di Gilberto Oneto

La Padania è un insieme di differenze: è un paradosso rappresentato da parti che trovano nelle loro diversità (e perciò nella disunità) il vero collante della loro unità. Si tratta della sola apparente stravaganza in una realtà nella quale gli elementi di unità sono gli stessi che si ritrovano alla base di tutte le compagini nazionali "con pedigree" e che sono sicuramente molto più forti di quelli che sono stati tirati fuori per giustificare l’unità italiana. La Padania, come comunità di comunità, esiste per comunanza linguistica (Sergio Salvi ha addirittura dimostrato l’esistenza di una lingua padana), per comuni origini, per cultura, storia, uniformità socio-economica e per la crescente presa di coscienza identitaria delle sue genti. Ha perciò tutte le carte in regola per rientrare nel novero delle nazioni più coese d’Europa, molto di più di paesi di antica tradizione unitaria, come Spagna, Gran Bretagna o Francia. Ma sono proprio la sua ricchezza e variegazione culturale a costituire l’elemento di più forte identificazione e anche di differenziazione complessiva verso l’esterno. Questa è da sempre la patria delle autonomie, delle forti peculiarità locali, delle differenze orgogliose: dalle tribù celtiche, alle fare longobarde, dai Comuni fino alla complessità delle aggregazioni statuali successive (costruite su franchigie, libertà e statuti locali, intricati e robusti rapporti di autonomie e dipendenze) corre un ininterrotto filo rosso che tiene unita in un comportamento coerente la storia delle genti di questa terra e che è il più interessante e vivo dei collanti. La Padania è in questo senso un intrigante groviglio di diversità e di aspirazioni alle autonomie, di enclavi e di antiche consuetudini alle libertà, che si sviluppa a livelli e a dimensioni diverse: ci sono comunità microscopiche e altre di milioni di persone, convivono orgogli municipali con entità organiche bioregionali, patrie grandi e patrie piccole ma tutte caratterizzate da un fortissimo legame con il territorio, tutte tenacemente radicate al posto della cui profonda sacralità si considerano parte essenziale. L’organizzazione della lotta di liberazione e la struttura istituzionale che ne deriverà non possono non tenere conto di queste realtà che vanno esaltate nella contrapposizione anche simbolica con la gabbia giacobina e prefettizia che affetta la nostra terra in tante caselle ritagliate su necessità funzionali ma prive di solidi legami con la complessità comunitaria padana. Per questo bisogna ricostruire e ridare forza alla frastagliata struttura organica che, dalle famiglie, dalle associazioni di produttori, dalle aggregazioni di base si articola in comunità locali, Comuni, aree omogenee, piccole patrie, fino alla patria padana e a quella europea. Tutta questa stratificazione di aggregazioni deve rinascere dalla libera espressione delle genti, dal loro ritrovare antichi sodalizi, dal risorgere di entità che lo squallore giacobino e italiano hanno cercato di cancellare. In questo processo di riappropriazione di una coloratissima "geografia delle libertà" hanno fino a qui trovato una loro prima definizione la Padania (in quanto "comunità di comunità") e le Piccole Patrie che la compongono: l’Arpitania, il Piemonte, la Liguria, la Lombardia occidentale e quella orientale, il Tirolo trentino, la Ladinia, il Friuli, il Veneto, Trieste, l’Emilia e la Romagna-Montefeltro. A queste si somma tutta una serie di comunità etnolinguistiche diverse, anche piccolissime, ma tutte dotate di una fortissima radicazione sul territorio: gli Occitani, i Brigaschi, i Walser, i Cimbri, i Mocheni, i Carinziani e gli Sloveni. Al suo interno, ciascuna di tali Piccole Patrie conosce l’esistenza di altre entità dotate di forte personalità che ne fanno a loro volta un complesso patchwork di autonomie. L’esempio più appropriato e complesso può essere dato dal Piemonte (la Patria Cita dal Piemont) che ha all’interno dei suoi attuali confini minoranze etnolinguistiche extrapadane (gli Occitani, i Brigaschi, i Franco-Provenzali, i Walser), forti presenze territoriali di padani non piemontesi (Lombardi occidentali e Liguri), una vecchia e gloriosa comunità religiosa valdese, oltre a numerose identità antichissime e negate dall’attuale ordinamento amministrativo (il Canavese, il Monferrato, la Valsesia, l’Ossola eccetera).Va da sé che tutte queste comunità vadano ricostruite sulla base delle loro antiche presenze e delle attuali vocazioni, ed è perciò ovvio che un movimento autonomista serio (in questo caso padanista e piemontesista) non possa non porre nei suoi programmi il riconoscimento amministrativo dell’esistenza di queste storiche comunità nelle quali vengano ripristinati gli antichi diritti di autonomia, e vengano difese e rafforzate tutte le manifestazioni di cultura identitaria locale, con speciale attenzione per il riconoscimento e l’impiego paritario delle lingue materne. Nella costruzione e nel funzionamento di questa nuova (ma antichissima) struttura organizzativa dovranno essere espressi in forma prioritaria l’efficienza della sussidiarietà, il legame organico identitario col territorio e le massime garanzie di libertà. Lo smantellamento della gabbia giacobina di Comuni, Provincie prefettizie e Regioni non può non essere obiettivo fondamentale di ogni movimento autonomista serio. Ogni Patria dovrà essere ricostruita su un complesso marchingegno istituzionale in grado di garantire i diritti di tutti. La somma di tutti questi marchingegni fa la Padania, la patria di tutte le autonomie, l’unione di tante diversità che stanno saldamente assieme proprio per difendere diversità, autonomie e libertà.