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    Predefinito Da "Il Manifesto"......

    Immigrazione, i cattolici attaccano la Bossi-Fini
    Al meeting di Loreto sotto accusa le politiche italiane ed europee. Pezzotta: Immigrati ridotti a merce
    T. P.
    Si è concluso ieri a Loreto il 5° Meeting internazionale sulle migrazioni, promosso dai Missionari e Laici Scalabriniani. I relatori presenti hanno affermato la necessità di costruire una politica che rispetti le differenze e garantisca l'eguaglianza. A questo proposito, il cardinale Ersilio Tonini ha insistito sull'importanza di «vivere insieme uguali e diversi», creando una politica di accoglienza che non veda nell'immigrato un nemico, ma una risorsa di crescita per la società. In modo analogo si è pronunciato il segretario nazionale della Cisl, Savino Pezzotta: «L'obiettivo di fondo è quello di costruire società integrate (e non di integrare i migranti)». La sfida oltrepassa dunque i confini nazionali e si gioca a livello europeo, come ha testimoniato l'esperienza portata da Pino Carlino, segretario nazionale dei sindacati cristiani del Belgio, dove il permesso di soggiorno non è collegato al contratto di lavoro. Nella situazione politica attuale, segnata dagli attentati dell'11 settembre, l'esigenza di affrontare il problema dell'immigrazione a partire da un accordo transnazionale è ancora più forte che in passato. Tale necessità è stata sottolineata anche da Pezzotta: «È necessaria une politica condivisa a livello europeo, promuovendo una programmazione dei flussi, compatibile con una dignitosa accoglienza».

    Durante i dibattiti del Meeting si è fatta strada la convinzione che oggi non si può prescindere da una revisione ed omogeneizzazione delle leggi in materia di immigrazione. Pezzotta ha proseguito il suo intervento con una critica alla legge Bossi-Fini: «Essa è la riduzione dell'immigrato a una pura concezione mercantile, da persona a funzione esclusiva del mercato del lavoro». Dalle analisi del Meeting emerge tuttavia che la Bossi-Fini non è un'eccezione nei Paesi dell'Unione. Quest'anno, in Germania, è stata approvata una legge che, pur garantendo i diritti degli immigrati già presenti, introduce delle discrimininazioni nei confronti di quelli in arrivo.

    L'obiettivo del M eeting si è focalizzato sul rapporto tra gli immigrati e l'ambiente del lavoro e della produzione. Perciò, è stato attribuito un premio alla ditta Fileni di Jesi, per l'attenzione rivolta alla formazione e all'inserimento degli immigrati, e a Rahma Minhas, emigrato dal Bangladesh, che ha sviluppato un'attività autonoma nel campo della telefonia.
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

  2. #2
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    vergognoso.La Chiesa ormai è una nemica dei popoli autoctoni europei. Li ha abbandonati perchè "colpevoli" di poca fede, e cerca quindi nuovi fedeli negli immigrati. Stesso calcolo perverso dei comunisti, che negli extracomunitari cercano disperatamente nuovi "proletari".

    p.s. patetico ed esemplare il caso del bengalese: ci dicono che vengono a "fare i lavori che gli italiani non vogliono più fare", eppure l'immigrato bengalese si occupa come imprenditore di telefonia cellulare... quanti italiani non vorrebbero fare quel lavoro?!

  3. #3
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    Originally posted by Felix
    vergognoso.La Chiesa ormai è una nemica dei popoli autoctoni europei. Li ha abbandonati perchè "colpevoli" di poca fede, e cerca quindi nuovi fedeli negli immigrati. Stesso calcolo perverso dei comunisti, che negli extracomunitari cercano disperatamente nuovi "proletari".

    p.s. patetico ed esemplare il caso del bengalese: ci dicono che vengono a "fare i lavori che gli italiani non vogliono più fare", eppure l'immigrato bengalese si occupa come imprenditore di telefonia cellulare... quanti italiani non vorrebbero fare quel lavoro?!
    ...già! Ormai anche la Chiesa, dopo il Concilio Vaticano II, è divenuta uno strumento del mondialismo: vediamo quello che fa l'attuale papa: sincretismo ed ecumenismo!!
    Visita sinagoghe, chiama gli ebrei "fratelli maggiori", va nelle moschee e bacia il corano...

    Come giustamente diceva Bossi nel mitico discorso di Pieve Emauele:
    " la Chiesa cattolica richiusasi nei palazzi dell'avere che ha perso ogni credibilità e cerca di riempire i suoi seminari vuoti con religiosi che ormai rintraccia solo nel Terzo mondo"
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

  4. #4
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    Discorso di apertura dei Congresso della Lega Lombarda
    on. Umberto Bossi
    Pieve Emanuele 8.9.10 febbraio 1989



    7. L'etnofederalismo come mezzo di pressione per ottenere l’autonomia indice

    Fu una scelta difficile soprattutto perché implicava la rinuncia a credere che l'etnonazionalismo lombardo bastasse da solo a raggiungere un risultato concreto nella direzione della meta autonomista. Di più. Se la via non era quella dell'etnonazionalismo difensivo, cambiava anche il traguardo finale della nostra lotta politica che non poteva più coincidere con la richiesta dei riconoscimento della Lombardia quale regione a statuto speciale. La nostra via all'autonomia non poteva evidentemente essere la stessa che un tempo avevano percorso la Vallèe ed il Sud Tirolo: la nostra via all’autonomia, al contrario, non poteva essere che quella dell'etnofederalismo, cioè dell'unione di più movimenti etnonazionalisti in un unico strumento politico capace di vincere.



    8. La lotta contro il centralismo di Stato indice

    Non l'isolamento, ma la lotta contro il centralismo dello Stato! La Lega Lombarda, che nel frattempo era nata coi nome di Lega Autonomista Lombarda, doveva quindi crescere curando le alleanze con gli altri movimenti autonomisti delle regioni a statuto ordinario contigue alla Lombardia.

    Le alleanze erano evidentemente di importanza strategica. Certamente l’etnofederalismo che volevamo noi concepiva l'unione dei popoli italiani non come un federalismo qualsiasi, ma come federalismo integrale, che è una dottrina federalista con un'ideologia completa, che non riguarda solo la forma dello Stato e delle sue istituzioni, ma che comprende anche il sociale e lo sviluppo economico.



    9. Il federalismo integrale indice

    Il federalismo integrale esprimeva quello che sentivamo dentro di noi essere l'unico progetto che valesse la pena di realizzare. In particolare il federalismo integrale lo pensammo come etnofederalismo il che implicava, non soltanto l'unione di più movimenti etnonazionalisti in uno strumento politico unitario, ma anche che i movimenti costituenti fossero rappresentativi di popoli interni ad aree geografiche omogenee dal punto di vista dei bisogni economici e delle affinità sociali ed etniche.
    Era evidente che ad un certo momento dei processo autonomista la Lega Lombarda, la Liga Veneta, il Movimento Autonomista Piemontese che allora si chiamava "Arnassita Piemontese" avrebbe dovuto fondersi federalisticamente in un unico movimento.

    Il progetto doveva passare evidentemente attraverso una prima fase in cui avvenisse una crescita separata dei movimenti autonomisti padano alpini. Una seconda fase in cui si costituisse e consolidasse la loro alleanza e, da ultimo, una fase in cui si concretizzasse la loro integrazione in un unico movimento politico capace di affrontare vittoriosamente la fase cruciale dei processo.
    Avremmo dovuto, in altre parole, dare vita ad un movimento federalisticamente unitario. Una "Lega delle Leghe" che oggi sappiamo essere la Lega Nord.

    Non è stato facile però arrivare alla Lega Nord. Per anni abbiamo avuto il problema di volare basso, cioè di non dichiarare esplicitamente il nostro progetto per sfuggire, all'intercettazione e alla comprensione dei sistema politico romano. A questo necessario mimetismo si era adeguata anche la strategia di crescita dei Movimento. La Lega Lombarda, pensata a Milano tra l'81 e l'82, aveva scelto di svilupparsi dapprima in provincia per dare nell'occhio il meno possibile e garantirsi un tempo adeguato per assestarsi su un ampio territorio prima di ritornare a Milano.



    10. La confusione con lista civica indice

    Va inoltre detto che ai tempi in cui nasceva la Lega Lombarda proliferavano le liste civiche e che tale proliferazione costituì un elemento che contribuì a confondere non poco il sistema politico. Questi non riuscì, almeno all'inizio, a mettere a fuoco la differenza tra liste civiche e movimenti autonomisti. Un'idea, quest'ultima dell'autonomia, che probabilmente il sistema scartava a priori non riuscendo ad immaginare come potesse radicarsi nella regione più industrializzata dei Paese un movimento autonomista, considerato tradizionalmente come espressione di una minoranza linguistica.
    In Lombardia, dove il modello di sviluppo aveva operato spaventose immigrazioni di massa, non era evidentemente pensabile che una richiesta di riconoscimento della condizione di minoranza linguistica trovasse un consistente consenso popolare. La gente aveva difficoltà a sentire la propria identità etnica distrutta dal modello di sviluppo basato sull'immigrazione su cui era avvenuto il boom economico.
    In realtà la differenza tra movimento autonomista e lista civica c'era ed era molto grande. Le liste civiche non sono che una forma ideologicamente destabilizzata della classica lista partitica, rispetto alla quale possono avere il vantaggio di agire senza condizionamenti centrali. Ma questo è un vantaggio che in un modello istituzionalmente centralista si traduce automaticamente nello svantaggio e nell'impossibilità di far valere le proprie ragioni nei gangli regionali e statali delle istituzioni in materie importanti come, ad esempio, il ricupero dei finanziamenti e dei trasferimenti necessari alla vita dei comune. Se anche i programmi possono precedere gli schieramenti, i contenuti, le formule; la lista civica non ha poi la possibilità di realizzare da sola quanto si propone e fatalmente finisce per dipendere dai partiti di governo tradizionali.
    Pur soddisfacendo anche una precisa esigenza autonomistica, il decentramento dei potere decisionale ha ed aveva per noi un valore diverso che per una lista civica, la quale, come abbiamo visto, è apartitica solo formalmente e il cui fine è la gestione empirica della cosa pubblica.

