***

    Anima di Cristo, santificami
    Corpo di Cristo, salvami
    Sangue di Cristo, inebriami
    Acqua del costato di Cristo, lavami
    Passione di Cristo, confortami
    O buon Gesù, esaudiscimi
    Dentro le tue ferite nascondimi
    Non permettere che io mi separi da te
    Dal nemico maligno difendimi
    Nell'ora della mia morte chiamami
    E comandami di venire a te
    Perché con i tuoi santi io ti lodi
    nei secoli dei secoli.
    Amen.

    ***

    O Dio, che a gloria del tuo nome hai suscitato nella tua Chiesa sant'Ignazio di Loyola, concedi anche a noi, con il suo aiuto e il suo esempio, di combattere la buona battaglia del vangelo, per ricevere in cielo la corona dei santi.

    ***

    Accresci, o Signore, coni doni spirituali e umani questa Compagnia, a cui ti sei degnato di dare inizio per mezzo del santo padre Ignazio perché unita a te nella virtù e nell'amore comprenda ciò che piace alla tua maestà e fedelmente lo compia.

  4. #4
    **********
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    Predefinito

    Il 31 agosto la Chiesa celebra la memoria di S. Ignazio di Loyola. In suo onore riporto in rilievo questo thread aperto dall'amico Lepanto.

    Augustinus

    *****
    dal sito SANTI E BEATI (con modifiche):

    Sant' Ignazio di Loyola (Iñigo López de Recalde), Sacerdote

    31 luglio - Memoria

    Loyola, Spagna, 24 dicembre c. 1491 - Roma, 31 luglio 1556

    Iñigo López Oñaz de Recalde y Loyola - tale il suo nome originario, che egli cambiò in Ignazio dopo la sua conversione - nacque, ultimo di 13 figli, il 24 dicembre 1491 (?), nel castello di Loyola vicino Azpeitia, circa 20 chilometri a sud-ovest di San Sebastián nella provincia basca di Guipúzcoa, Spagna. Ricevette l’educazione cavalleresca propria del suo ceto. Nel 1506, Ignazio divenne un paggio al servizio di un parente, Juan Velázquez de Cuéllar, tesoriere (contador mayor) del regno di Castiglia. Come cortigiano, Ignazio ebbe in quel periodo uno stile di vita dissipato.
    NeI 1517 entrò a servizio del Viceré di Navarra. Amava l’avventura e infervorava la sua mente leggendo romanzi cavallereschi.
    Quando nel 1521 scoppiò la guerra tra Francesco I di Francia e il giovane Imperatore di Spagna Carlo V, i Francesi entrarono in territorio spagnolo e marciarono alla conquista della città di Pamplona. Ignazio era lì a difenderla; ma il 20 maggio una palla di cannone nemico lo raggiunse, gli sfracellò la gamba destra e gli ferì anche la sinistra. Alla caduta del loro capitano i soldati spagnoli si arresero. I francesi raccolsero Ignazio e lo mandarono al suo castello a Loyola. Arduo fu il compito del chirurgo nel riassettargli le gambe, e alla fine - temendo di restare zoppo - Ignazio si sottomise a un secondo intervento di "stiramento" della gamba. Ma tutte le cure e i tormenti non gli valsero a impedirgli di zoppicare per il resto della sua vita. Durante la lunga convalescenza cercò distrazione nella lettura dei suoi romanzi preferiti di cavalleria, ma per quanto si cercasse, non se ne trovò uno in tutto il castello! Gli furono invece dati due altri libri: la "Legenda aurea" di Jacopo da Varagine, cioè una raccolta di vite di santi; e la "Vita Christi" di Ludolfo di Sassonia. Cominciò a leggerli. La lettura della Passione del Signore lo commuoveva, mentre la lettura delle imprese dei santi lo entusiasmava.
    Cominciò a chiedersi: "Perché non potrei fare anch’io quello che hanno fatto per il Signore uomini santi come Francesco d’Assisi e Domenico di Guzman?".
    La Grazia lo aveva finalmente raggiunto, ma le vanità terrene lo attiravano dalla loro parte. Fu un duro combattimento, il suo. Alla fine si raccomandò alla Vergine e, liberato dall’oppressione della carne, si arrese completamente a Dio. Guarito, Ignazio lasciò Loyola e si diresse al monastero domenicano di Montserrat (25 marzo 1522), nella Catalogna, a visitare il santuario della Madonna Nera. Qui volle trascorrere tutta la notte in preghiera. Al mattino depose la spada e il pugnale all’altare della Vergine, e al loro posto si fornì d’un bastone da pellegrino. Fece una lunga preparazione e una dettagliata confessione della sua vita al maestro dei novizi dei Benedettini, poi, cambiati i suoi abiti con il vestito grezzo del penitente, si diresse a Manresa, a meditare e far penitenza.
    Cominciò a digiunare e autoflagellarsi. Ma presto si accorse che queste mortificazioni non gli giovavano per la serenità dello spirito. Capì così le insidie dello spirito maligno e imparò a sue spese la necessità della direzione spirituale e l’importanza della "giusta misura" in tutte le cose. Si dette pure ad opere di carità per il popolo, insegnando le vie del Signore ai bambini e ai "rozzi". Dalle sue vicissitudini a Manresa nasceranno i suoi famosi "Esercizi Spirituali", "Ejercicios espirituales", dove è racchiusa tutta la sua esperienza spirituale, da lui composti a Manresa (1523), che divennero una classica guida per l'itinerario spirituale.
    Fondò a Montmatre, Parigi, (1534) la Compagnia di Gesù (Gesuiti) per la maggior gloria di Dio a servizio della Chiesa in obbedienza totale al successore di Pietro. Promosse la catechesi e l'apostolato missionario ed ebbe tra i suoi discepoli san Francesco Saverio.

    Il grande protagonista della Riforma cattolica nel XVI secolo, nacque ad Azpeitia, un paese basco, nel 1491. Era avviato alla vita del cavaliere, la conversione avvenne durante una convalescenza, quando si trovò a leggere dei libri cristiani. All'abbazia benedettina di Monserrat fece una confessione generale, si spogliò degli abiti cavallereschi e fece voto di castità perpetua. Nella cittadina di Manresa per più di un anno condusse vita di preghiera e di penitenza; fu qui che vivendo presso il fiume Cardoner decise di fondare una Compagnia di consacrati. Da solo in una grotta prese a scrivere una serie di meditazioni e di norme, che successivamente rielaborate formarono i celebri Esercizi Spirituali. L'attività dei Preti pellegrini, quelli che in seguito saranno i Gesuiti, si sviluppa un po'in tutto il mondo. Il 27 settembre 1540 papa Paolo III approvò la Compagnia di Gesù. Il 31 luglio 1556 Ignazio di Loyola morì. Fu proclamato santo il 12 marzo 1622 da papa Gregorio XV. (Avvenire)

    Etimologia:Ignazio = di fuoco, igneo, dal latino

    Emblema:IHS (monogramma di Cristo)

    Martirologio Romano: Memoria di sant’Ignazio di Loyola, sacerdote, che, nato nella Guascogna in Spagna, visse alla corte del re e nell’esercito, finché, gravemente ferito, si convertì a Dio; compiuti gli studi teologici a Parigi, unì a sé i primi compagni, che poi costituì nella Compagnia di Gesù a Roma, dove svolse un fruttuoso ministero, dedicandosi alla stesura di opere e alla formazione dei discepoli, a maggior gloria di Dio.

    Martirologio tradizionale (31 luglio): A Roma il natale di sant'Ignazio, Sacerdote e Confessore, Fondatore della Compagnia di Gesù, uomo illustre per santità e per miracoli, e zelantissimo nel dilatare ovunque la religione cattolica: dal Sommo Pontefice Pio undecimo fu dichiarato Patrono celeste di tutti gli Esercizi spirituali.

