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  1. #21
    Mjollnir
    Ospite

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    Paul, sei stato troppo prolisso !!

    Scherzi a parte - e mi scuso con tutti per il ritardo nel rispondere, ma ero assente - questo tradizionalismo integrale, dopo gli ultimi interventi chiarificatori di Patrizio, mi sembra definibile come una metafisica di 2^ grado , quanto meno nelle sue intenzioni. Di 2^ grado perche' cercherebbe di avere una legittimita' ed una "verita' " + elevata dei singoli sistemi e perche' pare avere la tendenza ad inglobarli tutti. Perlomeno quelli ritenuti sufficientemente "tradizionali". Il problema e' se riesca a farlo o, da un'altra prospettiva, se questa operazione sia legittima.

    Ritorniamo al discorso delle definizioni: in questi giorni sono riuscito a rileggere 1 po' di Evola (Rivolta contro il mondo moderno )e quello che mi ha stupito e' la discrepanza tra le analisi storico-morfologiche, complesse e particolareggiate, e le premesse dottrinali, piuttosto generiche ed evasive. Per definire la Tradizione Evola fa semplicemente accenno a dei dualismi, come trascendente-immanente, sensibile-sovrasensibile, eternita'-storicita', sostanzialmente insufficienti. Pare che non sia richiesto nessun requisito ulteriore per il carattere di tradizionalita', oltre l'affermazione dell'esistenza di una realta' di questo tipo. A questa stregua qualsiasi metafisica, greca, ebraica, araba o indu' potrebbe essere reclutata.
    La stessa ambiguita' si ritrova nel problema delle origini cronologiche della modernita'. Se tutti i fenomeni citati non sono che tappe, quando comincia effettivamente la modernita' ? Quando l'umanita' avrebbe cominciato a distaccarsi dalla tradizione? Mi aspetto una obiezione: che civilta' tradizionali e non, possano essere simultanee in quanto fondate su un differente rapporto eternita'-storicita', su una diversa percezione del tempo (Evola). Tuttavia questo pone altre 2 questioni:

    1- se civilta' tradizionali e non possono coesistere nel tempo, cio' non potrebbe essere accaduto fin dall'origine ? E' possibile che alcune civilta' abbiano negato od ignorato la tradizione da sempre ? E se si', come si giustifica la teoria dei cicli ? Se cosi' fosse, anche la decadenza sarebbe permanente, senza inizio.

    2- la trasmissione originaria della tradizione (che a questo punto si configura come un vero e proprio complesso di dottrine specifiche, un insegnamento) e' stata universale o no ? Ha riguardato tutte le civilta' o no ? In relazione al pto 1, se alcune civilta' sono sempre state al di fuori della tradizione, con che criterio la trasmissione ha riguardato solo alcune ?

    In ogni caso, questo e' sufficiente per farmi capire come i termini di confronto della questione siano, appunto, eterogenei, essendo nel mio caso religiosi (exoterici ?) e nell'altro, "dottrinali". Io riconosco nella modernita' nient'altro che il processo ed il risultato della profanizzazione (secolarizzazione) sistematica del cristianesimo (o giudeo-cristianesimo, nozione + completa) che ha dato luogo all'Occidente. Ed 'e a questo titolo che, rivendicando le radici pagane, critico e rifiuto la modernita': perche' si tratta di una alienazione spirituale, una sostituzione del mito fondatore che non permette lo sviluppo autonomo della nostra civilta'. Quindi ritengo possibile indicare nella modernita' una precisa radice culturale ed una origine nel tempo. Mentre la modernita' secondo il tradiz. integrale mi pare esuli da tutto cio', o quanto meno sfiori soltanto questa problematica, precisamente per quanto riguarda il problema della