    Per un movimento autonomista il decentramento è invece il modo di interpretare un disegno politico a più ampio respiro, che riguarda, tanto per cominciare, non la storia di un campanile, ma quella di un'intera comunità: per l'etnonazionalismo di una nazione, cioè di una comunità di stessa koinè linguistica, come la Lombardia per l’etnofederalismo addirittura di una comunità multiregionale di stessa cultura, intendendo in questo caso cultura come concetto scientifico, cioè come civiltà. Inoltre nè l'etnonazionalismo né tanto meno l’etnofederalismo cadono nel rischio di analisi troppo frammentarie o di interventi più paralizzanti che risolutori perché isolati dal contesto socio-economico circostante.

    I partiti e le loro organizzazioni collaterali non capirono che l'autonomia professa il primato dell'etica sulla politica. Crede cioè in una moralità che impedisca che la gestione politica scada in semplice gestione empirica senza giustificazioni ideali.

    Noi crediamo che la libertà sia un valore fondamentale e che la giustizia sociale realizzabile in una società sia indissolubilmente legata e limitata dal livello di libertà della società stessa e, in particolare, dalla possibilità di realizzare il legame affettivo dall'identità etnica.



    11. Il superamento del determinismo marxista e del pragmatismo capitalista indice

    Pur non essendo così ingenui da credere che la libertà per realizzare la giustizia non debba far ricorso che a se stessa non potevamo e non possiamo neppure credere che la libertà derivi esclusivamente dalla giustizia come professato dall'ideologia e dalla prassi marxista.
    Il liberismo economico lasciato a se stesso può arrivare a sottovalutare, non soltanto la giustizia ma anche la libertà dell'uomo, esattamente come il marxismo. Non potevamo quindi ritenere risolutivo il semplice superamento della dicotomia tra marxismo e liberismo, perché queste due filosofie non sono evidentemente la tesi e l'antitesi, il bene ed il male, dei processo storico ma costituiscono soltanto due aspetti diversi di un'unica tesi che aveva invaso e paralizzato il processo storico. Si trattava quindi di andare oltre il determinismo marxista e oltre il pragmatismo capitalista affinché l'uomo e la realizzazione dei valori umani tornassero al centro del sociale. Capimmo allora che per uscire dalla crisi che coinvolgeva profondamente la società di 10 anni fa dovevamo lanciare una nuova filosofia che interpretasse la lotta autonomista come il ritorno dell'antitesi della storia. Lotta autonomista che mirasse al superamento dei centralismo dello Stato. Lotta quindi di principi generali che non poteva coincidere con quella dell'etnonazionalismo classico o dell'egoismo impossibile finalizzato a cintare il proprio orticello. Sentivamo che l'antitesi autonomista avrebbe spinto il processo storico ad unificare la dicotomia marxista liberista, aprendo la strada alla sintesi dei federalismo.

    L'etnonazionalismo che proponiamo noi non era e non voleva essere una filosofia difensiva, ma uno strumento di attacco al centralismo dello Stato. La crisi che coinvolgeva profondamente la società non affondava le radici soltanto nella crisi economica, né era la crisi di un modo di far opposizione politica a generare e ad alimentare il nichilismo che sembrava, e sembra tuttora, volerci spingere verso l'auto distruzione. "Ma così come il suicida che in realtà non vuoi morire anche questo nichilismo deve essere inteso come un disperato appello affinché venga una nuova filosofia a ridare significato all'operare umanon" scrivevamo nel febbraio dei 1982. Capivamo e sostenevamo cose che oggi sembrano perfino ovvie ma che io erano molto meno 8 o 9 anni fa quando denunciammo che lo Stato centralista era uno' strumento di egemonia sia nel marxismo sia nel liberismo economico e che lo Stato nazionale determinava un doppio tipo di egemonia: quello della maggioranza etnica e quello dei grossi interessi economici.



    12. L'alternanza di giustizia e libertà indice

    Allora la Giasnost e la Perestrojka di Gorbaciov erano ancora lontane e le spinte etniche per la stampa di regime erano solo opera di teppisti razzisti. Ma noi sentivamo che la forza che agiva nell'impero russo e quella autonomista e federalista si andava addensando nel mondo occidentale, stava portando al superamento delle contraddizioni tra marxismo e liberismo economico e che questo fatto avrebbe semplificato e riaperto il processo storico che è dato dall'alternanza di giustizia e libertà.
    Ciò si sarebbe sicuramente riverberato, per quanto riguarda la politica interna degli Stati occidentali ed in particolare di quella italiana, dapprima nella crisi dei partiti più legati alle ideologie rivoluzionarie di classe (come il Partito Comunista Italiano); e, in un secondo tempo, si sarebbe estesa all'area di influenza della Democrazia Cristiana, il partito che ha costruito le sue fortune sulla contrapposizione al Partito Comunista Italiano. Era evidente che nel castello politico fatto di carte contrapposte, nel momento in cui cade una carta cadono anche quelle in sua contrapposizione provocando radicali cambiamenti nell'assetto politico generale.

    Noi avevamo allora postulato che la storia viene tracciata da un alternarsi di periodi storici di libertà e di giustizia che non coincidono mai tra di loro. Ci sono quindi periodi in cui è preminente l'evoluzione della libertà politica, e di conseguenza gli strumenti dei processo storico sono i movimenti autonomisti, cioè i popoli in prima persona, alternati ad altri periodi storici in cui la società è tesa ad una migliore redistribuzione dell'economia tra i suoi componenti, e gli strumenti dei processo storico sono i partiti, che come indica il loro nome rappresentano e lottano per gli interessi di una classe o comunque di una parte della società.



    13. La crisi dei partiti indice

    La crisi generale dei partiti non doveva quindi essere considerata un segnpje di qualunquismo. Né essa era transitoria ed irreversibile, perché era dipendente dall'inversione delle polarità storiche di giustizia e libertà. Finiva un trend epocale in cui la lotta di classe era stata il motore della storia e stava iniziando un nuovo periodo in cui la molla propulsiva dei processo storico diventava la libertà. Marxismo e liberismo non erano quindi in alternativa tra di loro, ma erano solo due varianti di un'identica filosofia che rifiuta l'uomo nella sua interezza di unità pensante, operante e contemporaneamente di persona capace e bisognosa di esprimere sentimenti.

    Una visione storica la nostra da cui derivava anche la nostra collocazione rispetto allo schieramento classista, peraltro oggi in avanzata dissoluzione, rispetto al quale noi abbiamo subito scelto di collocarci al centro e sopra. Al centro perché l'autonomia è sintesi di giustizia che nasce dal confronto delle parti sociali.
    Sopra, perché l'autonomia dei grandi popoli porta oltre il sistema centralista, verso il modello del federalismo integrale che è un sistema superiore a quello centralista.

    La concezione filosofica dell’autonomia per la Lega Lombarda è quindi sempre stata considerata come risultato di una sintesi di giustizia e libertà che avrebbe acquistato pieno vigore progressivamente al chiudersi della dicotomia marxista liberista. La sintesi dei processo storico è evidentemente il federalismo integrate, che è dottrina economica, dottrina politica, dottrina sociale per cui si propone come dottrina globale.



    14. Il federalismo integrale come dottrina economica, politica e sociale indice

    Il federalismo integrale, in quanto dottrina economica, propugna un modello di sviluppo non più basato sull'incorporazione dei mercati attraverso l'immigrazione e quindi sugli squilibri regionali dello sviluppo; bensì basato sulla distribuzione della macchina produttiva e dei lavoro.
    In quanto dottrina politica il federalismo integrate propugna il superamento dello Stato centralista, di cui sottolinea e condanna la logica accentratrice giacobina, condanna il suo essere strumento dei grandi interessi economici e il suo causare l'egemonia delle maggioranze. il suo essere quindi espressione di prevaricazione etnica. In quanto dottrina sociale il federalismo integrale consente la società dell'uomo che è quella dell'integrazione e dell'amore.

    Il sociale nel sistema politico centralista affonda le radici in una logica economicista che è tesa a perseguire la disgregazione della società, a soffocare l'istinto di sopravvivenza dei popoli, a spezzare traumaticamente il legame affettivo che l'uomo ha con la propria terra per permettere la realizzazione di un modello di sviluppo basato sull'immigrazione.
    Il legame etnico è quindi un legame cardinale per la vita sociale perché è attraverso l'identità etnica che il sociale non degrada solo a spazio di interessi, ma resta anche spazio degli affetti. Realizzare l'identità etnica che è alla base dell'affettività stessa dell'uomo significa quindi sentire intensamente la necessità di società.
    A chi sostiene che quello dell'identità etnica sia un falso problema perché un tempo non c'era, contrapponiamo che non si avverte l'importanza dell'identità etnica fin tanto che essa c'è. E' solo quando viene aggredita e rischia di scomparire che si sente la sua mancanza. Una situazione simile a quella di altre cose fondamentali dell'uomo, come la salute fisica, come un organo che finché è sano non lo si avverte ed è solo quando si ammala che si fa sentire.
    Se l'uomo non può realizzare il suo legame etnico si chiude verso la società, non si realizza più come individuo sociale, ma persegue unicamente il progetto dei proprio interesse personale. Se è vero che la morale non può imporci di dimenticarci di noi e che quindi non esiste morale se non operano assieme l'altruismo e la ragione, dobbiamo allora riconoscere anche che è nella nazione, cioè all'interno di un popolo etnicamente omogeneo, che si può operare il bene con maggior slancio affettivo. E' tra simili che il "chiunque può diventare più facilmente prossimo" per usare un concetto di Alberoni sulla morale.

    La dottrina sociale dei federalismo integrale nega e condanna un modello di sviluppo in cui l'assenza di identità etnica sia considerata come un imperativo funzionale che crei le condizioni per fratture profonde nella rete dei rapporti sociali.



    15. Il federalismo integrale come mezzo per realizzare la morale sociale indice

    Il federalismo integrale è quindi lo strumento adatto anche per realizzare la morale sociale che ci impone di perseguire i nostri fini tenendo conto di quelli degli altri. Ci impone, ad esempio, di ascoltare le necessità dei negro, dei giallo, dell'indios senza però annullarsi nei gorghi invisibili dei "Melting Pot".



    16. I fenomeni di disgregazione sociale prodotti dallasocietà multirazziale indice

    La società multietnica e multirazziale è quindi una società che, per sua natura, è contro l'uomo perché mortifica in esso ogni intento di generosità sociale. Distruggendo il processo di identità etnica, la società multirazziale provoca il declino della morale e quindi della solidarietà. Essa è solo una scelta nel segno della continuità di un modello di sviluppo che rifiuta la collaborazione tra i popoli, cioè la distribuzione di lavoro e di risorse tra il Nord e il Sud dei mondo.