    L'agiografia dei secoli passati ha spesso deformato il ritratto di Iñigo López Oñaz de Recalde y Loyola (S. Ignazio di Loyola, nato presso Azpeitia nel 1491, morto a Roma il 31 luglio 1556), per adattarlo di volta in volta all'immagine militaresca odiata o amata dal fondatore della Compagnia di Gesù. Ultimo rampollo di nobile famiglia, a 14 anni aveva ricevuto la tonsura, ma alla carriera ecclesiastica non si sentiva invogliato. Preferì la spada del cavaliere. Durante la difesa del castello di Pamplona, assediato da Francesco I di Francia, ebbe una gamba stroncata. A stroncargli la carriera militare fu tuttavia la svogliata lettura di un paio di libri ingialliti, che la cognata gli porse per ingannare il tempo della convalescenza.
    La “Vita di Gesù” e “La leggenda aurea” determinarono la scelta più impegnativa della sua vita. Temprato alla vita militare e poi alle privazioni del penitente e del pellegrino (in un primo momento, lasciatosi crescere barba e capelli incolti e senza mutar mai abito aveva pensato di isolarsi in un eremo nella Tebaide), generoso e imprudente anche nelle fatiche, confesserà candidamente: "E non sapevo ancora che cosa fosse l'umiltà o l'amore o la pazienza o la discrezione". Il che vuol dire che più tardi imparò a essere discreto, paziente, umile e affettuoso. Quando si accorse di aver ecceduto nelle privazioni, confessò sorridendo di aver imparato sbagliando. Smessi gli stracci del pellegrino e dell'accattone, al ritorno dalla Terrasanta completò gli studi prima a Barcellona, poi ad Alcalá, quindi a Parigi, suscitando ovunque simpatia e confidenza. In Spagna fu addirittura sospettato di eresia e imprigionato. "Non ci sono tanti ceppi e catene a Salamanca, - scrisse - che io non ne desideri di più per amore di Dio".
    Nel 1528 si iscrisse all'Università di Parigi, dove rimase sette anni, ampliando la sua cultura letteraria e teologica, e cercando di interessare gli altri studenti agli Esercizi Spirituali.
    Qui conseguì il titolo di "Maestro in filosofia", mutò il nome di Inigo in quello di Ignazio e raccolse attorno a sè il primo nucleo della "Compagnia di Gesù", un gruppo sempre più numeroso e qualificato di "soldati di Cristo", che lottano e si sacrificano all'insegna del motto "Ad majorem Dei gloriam ", per la maggior gloria di Dio.
    Il vademecum di questi soldati è un libriccino di non comoda lettura: gli "Esercizi Spirituali" (approvati nel testo attuale da Papa Paolo III il 31 luglio 1548), scritto o piuttosto vissuto da S. Ignazio nella solitudine di Manresa. E’ qui il segreto di Ignazio, il segreto del suo spirito di dedizione, della sua mistica del servizio per la gioia di amare Dio - come spesso ripeteva, mischiando lo spagnolo all'italiano - "con toto el core, con tota l'anima, con tota la volontad".
    I primi sei "seguaci" con i quali diede vita il 15 agosto 1534 a Montmartre, fuori da Parigi, legandosi reciprocamente con un voto di povertà e castità e fondando la Società di Gesù, furono Pierre Faber o Favre (francese), Francis Xavier (meglio noto come San Francesco Saverio), Alfonso Salmeron, James Lainez o Laynez, Nicholas Bobedilla (spagnoli), e Simon Rodrigues (portoghese). Il Faber o Favre, ch’era già sacerdote, celebrò la S. Messa, durante la quale tutti promisero con voto di realizzare in castità e povertà quanto intendevano fare. Quel giorno, possiamo dire, nacque la Compagnia di Gesù. Una lapide in lingua latina, nella chiesa di Montmartre, ricorda ancora quell’avvenimento con queste parole: "La Compagnia di Gesù, che ebbe come Padre S. Ignazio di Loyola e come madre Parigi, nacque qui il 15 agosto nell’anno di grazia 1534".
    Nel 1537 si recarono in Italia in cerca dell'approvazione papale per il loro ordine religioso. Papa Paolo III diede loro una lode e consentì loro di essere ordinati come preti. Essi vennero ordinati a Venezia dal vescovo di Arbe (ora Rab, in Croazia) il 24 giugno in attesa della partenza per l’Oriente. Purtroppo, proprio in quel 1537 si riaccese la guerra tra la "Serenissima" e il vicino Oriente, e la partenza fu rimandata "sine die". Misero allora in atto la seconda parte del voto: andare a Roma e offrirsi come "preti rinnovati" al Papa.
    Si dedicarono alla preghiera ed ai lavori di carità in Italia, anche perché il nuovo conflitto tra l'imperatore, Venezia, il Papa e l'Impero Ottomano rendevano impossibile qualsiasi viaggio a Gerusalemme.
    Con Faber e Lainez, Ignazio si diresse a Roma nell'ottobre del 1538, per far approvare al papa la costituzione del nuovo ordine. Alle porte di Roma accadde un fatto straordinario, a cui Ignazio annesse sempre grande valore. Entrati a pregare in una Cappella detta La Storta, Ignazio ebbe una visione, in cui contemplò Gesù che portava la Croce con Dio Padre al suo fianco. "Voglio che ci serviate", disse Gesù. Il Padre aggiunse: "Vi sarò propizio a Roma"; e Ignazio fu posto a fianco di Gesù. Usciti dalla preghiera, Ignazio disse ai compagni: "Non so che cosa ci attende a Roma, se la persecuzione o la morte". E narrò loro la visione. A Roma il Papa li accolse bene, si fece dar prova della saldezza della loro fede e dottrina cattolica e dette loro il permesso di predicare e celebrare i sacramenti.
    Una congregazione di cardinali si dimostrò favorevole al testo preparato da Ignazio, e Papa Paolo III confermò l'ordine con la bolla papale Regimini militantis (27 settembre 1540), decretandone la nascita giuridica, ma limitò il numero dei suoi membri a sessanta. Questa limitazione venne rimossa tramite una successiva bolla, la Injunctum nobis, del 14 marzo 1543.
    Ignazio ricordava spesso al Papa il voto di andare in Terra santa. Ma un giorno il Papa stesso gli disse: "Roma può essere benissimo la vostra Gerusalemme, visto il bene che fate e il grave bisogno della città". Queste parole misero fine al sogno di Ignazio.
    A Roma e nelle altre città i Compagni insegnavano, predicavano, si prendevano cura degli ortani, dei poveri, dei malati negli ospedali. Ignazio pensò anche a recuperare uomini e donne dalla prostituzione.
    All’estero, Ignazio si preoccupava molto per l’eresia in Germania. Vi mandò il Favre, che vi spese le migliori energie, fino a morire sulla breccia dopo pochi anni. Vi mandò pure un uomo coltissimo e zelante, il Canisio, che tenne fronte al luteranesimo, riuscendo a salvare metà della Germania dall’invadente eresia.
    NeI 1540 fu fatta richiesta al Papa, da parte del re del Portogallo, di mandare missionari in India. All’ambasciatore interessato, il Papa rispose: "Rivolgetevi a Ignazio". E Ignazio sacrificò il suo figlio più caro, Francesco Saverio, segno del suo ardore di salvare tutti.
    Approvata la Compagnia di Gesù da Paolo III nel settembre 1540, si pensò subito all’elezione del Generale. Saverio lasciò il suo voto in iscritto prima di salpare per l’india. Tutti, eccetto Ignazio, votarono per il Fondatore. Dietro le reiterate insistenze di tutti i compagni, Ignazio finalmente accettò l’incarico, che per comune decisione, doveva essere a vita!
    Nel 1548 venne stampato per la prima volta Esercizi Spirituali, per il quale venne portato davanti al tribunale dell'Inquisizione, ma poi rilasciato.
    Sempre nel 1548, Sant'Ignazio fondò a Messina il primo Collegio dei Gesuiti al mondo, il famoso Primum ac Prototypum Collegium ovvero Messanense Collegium Prototypum Societatis, primo e quindi prototipo di tutti gli altri collegi di insegnamento che i Gesuiti fonderanno con successo nel mondo facendo dell'insegnamento la marca distintiva dell'Ordine.
    Ignazio scrisse le Costituzioni del nuovo Ordine, il cui nome era - e doveva rimanere - "Compagnia di Gesù", adottate nel 1554, che creavano un'organizzazione monarchica e spingevano per un'abnegazione assoluta ed un'obbedienza assoluta al Papa ed ai superiori (perinde ac cadaver, "[ben disciplinati] come un cadavere" scrisse Ignazio).
    Lo spirito animatore di queste Costituzioni doveva essere quello degli Esercizi spirituali: la maggior gloria di Dio (AMDG: "Ad maiorem Dei gloriam") e il maggior servizio delle anime.
    Quanto alla parte pratica riguardante la vita religiosa, Ignazio non ebbe fretta, volendo egli stesso imparare dall’esperienza. E così la parola "fine" non arrivò mai, pensando sempre a qualche novità da aggiungere o cambiare. Le Costituzioni furono perciò pubblicate postume, e senza conclusione.
    Il nuovo stile libero di vita religiosa non piacque a tutti nella chiesa. Lo stesso Cardinale Carafa, cofondatore dei Teatini (insieme a S. Gaetano Thiene) ripeteva: "Ma che religiosi siete se non avete neppure il canto e la preghiera corale?". E fatto papa col nome di Paolo IV, si astenne dall’intervenire finché visse Ignazio. Poi introdusse la preghiera corale anche tra i Gesuiti. La quale però fu tolta dal suo successore, e si tornò allo stile voluto da Ignazio.
    Tra il 1553 ed il 1555, Ignazio dettò al suo segratario, padre Gonçalves da Câmara, la sua vita. Questa autobiografia è essenziale per la comprensione dei suoi Esercizi Spirituali. Per oltre 150 anni, però, tale documento è rimasto segreto negli archivi dell'ordine, fino a il testo non venne pubblicato in Acta Sanctorum.
    Ignazio soffriva da tempo di gravi disturbi all’apparato digerente, ma i medici non diagnosticarono mai l’origine del suo malessere. Solo dopo la sua morte gli furono scoperti tre grossi calcoli nel fegato. Eppure il santo non smise mai di lavorare, nonostante i laucinanti dolori.
    Quando finalmente fu costretto a letto, ridotto in fin di vita, chiese gli ultimi sacramenti. Chiesto il parere del medico curante, il segretario P. Polanco disse a Ignazio di non esserci urgenza.
    L’ultima notte, Ignazio, sentendo approssimarsi la fine, pregò il Polanco di recarsi dal S. Padre (Paolo IV) e chiedergli la benedizione "in articulo mortis ". Di nuovo il Polanco si consultò col medico, che rispose la morte non essere imminente. E tutto fu rimandato al giorno dopo.
    Ma all’alba del nuovo giorno, 31 luglio 1556, Ignazio entrò in agonia. Polanco, avvisato, si affrettò al palazzo del Papa, che dette di cuore la sua benedizione per il morente. Polanco tornò di corsa a casa, ma quando vi giunse Ignazio era già spirato.
    La notizia si sparse subito per tutta Roma: "E' morto il santo!", si ripeteva ovunque. Sì, Ignazio era morto da santo, nel dolore e nella solitudine, abbandonato al volere totale del suo Dio, secondo le parole della sua preghiera di offerta: "Prendi, o Signore, e accetta tutta la mia libertà, la memoria, l’intelletto e ogni mia volontà...".
    L’offerta era stata davvero totale fino a quest’ultimo, in cui non nessuno dei suoi figli era accanto al suo letto, eccetto il religioso che lo aveva vegliato per la notte.
    Ignazio fu beatificato da Paolo V nel 1609 e canonizzato da Gregorio XV il 12 marzo del 1622 insieme a S. Francesco Saverio, S. Filippo Neri, suo amico, S. Teresa d’Avila e S. Isidoro il contadino. Di lui fu detto: "Aveva il cuore più grande del mondo".

    Autore: Piero Bargellini (con aggiunte)