    trasmissione

    Qui la prospettiva esposta da Patrizio mi sembra veramente una sorta di giustificazionismo sostanzialmente necessitante per quanto riguarda il corso propriamente storico. Il quale, fra l'altro, rischia - come nota Paul - di rendere indifferente ed infine equivalente qualsiasi tipo di transizione.
    In primo luogo, abbiamo un evidente e stridente conflitto di finalita': se per la tradizione il passaggio al cristianesimo e' legittimo perche' comunque transitorio esso stesso, destinato al superamento all'origine di un nuovo ciclo, si da' il caso che per i cristiani tale passaggio sia definitivo e non siano contemplati altri stadi. Inoltre, i cristiani postulano una fine assoluta della storia, nella quale la rivelazione sara' definitiva e l'umanita' sara' ricompresa in un eterno presente a-storico. E' un modo ben diverso di concepire l'eternita' rispetto a qualsiasi concezione ciclica della storia, ove essa e' data piuttosto dall'infinita ripetizione dell'evento.

    Scendendo nel particolare di questo passaggio, ossia la conversione, e' molto discutibile affermare che la saldatura c'e' stata. Almeno per l'essenziale: sappiamo come fino a Rinascimento inoltrato la conversione sia stata solo nominale, mentre la spiritualita' vissuta rimase sostanzialmente pagana. Sappiamo anche che con l'esaurirsi della scolastica il cattolicesimo non abbia saputo resistere alla razionalizzazione ed alla critica filosofica, nonche' l'etica cattolica non abbia retto all'ateismo ed al materialismo di massa. Ora, se tale nuova forma religiosa fosse effettivamente supportata dal crisma della tradizione, non avrebbe dovuto reggere a questi attacchi ? Se la sintesi fosse riuscita, e quindi, valida, come e' possibile che sia finita come una ideologia "umana e profana" qualsiasi ? Si dira': era tutto gia' scritto, e tutto necessario, in quanto anello della decadenza. Ok; prendiamo allora atto che il cristianesimo, essendo posteriore e successivo al paganesimo, e' cmq una forma di spiritualita' inferiore. Per cui, provvidenza o non provvidenza, diventa + che legittimo attenersi ad una forma che si valuta come superiore e rifiutare gli scadimenti.
    Poi, tentando di pormi dal punto di vista tradizionalista, come si puo' conciliare la legittimita'della conversione con la dottrina della giurisdizione (ne sono venuto a conoscenza tramite uno scritto di Di Vona), secondo la quale in ambito essoterico ogni forma di spiritualita' ha un ambito di azione ben circoscritto, tale che ogni forma di proselitismo ed "imperialismo" equivale ad una usurpazione ?

  2. #22
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    Vedrò di risponderti (nei limiti della mia attuale comprensione della Tradizione, ovviamente), anche se a diverse questioni, già poste da Paul, avevo già dato una risposta.
    Non credo posa esservi una “metafisica di 2° grado”, ma solo la metafisica, conformemente alla natura unica dell’Uno. Valendo la sua definizione etimologica di ciò che “è aldilà della fisica”, ovvero delle scienze della natura, e riguardante quindi la conoscenza dell’universale.
    Ne consegue che la metafisica può essere esprimibile fino ad un certo punto (anzi se ne può parlare solo per linguaggio analogico e preferibilmente col simbolo), oltre il quale non valgono più la parola né la ragione (pure la più raffinata), contando solo l’esperienza diretta. A differenza della filosofia e finanche della teologia.
    E qui mi sembra di capire che risieda l’origine dell’equivoco dello “scontro” e della polemica fra tradizionalismo integrale e neopagani (come pure della polemica degli exoteristi cristiani con gli esoteristi): equivoco/pretesa perché metafisica e religione sono due domini diversi (anche se alcune verità metafisiche possono essere tradotte in linguaggio teologico o filosofico) e gerarchicamente subordinati.
    Circa la dottrina metafisica, l’oggetto essendo sempre lo stesso, sono soltanto le forme esteriori che possono cambiare come adattamento sia ai tempi che ai luoghi: è l’espressione che viene modificata, in un modo che può paragonarsi alla traduzione di una stessa idea da una lingua all’altra.
    Non essendo essa una parte contrapponibile ad un’altra, l’intervento del punto di vista metafisico ha come effetto di risolvere immediatamente ogni apparente contrapposizione, quando il punto filosofico rivela la sua impotenza a ciò. L’aderenza alla metafisica è anche il motivo di fondo per cui noi neghiamo l’idea di “evoluzione” e di “progresso”, non essendo possibile un accrescimento di ciò che è illimitato e universale, ma solo una progressiva perdita di aderenza (è la dcadenza ciclica).