    Dopo che decidemmo di abbracciare la soluzione dei federalismo integrale e fummo arrivati alle conclusioni che ho cercato di riassumere dovevamo ancora decidere in merito al tipo di posizione da assumere nei confronti dell'immigrazione, responsabile di interrompere il legame etnico.

    Fu gioco forza sviscerare il problema dell'identità collettiva della nostra società per valutare quale pericolo per l'integrità della volontà sociale lombarda rappresentassero le immigrazioni dei passato quelle più recenti dal Terzo mondo. Poiché la società non è la somma di singole individualità il problema era quello di capire fino a che punto fosse stata danneggiata la comunanza di cultura e di sentimenti necessari a cementare la volontà dei cittadini attorno ad un progetto e ad un traguardo comune. Accanto ad un legame etnico che, essendo legame di sangue, è il principale legame di somiglianza, cioè di identità, fu facile evidenziare altri legami che entrano a costituire la comunanza di sentimenti che sta alla base della società in Lombardia.

    Ciò significa che l'identità di un popolo non 'è definita totalmente da caratteri originari immodificabili, non è iscritta solo nel suo patrimonio genetico, ma è anche il risultato di vicende storiche e di esperienze culturali molteplici, per cui tale identità subisce una elaborazione continua e si trasforma nel tempo. Un fatto questo che indica come esista una tolleranza della società ad incorporare in sé popolazioni culturalmente ed etnicamente differenti, ma che indica anche che tale tolleranza non è infinita e che oltre un certo livello la società non riesce più a tollerare la perdita di identità, si avvita su se stessa, sviluppando quella patologia sociale che è la disgregazione sociale.



    17. La velocità delle integrazioni sociali indice

    Se la portata dei cambiamenti etnici e culturali supera la velocità di integrazione della società allora essa interrompe la consapevolezza della identità collettiva che si fonda sul sentire dei cittadini che c'è una componente di continuità nella società che con voglia attraverso i tempi un patrimonio di valori culturali: dagli atteggiamenti spirituali alle forme della cultura materiale.

    In quest'ultimo caso la società va incontro alla disgregazione, sviluppa comportamenti patologici dell'omosessualità, della devianza giovanile, della droga, crea condizioni psicologiche che favoriscono ad esempio la sterilità per cui non nascono più figli. Si realizza in altre parole la "Società deviata", asociale, egoista in cui accanto alle cose che muoiono si generano reazioni di salvezza, come i movimenti etnonazionalisti che proprio in un simile contesto riconoscono il "Timing", il primo impulso alla loro nascita.

    Poiché l'identità è un fattore dinamico che cammina con le vicende storiche dichiarammo di non essere certamente favorevoli a scelte economiche e politiche che facilitino ulteriori flussi migratori verso la Lombardia, ma anche che bisognava favorire l'integrazione delle immigrazioni già avvenute e già assimilate alla nostra civiltà.



    18. L'impossibilità di integrare gli immigrati di colore indice

    Ciò non può valere per l'immigrazione di colore di cui non è prevedibile l'integrazione forse neppure a distanza di secoli. Con essa non funzionano i classici meccanismi di integrazione sociale che sono il matrimonio e i figli in comune e per cui si determinerebbe l'impossibilità di realizzare il legame etnico senza generare gravi tensioni razziali in seno alla società.

    Poiché è impossibile il processo di integrazione, l'immigrazione dal Terzo mondo impedisce di ricostituire la rete dei rapporti sociali interrotta e di riformare la nazione. Ciò comporta la paralisi dei processo storico, cioè l'alternanza di giustizia e libertà per la quale è necessaria la lotta autonomista.



    19. La creazione del caos sociale per ottenere lo Stato autoritario indice


    La gente sentirebbe preminente, nel caos sociale che si genererebbe, non l'autonomia ma al contrario uno Stato autoritario che possa essere adeguato mediatore in una simile situazione.
    Questo è tanto vero che dietro l'immigrazione di colore non c'è solo l'interesse di una sinistra allo sbando che cerca un nuovo sottoproletariato che le dia i voti; non c'è solo la Chiesa cattolica richiusasi nei palazzi dell'avere che ha perso ogni credibilità e cerca di riempire i suoi seminari vuoti con religiosi che ormai rintraccia solo nel Terzo mondo; ma c'è anche l'interesse dei Grande capitale che, attraverso l'immigrazione dei terzo mondo, scarica sui cittadini i costi dei proprio sviluppo.
    Distribuire la macchina produttiva nel Terzo mondo gli costerebbe di più che incorporare il Terzo mondo stesso con le immigrazioni, perché attraverso le leggi dello Stato scarica i costi dei servizi, delle infrastrutture, delle abitazioni sulle nostre spalle.
    inoltre il Grande capitale ha un interesse strategico legato all'immigrazione dei Terzo mondo. Esso sa che nella società multirazziale si innescano tensioni tali che possono incidere profondamente nella coscienza dei cittadini fino al punto che. non ripugni più neppure l'autoritarismo fascista.
    Ciò evidentemente non è tanto finalizzato a rendere autoritari gli Stati nazionali, quanto a rendere possibile il progetto costituente dì uno Stato europeo centralista, sfuggito un tempo a Napoleone, poi a Hitler e che ora la Massoneria si illude di poter realizzare, anche se per realizzarlo occorre la forza.

    Noi crediamo invece all'Europa dei popoli, cioè delle nazioni e delle regioni, con un Parlamento bicamerale e una Camera federale dei popoli. Non è evidentemente il nostro un giochetto di preferenze costituzionali, ma è profondamente legato alle necessità di costruire una Europa in cui sia conservata la democrazia e in cui venga salvaguardato l'interesse della piccola e della media industria destinato invece a scomparire nel progetto dei Grande capitale.

    http://www.leganord.org/a_2_discorsi_08_09_10_89.htm
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

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    Predefinito Concilio Vaticano II rovina della Chiesa

    Traduzione di un estratto dall’originale francese
    «Brimborions Contribution à la vigilance de la foi»
    (Bordeaux, 1990, pagg. 51-69) Stampato in proprio con il permesso dell’Autore


    Presentazione
    Introduzione
    La fede
    «Quanta cura»
    Vaticano II
    Il Magistero ordinario e universale
    L’impossibile atto di fede
    Spiegazioni
    Conferme
    Portata della prova
    Situazione di Giovanni Paolo II
    Note
    Presentazione

    «Senza la fede è impossibile piacere a Dio» (Eb 11, 6). Queste parole di San Paolo sembrano dimenticate oggigiorno, persino da coloro che, tuttavia, si definiscono «credenti», ovvero come coloro che hanno la fede. Vero credente, infatti, è solo colui che vive della fede, che decide alla luce della fede tutte le scelte della sua esistenza. E per fede non intendiamo naturalmente un vago sentimento soggettivo, ma quella virtù sovrannaturale che ha per oggetto, come ognuno di noi recita nell’atto di fede, ciò che Dio ha rivelato, e la Santa Chiesa ci propone a credere. Già nel 1969, gli autori del Breve esame critico del Novus Ordo Missæ, presentato a Paolo VI dai Cardinali Alfredo Ottaviani e Antonio Bacci, affermavano: «è evidente che il Novus Ordo non vuole più rappresentare la fede (del Concilio) di Trento. A questa fede, nondimeno, la coscienza cattolica è vincolata in eterno. Il vero cattolico è dunque posto, dalla promulgazione del Novus Ordo in una tragica necessità di opzione». Lo stesso si potrebbe dire di molti insegnamenti del Vaticano II, che contraddicono la dottrina infallibilmente e irreformabilmente definita della Chiesa, alla quale pure «la coscienza cattolica è vincolata in eterno». La fede spinge dunque il cattolico al rifiuto di una dottrina e di una riforma liturgica in opposizione con quanto «Dio ha rivelato e la Santa Chiesa ci propone a credere». Ma se le cose stanno così, che ne è dell’autorità che ha promulgato, in nome dello Spirito Santo, queste nuove dottrine? A questa domanda sono state date molte risposte. La più corrente è quella che Paolo VI ed i suoi successori sono i veri e legittimi Pontefici Romani, Vicarî di Cristo... ai quali bisognerebbe però disobbedire. Già San Paolo avrebbe risposto: «Chi resiste all’autorità, va contro l’ordine di Dio, e quelli che così resistono, si tireranno addosso la condanna» (Rm 13, 3). Non si tratta, quindi, di disobbedire al Papa, proposizione questa che deve far orrore a ogni cattolico degno di questo nome. Occorre un’altra soluzione. La soluzione che propone l’Autore di questo opuscolo, di poche pagine, ma di ardua teologia, è quella detta Tesi di Cassiciacum, e proposta ai cattolici dal teologo domenicano Mons. Michel-Louis Guérard des Lauriers, già docente di teologia alla Pontificia Università del Laterano, a Roma. L’Autore la presenta nel modo più semplice e più pratico possibile; egli cerca, infatti, di dimostrare (e a mio parere ci riesce perfettamente), che avere una posizione chiara sull’autorità di Paolo VI e dei suoi successori, non è facoltativo per i cattolici. Non si tratta, insomma, di una disputa accademica che non interessa il semplice fedele, o che mette la divisione tra i buoni cattolici. Poiché il Papa è la regola prossima della nostra fede, colui che dobbiamo ascoltare e a cui dobbiamo obbedire per essere salvi, non è secondario, per un cattolico, sapere se tale o tal altra persona è, sì o no, il Vicario di Cristo, il Successore di Pietro, colui che tiene le chiavi del Regno dei Cieli ed ha il potere di sciogliere o di legare... È la fede, che noi dobbiamo esercitare quotidianamente, che ci impone di scegliere, e di scegliere alla luce della medesima fede. L’autore di queste pagine, un giovane sacerdote fondatore e direttore di una scuola cattolica nella regione di Bordeaux, ha fatto la sua scelta, che gli è costata l’espulsione dalla Fraternità San Pio X. Al lettore, adesso, il dovere di informarsi per poi scegliere a sua volta, non secondo il proprio vantaggio, ma secondo le esigenze della fede cattolica.
    don Francesco Ricossa, rettore dell’«Istituto Mater Boni Consilii».