    *******
    ALTRA BIOGRAFIA DALLO STESSO SITO:

    Il primo scritto che racconta la vita, la vocazione e la missione di s. Ignazio, è stato redatto proprio da lui, in Italia è conosciuto come “Autobiografia”, ed egli racconta la sua chiamata e la sua missione, presentandosi in terza persona, per lo più designato con il nome di “pellegrino”; apparentemente è la descrizione di lunghi viaggi o di esperienze curiose e aneddotiche, ma in realtà è la descrizione di un pellegrinaggio spirituale ed interiore.
    Il grande protagonista della Riforma cattolica nel XVI secolo, nacque ad Azpeitia un paese basco, nell’estate del 1491, il suo nome era Iñigo Lopez de Loyola, settimo ed ultimo figlio maschio di Beltran Ibañez de Oñaz e di Marina Sanchez de Licona, genitori appartenenti al casato dei Loyola, uno dei più potenti della provincia di Guipúzcoa, che possedevano una fortezza padronale con vasti campi, prati e ferriere.
    Iñigo perse la madre subito dopo la nascita, ed era destinato alla carriera sacerdotale secondo il modo di pensare dell’epoca, nell’infanzia ricevé per questo anche la tonsura.
    Ma egli ben presto dimostrò di preferire la vita del cavaliere come già per due suoi fratelli; il padre prima di morire, nel 1506 lo mandò ad Arévalo in Castiglia, da don Juan Velázquez de Cuellar, ministro dei Beni del re Ferdinando il Cattolico, affinché ricevesse un’educazione adeguata; accompagnò don Juan come paggio, nelle cittadine dove si trasferiva la corte allora itinerante, acquisendo buone maniere che tanto influiranno sulla sua futura opera.
    Nel 1515 Iñigo venne accusato di eccessi d’esuberanza e di misfatti accaduti durante il carnevale ad Azpeitia e insieme al fratello don Piero, subì un processo che non sfociò in sentenza, forse per l’intervento di alti personaggi; questo per comprendere che era di temperamento focoso, corteggiava le dame, si divertiva come i cavalieri dell’epoca.
    Morto nel 1517 don Velázquez, il giovane Iñigo si trasferì presso don Antonio Manrique, duca di Najera e viceré di Navarra, al cui servizio si trovò a combattere varie volte, fra cui nell’assedio del castello di Pamplona ad opera dei francesi; era il 20 maggio 1521, quando una palla di cannone degli assedianti lo ferì ad una gamba.
    Trasportato nella sua casa di Loyola, subì due dolorose operazioni alla gamba, che comunque rimase più corta dell’altra, costringendolo a zoppicare per tutta la vita.
    Ma il Signore stava operando nel plasmare l’anima di quell’irrequieto giovane; durante la lunga convalescenza, non trovando in casa libri cavallereschi e poemi a lui graditi, prese a leggere, prima svogliatamente e poi con attenzione, due libri ingialliti fornitagli dalla cognata.
    Si trattava della “Vita di Cristo” di Lodolfo Cartusiano e la “Leggenda Aurea” (vita di santi) di Jacopo da Varagine (1230-1298), dalla meditazione di queste letture, si convinse che l’unico vero Signore al quale si poteva dedicare la fedeltà di cavaliere era Gesù stesso.
    Per iniziare questa sua conversione di vita, decise appena ristabilito, di andare pellegrino a Gerusalemme dove era certo, sarebbe stato illuminato sul suo futuro; partì nel febbraio 1522 da Loyola diretto a Barcellona, fermandosi all’abbazia benedettina di Monserrat dove fece una confessione generale, si spogliò degli abiti cavallereschi vestendo quelli di un povero e fece il primo passo verso una vita religiosa con il voto di castità perpetua.
    Un’epidemia di peste, cosa ricorrente in quei tempi, gl’impedì di raggiungere Barcellona che ne era colpita, per cui si fermò nella cittadina di Manresa e per più di un anno condusse vita di preghiera e di penitenza; fu qui che vivendo poveramente presso il fiume Cardoner “ricevé una grande illuminazione”, sulla possibilità di fondare una Compagnia di consacrati e che lo trasformò completamente.
    In una grotta dei dintorni, in piena solitudine prese a scrivere una serie di meditazioni e di norme, che successivamente rielaborate formarono i celebri “Esercizi Spirituali”, i quali costituiscono ancora oggi, la vera fonte di energia dei Gesuiti e dei loro allievi.
    Arrivato nel 1523 a Barcellona, Iñigo di Loyola, invece di imbarcarsi per Gerusalemme s’imbarcò per Gaeta e da qui arrivò a Roma la Domenica delle Palme, fu ricevuto e benedetto dall’olandese Adriano VI, ultimo papa non italiano fino a Giovanni Paolo II.
    Imbarcatosi a Venezia arrivò in Terrasanta visitando tutti i luoghi santificati dalla presenza di Gesù; avrebbe voluto rimanere lì ma il Superiore dei Francescani, responsabile apostolico dei Luoghi Santi, glielo proibì e quindi ritornò nel 1524 in Spagna.
    Intuì che per svolgere adeguatamente l’apostolato, occorreva approfondire le sue scarse conoscenze teologiche, cominciando dalla base e a 33 anni prese a studiare grammatica latina a Barcellona e poi gli studi universitari ad Alcalà e a Salamanca.
    Per delle incomprensioni ed equivoci, non poté completare gli studi in Spagna, per cui nel 1528 si trasferì a Parigi rimanendovi fino al 1535, ottenendo il dottorato in filosofia.
    Ma già nel 1534 con i primi compagni, i giovani maestri Pietro Favre, Francesco Xavier, Lainez, Salmerón, Rodrigues, Bobadilla, fecero voto nella Cappella di Montmartre di vivere in povertà e castità, era il 15 agosto, inoltre promisero di recarsi a Gerusalemme e se ciò non fosse stato possibile, si sarebbero messi a disposizione del papa, che avrebbe deciso il loro genere di vita apostolica e il luogo dove esercitarla; nel contempo Iñigo latinizzò il suo nome in Ignazio, ricordando il santo vescovo martire s. Ignazio d’Antiochia.
    A causa della guerra fra Venezia e i Turchi, il viaggio in Terrasanta sfumò, per cui si presentarono dal papa Paolo III (1534-1549), il quale disse: “Perché desiderate tanto andare a Gerusalemme? Per portare frutto nella Chiesa di Dio l’Italia è una buona Gerusalemme”; e tre anni dopo si cominciò ad inviare in tutta Europa e poi in Asia e altri Continenti, quelli che inizialmente furono chiamati “Preti Pellegrini” o “Preti Riformati” in seguito chiamati Gesuiti.
    Ignazio di Loyola nel 1537 si trasferì in Italia prima a Bologna e poi a Venezia, dove fu ordinato sacerdote; insieme a due compagni si avvicinò a Roma e a 14 km a nord della città, in località ‘La Storta’ ebbe una visione che lo confermò nell’idea di fondare una “Compagnia” che portasse il nome di Gesù.
    Il 27 settembre 1540 papa Polo III approvò la Compagnia di Gesù con la bolla “Regimini militantis Ecclesiae”.
    L’8 aprile 1541 Ignazio fu eletto all’unanimità Preposito Generale e il 22 aprile fece con i suoi sei compagni, la professione nella Basilica di S. Paolo; nel 1544 padre Ignazio, divenuto l’apostolo di Roma, prese a redigere le “Costituzioni” del suo Ordine, completate nel 1550, mentre i suoi figli si sparpagliavano per il mondo.
    Rimasto a Roma per volere del papa, coordinava l’attività dell’Ordine, nonostante soffrisse dolori lancinanti allo stomaco, dovuti ad una calcolosi biliare e a una cirrosi epatica mal curate, limitava a quattro ore il sonno per adempiere a tutti i suoi impegni e per dedicarsi alla preghiera e alla celebrazione della Messa.
    Il male fu progressivo limitandolo man mano nelle attività, finché il 31 luglio 1556, il soldato di Cristo, morì in una modestissima camera della Casa situata vicina alla Cappella di Santa Maria della Strada a Roma.
    Fu proclamato beato il 27 luglio 1609 da papa Paolo V e proclamato santo il 12 marzo 1622 da papa Gregorio XV.
    Si completa la scheda sul Santo Fondatore, colonna della Chiesa e iniziatore di quella riforma coronata dal Concilio di Trento, con una panoramica di notizie sul suo Ordine, la “Compagnia di Gesù”.
    Le “Costituzioni” redatte da s. Ignazio fissano lo spirito della Compagnia, essa è un Ordine di “chierici regolari” analogo a quelli sorti nello stesso periodo, ma accentuante anche nella denominazione scelta dal suo Fondatore, l’aspetto dell’azione militante al servizio della Chiesa.
    La Compagnia adattò lo spirito del monachesimo, al necessario dinamismo di un apostolato da svolgersi in un mondo in rapida trasformazione spirituale e sociale, com’era quello del XVI secolo; alla stabilità della vita monastica sostituì una grande mobilità dei suoi membri, legati però a particolari obblighi di obbedienza ai superiori e al papa; alle preghiere del coro sostituì l’orazione mentale.
    Considerò inoltre essenziale la preparazione e l’aggiornamento culturale dei suoi membri. È governata da un “Preposito generale”.
    I gradi della formazione dei sacerdoti gesuiti, comprendono due anni di noviziato, gli aspiranti sono detti ‘scolastici’, gli studi approfonditi sono inframezzati dall’ordinazione sacerdotale (solitamente dopo il terzo anno di filosofia), il giovane gesuita verso i 30 anni diventa professo ed emette i tre voti solenni di povertà, castità e obbedienza, più in quarto voto di obbedienza speciale al papa; accanto ai ‘professi’ vi sono i “coadiutori spirituali” che emettono soltanto i tre voti semplici.
    Non c’è un ramo femminile né un Terz’Ordine. La spiritualità della Compagnia si basa sugli ‘Esercizi Spirituali’ di s. Ignazio e si contraddistingue per l’abbandono alla volontà di Dio espresso nell’assoluta obbedienza ai superiori; in una profonda vita interiore alimentata da costanti pratiche spirituali, nella mortificazione dell’egoismo e dell’orgoglio; nello zelo apostolico; nella totale fedeltà alla Santa Sede.
    I Gesuiti non possono possedere personalmente rendite fisse, consentite solo ai Collegi e alle Case di formazione; i professi fanno anche il voto speciale di non aspirare a cariche e dignità ecclesiastiche.
    Come attività, in origine la Compagnia si presentava come un gruppo missionario a disposizione del pontefice e pronto a svolgere qualsiasi compito questi volesse affidargli per la “maggior gloria di Dio”.
    Quindi svolsero attività prevalentemente itinerante, facendo fronte alle più urgenti necessità di predicazione, di catechesi, di cura di anime, di missioni speciali, di riforma del clero, operante nella Controriforma e nell’evangelizzazione dei nuovi Paesi (Oriente, Africa, America).
    Nel 1547, s. Ignazio affidò alla sua Compagnia, un ministero inizialmente non previsto, quello dell’insegnamento, che diventò una delle attività principali dell’Ordine e uno dei principali strumenti della sua diffusione e della sua forza, lo testimoniano i prestigiosi Collegi sparsi per il mondo.
    Alla morte di s. Ignazio, avvenuta come già detto nel 1556, la Compagnia contava già mille membri e nel 1615, con la guida dei vari Generali succedutisi era a 13.000 membri, diffondendosi in tutta Europa, subendo anche i primi martiri (Campion, Ogilvie, in Inghilterra).
    Ma soprattutto ebbe un’attività missionaria di rilievo iniziata nel 1541 con s. Francesco Xavier, inviato in India e nel Giappone, dove i successivi gesuiti subirono come gli altri missionari, sanguinose persecuzioni.
    Più duratura fu la loro opera in Cina con padre Matteo Ricci (1552-1610) e in America Meridionale, specie in Brasile, con le famose ‘riduzioni’. Più sfortunata fu l’opera dei Gesuiti in America Settentrionale, in cui furono martiri i santi Giovanni de Brebeuf, Isacco Jogues, Carlo Garnier e altri cinque missionari.
    Col passare del tempo, nei secoli XVII e XVIII i Gesuiti con la loro accresciuta potenza furono al centro di dispute dottrinarie e di violenti conflitti politico-ecclesiatici, troppo lunghi e numerosi da descrivere in questa sede; che alimentarono l’odio di tanti movimenti antireligiosi e l’astio dei Domenicani, dei sovrani dell’epoca e dei parlamentari e governi di vari Stati.
    Si arrivò così allo scioglimento prima negli Stati di Portogallo, Spagna, Napoli, Parma e Piacenza e infine sotto la pressione dei sovrani europei, anche allo scioglimento totale della Compagnia di Gesù nel 1773, da parte di papa Clemente XIV.
    I Gesuiti però sopravvissero in Russia sotto la protezione dell’imperatrice Caterina II; nel 1814 papa Pio VII diede il via alla restaurazione della Compagnia.
    Da allora i suoi membri sono stati sempre presenti nelle dispute morali, dottrinarie, filosofiche, teologiche e ideologiche, che hanno interessato la vita morale e istituzionale della società non solo cattolica.
    Nel 1850 sorse la prestigiosa e diffusa rivista “La Civiltà Cattolica”, voce autorevole del pensiero della Compagnia; altre espulsioni si ebbero nel 1880 e 1901 interessanti molti Stati europei e sud americani.
    Nell’annuario del 1966 i Gesuiti erano 36.000, divisi in 79 province nel mondo e 77 territori di missione. In una statistica aggiornata al 2002, la Compagnia di Gesù annovera tra i suoi figli 49 Santi di cui 34 martiri e 147 Beati di cui 139 martiri; a loro si aggiungono centinaia di Servi di Dio e Venerabili, avviati sulla strada di un riconoscimento ufficiale della loro santità o del loro martirio.
    L’alto numero di martiri, testimonia la vocazione missionaria dei Gesuiti, votati all’affermazione della ‘maggior gloria di Dio’, nonostante i pericoli e le persecuzioni a cui sono andati incontro, sin dalla loro fondazione.