    Pur con tutti i difetti di quel pensatore, non mi sembra che Evola non riconosca la definizione di Tradizione come quell’insieme (coerente ma non sistematico) che fornisce il principio adeguato a tutte quelle civiltà e singoli che abbiano condotto un’esistenza “normale” (nell’accezione guénoniana di contrapposta alle illusioni della Sovversione, una certezza granitica che i pre-moderni possedevano). Anche qui, come per la metafisica, la Tradizione è di origine NON-UMANA, e necessariamente adattatasi alle forme particolari che le circostanze contingenti esigono. Comprende tutto ciò che vale di essere trasmesso, ma che non appartiene al punto di vista profano (il quale è dominato dal cambiamento, e nel quale ogni trasmissione diventa presto anacronismo, o super-stizione nel suo senso etimologico [non certo illuministico]). Sopravvissuta a tutti gli adattamenti anche drammatici, non ha retto alla modernità umanistica, e la sua distruzione (massime in Occidente) destina pure alla frustrazione coloro che aspirino a ritrovarla, rendendoli proni ad accogliere tutte le false idee e le suggestioni che saranno presentate loro in sua vece e sotto il suo nome.
    Guénon rimarca che il nome di Tradizione “si applica a ciò che, nel suo fondo stesso, è restato tale e quale era all’origine; si tratta dunque effettivamente di qualche cosa che è stato trasmesso, se si può dire, da uno stato anteriore dell’umanità allo stato suo presente” (Considerazioni sull’iniziazione).
    E, a proposito degli adattamenti particolari (le tradizioni) ecco alcune citazioni sempre da Guénon:
    “Due tradizioni vere non possono in nessun caso opporsi come contradditorie” (Oriente e Occidente).
    “In ogni caso se tra due contraddizioni si scopre una contraddizione apparente occorre trarne la conclusione, non che una è vera e l’altra è falsa, ma che almeno una di esse è stata compresa in modo imperfetto” (id.).
    “Se un’intesa tra i rappresentanti delle diverse tradizioni è possibile, e noi sappiamo che in linea di principio nulla vi si oppone, essa non potrà venir realizzata che dall’alto, di modo che ciascuna tradizione conserverà integralmente la propria indipendenza e con essa le forme che le sono proprie” (id.).
    “Ogni tradizione contiene, sin dall’origine, tutta intera la dottrina, comprendendo in principio la totalità degli sviluppi e degli adattamenti che potranno legittimamente procederne nel corso dei tempi, così come le applicazioni cui essa può dar luogo in tutti i domini” (Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi).
    I neopagani, fermandosi al piano dei fenomeni (è l’ “exoterismo” cui diceva di appartenere Mjollnir), ristagnano nella polemica sui singoli aspetti di diversità. Aspetti sicuramente ESISTENTI (a parte certe partigianerie), ma che hanno da essere collocati all’interno dell’economia e della dinamica complessiva della Tradizione. Dinamica di cui cercherò di parlare in una mia prossima analisi. (riprendo anche le alter questioni).