    Introduzione

    Il 22 Dicembre 1980, nella sua risposta agli auguri del Sacro Collegio, Giovanni Paolo II affermò: «Il Concilio Vaticano II ha gettato le basi di un rapporto sostanzialmente nuovo tra la Chiesa e il mondo...» (1). Se il rapporto tra la Chiesa ed il mondo è «sostanzialmente nuovo» non è certamente perché quest’ultimo è cambiato tornando a Gesù Cristo, cessando di rinnegarLo e combatterLo; chiunque può facilmente constatarlo. La novità viene dunque da parte della Chiesa, o piuttosto - poiché la Chiesa è la Sposa immacolata, senza ruga né macchia - da parte di coloro che la guidano. Lo scopo di queste note è di mettere in luce questa novità per permetterci di esercitare la fede cattolica, la cui regola prossima (2) è costituita dall’Autorità della Chiesa; ci interesseremo particolarmente ad una delle più importanti innovazioni del Vaticano II: la Dichiarazione sulla libertà religiosa Dignititas humanæ personæ, alla quale «bisogna continuamente fare riferimento», come dice Giovanni Paolo II nel medesimo discorso (3).

    La fede

    Quando parliamo di fede, intendiamo la fede teologale, virtù divinamente infusa nell’anima di alcuni uomini che, proprio per questo motivo, sono chiamati fedeli. Si tratta della fede cattolica, il cui oggetto è infallibilmente presentato dalla santa Chiesa cattolica romana. La fede è un dono soprannaturale e gratuito di Dio, che eleva l’intelligenza e determina la volontà affinché il fedele aderisca fermamente e senza timore di errore alla verità divinamente rivelata, al mistero di Dio che si rivela e si esprime in formule intelligibili e vere. La virtù della fede si trova nell’intelligenza umana; il suo atto è un atto dell’intelligenza: un atto che ha un oggetto ben determinato, un contenuto intelligibile. In altri termini, vi sono nella fede due elementi necessari: § uno, esteriore: l’oggetto della fede. È la Rivelazione divina, espressa da Dio con parole umane e trasmessa dalla Chiesa; § l’altro, interiore: la virtù di fede. Questa virtù è un lume divino gratuitamente comunicato che permette all’intelligenza di accedere alla conoscenza soprannaturale dell’oggetto della fede e che gliene dà una certezza propriamente divina. Questi due elementi non sono che una sola cosa perché procedono dall’unica Verità: il Verbo di Dio. Non c’è dunque che una sola fede: la fede cattolica. Al di fuori di essa, quella che impropriamente viene chiamata «fede» non è altro che una credenza umana. Questa fede ha un contenuto oggettivo: le verità rivelate, ed una regola prossima: l’insegnamento del Magistero della Chiesa. La fede non è dunque un sentimento religioso, né un ricostituente morale, né la fiducia in Gesù Cristo, e neppure l’adesione alla Sua persona escludendo l’adesione alla verità che Egli rivela. Se la fede può essere, a seconda delle persone, più o meno intensa e forte, il suo oggetto non è però divisibile: negare o dubitare volontariamente della più piccola verità di fede equivale a non credere nella Parola di Dio, e quindi a perdere la fede. È questo l’insegnamento di Leone XIII (1810-1903) (4): «Tale è la natura delle fede che non c’è niente di più impossibile che credere una cosa e rigettarne un’altra. La Chiesa professa, in effetti, che la fede è una «virtù soprannaturale» mediante la quale, sotto l’ispirazione e con il soccorso della grazia di Dio, crediamo che ciò che è stato rivelato da Lui è vero; non lo crediamo a causa della verità intrinseca delle cose vista alla luce naturale della ragione, ma a causa dell’autorità di Dio stesso che si rivela e che non può né ingannarsi né ingannarci» (5). Se è dunque chiaro che una proposizione è stata rivelata da Dio, e ciononostante non ci si crede, non si crede assolutamente niente di fede divina.

    «Quanta cura»

    L’Enciclica Quanta cura di Papa Pio IX (1792-1878), datata 8 dicembre 1864 e consacrata alla condanna degli errori moderni, gode di una particolare autorità. In effetti, il Sommo Pontefice vi manifesta la sua volontà di farne un atto ex cathedra. Ricordiamo innanzitutto quanto definisce il Concilio Vaticano I sull’infallibilità del romano Pontefice: «Insegniamo e definiamo che è un dogma divinamente rivelato che il romano Pontefice, quando parla ex cathedra, ovvero quando, nella sua funzione di pastore e dottore di tutti i cristiani, in virtù della sua suprema autorità apostolica definisce una dottrina sulla fede e sui costumi, che dev’essere tenuta dalla Chiesa universale, egli gode pienamente, grazie all’assistenza divina che gli è stata promessa nella persona del beato Pietro, di quell’infallibilità di cui il divin Redentore ha voluto che fosse provvista la Sua Chiesa quando definisce una dottrina sulla fede o sui costumi; in conseguenza, queste definizioni del romano Pontefice sono irreformabili in sè stesse e non in virtù del consenso della Chiesa» (6). Dal paragrafo n° 14 dell’Enciclica Quanta cura, risulta evidente che Pio IX qui parla ex cathedra: «Memori del nostro incarico apostolico [...], Noi riproviamo, proscriviamo e condanniamo con la Nostra autorità apostolica tutte e ciascuna le opinioni errate e le dottrine ricordate all’inizio della Nostra lettera; e vogliamo e ordiniamo che tutti i figli della Chiesa cattolica le tengano certamente come riprovate, proscritte e condannate» (7). Più esattamente Pio IX ha parlato ex cathedra ogni qual volta ha condannato nell’Enciclica degli errori che riguardano la fede o la morale; è proprio allora che questi errori sono stati condannati infallibilmente e lo restano a tutt’oggi. È anche questo il caso della libertà religiosa. Ecco cosa insegna il paragrafo n° 5 dell’Enciclica: «Contro la dottrina della Sacra Scrittura, della Chiesa e dei Santi Padri, affermano senza esitazione: la miglior condizione della società è quella in cui non si riconosce al potere politico il dovere di reprimere con delle pene legali i violatori della religione cattolica, se non nella misura in cui la tranquillità pubblica lo richieda. In conseguenza di questa idea assolutamente falsa del governo sociale, non esitano a favorire questa opinione erronea - non ve ne può essere una più fatale per la Chiesa cattolica e per la salvezza delle anime e che il Nostro predecessore Gregorio XVI definiva un delirio - cioè che la libertà di coscienza e dei culti è un diritto proprio ad ogni uomo, che dev’essere garantito e proclamato in ogni società ben costituita» (8). Papa Pio IX insegna dunque che affermare il diritto alla libertà civile in materia religiosa - quel che è chiamato libertà di coscienza o libertà religiosa - è contrario alla Rivelazione divina. Il Papa insegna questo infallibilmente, ed in conseguenza per mezzo della virtù della fede - alla luce della fede - il fedele sa e crede che l’affermazione del diritto alla libertà religiosa è falso perché contrario alla Rivelazione. Inoltre, Quanta cura non è l’unico atto del Magistero in cui la Chiesa insegna ciò, benché sia l’atto più solenne. Così parla anche Pio XII (1876-1958): «Quel che non corrisponde alla verità e alla legge morale non ha nessun diritto all’esistenza, alla propaganda e all’azione» (9).

    Vaticano II

    Il 7 dicembre 1965, vigilia della chiusura del Concilio Vaticano II, Paolo VI (1897-1978), in unione con più di 2.300 Vescovi, firmava e promulgava solennemente il Decreto Dignitatis humanæ personæ sulla libertà religiosa: «Tutto l’insieme e ciascuno dei punti che sono stati pubblicati in questa Dichiarazione sono piaciuti ai Padri conciliari. E Noi, in virtù del potere apostolico che abbiamo da Cristo, in unione con i venerabili Padri, Noi li approviamo, confermiamo e decretiamo nello Spirito Santo, e ordiniamo che quel che è stato stabilito in questo Concilio sia promulgato per la gloria di Dio. Roma, in San Pietro, 7 dicembre 1965, io Paolo, Vescovo della Chiesa cattolica» (10). Questo Decreto conciliare definisce così la libertà religiosa: «Questo Concilio Vaticano dichiara che la persona umana ha diritto alla libertà religiosa. Il contenuto di una tale libertà è che gli esseri umani devono essere immuni dalla coercizione da parte dei singoli individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia potere umano, cosi che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità ad essa: privatamente o pubblicamente, in forma individuale o associata. Inoltre dichiara che il diritto alla libertà religiosa si fonda realmente sulla stessa dignità della persona umana quale l’hanno fatta conoscere la Parola di Dio rivelata e la stessa ragione. Questo diritto della persona umana alla libertà religiosa dev’essere riconosciuto e sancito come diritto civile nell’ordinamento giuridico della società» (11). Il Concilio insegna dunque che la libertà civile in materia religiosa è un diritto naturale per l’uomo, in modo che il potere politico non ha il diritto di impedire di agire pubblicamente a quelli che agiscono secondo la loro coscienza in materia religiosa. Per l’esercizio di questo diritto il Vaticano II assegna dei limiti che sono enunciati subito dopo (12); si tratta di salvaguardare la pace e la tranquillità pubblica. In altri termini, il Vaticano II insegna che la dignità dell’uomo esige che lo Stato riconosca nelle sue leggi che ogni uomo ha il diritto di professare e di esercitare la propria religione, anche se falsa e contraria alla religione cattolica, nella misura in cui la pace pubblica sia preservata. Questa dignità umana, continua il Concilio, è quella che la Parola di Dio ci rivela. Così, dunque, secondo Dignitatis humanæ personæ, Paolo VI e l’insieme dei Vescovi dichiarano che è rivelata da Dio una dottrina della dignità umana che è il fondamento del diritto alla libertà religiosa in foro esterno e pubblico. Il seguito del Decreto lo conferma: «[...] una tale dottrina sulla libertà affonda le sue radici nella Rivelazione divina, per cui tanto più va rispettata con sacro impegno dai cristiani» (13). «La Chiesa, pertanto, fedele alla verità evangelica, segue la via di Cristo e degli apostoli quando riconosce come rispondente alla dignità dell’uomo e alla Rivelazione di Dio il principio della libertà religiosa e la favorisce» (14).