    Autore: Antonio Borrelli


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    Predefinito Dagli «Atti» raccolti da Ludovico Consalvo dalla bocca di sant'Ignazio

    (Cap. 1, 5-9; Acta SS. Iulii, 7, 1868, 647)

    Essendo stato appassionato divoratore di romanzi e d'altri libri fantasiosi sulle imprese mirabolanti di celebri personaggi, quando cominciò a sentirsi in via di guarigione, Ignazio domandò che gliene fossero dati alcuni tanto per ingannare il tempo. Ma nella casa, dove era ricoverato, non si trovò alcun libro di quel genere, per cui gliene furono dati due intitolati «Vita di Cristo» e «Florilegio di santi», ambedue nella lingua materna.
    Si mise a leggerli e rileggerli, e man mano che assimilava il loro contenuto, sentiva nascere in sé un certo interesse ai temi ivi trattati. Ma spesso la sua mente ritornava a tutto quel mondo immaginoso descritto dalle letture precedenti. In questo complesso gioco di sollecitazioni si inserì l'azione di Dio misericordioso.
    Infatti, mentre leggeva la vita di Cristo nostro Signore e dei santi, pensava dentro di sé e così si interrogava: «E se facessi anch'io quello che ha fatto san Francesco; e se imitassi l'esempio di san Domenico?». Queste considerazioni duravano anche abbastanza a lungo avvicendandosi con quelle di carattere mondano. Un tale susseguirsi di stati d'animo lo occupò per molto tempo. Ma tra le prime e le seconde vi era una differenza. Quando pensava alle cose del mondo era preso da grande piacere; poi subito dopo quando, stanco, le abbandonava, si ritrovava triste e inaridito. Invece quando immaginava di dover condividere le austerità che aveva visto mettere in pratica dai santi, allora non solo provava piacere mentre vi pensava, ma la gioia continuava anche dopo.
    Tuttavia egli non avvertiva né dava peso a questa differenze fino a che, aperti un giorno gli occhi della mente, incominciò a riflettere attentamente sulle esperienze interiori che gli causavano tristezza e sulle altre che gli portavano gioia.
    Fu la prima meditazione intorno alle cose spirituali. In seguito, addentratosi ormai negli esercizi spirituali, costato che proprio da qui aveva cominciato a comprendere quello che insegnò ai suoi sulla diversità degli spiriti.



    Pierre Le Gros il Giovane, La Vera Religione scaccia l'eresia, 1695-99, particolare dell'altare di S. Ignazio, Chiesa del Gesù, Roma

    Pieter Paul Rubens, Miracolo di S. Ignazio, 1618-19, Kunsthistoriches Museum, Vienna

    Pieter Paul Rubens, Miracolo di S. Ignazio, 1620, Kunsthistoriches Museum, Vienna

    Pieter Paul Rubens, Esorcismo di S. Ignazio, 1619 circa, Dulwich Picture Gallery, Londra

    Pierre Hubert Subleyras, Visione di S. Ignazio, XVIII sec.

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    Juan de Valdés Leal, S. Ignazio in penitenza nella cova di Manresa, 1660 circa, Museo de Bellas Artes, Siviglia

    Jusepe de Ribera, S. Ignazio scrive la sua regola, 1620 circa

    Andrea Pozzo, Altare di S. Ignazio, 1695-99, Chiesa del Gesù, Roma

    Ambito di Francisco de Zurbaran, S. Ignazio di Loyola, XVII sec.

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    PAOLO VI

    DISCORSO IN OCCASIONE DELLA XXXII CONGREGAZIONE GENERALE
    DELLA COMPAGNIA DI GESÙ


    Martedì, 3 dicembre 1974

    Venerati e carissimi Padri della Compagnia di Gesù!

    Nel ricevervi oggi, si rinnova per Noi la gioia e la trepidazione del 7 maggio 1965, quando iniziava la XXXI Congregazione Generale della vostra Compagnia, e del 15 novembre dell’anno successivo, alla sua conclusione: gioia grande, per l’effusione di paterna e sincera carità che non può non suscitare ogni incontro tra il Papa e i figli di Sant’Ignazio, soprattutto perché vediamo le testimonianze di apostolato e di fedeltà che ci date, e delle quali ci rallegriamo; ma anche trepidazione per i motivi dei quali vi parleremo oltre. Noi diamo perciò grande importanza a questo nuovo incontro: sia per l’occasione tradizionale che lo origina, l’inaugurazione dei lavori della XXXII Congregazione Generale; sia per il suo significato storico, che va ben oltre il lato contingente. È infatti tutta la Compagnia, che, nel suo cammino nel tempo, dopo oltre quattro secoli di marcia, si trova a Roma, davanti al Papa, e pensa forse alla visione profetica della Storta: Ego vobis Romae propitius ero (P. TACCHI-VENTURI, S.I., Storia della Compagnia di Gesù in Italia narrata col sussidio di fonti inedite, vol. II, parte I, Roma 1950, 2ª ed., p. 4, n. 2; P. RIBADENEIRA, Vita Ignatii, cap. IX: Acta Sanctorum Iulii, t. VII, Antverpiae 1731, p. 683).

    Vi è in voi, vi è in noi il senso d’un momento decisivo, che concentra negli animi i ricordi, i sentimenti, i presagi del vostro destino nella vita della Chiesa. Vedendovi qui, nella rappresentatività di tutte le vostre Province del mondo, il nostro sguardo abbraccia la totalità dei Gesuiti, circa trentamila uomini, che lavorano per il Regno di Dio, ed offrono un contributo di grande valore alle opere apostoliche e missionarie della Chiesa; uomini che si dedicano alle anime, spesso nel nascondimento e nel segreto di una intera esistenza. Ciascuno di questi vostri confratelli fa certo salire dal suo cuore verso questa Congregazione desideri profondi, molti dei quali sono espressi nei «postulata», e che perciò richiedono da voi, delegati, una attenta comprensione e un grande rispetto. Ma più che il numero, sembra a noi che debba contare la qualità di tali desideri, espressi o taciti che siano, che abbracciano certo la conformità alla vocazione e al carisma proprio dei Gesuiti, trasmesso da una ininterrotta tradizione; la conformità alla volontà di Dio, umilmente cercata nella preghiera; e la conformità alla volontà della Chiesa, nella linea del grande movimento spirituale che ha sorretto, e sorregge tuttora, come sorreggerà in avvenire la Compagnia.

    URGENZA DEL MOMENTO

    Comprendiamo la peculiarità del momento, che richiede anche da parte vostra non la solita e ordinaria amministrazione, bensì un esame profondo e sintetico, libero e globale sullo stato della vostra odierna maturazione verso i problemi e la situazione della Compagnia. È un atto da compiere con estrema lucidità e con spirito soprannaturale - confrontare la vostra identità con quanto sta avvenendo nel mondo e nella Compagnia stessa - tenendovi unicamente in ascolto della voce dello Spirito Santo, sotto la guida e l'illuminazione del Magistero, con una disposizione perciò di umiltà, di coraggio e di risolutezza per decidere sugli opportuni orientamenti perché non sia prolungato uno stato di indeterminatezza che diverrebbe pericolosa. Tutto questo con grande fiducia.

    Noi vi confermiamo la nostra: vi amiamo sinceramente, e vi riteniamo capaci di quel rinnovamento e riassestamento che tutti auspichiamo.

    Ecco il significato di questo incontro di riflessione. Già vi facemmo conoscere in merito il nostro pensiero con le lettere che il Cardinale Segretario di Stato ha inviato in nostro nome il 26 marzo 1970 e il 15 febbraio 1973; e con quella del 15 settembre 1973, In Paschae solemnitate, da noi destinata al Preposito Generale, e, per lui, a tutti i membri della Compagnia.

    Continuando sulla linea di pensiero di quel documento, che noi speriamo sia stato da voi meditato e approfondito, com’era nei nostri voti, noi vi parliamo oggi con un affetto, con un’urgenza particolari, in nome di Cristo, e come, a voi piace di considerarci, Superiore supremo della Compagnia, in vista del legame speciale che unisce la Compagnia stessa, fin dalla fondazione, al Romano Pontefice. I Papi hanno sempre posto una speranza particolare nella Compagnia di Gesù.

    E noi, che in occasione della precedente Congregazione vi affidammo il particolare incarico di far fronte all’ateismo, come espressione moderna del vostro voto di obbedienza al Papa (AAS 57, 1965, p. 514; 58, 1966, p. 1177), ci rivolgiamo oggi a voi all’inizio di questi lavori ai quali tutta la Chiesa guarda, proprio per confortare e stimolare le vostre riflessioni; e vi osserviamo nella vostra totalità di grande Famiglia religiosa, che si ferma un istante e si consulta sulla via da tenere.

    A noi pare che, ascoltando in quest’ora di trepida vigilia e d’intensa attenzione quid Spiritus dicat a voi e a noi (cfr. Apoc. 2, 7, etc.), sorgano nel nostro animo tre domande, alle quali ci sentiamo tenuti a rispondere: «Donde venite?» «Chi siete?» «Dove andate?».

    Noi siamo qui, come Pietra miliare, a misurare, sia pure con un solo sguardo, il cammino da voi finora compiuto.

    «DONDE VENITE?»

    I. Donde venite, dunque? E il pensiero va a quel complesso secolo XVI, nel quale si ponevano le fondazioni della civiltà e della cultura moderna, e la Chiesa, minacciata dalla scissione, dava inizio a una nuova èra di rinnovamento religioso e sociale, fondato sulla preghiera e sull’amore di Dio e dei fratelli, cioè sulla ricerca della più genuina santità. Era un momento affascinato da una nuova concezione dell’uomo e del mondo, che spesso - anche se non è stato questo l’umanesimo più genuino - stava per relegare Dio al di fuori dell’orizzonte della vita e della storia; era un mondo che prendeva dimensioni nuove dalle recenti scoperte geografiche; e perciò, per tanti aspetti - sconvolgimenti, riflessioni, analisi, ricostruzioni, slanci, aspirazioni, ecc. – non poco simile al nostro.