    Si badi che non è un passaggio di poco conto, ritengo anzi che un tale ordine di considerazioni sia il gradino speculativo che manchi da compiere, ad un élite tradizionalista, giunti al punto storico in cui ci troviamo. Quando ovunque le parodie del neospiritualismo forniscono false soluzioni svianti al problema della degenerazione e dello “scontro di civiltà” (il falso “ecumenismo” dei cattolici modernisti; la fratellanza universale dei massoni; l’equivalenza relativistica e dal basso della galassia New Age), e la cultura “laica” e profana essendo per definizione impossibilitata a trovare alcuna soluzione (la “democrazia”, l’egualitarismo, e via cianciando), il ponte di corde per la prossima (e imminente) restaurazione può veramente essere questione di pochi passaggi speculativi per noi. Il materiale è tutto sotto le nostre mani, volendo: il lavoro di sgrezzamento essendo già stato compiuto (Guénon, Schuon, Hamvas, Valsan, Lovinescu, Coomaraswami, Nasr, e altri “minori”).

  3. #23
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    Predefinito I politologi e la Nuova destra

    trasmetiamo un articolo apparso sul quotidiano "Avvenire" nel mese di giugno.

    La Nuova destra all'assalto/Amore per le "piccole patrie", ostilità contro gli immigrati, sfiducia nell'Ue

    I politologi Francesco Germinario, Piero Ignazi e Yves Mény fanno l'identikit di una minaccia

    La sfiducia verso i governi in carica, l'Unione europea e i partiti tradizionali, l'ostilità nei confronti degli immigrati, l'angoscia per un futuro che si preannuncia assai diverso dal passato e dal presente. Sono questi i principali elementi che accomunano gli elettori della nuova destra nell'intero continente, decisi a manifestare attraverso il voto il loro disagio nell'abitare un mondo cambiato con grande velocità, accentuando spesso differenze economiche e tensioni sociali.

    Il successo crescente ottenuto negli ultimi anni dai movimenti xenofobi e nazionalisti in Austria, Norvegia, Olanda, Francia, Germania, Italia e Gran Bretagna non sorprende Piero Ignazi, docente di scienza della politica all'università di Bologna, che già nel 1994 segnalava nel volume L'estrema destra in Europa, riproposto di recente dal Mulino, il pericolo rappresentato dal favore di cui iniziavano a godere gruppi oltranzisti la cui proposta politica intercettava l'insicurezza e la rabbia di una working class un tempo orientata in maniera quasi naturale a sinistra.

    A giudizio di Ignazi, la proletarizzazione dell'estrema destra costituisce il fenomeno più significativo della scena politica europea contemporanea. Del resto, commenta, "se i partiti di Jorg Haider e di Jean-Marie Le Pen diventano i punti di riferimento degli operai nei rispettivi paesi, vuol dire che sta davvero accadendo qualcosa di epocale". I primi segnali di questa controrivoluzione antropologica dagli esiti potenzialmente dirompenti, aggiunge lo studioso, hanno preso a manifestarsi intorno alla metà degli anni Ottanta, quando ha iniziato a serpeggiare una silenziosa rivolta contro i partiti e le istituzioni democratiche. Nazionalismo e xenofobia hanno poi costituito la miccia per appiccare il fuoco a un cumulo assai combustibile di disagi sociali e ora l'incendio divampa nell'intero continente.

    Tutti gli indicatori, spiega Ignazi, mostrano che l'estrema destra cresce dove aumenta il distacco tra cittadini e sistema politico. "Il sentimento di esclusione e di marginalità che investe le fasce più deboli", afferma, "trova risposte negli appelli e nelle parole d'ordine dei gruppi antieuropei e anticapitalisti, capaci di proporre una sorta di mondo alternativo rispetto alle tendenze dominanti. Va poi aggiunto che alcuni leader, in particolare Le Pen, dicono ad alta voce ciò che molta gente pensa in segreto. Con il risultato di offrire una sorta di legittimità culturale alle posizioni più intransigenti, in particolare sul tema dell'immigrazione".

    Un contributo decisivo alla nascita del pensiero della nuova destra europea, capace di sbarazzarsi in fretta del vestito ormai logoro della nostalgia, è venuto da Alain de Benoist, giornalista e filosofo francese al quale Francesco Germinarlo, ricercatore della Fondazione Micheletti di Brescia, dedica il volume La destra degli dei (Bollati Boringhieri, pagine 158, euro 18).