    Il Magistero ordinario e universale

    Qual è la natura dell’assentimento che bisogna dare a questo insegnamento del Concilio Vaticano II? Un atto di fede? Un semplice sentimento interno? Una considerazione rispettosa? Questo si vede a partire dalla natura stessa dell’atto, il quale è precisato dai suoi autori. Dignitatis humanæ è un atto del Magistero ordinario e universale (15). Dobbiamo precisare questa nozione per utilizzarla nel senso in cui la Chiesa la intende, per seguire la prescrizione del Concilio Vaticano I: «Così bisogna sempre conservare per i sacri dogmi il senso che la santa madre Chiesa ha dichiarato una volta, e non è mai permesso di allontanarsene su pretesto o sotto parvenza di un’intelligenza più profonda» (16). L’espressione «Magistero ordinario universale» è utilizzata dal Concilio Vaticano I, e ne troviamo il significato negli interventi e relazioni ufficiali della Deputazione della fede, incaricata di spiegare ai Padri, prima dello scrutinio, il senso esatto di ciò che dovevano definire. La Deputazione fa riferimento alla Lettera apostolica di Pio IX Tuas libenter, del 21 dicembre 1863 (17). «Universale» significa l’insieme della Chiesa docente: il Papa ed i Vescovi subordinati. Il Magistero universale è pertanto il potere d’insegnare della Chiesa esercitato dal Papa e dall’insieme dei Vescovi. Può essere esercitato in maniera straordinaria con un giudizio solenne, o in modo ordinario nell’insegnamento quotidiano della fede, nel quale i Vescovi sono normalmente dispersi. Per quel che riguarda il Concilio Vaticano II, la riunione dei Vescovi del mondo intero dava all’esercizio del Magistero un carattere straordinario piuttosto che ordinario; tuttavia, l’assenza di definizioni solenni e la dichiarazione di Paolo VI (18) fanno classificare gli atti del Vaticano II, e quindi il Decreto sulla libertà religiosa, tra quelli del Magistero ordinario universale. Il Magistero ordinario universale propone infallibilmente l’oggetto della fede, e pertanto ogni fedele deve credere di fede divina tutto ciò che è stato presentato come rivelato. È l’insegnamento di Pio IX in Tuas libenter (19) e del Concilio Vaticano I (20): «Si deve credere di fede divina e cattolica tutto quello che è contenuto nella Parola di Dio scritta o tramandata, e che la Chiesa propone a credere come divinamente rivelato sia con un giudizio solenne che con il suo Magistero ordinario e universale». Questo insegnamento è ripreso da Papa Leone XIII, che afferma che questa è proprio la dottrina costante della Chiesa (21). Dunque, non c’è nessun dubbio possibile. Poiché Dignitatis humanæ è un atto del Magistero ordinario e universale, e poiché vi si trova affermata come rivelata da Dio una dignità dell’uomo tale da fondare il diritto alla libertà civile in materia religiosa, ogni fedele e deve compiere un atto di fede, deve cioè credere di fede divina e cattolica questa dottrina: la dignità dell’uomo comporta, esige, implica il diritto alla libertà religiosa. La notificazione del Cardinal Felici, segretario generale del Vaticano II alla 123ª Congregazione generale conferma questa necessità: «Quanto alle altre cose che sono proposte dal Concilio, poiché rappresentano la dottrina del Magistero supremo della Chiesa, tutti e ciascuno dei fedeli devono riceverle ed ammetterle secondo lo spirito del Concilio stesso, quale risulta sia dalla materia in causa, che dal modo di esprimersi, secondo le norme dell’interpretazione teologica» (22). Ora, la materia in causa è già insegnata infallibilmente dalla Chiesa ed è di somma importanza per la salvezza delle anime, ed il modo di esprimersi presenta questo insegnamento come rivelato da Dio. Ogni fedele quindi, deve accettare questa dottrina nella fede. Contro questa conclusione, si potrebbe tentare di far valere che il Vaticano II non enuncia alcun obbligo di credere a questa dignità della persona umana, e che quindi l’atto di fede non è necessario. Questa obiezione non ha alcun valore. La Rivelazione è, in effetti, il motivo formale della fede: è proprio perché la dottrina è rivelata da Dio che il fedele crede, e la certezza della Rivelazione ci è data dall’atto del Magistero. Quest’ultimo non ha dunque per nulla bisogno di menzionare un obbligo di credere: è la natura stessa delle cose che comporta questa necessità (23). Questo è d’altra parte l’insegnamento di Leone XIII: «Ogni volta che la parola di questo Magistero dichiara che tale o tal altra verità fa parte dell’insieme della dottrina divinamente rivelata, ognuno deve credere con certezza che ciò è vero» (24).

    L’impossibile atto di fede

    Il fedele deve credere di fede divina che la dignità dell’uomo è tale da fondare il diritto alla libertà religiosa: questa conclusione si deduce ineluttabilmente dall’insegnamento che abbiamo or ora ricordato. Ma questo atto di fede è metafisicamente impossibile. In effetti, il fedele crede già di fede divina che l’affermazione del diritto alla libertà religiosa è contraria alla Rivelazione (25). Nessuno può credere simultaneamente due proposizioni contrarie; nessuno può credere nello stesso tempo che il diritto alla libertà religiosa è contrario alla Rivelazione, e che è fondato in questa Rivelazione. è impossibile anche con tutta la buona volontà: questo dipende dalla natura delle cose. Così dunque è la fede, l’esercizio della fede cattolica che rende impossibile l’assenso all’insegnamento del Vaticano II. Non solo questo assenso è moralmente illecito, ma per di più è impedito per chiunque eserciti rettamente la fede. Trattenuto nell’assenso che dovrebbe dare a Dignitatis humanæ, il fedele ha il dovere immediato di verificare se la contraddizione è veramente reale e non solamente apparente, e se, d’altra parte, Quanta cura e Dignitatis humanæ imperano effettivamente un atto di fede. Egli constaterà nuovamente che Pio IX nega ciò che il Vaticano II afferma (26): la libertà religiosa in foro esterno e pubblico è un diritto naturale ad ogni uomo, in tal modo che l’autorità pubblica non ha il diritto d’impedire la propaganda e l’esercizio pubblico delle false religioni a meno che ciò non sia richiesto dalla pubblica tranquillità. Egli potrà verificare anche che Quanta cura, come pure Dignitatis humanæ, si appellano alla Rivelazione richiedono l’assenso di fede. Allora, credendo già anteriormente e con una certezza divina che è impossibile ed illecito rimettere in causa, l’insegnamento di Pio IX, il fedele rigetterà quello del Vaticano II, vale a dire quello di Paolo VI, da cui il Vaticano II ricava tutta la sua autorità. Tuttavia, se è impossibile aderire all’insegnamento di Dignitatis humanæ in ragione del suo contenuto, la necessità di credere a questo medesimo insegnamento resta, imperativa, in ragione dell’atto del Magistero che lo presenta come rivelato. E così, essendo impedito dalla fede teologale dall’aderire alla dottrina di Paolo VI, il fedele è nel contempo e necessariamente impedito - sempre dalla fede - di aderire all’autorità di Paolo VI e di riconoscerla. Questo richiede alcune spiegazioni.

    Spiegazioni

    La Chiesa cattolica si distingue essenzialmente da ogni altra società per il suo carattere sovrannaturale: essa è il Corpo mistico di Gesù Cristo. In Lei l’Autorità; e come fonte delle altre l’Autorità del Sommo Pontefice; è essenzialmente sovrannaturale (anche se si esercita con dei mezzi naturali). è l’applicazione del principio generale ricordato da Leone XIII: «La Chiesa non è una sorta di cadavere: essa è il Corpo di Cristo animato dalla Sua vita sovrannaturale [...]. Allo stesso modo, il Suo Corpo mistico non è la vera Chiesa che da questo fatto: che le Sue parti visibili derivano la loro forza e la loro vita dai doni sovrannaturali e dagli altri elementi invisibili; ed è da questa unione che risulta la ragione propria e la natura delle parti visibili stesse» (27). L’Autorità del Sommo Pontefice è essenzialmente sovrannaturale: essa è costituita dall’assistenza abituale speciale promessa da Gesù Cristo a San Pietro e ai suoi successori. È dunque nella luce della fede che noi conosciamo l’Autorità pontificia e che vi aderiamo. Facciamo un esempio. Sono nel 1950. È nella luce della fede che io so che Pio XII è il Papa: ciò, mediante una conoscenza che è adeguata solo nell’ordine sovrannaturale, e che suppone la conoscenza naturale del fatto che ognuno può constatare. Senza questa conoscenza sovrannaturale dell’Autorità che ha ricevuto da Cristo, io non potrei credere di fede divina il dogma dell’Assunzione che egli definisce infallibilmente. Che Pio XII sia Papa, è quel che vien chiamato un fatto dogmatico che, in quanto tale, cade sotto la luce della fede. In effetti, benché questo fatto sia contingente, è necessario alla conservazione del deposito rivelato perché costituisce la regola prossima della fede: il Magistero, di cui il Papa è il principio nell’ordine dell’esercizio. Questo significa che è nel medesimo atto di fede semplice che io aderisco al dogma e all’Autorità che lo presenta. Per cui, è nella stessa luce sovrannaturale e nel medesimo atto che io dovrei aderire alla dottrina del Vaticano II sulla libertà religiosa e all’autorità di Paolo VI che la garantisce. Ora, l’abbiamo visto, questa adesione è impossibile in ragione della fede stessa. E dunque, col semplice esercizio della fede e senza formulare nessun giudizio, il fedele è trattenuto ed impedito dall’aderire all’autorità di Paolo VI che egli non può riconoscere; è nella fede che egli vede che costui non è l’Autorità, che non è la regola della fede.