    Su quello sfondo tempestoso e magnifico si colloca la figura di Sant’Ignazio. Sì, donde venite? E ci pare di udire a un solo grido, tamquam vox aquarum multarum (Apoc. 1, 15), salire dal fondo dei secoli da tutti i vostri confratelli: noi veniamo da Ignazio di Loyola, il nostro Fondatore; veniamo da colui che ha segnato un’orma indelebile non solo nell’Ordine, ma anche nella storia della spiritualità e dell’apostolato di tutta la Chiesa.

    - Con lui, veniamo da Manresa, dalla mistica grotta che vide le successive ascensioni della sua grande anima, dalla pace serena dei principianti alle purificazioni della notte dello spirito, fino alle grandi grazie mistiche delle visioni trinitarie (cfr. HUGO RAHNER, Ignatius von Loyola u. das geschichtliche Werden seiner Frommigkeit, Graz 1947, cap. III).

    Iniziarono allora i primi lineamenti dell’opera, che ha formato nei secoli le anime, orientandole verso Dio, gli Esercizi Spirituali che, tra l’altro, insegnano ad usare «con grande animo e liberalità verso il Creatore e Signore, offrendogli tutto il proprio volere e libertà, perché sua divina Maestà, così nella persona come di tutto quello che essa ha, si serva conforme alla sua santissima volontà» (Annotaciones, 5: Monumenta Ignatiana, series secunda, Exercitia Spiritualia S. Ignatii de Loyola et eorum Directoria, nova editio, tom. I, Exerc. Spir.: MHSI, vol. 100, Romae 1969, p. 146).

    - Con Sant’Ignazio - voi ci rispondete ancora - noi veniamo da Montmartre, dove il nostro Fondatore il 15 agosto 1534, dopo la Messa celebrata da Pietro Fabro, pronunciò con lui, con Francesco Saverio, del quale oggi celebriamo la festa, con Salmeròn, e Laìnez e Rodrigues e Bobadilla, i voti che dovevano segnare come la gemma primaverile da cui sarebbe sbocciata a Roma la Compagnia (P. TACCHI-VENTURI, op. cit., vol. II, parte I, pp. 63 ss.).

    - E con Sant’Ignazio - voi continuate - noi siamo a Roma, donde con lui siamo partiti, forti della benedizione del Successore di Pietro, da quando Paolo III, dopo l’appassionata apologia del Cardinale Gaspare Contarini nel settembre 1539, diede la prima approvazione orale, preludio di quella Bolla Regimini Ecclesiae Militantis del 27 settembre 1540, che sancì con la suprema autorità della Chiesa l’esistenza della nuova Società di Presbiteri. La sua originalità stava, pare a noi, nell’aver intuito che i tempi richiedevano persone completamente disponibili, capaci di staccarsi da tutto e di seguire qualunque missione fosse indicata dal Papa, e reclamata a suo giudizio dal bene della Chiesa, mettendo sempre in primo piano la gloria di Dio: ad maiorem Dei gloriam. Ma S. Ignazio guardava anche oltre quei tempi, come scriveva al termine del Quinque Capitula: Haec sunt quae de nostra professione typo quodam explicare potuimus, quod nunc facimus ut summatim scriptione hac informemus tum illos qui nos de nostro vitae instituto interrogant, tum etiam posteros nostros si quos, Deo uolente, imitatores habebimus huius vitae (P. TACCHI-VENTURI, op. cit., vol. I, parte II, Roma, 2ª ed. 1931, p. 189).

    Tali siete stati voluti, tali siete nati: questi fatti dànno, si può dire, la definizione della Compagnia, com’è ricavata dalle origini, e ne indicano le linee costituzionali, e le imprimono il dinamismo, che come una molla continua l’ha sorretta nei secoli.

    «CHI SIETE?»

    II. Sappiamo dunque chi siete. Come abbiamo sintetizzato nella nostra lettera In Paschae solemnitate, voi siete membri di un Ordine religioso, apostolico, sacerdotale, unito col Romano Pontefice da uno speciale vincolo di amore e di servizio, nel modo descritto nella Formula Instituti.

    Siete religiosi, perciò uomini di preghiera, di imitazione evangelica del Cristo, e dotati di spirito soprannaturale, garantito e protetto dai voti religiosi di povertà, castità e obbedienza, i quali non sono un ostacolo della libera persona, quasi fossero relitto di epoche sociologicamente superate, ma invece sono chiara volontà di affrancamento nello spirito del Discorso della Montagna, mediante i quali impegni colui che è chiamato - come ha sottolineato il Vaticano II - «per poter raccogliere più copioso il frutto della grazia battesimale, . . . .intende liberarsi dagli impedimenti, che potrebbero distoglierlo dal fervore della carità e dalla perfezione del culto divino, e si consacra più intimamente al servizio di Dio» (Lumen Gentium, 44; cfr. Perfectae Caritatis, 12-14). Come religiosi siete uomini dediti all’austerità della vita, per imitare il Figlio di Dio, il quale « spogliò se stesso assumendo la condizione di servo» (Phil. 2, 7), e «da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (2 Cor. 8, 9); come religiosi dovete quindi rifuggire - come scrivevamo nella menzionata Lettera, - «dai facili compromessi con la mentalità desacralizzata e corriva di tante forme odierne della vita morale»; e altresì riconoscere e vivere - coraggiosamente ed esemplarmente - «il valore ascetico e formativo della vita comune», custodendolo intatto contro le tentazioni dell’individualismo e della autonoma singolarità.

    Siete apostoli, inoltre: cioè missionari, mandati in ogni direzione secondo la fisionomia più autentica e genuina della Compagnia: uomini che Cristo stesso invia in tutto il mondo a diffondere la sua santa dottrina, tra gli uomini in ogni stato e condizione (cfr. Ex. Spir. n. 145: cfr. MHSI, vol. 100, Romae 1969, p. 246). È questa una caratteristica fondamentale e insostituibile del vero Gesuita, che trova appunto negli Esercizi, come nelle Costituzioni, le spinte continue a praticare le virtù a lui proprie, indicate da Sant’Ignazio, e ciò in un modo più forte, in una tensione più grande, in una ricerca continua del meglio, del «magis», del più (cfr. i criteri delle Costituzioni). E la stessa diversità di ministeri, a cui la Compagnia si dedica, attinge da tali sorgenti la sua più profonda ragione di quella vita apostolica, che dev’essere vissuta «pleno sensu».

    Sacerdoti, poi, siete: anche questo è carattere essenziale della Compagnia, pur non dimenticando l’antica e legittima tradizione dei benemeriti Fratelli, non insigniti dell’Ordine sacro, che pure hanno sempre avuto un ruolo onorato ed efficiente nella Compagnia. La «sacerdotalità» è stata formalmente richiesta dal Fondatore per tutti i religiosi professi; e ben a ragione, perché il sacerdozio è necessario all’Ordine da lui istituito con la precipua finalità della santificazione degli uomini mediante la Parola e i sacramenti.

    Effettivamente, il carattere sacerdotale è richiesto dalla vostra dedizione alla vita apostolica, ripetiamo «pleno sensu»: dal carisma dell’Ordine sacerdotale, che configura a Cristo inviato dal Padre, nasce principalmente l’apostolicità della missione, a cui, come Gesuiti, siete deputati. Siete perciò sacerdoti, allenati a quella familiaritas cum Deo, con cui Sant’Ignazio volle fondare la Compagnia; sacerdoti che insegnano, provvisti della «sermonis gratia» (cfr. Monumenta Ignatiana, Sancti Ignatii de Loyola Constitutiones Societatis Iesu, tomus III, textus latinus, p. 1, c. 2, 9 (59-60); MHSI, vol. 65, Romae 1938, p. 49); tesi a far sì che «la parola del Signore si diffonda e sia glorificata» (2 Thess. 3, 1); siete sacerdoti che amministrano la grazia di Dio, con i sacramenti, sacerdoti che ricevono potestà e hanno il dovere di partecipare organicamente all’opera apostolica di alimento e di unione della comunità cristiana, specialmente con la celebrazione dell’Eucaristia; sacerdoti perciò consapevoli, come abbiamo detto in un nostro discorso nel 1963, del «rapporto antecedente e conseguente (del Sacerdozio) con l’Eucaristia, per il quale il Sacerdote è ministro generatore di tanto Sacramento, e poi primo adoratore e sapiente rivelatore e instancabile distributore» (alla XIII Settimana Naz. di Aggiornamento Pastorale, 6 sett. 1963; AAS 55, 1963, p. 754).

    UNITI CON IL PAPA

    Infine, siete uniti col Papa da uno speciale voto: perché questa unione col Successore di Pietro, che è il nucleo principale dei membri della Compagnia, ha sempre assicurato, anzi è il segno visibile della vostra comunione con Cristo. Capo primo e supremo della Compagnia che per antonomasia è sua, di Gesù. Ed è l’unione col Papa che ha sempre reso i membri della Società veramente liberi, cioè posti sotto la direzione dello Spirito, abilitati a tutte le missioni anche più ardue o più lontane, non legati a condizioni anguste di tempo e di luogo, provvisti di un respiro veramente cattolico, universale.

    Nella fusione di questa quadruplice nota noi vediamo dispiegarsi tutta la meravigliosa ricchezza e adattabilità che ha caratterizzato la Compagnia nei secoli, come Compagnia di «inviati» dalla Chiesa: di qui la ricerca e l’insegnamento teologici; di qui l’apostolato di predicazione, di assistenza spirituale, di pubblicazioni ed edizioni, di animazione di gruppi, di formazione mediante la Parola di Dio e il sacramento della riconciliazione, secondo un preciso e geniale impegno voluto dal Santo; di qui l’apostolato sociale e l’azione intellettuale e culturale, che dalle scuole per l’educazione integrale dei giovani raggiunge tutti i gradi della formazione universitaria e della ricerca scientifica; di qui la «puerorum ac rudium in christianismo institutio», che S. Ignazio dà ai suoi figli, fin dalla prima minuta dei suoi Quinque Capitula, come uno dei loro fini precipui (cfr. P. TACCHI-VENTURI, op. cit., vol. I, parte II, p. 183); di qui le missioni, testimonianza concreta e commovente della «missione» della Compagnia; di qui la cura ai poveri, ai malati, agli emarginati. Ovunque nella Chiesa, anche nei campi più difficili e di punta, nei crocevia delle ideologie, nelle trincee sociali, vi è stato e vi è il confronto tra le esigenze brucianti dell’uomo e il perenne messaggio del Vangelo, là vi sono stati e vi sono i Gesuiti: la vostra Società aderisce e si confonde con la società della Chiesa, nelle opere molteplici che sapete animare, pur tenendo presente la necessità che tutte siano unificate dall’unico punto di vista della gloria di Dio e della santificazione degli uomini, senza dispersioni che impediscano scelte prioritarie.