    Intellettuale puro, senza alcun rapporto con il potere politico, de Benoist, sottolinea lo studioso, ha offerto a partire dagli anni Settanta dignità teorica a idee che sono poi entrate nel patrimonio genetico dei movimenti xenofobi, combattendo una battaglia contro l'Europa in nome delle "piccole patrie" locali, contro il riformismo socialista, il liberalismo di matrice Usa e un'immigrazione accusata di indebolire le identità dei popoli.

    Alain de Benoist, afferma Germinario, rappresenta una versione aggiornata di Rosemberg e di Himmler. "Ritengo questa nuova destra i cui leader sono Le Pen, Bossi e Haider molto più insidiosa della vecchia destra tradizionale", aggiunge. "E' infatti una destra che, grazie a de Benoist, ha rielaborato il mito pagano e germanico del "sangue e suolo" per teorizzare una sorta di "razzismo differenzialista" in base al quale viene ritenuto prioritario salvaguardare le specificità culturali delle singole etnie. L'Europa è giudicata un pericolo per le piccole patrie, mentre la società liberale costituirebbe una forma mascherata di totalitarismo", precisa lo studioso.

    Germinario si dice convinto che il pensiero di Alain de Benoist non rappresenta un vero pericolo per la democrazia, a differenza della nuova destra politica che, invece, costituisce "una minaccia assai seria". "Anche se non sono innamorato dell'oggetto del mio studio", conclude, "bisogna riconoscere al filosofo francese il merito di aver restituito credibilità a una cultura di destra in precedenza solo nostalgica. Del resto la destra ha sempre sottovalutato il fronte della cultura. Il caso italiano è significativo di una destra che, quando sentiva parlare di cultura, metteva mano alla pistola. Con il risultato che gli unici ad aver prodotto per mezzo secolo nel nostro paese una cultura di destra sono stati Franco Freda e Giovanni Volpe. Poi abbiamo avuto il caso di Marcello Veneziani, il quale capì che, per essere riconosciuto come intellettuale, doveva smettere di pubblicare con le edizioni del Settimo Sigillo e farsi accettare come interlocutore credibile dagli intellettuali di sinistra. Che, comunque, ancora oggi lo considerano un fascista mascherato".

    Ma cosa ha favorito l'esplodere dell'ostilità e fatto da propellente segreto alla rabbia proletaria degli sconfitti e degli emarginati delle periferie urbane, facendo crescere in maniera esponenziale i voti per i partiti della nuova destra? Il populismo, risponde Yves Mény, politologo francese che dirige il Centro Robert Schuman all'Istituto universitario europeo di Firenze e ha pubblicato lo scorso anno con il Mulino un volume su Populismo e democrazia. "Il populismo", sottolinea, "non è sempre di destra. In passato, infatti, veniva utilizzato dalla sinistra per sottolineare la distanza che le separava dalle élites. Oggi, tuttavia, trova un'espressione spontanea nei leader dell'estrema destra, che lo impiegano per accrescere il risentimento nei confronti dei governi e dei partiti politici tradizionali".

    Nell'analisi di Mény, i capi carismatici della nuova destra si servono della scorciatoia del populismo per arrivare al potere: identificano i nemici, attribuiscono loro le ragioni delle difficoltà a risolvere i problemi della gente e, su questa base, costruiscono un consenso di tipo emotivo. "Il populismo", chiarisce Mény, "non può tuttavia rappresentare una strategia duratura e vincente per formazioni politiche che, una volta conquistato il governo, sono costrette a fare i conti con realtà spesso molto complesse. Il caso dell'Austria dimostra quanto sia arduo mantenere le promesse populistiche fatte da Haider in campagna elettorale".

    Cosa rappresenta il vento populista che soffia in Europa? "Un segnale d'allarme che rende necessaria una riforma delle nostre democrazie", replica Mény. Per invertire la tendenza, precisa, occorrerebbe ristabilire canali di comunicazione tra i cittadini e i governi. Ma è un'impresa difficile, segnala, visto che i partiti e i sindacati non giocano più il ruolo decisivo di un tempo.