    Conferme

    Illuminato in questo modo dalla fede, e davanti alla gravità di una simile conclusione, il fedele cercherà una conferma di questa verità certa: Paolo VI non era l’Autorità della Chiesa cattolica, era privo dell’Autorità pontificia che il Papa tiene da Cristo. Egli vedrà allora che l’universale riforma liturgica inaugurata dal Vaticano II, in particolare quella del rito della Messa, è infestata dallo spirito dell’eresia: essa non è né il frutto, né l’espressione della fede della Chiesa (28). Se è impossibile che una legge generale della Chiesa sia cattiva - ammetterlo condurrebbe a cadere sotto la condanna di Pio VI (1717-1799) e a contraddire l’insegnamento della Chiesa (29) - a maggior ragione è impossibile che un rito della liturgia cattolica meriti di essere rifiutato (30). Questa riforma non può quindi venire dalla Chiesa: la sua promulgazione da parte di Paolo VI è incompatibile con l’assistenza dello Spirito Santo, e quindi col possesso dell’Autorità pontificia. Continuando ad esercitare la fede cattolica, il fedele constaterà che gli atti di Paolo VI - nella loro stessa natura e presi nel loro insieme - non procurano il bene della Chiesa. L’intenzione abituale - non la sua intenzione intima, ma quella immanente agli atti compiuti - che ha manifestato e messo in pratica non è ordinata al bene della Chiesa. Questa assenza d’intenzione di procurare il bene della Chiesa non è compatibile con il possesso dell’Autorità pontificia: a causa di essa, in effetti, il governo abituale di Paolo VI non è quello di Gesù Cristo (31). Ora, secondo l’insegnamento di Pio XII: «Il divin Redentore governa il Suo Corpo mistico visibilmente ed ordinariamente mediante il Suo Vicario in terra» (32). Il fedele si renderà così conto della necessità per conservare la fede cattolica, confessarla integralmente e metterne in pratica le opere, di non obbedire agli atti di Paolo VI e neppure agli atti di coloro che Paolo VI ha nominato e mantiene come loro superiori (33). Ora, è proprio ciò che sarebbe impossibile fare abitualmente (34) in presenza della vera Autorità che non è altro che quella di Gesù Cristo, il quale «è con» («una cum») il Suo Vicario sulla terra. Si tratta, in effetti, di un dogma di fede cattolica definito da Papa Bonifacio VIII (1235 ca.-1303): «Noi dichiariamo, diciamo, definiamo e pronunciamo che la sottomissione al Pontefice Romano è assolutamente necessaria alla salvezza per tutte le creature» (35). Papa Pio XI (1857-1939) insegna a sua volta che nessuno è cattolico senza obbedire abitualmente alla legittima Autorità: «In questa unica Chiesa di Cristo, nessuno si trova, nessuno rimane se, con l’obbedienza, non riconosce ed accetta l’Autorità e il potere di Pietro e dei suoi legittimi successori» (36). Le constatazioni che avrà fatto il fedele esaminando dei fatti pubblici e certi alla luce della fede - non ci dilunghiamo su di essi perché sono già stati analizzati altrove (37) - giungeranno a questa conclusione: non è solo nell’insegnamento sulla libertà religiosa, ma anche sulla riforma liturgica e nell’insieme dei suoi atti, che Paolo VI si manifesta con certezza, una certezza che appartiene all’ordine della fede, come qualcuno che non è l’Autorità suprema della Chiesa cattolica. Ma soprattutto, ed è attualmente la cosa più importante, il fedele applicherà a Giovanni Paolo II lo stesso giudizio che ha portato su Paolo VI. Le ragioni sono ineluttabili: § Giovanni Paolo II non ha rotto con lo stato di scisma (38) introdotto da Paolo VI; egli ha ripetutamente (39) dichiarato di voler continuare l’opera del Vaticano II e di Paolo VI, opera che ha codificato e alla quale ha dato uno statuto giuridico promulgando il Codice di Diritto canonico del 1983 (40). § Succedendo a Paolo VI, Giovanni Paolo II assume la responsabilità dei suoi atti permanenti (41) fintanto che non li ha denunciati: è lui che, oggi, rende obbligatorio con autorità l’insegnamento del Vaticano II e la riforma liturgica. È dunque all’autorità di Giovanni Paolo II che la fede ci impedisce oggi di aderire; è questa stessa autorità che la fede ci obbliga a rigettare. § Infine, in certi punti del suo insegnamento (42), e ancor più nel suo modo di agire (43), Giovanni Paolo II ha ulteriormente allargato il fossato tra la dottrina cattolica e le teorie conciliari. Finché Giovanni Paolo II non rompe con degli insegnamenti e delle leggi che sono incompatibili con l’Autorità pontificia - specialmente la riforma liturgica e la libertà religiosa - la fede, in ragione di questa stessa incompatibilità, non potrà riconoscere la sua autorità e obbligherà a negarla. Non cambiano nulla a questa situazione altri atti che sono o sembrano essere conformi alla Tradizione o alla dottrina cattolica, e che sembrano allentare la morsa che soffoca la fede del popolo cristiano. Poiché questi atti non sono una rottura formale con lo scisma capitale, sono privi di valore giuridico ed al massimo, con non poco ottimismo, possono essere considerati solo come delle preparazioni materiali a questa rottura futura, preparazioni delle quali, tra l’altro, si serve Dio per dare la Sua grazia a qualche anima smarrita.

    Portata della prova

    La prova che abbiamo appena spiegato conclude, con una certezza che si fonda sulla fede cattolica, che Paolo VI e Giovanni Paolo II sono sprovvisti dell’Autorità pontificia. Ma questa prova, che si limita all’analisi dei loro atti pubblici e si fonda sull’incompatibilità di questi atti con l’Autorità di Gesù Cristo, non dice nulla sulla loro persona e non può dare alcuna certezza sulla loro appartenenza personale alla Chiesa e sulla loro fede interiore. Come abbiamo ricordato, il papato è un «fatto dogmatico», che pertanto è in relazione con la fede. Ora, è possibile dimostrare alla luce della fede che Giovanni Paolo II è sprovvisto dell’Autorità pontificia, ma è impossibile avere una certezza sufficiente su un eventuale peccato di scisma o di eresia, peccato che farebbe abbandonare la Chiesa. Per avere una tale certezza, occorrerebbe un’ammissione di Giovanni Paolo II (che non ha mai avuto luogo), o un atto dell’Autorità (44) (il che attualmente è impossibile), oppure un’obbligazione di confessare la fede impostagli dai membri della Chiesa docente. Poiché vi è una certezza ecclesiale (45) dell’assenza dell’autorità in Giovanni Paolo II e poiché non vi è - e allo stato attuale delle cose non ci può essere - una certezza ecclesiale della sua esclusione dalla Chiesa, è necessario introdurre la distinzione che abbiamo appena ricordato.

    Situazione di Giovanni Paolo II

    Giovanni Paolo II è papa «materialiter» (materialmente), non è Papa «formaliter» (formalmente) (46). E’ papa materialmente, vale a dire che è il soggetto designato, che possiede cioè un’attitudine che nessuno spartisce con lui a ricevere la comunicazione dell’Autorità papale, se non vi mette ostacolo. Egli possiede una realtà giuridica per la quale occupa di diritto la Sede di San Pietro. Non è un anti-papa (47). Giovanni Paolo II non è Papa formalmente; non gode di ciò che fa che il papa sia Papa: l’autorità soprannaturale comunicata da Gesù Cristo, quell’assistenza speciale che gli conferisce i supremi poteri di Magistero, di Santificazione e di Governo. Se bisogna rispondere con un sì o con un no alla domanda: «è Papa»?, bisogna dire che Giovanni Paolo II non è Papa, ma che è il soggetto designato. Non è Papa simpliciter, ma è stato eletto ed accettato da coloro che hanno potere sull’elezione (48). Non avendo rotto con lo stato di scisma, tuttavia egli resta privo dell’autorità pontificia (49). In conseguenza, la testimonianza della fede esige che si eviti ogni atto che comporti in qualsiasi modo il riconoscimento della sua autorità: nominarlo al Canone della Messa o nelle orazioni liturgiche previste per il Sommo Pontefice (50), profittare delle sue leggi o attribuirgli un valore giuridico, ricorrere ai tribunali della Curia, ecc... Ecco come, nell’esercizio quotidiano della fede cattolica e prima ancora di ogni giudizio o ragionamento, ogni fedele può e deve discernere lo stato della Chiesa e la situazione della sua autorità. Per la gloria di Dio e per la propria salvezza regolerà la propria condotta in conseguenza.