    E allora perché dubitate? Avete una spiritualità fortemente tracciata, un’identità inequivocabile, una conferma secolare che giunge dalla bontà di metodi, che, passati attraverso il crogiuolo della storia, portano tuttora l’impronta della forte spiritualità di Sant’Ignazio. Allora non bisognerà assolutamente mettere in dubbio che un più profondo impegno nella via fin qui percorsa, nel carisma proprio, non sia nuovamente fonte di fecondità spirituale e apostolica. È vero, è diffusa oggi nella Chiesa la tentazione caratteristica del nostro tempo: il dubbio sistematico, la critica della propria identità, il desiderio di cambiare, l’indipendenza e l’individualismo. Le difficoltà che voi avvertite sono quelle che prendono oggi i cristiani in generale, davanti alla profonda mutazione culturale che colpisce il senso stesso di Dio; le vostre sono le stesse difficoltà degli apostoli di oggi, che sentono l’assillo di annunziare il Vangelo e la difficoltà di tradurlo in un linguaggio recepibile dai contemporanei; sono le difficoltà di altri Ordini religiosi. Comprendiamo i dubbi e le difficoltà vere, serie, che alcuni di voi provano. Voi siete agli avamposti di quella rinnovazione profonda che la Chiesa, specie dopo il Concilio Vaticano II, sta affrontando in questo mondo secolarizzato. La vostra Compagnia è, diciamo, il test della vitalità della Chiesa attraverso i secoli; essa è forse uno dei crogiuoli più significativi, nei quali si incontrano le difficoltà, le tentazioni, gli sforzi, la perennità e i successi della Chiesa intera.

    Certamente è una crisi di sofferenza, e forse di crescenza, come più volte è stato detto: ma noi, in qualità di Vicario di Cristo, che deve confermare nella fede i fratelli (cfr. Luc. 22, 32), e voi parimente, che avete la pesante responsabilità di rappresentare consapevolmente le aspirazioni dei vostri Confratelli, tutti dobbiamo vegliare affinché l’adattamento necessario non si compia a detrimento dell’identità fondamentale, dell’essenzialità della figura del Gesuita, quale è descritta nella Formula Instituti, quale la storia e la spiritualità propria dell’Ordine la propongono, e quale l’interpretazione autentica dei bisogni stessi dei tempi sembra ancora oggi reclamare. Quell’immagine non dev’essere alterata, non deve essere sfigurata.

    Non si potrà chiamare necessità apostolica ciò che non sarebbe altro che decadenza spirituale, quando Ignazio avvisa chiaramente ogni confratello inviato in missione che, «rispetto a sé isteso, procuri di non dimenticarsi di sé per attendere agli altri, non volendo far un minimo peccato per tutto il guadagno spirituale posibile, né anche metendosi in pericolo» (Monumenta Ignatiana, series prima, Sancti Ignatii de Loyola Epistolae et Instrtictiones, tom. XII, fasc. II: MHSI, Annus 19, fasc. 217, Ianuario 1912, Matriti, pp. 251-252). Se la vostra Società si pone in crisi, se cerca avventurose vie che non sono le sue, ne vengono a soffrire anche tutti coloro che, in un modo o nell’altro, debbono ai Gesuiti tanto e tanto della loro formazione cristiana.

    Ora, voi lo sapete quanto Noi, oggi appare in alcune vostre file un forte stato di incertezza, anzi una certa fondamentale rimessa in questione della vostra stessa identità. La figura del Gesuita, quale l’abbiamo tratteggiata in sommi capi, è sostanzialmente quella di un animatore spirituale, di un educatore alla vita cattolica dei contemporanei nella fisionomia sua propria, come abbiamo detto, di sacerdote e di apostolo. Ma, ci chiediamo, e voi vi chiedete, a titolo di coscienziosa verifica e di rassicurante conferma, a che punto sta ora la vita di preghiera, la contemplazione, la semplicità di vita, la povertà, l’uso dei mezzi soprannaturali? A che punto sta l’adesione e la testimonianza leale circa i punti fondamentali della fede e della morale cattolica, come sono proposti dal Magistero ecclesiastico? La volontà di collaborare con piena fiducia all’opera del Papa? Le «nubi sul cielo», che vedevamo nel 1966, sia pure «in gran parte dissipate» dalla XXXI Congregazione Generale (AAS 58, 1966, p. 1174), non hanno forse purtroppo continuato a gettare qualche ombra sulla Compagnia? Alcuni fatti dolorosi, che mettono in discussione l’essenza stessa dell’appartenenza alla Compagnia, si ripetono con troppa frequenza, e ci vengono segnalati da tante parti, specialmente dai Pastori delle diocesi, ed esercitano una triste influenza nel clero, negli altri religiosi, nel laicato cattolico. Questi fatti chiedono a Noi e a voi una espressione di rammarico: non certo per insistervi, ma per cercare insieme i rimedi affinché la Compagnia rimanga, o torni ad essere ciò di cui vi è bisogno, ciò che essa dev’essere per rispondere all’intenzione del Fondatore e alle attese della Chiesa, oggi. Occorre uno studio intelligente di ciò che è la Compagnia, un’esperienza delle situazioni e degli uomini; ma occorre altresì, e sarà bene insistervi, un senso spirituale, un giudizio di fede sulle cose che dobbiamo fare, sulla via che ci si apre davanti, tenendo conto della volontà di Dio il quale esige una disponibilità incondizionata.

    «DOVE ANDATE?»

    III. Dove andate, dunque? La domanda non può rimanere inevasa. Ve la state ponendo da tempo, del resto, con lucidità, forse con rischio.

    La meta, a cui tendete, e di cui questa Congregazione Generale è l’opportuno segno dei tempi, è e dev’essere senza dubbio la prosecuzione di un sano, equilibrato, giusto aggiornamento nella fedeltà sostanziale alla fisionomia specifica della Compagnia, nel rispetto del carisma del vostro Fondatore. È stato questo il voto del Concilio Vaticano II, col Decreto Perfectae caritatis, che ha auspicato «il continuo ritorno alle fonti di ogni vita cristiana e allo spirito primitivo degli istituti, e l’adattamento degli istituti stessi alle mutate condizioni dei tempi» (ibid. 2). Noi vorremmo ispirarvi piena fiducia e darvi slancio a camminare al passo con le esigenze del mondo spirituale di oggi, ricordandovi però, come già facemmo in forma generale nell’Esortazione Apostolica Evangelica testificatio, che tale necessario rinnovamento non sarebbe efficace qualora si scostasse dalla identità propria della vostra Famiglia religiosa, così chiaramente descritta nella vostra Regola fondamentale o Formula Instituti: «per un essere che vive, l’adattamento al suo ambiente non consiste nell’abbandonare la sua vera identità, ma nell’affermarsi, piuttosto, nella vitalità che gli è propria. La profonda comprensione delle tendenze attuali e delle istanze del mondo moderno deve far zampillare le vostre sorgenti con rinnovato vigore e freschezza. Tale impegno è esaltante, in proporzione delle difficoltà». (n. 51; AAS 63, 1971, p. 523).

    oi vi incoraggiamo pertanto, con tutto il Nostro cuore, a perseguire l’aggiornamento voluto tanto chiaramente e autorevolmente dalla Chiesa. Ma, al tempo stesso, Noi non ce ne nascondiamo, come voi del resto, tutto il peso e la responsabilità. Il mondo in cui viviamo pone in crisi la nostra mentalità religiosa e talvolta perfino la nostra scelta di fede: viviamo in una prospettiva abbagliante di umanesimo profano, legata ad una critica razionalistica e areligiosa con cui l’uomo vuol condurre a termine il suo perfezionamento personale e sociale unicamente con i propri sforzi, mentre invece per noi, uomini di Dio, si tratta della divinizzazione dell’uomo nel Cristo, mediante la fede nel Dio vivente, l’imitazione maggiormente perfetta del Cristo, la scelta della Croce, della lotta contro il maligno e il peccato . . . Ricordate il «sub crucis vexillo Deo militare et soli Domino atque Romano Pontifici . . . servire»? (Bolla Regimini militantis Ecclesiae, in P. TACCHI-VENTURI, op. cit., vol. I, parte II, Documenti, Roma 1931, pp. 182-183). Il secolo di Ignazio subiva una trasformazione umanistica altrettanto forte, sia pure non altrettanto virulenta come quella dei secoli successivi, che hanno visto in azione i maestri del dubbio sistematico, della negazione radicale, della utopia idealista di un regno solo temporale sulla terra, chiuso a ogni possibilità di vera trascendenza. Ma «dov’è mai il sottile ragionatore di questo mondo? Non ha forse Dio dimostrato stolta la sapienza di questo mondo? Poiché, infatti, nel disegno sapiente di Dio il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio di salvare i credenti con la stoltezza della predicazione» (1 Cor. 1, 20-21). Noi siamo gli araldi di questa sapienza paradossale, di questo annuncio faticoso: ma, come abbiamo ricordato ai Confratelli nell’Episcopato, a conclusione del Sinodo, così ora a voi ripetiamo che, nonostante le difficoltà, «Cristo è con noi, è in noi, egli parla in noi e per mezzo nostro, e non ci farà mancare l’aiuto necessario» (cfr. L’Osservatore Romano, 27 ottobre 1974, p. 2) per trasmettere il messaggio cristiano ai nostri contemporanei.

    FEDELTÀ VIVA E FECONDA

    Lo sguardo realistico su questo mondo ci rende avvertiti di un altro pericolo: il fenomeno della novità per se stessa, che pone tutto in discussione. La novità è la spinta per il progresso umano e spirituale, è vero : ma solo quando essa vuole restare ancorata alla fedeltà a Colui che fa nuove tutte le cose (cfr. Apoc. 21, 5), nel mistero sempre rinnovantesi e sempre rinnovatore della sua Morte e della sua Risurrezione, alla quale ci assimila nei Sacramenti della sua Chiesa, e non quando questa novità si risolve in un relativismo che distrugge oggi ciò che ha edificato ieri. Di fronte a queste tentazioni, non è difficile perciò vedere le possibilità che si offrono al dinamismo della vostra marcia in avanti: un forte richiamo nelle due direzioni della fede e dell’amore.

    Quindi, nel cammino che vi si apre innanzi in questo scorcio del secolo, segnato dall’Anno Santo come segno premonitore di buon auspicio per una radicale conversione a Dio, noi vi indichiamo il duplice carisma dell’apostolo, che deve garantire la vostra identità e illuminare costantemente il vostro insegnamento, i centri di studio, le vostre pubblicazioni periodiche: da una parte, la fedeltà non sterile e statica, ma viva e feconda, alla tradizione, alla fede, all’istituzione del Fondatore, per rimanere sale della terra e luce del mondo (Matth. 5, 13, 14). Custodite il buon deposito (cfr. 1 Tim. 6, 20; 2 Tim. 1, 14). «Rivestitevi dell’armatura di Dio per poter resistere alle insidie del diavolo. La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra . . . Prendete perciò l’armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver superato tutte le prove» (Eph. 6, 11-13).