    Migliorerà l'atteggiamento nei confronti dell'Unione europea? "Non credo", conclude il politologo francese. "L'Europa non smetterà tanto presto di venir giudicata la causa di tanti malanni, perché è il veicolo di cambiamenti inevitabili. Le turbolenze continueranno ancora a lungo".

    www.libreriaar.it

  4. #24
    Mjollnir
    Ospite

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    Originally posted by Patrizio
    Vedrò di risponderti (nei limiti della mia attuale comprensione della Tradizione, ovviamente), anche se a diverse questioni, già poste da Paul, avevo già dato una risposta.
    Non credo posa esservi una “metafisica di 2° grado”, ma solo la metafisica, conformemente alla natura unica dell’Uno. Valendo la sua definizione etimologica di ciò che “è aldilà della fisica”, ovvero delle scienze della natura, e riguardante quindi la conoscenza dell’universale.
    Ne consegue che la metafisica può essere esprimibile fino ad un certo punto (anzi se ne può parlare solo per linguaggio analogico e preferibilmente col simbolo), oltre il quale non valgono più la parola né la ragione (pure la più raffinata), contando solo l’esperienza diretta. A differenza della filosofia e finanche della teologia.
    E qui mi sembra di capire che risieda l’origine dell’equivoco dello “scontro” e della polemica fra tradizionalismo integrale e neopagani (come pure della polemica degli exoteristi cristiani con gli esoteristi): equivoco/pretesa perché metafisica e religione sono due domini diversi (anche se alcune verità metafisiche possono essere tradotte in linguaggio teologico o filosofico) e gerarchicamente subordinati.
    Circa la dottrina metafisica, l’oggetto essendo sempre lo stesso, sono soltanto le forme esteriori che possono cambiare come adattamento sia ai tempi che ai luoghi: è l’espressione che viene modificata, in un modo che può paragonarsi alla traduzione di una stessa idea da una lingua all’altra.
    Non essendo essa una parte contrapponibile ad un’altra, l’intervento del punto di vista metafisico ha come effetto di risolvere immediatamente ogni apparente contrapposizione, quando il punto filosofico rivela la sua impotenza a ciò. L’aderenza alla metafisica è anche il motivo di fondo per cui noi neghiamo l’idea di “evoluzione” e di “progresso”, non essendo possibile un accrescimento di ciò che è illimitato e universale, ma solo una progressiva perdita di aderenza (è la dcadenza ciclica).