    Note

    (1) Cfr. Osservatore Romano, ed. francese, del 6 gennaio 1981, pag. 7.
    (2) In teologia, si distingue tra «regola remota» e «regola prossima» della nostra fede. Che cosa dobbiamo credere? Ciò che è stato rivelato da Dio e che è contenuto nella Scrittura e nella Tradizione. Questa è la regola remota. Come facciamo a sapere cosa è stato effettivamente rivelato ed è contenuto quindi nella Scrittura e nella Tradizione? L’Autorità della Chiesa, il Papa. Egli è la regola prossima. In concreto, il credente si rivolge immediatamente all’Autorità della Chiesa per sapere ciò che deve credere (N.d.E.).
    (3) Cfr. Osservatore Romano, ed. francese, del 6 gennaio 1981, pag. 6.
    (4) Cfr. Leone XIII, in Insegnamenti pontifici, «La Chiesa», n° 573.
    (5) Cfr. Concilio Vaticano I, sess. III.; Denz. n° 1789.
    (6) Cfr. Costituzione Pastor æternus; Denz. n° 1839. Si noti come il carattere ex cathedra di un atto pontificio non dipenda dalla solennità esteriore dell’atto, ma dalla sua natura.
    (7) Cfr. Denz. n° 1699.
    (8) Cfr. Denz. nn. 1689-1690.
    (9) Cfr. Pio XII, Discorso ai giuristi italiani, del 6 dicembre 1953. La nostra intenzione non è qui di spiegare o di giustificare la dottrina cattolica, ma di riconoscere qual è.
    (10) Cfr. Constitutiones, decreta, declarationes del Concilio Vaticano II, Tipografia Poliglotta Vaticana, 1966, pag. 532.
    (11) Cfr. Dignitatis humanæ, n° 2.
    (12) Ibid., n° 7.
    (13) Ibid., n° 9.
    (14) Ibid., n° 12. Il grassetto è nostro.
    (15) Sulla natura e l’autorità del Magistero ordinario universale, vedi: Abbé B. Lucien, L’infaillibilité du Magistère ordinaire et universel de l’église, Documents de Catholicité, 1984; Cahiers de Cassiciacum, suppl. n° 5, pagg. 7-8 e 13-19; P. L.-M. de Blignières, L’infallibilità del Magistero ordinario, Madonna de La Salette, Ferrara 1995.
    (16) Cfr. Denz., 1800
    (17) «Quando non si trattasse che della sottomissione che deve manifestarsi con un atto di fede divina, non si potrebbe restringerla ai soli punti definiti dai decreti dei Concilii ecumenici o dei Pontefici romani e di questa sede apostolica; bisognerebbe ancora estenderla a tutto ciò che è trasmesso, come divinamente rivelato, dal corpo insegnante ordinario di tutta la Chiesa dispersa nel mondo»; (vedi Denz. 1683).
    (18) «Dato il carattere pastorale del Concilio, esso ha evitato di pronunciare in modo straordinario dei dogmi comportanti la nota d’infallibilità, ma ha munito i suoi insegnamenti dell’autorità del Magistero supremo ordinario» (cfr. Paolo VI, Discorso del 12 gennaio 1996; vedi Documentation Catholique, n° 1466, pag. 420).
    (19) Cfr. Denz. 1683.
    (20) Cfr. Costituzione Dei Filius, del 24 aprile 1870; Denz. 1792.
    (21) Cfr. Leone XIII, Satis cognitum; in Insegnamenti Pontefici, «La Chiesa», n° 574; Testem benevolentiæ, ibid., n° 629.
    (22) Cit. in La Documentation catholique, n° 1438, del 16 novembre 1964, pagg. 1633-1634.
    (23) è impossibile che il Magistero sottintenda: «è la Parola di Dio, ma non è necessario crederci».
    (24) Cfr. Leone XIII, Satis cognitum; in Insegnamenti Pontifici, «La Chiesa», n° 572.
    (25) Vedi pagg. 5-6.
    (26) Questa contraddizione è evidente alla semplice lettura dei due testi. Contro coloro che la negano, è stata provata e difesa dall’Abbé Bernard Lucien (libro pubblicato da Forts dans la Foi); Lettre à quelques évêques, (pagg. 71-118); La liberté religieuse, examen d’un tentative de justification, réponse au Prieuré Saint-Thomas-d’Aquin, (febbraio 1988, pagg. 9-35); Lecture critique des «Remarques sur la brochure des Abbés Lucien et Belmont» (luglio-agosto 1988).
    (27) Cfr. Leone XIII, Satis cognitum, in Insegnamenti Pontifici, «La Chiesa», n° 543.
    (28) Vedi il nostro studio La réforme liturgique, in Brimborions, Bordeaux 1990, pagg. 31-50.
    (29) Cfr. Pio VI, Auctorem fidei, 28 agosto 1794, Denz. 1578; Gregorio XVI, Quo graviora, 4 ottobre 1833, in Insegnamenti Pontifici, «La Chiesa», n° 169; Leone XIII, Testem benevolentiæ, in Insegnamenti Pontifici, «La Chiesa», n° 631.
    (30) Cfr. Concilio di Trento, Sessione VII; Denz. 856.
    (31) Sull’incompatibilità tra l’Autorità e l’assenza d’intenzione di procurare il bene della Chiesa vedi Cahiers de Cassiciacum, n° 1, pagg. 42-64.
    (32) Cfr. Pio XII, Mystici Corporis, 29 giugno 1943, in Insegnamenti Pontifici, «la Chiesa», n° 1040.
    (33) Non sosteniamo che tutti coloro i quali fanno professione di essere sottomessi a Paolo VI o Giovanni Paolo II hanno disertato la fede cattolica. Ma facciamo notare che - come lo dimostra l’esperienza - quanti conservano la fede lo fanno malgrado questa sottomissione, e non mediante essa, come invece dovrebbe essere. Che lo sappiano o no, essi resistono ad una parte dell’insegnamento conciliare o ne fanno astrazione, ed è grazie a ciò che conservano la fede.
    (34) Sette teologi di Venezia, per giustificare la resistenza ad un Breve di Paolo V (17 aprile 1606) affermavano che prima di obbedire ad ogni ordine, anche se proveniente dal Sommo Pontefice, il cristiano deve esaminare innanzitutto se quest’ordine è conveniente, legittimo e obbligatorio. San Roberto Bellarmino rispose loro «Questa proposizione è eretica [...]. La discussione del precetto, quando esso non contiene con evidenza un peccato, è riprovata dai Padri, perché chi discute il precetto, si costituisce giudice del suo superiore» (Auctarium bellarminum, ed. Le Bachelet, n° 872).
    (35) Cfr. Bolla Unam Sanctam, 18 novembre 1302, Denz. 469.
    (36) Cfr. Mortalium animos, 6 gennaio 1928, in Insegnamenti Pontifici, «La Chiesa», n° 873.
    (37) Vedi ad esempio D. Le Roux, Pietro mi ami tu?, ed. Gotica, Ferrara 1986; La Tradizione cattolica, n° 1, 1992.
    (38) Lo scisma capitale - vale a dire quello del capo in quanto tale - non dev’essere confuso con il peccato personale di scisma che separa dalla Chiesa. Vedi Cahiers de Cassiciacum, nn. 3-4, pagg. 73-77.
    (39) Molti riferimenti in Jean-Paul II et la doctrine catholique, 1981, e in L’insegnamento di Giovanni Paolo II è cattolico?, (1983) 1995, di Padre L.-M. de Blignières.
    (40) La Costituzione apostolica Sacræ disciplinæ leges, del 25 gennaio 1983, che promulaga questo codice, lo ripete più volte e presenta il Codice come il risultato dello spirito del Vaticano II e della novità (questo termine è espressamente utilizzato) del Concilio, soprattutto per quel che concerne l’ecclesiologia.
    (41) Sono gli atti dottrinali, o gli atti legislativi il cui effetto non era temporaneo e che pertanto perdurano ancora.
    (42) Nuova concezione della Chiesa, falso principio relativo all’Incarnazione. Vedi nota n° 39 e Lettre a qulelques évêques, 1983.
    (43) Come, ad esempio, gli atti di culto non-cattolico, o la partecipazione a tali atti. Vedi a questo proposito D. Le Roux, op. cit.
    (44) L’assenza di un esercizio attuale del Magistero della Chiesa rende difficilmente riconoscibile l’eresia. Questa, infatti, è la negazione di una verità rivelata da Dio conosciuta come tale. Questa conoscenza si compie mediante la proposizione di tale verità rivelata da parte del Magistero della Chiesa. In assenza di una proposizione attuale, nessuno può determinare con certezza che tale persona nega scientemente, con pertinacia, la verità rivelata, a meno che essa non lo ammetta implicitamente o esplicitamente.
    (45) Chiamiamo «certezza ecclesiale» una certezza che ha valore nella Chiesa, di cui si può fare atto davanti ad essa («in facie Ecclesiæ»), che è dello stesso ordine della nostra appartenenza alla Chiesa e che pertanto può essere presa in considerazione nell’analisi dello stato della Chiesa e della situazione della sua autorità: l sia perché ci viene da un atto dell’autorità ecclesiastica (che sia magisteriale, legislativo o giurisdizionale); l sia perché ha il suo principio nella fede, esercitata in occasione di fatti pubblici e notori.
    (46) Questa distinzione è stata messa in luce ed in opera da Padre M. L. Guérard des Lauriers in Cahiers de Cassiciacum, n° 1, pagg. 7-99. Il suo fondamento è enunciato da San Roberto Bellarmino in De Romano Pontifice, II, 30 (vedi Cahiers de Cassiciacum, n° 2, pag. 83), e dal Cardinale Caietano: «Il papato e Pietro sono in un rapporto di forma a materia» (in De comparatione auctoritatis papæ et concilii, n° 290).
    (47) Nulla a che fare quindi col sedevacantismo. Per le difficoltà e le conseguenze dell’affermazione della permanenza materiale della gerarchia, soprattutto per quel che concerne la successione apostolica, vedi Abbé B. Lucien, La situation actuelle de l’autorité dans l’église, Documents de catholicité, 1985, pagg. 97-103; l’articolo di don D. Sanborn intitolato De papatu materiali, in Sacerdotium (2899 East Big Deaver Road, Suite 308, Troy, Michigan 48083, 2400 U.S.A.), n° 11 (1994), n° 16 (1996).
    (48) Ricordiamo che Papa Pio XII ha stabilito quanto segue: «Nessun Cardinale può in nessuna maniera essere escluso dall’elezione attiva e passiva del Sommo Pontefice sotto il pretesto o per il motivo di qualunque scomunica, sospensione, interdetto o altri impedimenti ecclesiastici. Noi sospendiamo queste censure esclusivamente per l’elezione» (Costituzione Vacante apostolicæ Sedis, 8 dicembre 1945, n° 34).
    (49) La domanda che pone il Cardinale decano al soggetto che è stato appena eletto papa riguarda solo l’accettazione dell’elezione (Vacante apostolicæ Sedis, nn. 100-101). La risposta affermativa - quella che dopo Paolo VI ha dato Giovanni Paolo - costituisce il soggetto eletto papa «materialiter», e nello stesso atto Papa «formaliter» se egli ha l’intenzione di procurare il vero bene della Chiesa: l’Autorità gli è allora immediatamente conferita da Gesù Cristo. Poiché Giovanni Paolo II da un lato ha realmente accettato l’elezione e d’altro canto ha manifestato all’eccesso che non aveva questa intenzione (reale, efficace, immanente agli atti) di procurare il bene della Chiesa, è solamente papa «materialiter». Si tratta di una situazione anomala e precaria, che potrà essere risolta solo in tre modi: l dalla morte o dalle dimissioni del soggetto eletto; l dalla conversione del soggetto eletto, nel senso che egli inizi, in maniera stabile e constatabile, a procurare il vero bene della Chiesa, per lo meno denunciando ciò che è incompatibile con l’Autorità pontificia; l dall’azione di quanti hanno potere sull’elezione o di una parte della Chiesa docente che potrebbe costringerlo a professare pubblicamente la fede cattolica e, in caso di rifiuto, potrebbe constatare la sua perdita del pontificato (anche materiale). Quest’ultima ipotesi è, tutto sommato, assai delicata.
    (50) Il che è ben altra cosa che «rifiutare di pregare per il papa». Non si tratta di rifiutarsi di pregare per qualcuno - il che sarebbe assolutamente contrario alla carità teologale - ma si tratta di testimoniare la fede
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