    Dall’altra parte, ecco il carisma della carità, cioè del servizio generoso agli uomini fratelli, che camminano accanto a noi verso l’avvenire; è l’ansia di Paolo, che ogni vero apostolo sente bruciare dentro di sé: «Mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno . . . Mi sforzo di piacere a tutti in tutto, senza cercare l’utile mio, ma quello di molti, perché giungano alla salvezza» (1 Cor. 9, 22; 10, 33).

    La perfezione è nella simultaneità dei due carismi, fedeltà e servizio, senza che uno prenda il sopravvento sull’altro. Cosa certo difficile, ma possibile. Oggi è fortissimo il fascino del secondo carisma: il prevalere dell’agire sull’essere; dell’agitazione sulla contemplazione; dell’esistenza concreta sulla speculazione teorica, il che ha portato da una teologia deduttiva a una induttiva; tutto ciò potrebbe far pensare che i due aspetti della fedeltà e della carità siano opposti. Ma non è così, voi lo sapete: entrambi procedono dallo Spirito che è amore. Non si ameranno mai troppo gli uomini: ma solo nell’amore e con l’amore di Cristo. «La Chiesa si applica a far vedere in ogni argomento che la dottrina rivelata, in quanto cattolica, assume e completa tutti i giusti pensieri degli uomini, che di per se stessi hanno sempre qualcosa di frammentario e di meschino » (H. DE LUBAC, Catholicisme, Paris 1952, cap. IX, p. 248). Diversamente, la disponibilità del servizio può degenerare in relativismo, in conversione al mondo e alla sua mentalità immanentistica, in assimilazione col mondo che si voleva salvare, in secolarismo, in fusione col profano. Non vi prenda, vi scongiuriamo, lo spiriturs vertiginis (Is. 19, 14).

    A questo proposito, vi vogliamo ancora indicare alcuni orientamenti, che potrete sviluppare nelle vostre riflessioni:

    a) il discernimento, a cui la spiritualità ignaziana vi tiene singolarmente allenati, dovrà sempre sostenervi nella difficile ricerca della sintesi dei due carismi, dei due poli della vostra vita. Occorrerà saper leggere sempre con chiarezza lucidissima e conseguenziale tra le esigenze del mondo e quelle del Vangelo, del suo paradosso di morte e vita, di croce e di risurrezione, di stoltezza e di sapienza. Vi orienti il discernimento provocatorio di Paolo: «Quello che poteva essere per me un guadagno, l’ho considerato una perdita a motivo di Cristo. Anzi, tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore . . . perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme, con la speranza di giungere alla risurrezione dai morti» (Phil. 3, 7.8, 10-l 1). Ricordiamo sempre che un sommo criterio è quello dato da Nostro Signore: «Dai loro frutti li riconoscerete» (Matth. 7, 16); e lo sforzo che deve guidare il vostro discernimento sarà quello di essere docili alla voce dello Spirito, per produrre il frutto dello Spirito, «che è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal. 5, 22).

    b) Sarà opportuno, poi, ricordare la necessità di bene operare una scelta di fondo tra le varie sollecitazioni che vi vengono dall’apostolato nel mondo di oggi. Oggi, è un fatto, si nota la difficoltà di compiere scelte riflesse e decise; si teme forse di non poter giungere a una piena autorealizzazione; e perciò si vuol essere tutto, si vuole far tutto, seguire indiscriminatamente tutte le vocazioni umane e cristiane, del sacerdote e del laico, degli Istituti Religiosi e di quelli Secolari, applicandosi a campi non propri. Di qui l’insoddisfazione, l’improvvisazione, lo scoraggiamento. Ora, voi avete una vocazione precisa, quella che vi abbiamo ora ricordata, una specificità inconfondibile nella spiritualità e nella vocazione apostolica. È questa che dovete approfondire nelle sue linee maestre.

    DISPONIBILITÀ ALL'OBBEDIENZA

    c) Infine, ritorniamo a ricordarvi la disponibilità all’obbedienza. Questo è il tratto diremmo fisionomico della Compagnia. «In altri Ordini - ha scritto Sant’Ignazio nella famosa lettera del 26 marzo 1553 - si può trovar vantaggio in digiuni, veglie, ed altre asperità . . . . ma io desidero molto, fratelli carissimi, che coloro che servono Dio Nostro Signore in questa Compagnia si segnalino nella purità e perfezione dell’obbedienza, con la rinuncia vera alle nostre volontà e l’abnegazione dei nostri giudizi» (Monumenta Ignatiana, series prima, Sancti Ignatii de Loyola, Societatis Iesu Fundatoris Epistolae et Instructiones, tomus IV, fasc. V: MHSI, Annus 13, fasc. 153, sett. 1906, Matriti, p. 671).

    Nell’obbedienza vi è l’essenza stessa dell’imitazione di Cristo, «il quale redense per obbedienza il mondo perduto a motivo della sua mancanza, factus obediens usque ad mortem, mortem autem crucis» (ibid.). Nell’obbedienza v’è il segreto della fecondità apostolica. Più voi fate opera di pionieri, più vi è necessario essere strettamente uniti a colui che vi manda: «Tutte le audacie apostoliche sono permesse, quando si è sicuri dell’obbedienza degli apostoli» (LOEW, Journal d’une mission ouwrière, p. 452). Non ignoriamo certo che se l’obbedienza è molto esigente per quanti obbediscono, essa non lo è di meno per quanti esercitano l’autorità: ad essi è richiesto di ascoltare senza parzialità le voci di tutti i loro figli; di circondarsi di consiglieri prudenti per vagliare lealmente le situazioni; di scegliere davanti a Dio ciò che meglio corrisponde alla sua volontà e di intervenire con fermezza ovunque vi si sia allontanati. Effettivamente ogni figlio della Chiesa sa bene che il banco di prova della sua fedeltà si fonda sull’obbedienza: «il cattolico sa che la Chiesa non comanda che per il fatto ch’essa anzitutto obbedisce a Dio». Egli vuol essere un «uomo libero», ma rifugge dall’essere tra coloro che «si servono della liberta come di un mantello per coprire la loro malizia» (1 Petr. 2, 16). L’obbedienza è per lui il prezzo della libertà, come è condizione dell’unità» (H. DE LUBAC, Méditation sur l’Eglise, p. 224, cfr. pp. 222-230).

    Diletti figli!

    Al termine di questo incontro, crediamo di avervi dato qualche indicazione circa la via che dovete percorrere nel mondo odierno; e abbiamo anche voluto indicarvi quella del mondo futuro. Conoscetelo, avvicinatelo, servitelo, amatelo questo mondo; e in Cristo sarà vostro. Guardatelo con gli stessi occhi di Sant’Ignazio, avvertite le stesse esigenze spirituali, usatene le stesse armi: preghiera, scelta della parte di Dio, della sua gloria, pratica dell’ascesi, disponibilità assoluta.

    Pensiamo di non chiedervi troppo esprimendo il desiderio che la Congregazione approfondisca e ridica gli «elementi essenziali» («essentialia») della vocazione gesuitica, in modo che tutti i vostri Confratelli possano riconoscersi, ritemprare il proprio impegno, riscoprire la propria identità, risentire la propria vocazione, rifondere la propria unione comunitaria. Il momento lo esige, la Compagnia aspetta una voce decisiva. Non lasciatela mancare!

    Noi vi seguiamo con vivissimo interesse in questi vostri lavori, che dovranno avere un grande influsso di santità e di slancio apostolico, di fedeltà al vostro carisma e alla Chiesa, accompagnandoli specialmente con la preghiera affinché la luce dello Spirito Santo, lo Spirito del Padre e del Figlio, vi illumini, vi conforti, vi guidi, vi richiami, vi dia impulso a seguire sempre più da vicino Cristo Crocifisso. A Gesù salga in questo momento la comune preghiera, secondo le parole stesse di Ignazio: «Prendete, Signore, e ricevete tutta la mia libertà, la mia memoria, il mio intelletto e tutta la mia volontà, ogni mio avere e ogni mio possesso; voi me lo deste, a voi, Signore, lo rendo; tutto è vostro, disponete secondo ogni vostra volontà, datemi il vostro amore e la vostra grazia, ché questa mi basta» (Esercizi Spirituali, n. 234; op. cit., MHSI, vol. 100, Romae 1969, pp. 308-309).

    Così, così, fratelli e figli. Avanti, in Nomine Domini. Camminiamo insieme, liberi, obbedienti, uniti nell’amore di Cristo, per la maggior gloria di Dio. Amen.

    Baciccio (Giovanni Battista Gaulli), Visione di S. Ignazio a La Storta, 1684-85, Worcester Art Museum, Worcester

    Baciccio (Giovanni Battista Gaulli), Apoteosi di S. Ignazio, 1685 circa, Galleria Nazionale d'Arte Antica, Roma

    Domenichino, Visione di S. Ignazio a La Storta, 1620, Los Angeles County Museum of Art, Los Angeles

    Sebastiano Ricci, Sacra Famiglia con S. Ignazio, 1704, collezione privata

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    Gli Esercizi Spirituali di S. Ignazio di Loyola

    di Gaetano Iannaccone S.I.


    Sono veri Esercizi Spirituali, non virtuali, ne' fatti via Internet, ma reali e della durata di 5 giorni.

    Dice Sant'Ignazio: ANNOTAZIONI PER DARE UNA PRIMA IDEA DEGLI ESERCIZI SPIRITUALI CHE SEGUONO, E PER AIUTARE SIA CHI LI DEVE PROPORRE SIA CHI LI DEVE FARE.

    [1] Prima annotazione. Con il termine di esercizi spirituali si intende ogni forma di esame di coscienza, di meditazione, di contemplazione, di preghiera vocale e mentale, e di altre attività spirituali, come si dirà più avanti. Infatti, come il passeggiare, il camminare e il correre sono esercizi corporali, così si chiamano esercizi spirituali i diversi modi di preparare e disporre l'anima a liberarsi da tutte le affezioni disordinate e, dopo averle eliminate, a cercare e trovare la volontà di Dio nell'organizzazione della propria vita in ordine alla salvezza dell'anima.


    Anno 1548. Il giovane Duca di Gandìa (Spagna), Francesco Borgia, pronipote di Papa Alessandro VI, fa pervenire al Pontefice Paolo III una singolare petizione: l'approvazione pontificia di un libretto di Esercizi Spirituali, scritto da Ignazio di Loyola, Generale e Fondatore della Compagnia di Gesù, che lo stesso Papa aveva approvata otto anni prima.

    Ignazio e i suoi Compagni già davano questi Esercizi, con frutti spirituali eccellenti. Ma, per essi, S.Ignazio era stato due volte in carcere ad Alcalà e a Salamanca, vittima dei sospetti dell'Inquisizione, che in tempo di Riforma Protestante guardava con diffidenza qualsiasi nuovo movimento spirituale.