    Pur con tutti i difetti di quel pensatore, non mi sembra che Evola non riconosca la definizione di Tradizione come quell’insieme (coerente ma non sistematico) che fornisce il principio adeguato a tutte quelle civiltà e singoli che abbiano condotto un’esistenza “normale” (nell’accezione guénoniana di contrapposta alle illusioni della Sovversione, una certezza granitica che i pre-moderni possedevano). Anche qui, come per la metafisica, la Tradizione è di origine NON-UMANA, e necessariamente adattatasi alle forme particolari che le circostanze contingenti esigono. Comprende tutto ciò che vale di essere trasmesso, ma che non appartiene al punto di vista profano (il quale è dominato dal cambiamento, e nel quale ogni trasmissione diventa presto anacronismo, o super-stizione nel suo senso etimologico [non certo illuministico]). Sopravvissuta a tutti gli adattamenti anche drammatici, non ha retto alla modernità umanistica, e la sua distruzione (massime in Occidente) destina pure alla frustrazione coloro che aspirino a ritrovarla, rendendoli proni ad accogliere tutte le false idee e le suggestioni che saranno presentate loro in sua vece e sotto il suo nome.
    Guénon rimarca che il nome di Tradizione “si applica a ciò che, nel suo fondo stesso, è restato tale e quale era all’origine; si tratta dunque effettivamente di qualche cosa che è stato trasmesso, se si può dire, da uno stato anteriore dell’umanità allo stato suo presente” (Considerazioni sull’iniziazione).
    E, a proposito degli adattamenti particolari (le tradizioni) ecco alcune citazioni sempre da Guénon:
    “Due tradizioni vere non possono in nessun caso opporsi come contradditorie” (Oriente e Occidente).
    “In ogni caso se tra due contraddizioni si scopre una contraddizione apparente occorre trarne la conclusione, non che una è vera e l’altra è falsa, ma che almeno una di esse è stata compresa in modo imperfetto” (id.).
    “Se un’intesa tra i rappresentanti delle diverse tradizioni è possibile, e noi sappiamo che in linea di principio nulla vi si oppone, essa non potrà venir realizzata che dall’alto, di modo che ciascuna tradizione conserverà integralmente la propria indipendenza e con essa le forme che le sono proprie” (id.).
    “Ogni tradizione contiene, sin dall’origine, tutta intera la dottrina, comprendendo in principio la totalità degli sviluppi e degli adattamenti che potranno legittimamente procederne nel corso dei tempi, così come le applicazioni cui essa può dar luogo in tutti i domini” (Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi).
    I neopagani, fermandosi al piano dei fenomeni (è l’ “exoterismo” cui diceva di appartenere Mjollnir), ristagnano nella polemica sui singoli aspetti di diversità. Aspetti sicuramente ESISTENTI (a parte certe partigianerie), ma che hanno da essere collocati all’interno dell’economia e della dinamica complessiva della Tradizione. Dinamica di cui cercherò di parlare in una mia prossima analisi. (riprendo anche le alter questioni).

    Si badi che non è un passaggio di poco conto, ritengo anzi che un tale ordine di considerazioni sia il gradino speculativo che manchi da compiere, ad un élite tradizionalista, giunti al punto storico in cui ci troviamo. Quando ovunque le parodie del neospiritualismo forniscono false soluzioni svianti al problema della degenerazione e dello “scontro di civiltà” (il falso “ecumenismo” dei cattolici modernisti; la fratellanza universale dei massoni; l’equivalenza relativistica e dal basso della galassia New Age), e la cultura “laica” e profana essendo per definizione impossibilitata a trovare alcuna soluzione (la “democrazia”, l’egualitarismo, e via cianciando), il ponte di corde per la prossima (e imminente) restaurazione può veramente essere questione di pochi passaggi speculativi per noi. Il materiale è tutto sotto le nostre mani, volendo: il lavoro di sgrezzamento essendo già stato compiuto (Guénon, Schuon, Hamvas, Valsan, Lovinescu, Coomaraswami, Nasr, e altri “minori”).

    Caro Patrizio, grazie per la assiduità con cui segui questa discussione. Entro subito nel merito.
    Questa qui presentata è già una accezione ad hoc della metafisica non comune rispetto alla filosofia occidentale. Nel solco di quest'ultima, infatti, la metafisica è una conoscenza indubbiamente fondata sulla ragione argomentativa e non su qualche forma intimistica di intuizione intellettuale. E' ciò che possiamo dire dell'essere (e/o di Dio come supremo essere) secondo la ragione. Poi c'è la questione - connessa a quella del panteismo - semantica, per cui soprattutto la trasmissione nel mondo latino dei concetti di physis e metafisica ha prodotto uno slittamento del significato, per cui la physis venne intesa semplicemente come natura materiale invece che come totalità dell'essere: il risultato è la convinzione che i Greci credessero nei 4 elementi e non avessero una comprensione spirituale e simbolica del mondo. Che, cioè, prima di Platone, non avessero raggiunto la consapevolezza della dimensione spirituale.
    Di che trascendenza si parla, dunque ? Della trascendenza rispetto alla materia (ma nel mondo), o nella trascendenza rispetto al mondo stesso, tale per cui bisogna ipotizzare un altro mondo, distinto e superiore a questo ? Quando io parlo di trascendenza mi riferisco al primo significato: per me la prima è la accezione "positiva" che permette di :
    1. ammettere la realtà dello spirito
    2. evitare la privazione di dignità ontologica che questo mondo subirebbe altrimenti (ad es con il creazionismo o ancora peggio - mi sembra - con lo gnosticismo)
    3. garantire la comunicazione e partecipazione dello spirituale al materiale, altrimenti difficile nel 2° significato (non è un caso che il platonismo, ad es, abbia avuto delle difficoltà nel precisare i concetti di partecipazione e comunanza)
    4. non cadere nel panteismo, ossia una divinizzazione illecita delle forze naturali, potendo ritrovare nel cosmo le tracce dell'autentico divino, senza bisogno di contraffazioni.