    La risposta del Papa venne il 31 luglio 1548: "Avendo fatto esaminare detti Esercizi e udite anche testimonianze e rapporti favorevoli [...] abbiamo accertato che detti Esercizi sono pieni di pietà e santità, e sono e saranno molto utili per il progresso spirituale dei fedeli. Inoltre è per noi doveroso riconoscere che Ignazio e la Compagnia da lui fondata vanno raccogliendo frutti abbondanti di bene in tutta la Chiesa; e di questo molto merito è da attribuire agli Esercizi Spirituali. Perciò [...] esortiamo i fedeli d'ambo i sessi, ovunque nel mondo, di avvalersi dei benefici di questi Esercizi e di lasciarsi plasmare da essi." A questa prima solenne approvazione di Paolo III, altre fecero seguito attraverso i secoli.

    Nel nostro secolo i più grandi elogi sono venuti particolarmente da Pio XI, Pio XII e Paolo VI. Il papa Pio XI nel 1922 dichiarò sant'Ignazio di Loyola Patrono di tutti gli Esercizi Spirituali, e nell'Enciclica Mens nostra del 1929 tratta in maniera magistrale degli Esercizi ignaziani, mettendone in evidenza la profondità della dottrina e la sicurezza del metodo ascetico.

    Paolo VI, alunno dei gesuiti, così scrisse nel 1965: "Sappiamo che la predicazione più efficace è proprio quella degli Esercizi Spirituali." E precisava: "Guai se gli Esercizi spirituali, per avere quel paradigma meraviglioso e magistrale che S.Ignazio ha loro lasciato, diventassero una ripetizione formalistica e, direi pigra di questo.schema. […] Dobbiamo allargare questa fonte di salvezza e di energia spirituale, dobbiamo renderla possibile a tutte le categorie".

    Il pensiero di S. Ignazio

    Così scriveva il santo - da Venezia - al suo amico e confessore Emanuele Miona (16 nov. 1536). "Non conosco in questa vita altro mezzo per pagare una parte del mio debito con voi se non quello di farvi praticare gli Esercizi Spirituali di un mese. […] Gli Esercizi sono certamente quanto di meglio io posso concepire, conoscere e comprendere in questa vita, sia per il progresso personale di un uomo, sia per i frutti, l'aiuto e il profitto ch'egli può procurare a molti altri".

    S.Ignazio considerava gli Esercizi non come "opera sua", ma come un dono di Dio per tutta la Chiesa. Gli Esercizi non erano stati studiati e composti a tavolino, ma sperimentati nel suo eremo di Manresa, dove fece per quasi un anno una vita di asceta e penitente, e dove - come egli scrive nella sua Autobiografia - "Dio si comportava con lui come fa un maestro di scuola con un bambino: lo istruiva" (Autob. 27).

    Questo lo portava a precisare che gli Esercizi fossero "fatti", non letti. Non voleva perciò che il libretto degli Esercizi fosse in mano a tutti, perché dalla semplice lettura si può cavare ben poco. Né voleva che chi dava gli Esercizi si dilungasse in spiegazioni. I punti di meditazione dovevano essere brevi, perché vale più quello che l'anima scopre da sè stessa, anziché una lunga spiegazione didattica.

    Come si svolgono gli Esercizi ignaziani

    Ricordiamo anzitutto che gli Esercizi Spirituali non sono un tempo di studio o di semplice raccoglimento e preghiera. Sono ricerca: "Come il passeggiare, il camminare, il correre sono esercizi fisici, così si dicono Esercizi Spirituali ogni modo di preparare e disporre l'anima a togliere tutti gli affetti disordinati e, dopo averli tolti, a cercare e trovare la volontà di Dio nella disposizione della propria vita, per la salvezza della propria anima" (Es. Sp. Ann.1).

    E' chiaro il fine: sforzarsi di ordinare la propria vita secondo il progetto di Dio. Ed ecco il modo di procedere.
    S.Ignazio raccomanda anzitutto di fare gli Esercizi Spirituali in un luogo diverso dal proprio ambiente abituale. Per questo i gesuiti hanno dato vita alle cosiddette "Case di Esercizi", organizzate in modo da permettere quella concentrazione, quel "deserto" anche esteriore, quel silenzio che faciliti l'azione della Grazia in noi.

    Si comincia con una considerazione fondamentale (che S.Ignazio chiama "Principio e fondamento"): per qual fine Dio ci ha creati?. La ragione, illuminata dalla Fede, dà la risposta: l'uomo è stato creato da Dio e per Dio. Ogni bene creato è stato messo a disposizione dell'uomo perché lo aiuti a raggiungere questo fine. Perciò egli ne deve fare un uso ragionevole. Dobbiamo quindi acquistare libertà di spirito e un perfetto controllo dei nostri istinti, mediante quella che Ignazio chiama "l'indifferenza", che non è "apatia", ma autocontrollo e equilibrio spirituale.

    Ciò fatto Ignazio passa agli Esercizi veri e propri, che egli divide in quattro settimane", da intendere soprattutto come temi da trattare, e non secondo il numero di giorni).

    Sono dunque 4 tappe, che si possono facilmente ricordare con quattro tradizionali parole latine, ciascuna delle quali ne esprime la finalità.

    I Settimana (tappa): "Deformata riformare", eliminare cioè dall'anima le deformità causate dal peccato). E' un modo di conoscere noi stessi e il grave disordine creato dal peccato nella nostra vita, oltre al pericolo della dannazione cui ci espone! Per non cadere nella sfiducia, Ignazio ci fa contemplare la figura del Salvatore Crocifisso, morto per salvarci dalla morte eterna.

    II Settinana (tappa): "Reformata conformare". Siamo invitati a rivestirci di Cristo e armarci della sua armatura. L'uomo "riformato" deve "conformarsi" a Cristo: povero come lui; ardente di amore per il Padre e i fratelli. E' il tempo della "riforma" o della scelta dello stato di vita: come io in concreto devo seguire Cristo?.

    III Settimana (tappa): "Conformata confirmare". Cioè rinsaldare i propositi di adesione a Cristo, mediante la contemplazione di Colui che fu obbediente fino alla morte in croce. Il grido del Figlio: "Padre, se è possibile, allontana da me questo calice", deve continuamente richiamarci alla seconda parte della supplica: "Però non sia fatto come io desidero, ma come Tu vuoi". In questa tappa ci confermiamo nelle decisioni prese.

    IV Settimana (tappa): "Confirmata transformare". "Io non muoio: entro nella vita", scrisse S. Teresa di Lisieux poco prima di morire. E infatti la Chiesa canta: "Vita mutatur, non tollitur", cioè: "la vita non è tolta con la morte, ma trasformata". La morte in croce di Gesù ha coinciso con l'inizio del Cristianesimo. "Chi perde la propria vita per me, la troverà", dice Gesù nel Vangelo. E la vita del Risorto è la speranza di chi fa gli Esercizi in questa tappa finale.

    A conclusione degli Esercizi S.Ignazio propone una meravigliosa contemplazione per ottenere l'Amor puro di Dio (chiamata "contemplatio ad amorem") . Si ritorna col pensiero alla Creazione e alla Redenzione, per scoprire come e quanto Dio ci ami! E l'anima resta con un unico desiderio che si esprime in preghiera: "O Signore, dammi il tuo amore e la tua grazia: questo solo mi basta".

    Attualità degli Esercizi Spirituali

    Oggi il mondo ama il chiasso, non il silenzio e il raccoglimento; vuole essere "libero" da leggi e disciplina. Si può ancora parlare di "ricerca della volontà di Dio nella disposizione della propria vita?".

    Nel 1967 i Vescovi del Triveneto scrissero una lettera sulla "Validità degli Esercizi Spirituali", e raccomandarono "a perseverare in questo apostolato che si rivela giorno per giorno sempre più prezioso". Senza escludere l'impegno di sperimentare forme che si adattino ai nostri tempi, si insiste "sulla classica struttura degli Esercizi ignaziani, così valida e provvidenziale nel suo clima di riflessione e di profondo silenzio" (Pietro Schiavone s.j., Il Progetto del Padre, pp.12-13).

    Gli Esercizi sono un "carisma": un dono di Dio alla Chiesa, per la sua edificazione e per il suo rinnovamento, e l'esperienza di innumerevoli persone che anche oggi ne traggono giovamento è la prova che lo Spirito Santo attraverso gli Esercizi continua ad illuminare le anime.

    Concludiamo con queste parole di Paolo VI, "La pratica degli Esercizi costituisce non solo una pausa tonificante e corroborante per lo spirito, in mezzo alle dissipazioni della chiassosa vita moderna, ma altresì una scuola ancora oggi insostituibile per introdurre le anime ad una maggiore intimità con Dio, all'amore della virtù e alla scienza vera della vita, come dono di Dio e come risposta alla sua chiamata".

    FONTE

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    Predefinito

    Alessandro Algardi, Urna in bronzo dorato delle reliquie di S. Ignazio, XVII sec., Chiesa del Gesù, Roma

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    Predefinito Dagli «Atti» raccolti da Ludovico Consalvo dalla bocca di sant'Ignazio

    8 Cap. 1, 5-9; Acta SS. Iulii, 7, 1868, 647

    Essendo stato appassionato divoratore di romanzi e d'altri libri fantasiosi sulle imprese mirabolanti di celebri personaggi, quando cominciò a sentirsi in via di guarigione, Ignazio domandò che gliene fossero dati alcuni tanto per ingannare il tempo. Ma nella casa, dove era ricoverato, non si trovò alcun libro di quel genere, per cui gliene furono dati due intitolati «Vita di Cristo» e «Florilegio di santi», ambedue nella lingua materna.
    Si mise a leggerli e rileggerli, e man mano che assimilava il loro contenuto, sentiva nascere in sé un certo interesse ai temi ivi trattati. Ma spesso la sua mente ritornava a tutto quel mondo immaginoso descritto dalle letture precedenti. In questo complesso gioco di sollecitazioni si inserì l'azione di Dio misericordioso.
    Infatti, mentre leggeva la vita di Cristo nostro Signore e dei santi, pensava dentro di sé e così si interrogava: «E se facessi anch'io quello che ha fatto san Francesco; e se imitassi l'esempio di san Domenico?». Queste considerazioni duravano anche abbastanza a lungo avvicendandosi con quelle di carattere mondano. Un tale susseguirsi di stati d'animo lo occupò per molto tempo. Ma tra le prime e le seconde vi era una differenza. Quando pensava alle cose del mondo era preso da grande piacere; poi subito dopo quando, stanco, le abbandonava, si ritrovava triste e inaridito. Invece quando immaginava di dover condividere le austerità che aveva visto mettere in pratica dai santi, allora non solo provava piacere mentre vi pensava, ma la gioia continuava anche dopo.
    Tuttavia egli non avvertiva né dava peso a questa differenze fino a che, aperti un giorno gli occhi della mente, incominciò a riflettere attentamente sulle esperienze interiori che gli causavano tristezza e sulle altre che gli portavano gioia.
    Fu la prima meditazione intorno alle cose spirituali. In seguito, addentratosi ormai negli esercizi spirituali, costato che proprio da qui aveva cominciato a comprendere quello che insegnò ai suoi sulla diversità degli spiriti.



    Jacopino del Conte, Ritratto di S. Ignazio, 1556, Curia Generalizia, Roma

 

 
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