    In secondo luogo, mi suscita dei dubbi l'affermazione dell'unità del principio e del contenuto della dottrina: si potrebbe ipotizzare una pluralità di principi primi cooriginari e complementari e, d'altra parte, non posso non constatare kantianamente che la varietà delle metafisiche espresse nel corso della storia contraddice l'unità e la conoscibilità dell'oggetto. Ma appunto, kantianamente, cioè su base filosofica e non riconoscendo come conoscenza valida l'intuizione intellettuale.
    Le citazioni guenoniane non fanno che accrescere tali dubbi: una dottrina che, nelle sue varie espressioni, non si contraddice mai veramente e le cui contraddizioni sono solo apparenti sa tanto di costruzione artificiale, postuma e, invero, assai razionalistica. Mi ricorda una famosa frase di Hegel: "alle domande alle quali la filosofia non risponde, va risposto che esse non devono essere poste a quel modo".

    L'exoterismo ? Per me è già una definizione impropria, ed una concessione di metodo al tradiz. Non avrei problemi a distinguere i vari gradi e livelli del sapere e delle facoltà conoscitive, purchè appunto si intenda con la coppia exoterismo-esoterismo un pura differenza di grado ed estensione, ma non certo una conoscenza di natura eterogenea e/o opposta alla prima. E' questo che rende inaccettabile il concetto: una Weltanschauung reale e determinata ha un nucleo unitario e fondamentale che non può essere smentito da un livello all'altro della gerarchia, tale che il vertice "illuminato" sia alla fine portatore di un senso differente da quello della base.

    A questo punto, insomma, penso che l'ambito della problematica sia di tipo conoscitivo, o cmq metodologico: bisogna esaminare quella che si potrebbe chiamare la gnoseologia del tradizionalismo e verificarne la validità dei concetti e la tenuta dei procedimenti: intuizione intellettuale eppure unitaria, origine di questa presunta conoscenza, modalità di trasmissione al genere umano, passaggio dall'unitarietà dell'origine alla molteplicità delle forme storiche, modalità di questo adattamento, ecc...

  5. #25
    Mjollnir
    Ospite

    Predefinito

    P.S. per inciso, ho terminato la lettura di Simboli della scienza sacra di Guènon, e devo dire che l'impressione globale è di insoddisfazione: a parte l'introduzione di carattere generale con la critica del razionalismo, empirismo e mentalità moderna, per il resto è una specie di rassegna del simbolismo delle varie civiltà in cui si postula una presunta origine e significato comune, senza però nessuna prova concreta od analisi convincente. Pare che Guenon si limiti a cogliere le analogie tra i simboli e ad alludere ad una loro presunta origine comune, senza approfondire la affidabilità delle fonti, la natura delle somiglianze, che potrebbero essere + superficiali che sostanziali, ecc... Le conclusioni sono già presupposte, ed infatti spesso i capitoli si chiudono con delle buone intenzioni: ...non è certo casuale che .... , non può avere altro significato che ....
    D'accordo che questo testo magari non è la "chiave" per addentrarsi in Guenon, però la solidità della costruzione in genere traspare anche dai particolari.
    Ciao

 

 
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    Risposte: 3
    Ultimo Messaggio: 23-10-07, 13:37

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