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    INFILTRAZIONI GIUDAICO-
    MASSONICHE NELLA
    CHIESA ROMANA
    di don Curzio Nitoglia
    INTRODUZIONE
    Abbiamo già visto nel numero precedente
    (1), come il Giudaismo-religione abbia
    congiurato contro Gesù Cristo, i suoi
    Apostoli e la Chiesa, cercando d’infiltrare
    una “quinta colonna” nella Chiesa stessa per
    poterla distruggere dall’interno.
    Nel presente articolo cercherò di richiamare
    l’attenzione del lettore su una serie di
    fatti oggettivi e inequivocabili che mostrano
    le infiltrazioni della contro-Chiesa attuate
    nel Corpo Mistico di Cristo.
    Il COME sia stato possibile tutto ciò è un
    mistero che ci sorpassa, è il mistero della Volontà
    permissiva di Dio in rapporto al male
    morale, che non è voluto ma solo permesso
    per trarne un bene maggiore.
    Il perché dell’infiltrazione giudaico-massonica
    nella Chiesa sorpassa il nostro misero intelletto,
    ma sarebbe irragionevole chiudere gli
    occhi sugli avvenimenti che la comprovano e
    purtroppo, con il Concilio Vaticano II, la testimoniano
    sino al suo stesso vertice. Paolo VI
    d’altronde, aveva già parlato di “autodemolizione
    della Chiesa” e di “fumo di satana, penetrato
    all’interno della Chiesa di Dio”, ammettendo
    implicitamente la realtà del fatto.
    In molti casi dobbiamo fermarci al quia, alla
    constatazione del fatto, senza pretendere di
    conoscere il propter quid, il perché del fatto.
    La Giudeo-Massoneria ha formato il disegno
    di corrompere le membra della Chiesa, e specialmente
    il clero e la gerarchia, inoculando in
    esse falsi principi che di cristiano mantengono
    solo il nome senza averne più la sostanza (2).
    Un altro fatto inequivocabile (oltre al
    complotto contro la Chiesa) è che oggi quasi
    tutti, anche i cattolici, appartengono in qualche
    modo all’anima della Massoneria, pur non
    essendo membri del suo corpo, cioè pensano e
    ragionano da massoni: sono per la tolleranza,
    il pluralismo, il rispetto dell’errante, la democrazia
    moderna e liberale, il non esclusivismo.
    Oggi Benedetto Croce avrebbe più giustamente
    scritto Perché non possiamo non dirci
    massoni, e la teoria di Rahner andrebbe riproposta
    come Il massone anonimo (3).
    Questa è la triste realtà: da un lato il complotto
    della Sinagoga contro la Chiesa, dall’altro
    lo spirito cabalistico-massonico che ha invaso
    ogni cosa e che respiriamo ormai come
    l’aria che ci circonda. È molto arduo poter definire
    il perché, il come di tutto ciò, che in
    molti aspetti ci sfugge, ci sovrasta e su cui possiamo
    solo fare congetture senza poter arrivare
    alla certezza; eppure non dobbiamo chiudere
    gli occhi sulla terribile realtà nella quale
    siamo chiamati a vivere, sotto pena di sbagliare
    di “campo” o di stendardo, convinti magari
    di militare sotto quello di Cristo, ma combattendo
    in realtà, sotto quello di Lucifero (4).
    Nell’articolo precedente abbiamo visto i
    piani massonici (svelati da Barruel e da Cretineau-
    Joli, e riportati nei suoi volumi da Mons.
    Delassus), i quali parlano di UN “PAPA” SECONDO
    I BISOGNI DELLA SETTA, cioè
    imbevuto della sua filosofia, un “Papa” che,
    pur non essendovi iscritto, fa però parte della
    sua anima, al fine di portare a compimento il
    TRIONFO DELLA RIVOLUZIONE. Per
    giungere a tale scopo la Massoneria ha formato
    una generazione degna di tale avvenimento,
    mediante la corruzione intellettuale e morale
    della gioventù, fin dalla più tenera età, per poterla
    poi attirare, senza che se ne accorga, alla
    mentalità del “massonismo”. Soprattutto nei
    seminari essa ha svolto il suo ruolo d’infiltrata,
    di corruttrice delle idee, perché un giorno i giovani
    seminaristi diverranno preti, vescovi, cardinali,
    governeranno e amministreranno la
    Chiesa e, come cardinali, saranno chiamati a
    scegliere un “Papa”; ma questo “Papa”, come
    la maggior parte dei suoi contemporanei, sarà
    imbevuto di principi filantropici e naturalistici
    e sarà quindi omologo agli interessi della setta.
    La questione ebraica
    IL CLERO E I FEDELI MARCERANNO
    COSÌ SOTTO LO STENDARDO
    MASSONICO, CREDENDO ANCORA
    DI ESSERE SOTTO LA BANDIERA
    PONTIFICIA.
    I fatti che mi accingo a riportare sono la
    prova inequivocabile che tale disegno è riuscito,
    almeno per ora. Nostro Signore infatti ci ha
    promesso che “le porte dell’inferno non prevarranno”
    e così sarà. Noi cristiani, come il
    nostro Capo, Gesù Cristo siamo abituati a vincere
    per mezzo delle sconfitte. Proprio quando
    Gesù fu crocifisso e abbandonato da tutti,
    con la sua morte ci redènse; così sarà anche
    del suo Corpo Mistico, la Chiesa: quando sembrerà
    ormai essere morta, allora risorgerà in
    tutto il suo fulgore: “Regnavit a ligno Deus”!
    Tali fatti non devono scandalizzarci, ma,
    al contrario, devono farci prendere i mezzi
    adatti (con l’aiuto di Dio che non manca
    mai) per fare qualcosa per il bene della
    Chiesa, flagellata e coronata di spine come il
    caro e buon Gesù.
    Una bella preghiera di San Tommaso
    Moro recita così: “O Signore fate che non mi
    scandalizzi davanti al male ed al peccato, ma
    datemi la forza di porvi rimedio”.
    I PAPI DENUNCIANO LE INFILTRAZIONI
    GIUDAICO-MASSONICHE
    ALL’INTERNO DELLA CHIESA
    Pio VI nel Breve “Quid aliquantum”(10
    marzo 1791) critica la Costituzione civile del
    clero e in un altro Breve al clero e al popolo
    francese (19 marzo 1792) condanna gli ecclesiastici
    che giurano fedeltà alla Rivoluzione
    in questi termini: “Il carattere... degli eretici
    e degli scismatici fu... di ricorrere all’ARTIFICIO
    e alla DISSIMULAZIONE: così i
    nuovi INTRUSI della Chiesa di Francia hanno
    imitato alla perfezione quest’arte... d’ingannare...
    mediante la FINZIONE e la
    MENZOGNA...” (5).
    Pio VII nell’Enciclica Diu Satis (15 maggio
    1800) mette in guardia l’alto clero: “Non
    ammettete nessuno nei ranghi del clero...
    prima di averlo esaminato con cura, controllato
    ed approvato maturamente... [vi è] una
    moltitudine di falsi apostoli... artefici di inganni,
    mascherati da apostoli di Cristo”.
    Nell’Enciclica Ecclesiam (13 settembre
    1821) condanna la Carboneria, vera miniera
    di falsi fratelli: “Vengono a voi sotto apparenza
    di agnelli ma sono, nel fondo del loro
    cuore, lupi rapaci”.
    Il Cardinale Bernetti in una lettera del 4
    agosto 1845 scriveva: “Il nostro giovane clero
    è imbevuto delle dottrine liberali... La
    parte del clero che, dopo noi, arriva al governo,
    ...è mille volte di più intaccata dal vizio
    liberale” (6).
    Pio IX nell’Enciclica Nostis et Nobiscum
    (8 dicembre 1849) si lamenta del complotto
    contro la Chiesa: “Vi sono in Italia degli ecclesiastici,
    ...che son passati nei ranghi del
    nemico della Chiesa”.
    Molti anni dopo nella lettera Exortæ in ista
    (29 aprile 1876) descrive il caso classico di un’infiltrazione
    massonica in Brasile. “La confusione
    che è sorta in Brasile in questi anni è dovuta
    all’azione di AGENTI AFFILIATI ALLA
    SETTA MASSONICA, che si sono INFILTRATI
    nelle confraternite di pii cristiani” (7).
    Il CATTOLICESIMO LIBERALE è per
    Papa Mastai ancora più pericoloso del Comunismo;
    è infatti la “quinta colonna” della
    Giudeo-Massoneria nel seno stesso della
    Chiesa. Per Pio IX è molto più facile scoprire
    un nemico dichiarato che un falso fratello,
    come lo è, in realtà, il cattolico liberale. Nel
    Breve indirizzato al circolo Sant’Ambrogio di
    Milano (6 marzo 1873) spiega perché bisogna
    diffidare assolutamente dei cattolici democratici,
    imbevuti della filosofia moderna:
    “Questi uomini sono più pericolosi che i nemici
    dichiarati, poiché SECONDANO GLI
    SFORZI DI QUESTI ULTIMI, MA NON
    SI FANNO SCORGERE. Infatti, restando
    sui limiti delle opinioni condannate, si presentano
    sotto le apparenze di una dottrina
    integra e pura e ingannano così i fanatici della
    conciliazione ed anche i ferventi cristiani
    che, senza ciò, s’opporrebbero fermamente
    ad un errore manifesto” (8).
    Leone XIII nell’Enciclica Inimica vis (8
    dicembre 1892), mette in guardia i vescovi e
    gli arcivescovi d’Italia contro la Massoneria
    che cerca di conquistare alla sua filosofia il
    clero: “...i settari massoni cercano con delle
    promesse di sedurre il basso clero. Allo scopo
    di guadagnare alla loro causa i ministri
    sacri e poi... di farne dei rivoltosi”.
    San Pio X condanna i cattolici-liberali, i
    democratici-cristiani, i modernisti come “la
    razza più pericolosa... che pretende di condurre
    la Chiesa al proprio modo di pensare. Tramite
    l’ASTUZIA e la MENZOGNA di questo
    perfido cattolicesimo-liberale, che fermandosi
    giusto ai limiti dell’errore condannato, si
    sforza di apparire come ortodosso... I cattolici
    liberali sono lupi sotto apparenza di agnelli. Il
    18
    prete... deve svelare le loro TRAME PERFIDE.
    Sarete chiamati papisti, clericali, retrogradi,
    intransigenti; onoratevene...”(9).
    Anche nell’Enciclica Pieni l’animo (28
    luglio 1906) San Pio X mette in guardia contro
    le infiltrazioni nemiche nella Chiesa e
    parla esplicitamente dello “spirito d’insubordinazione
    e di indipendenza” che si manifesta
    tra il clero. Tale spirito - prosegue il
    Papa - “...penetra fin nel Santuario. ...È soprattutto
    tra i giovani preti che uno spirito sì
    funesto porta la corruzione... Si fa per tali
    dottrine nuove una propaganda più o meno
    OCCULTA, tra i giovani che nei seminari si
    preparano al sacerdozio”.
    Nella Pascendi (8 settembre 1907), poi, il
    Pontefice denuncia che “...i nemici sono arrivati
    FIN DENTRO IL CUORE DELLA
    CHIESA, nemici tanto più temibili quanto
    più lo sono meno apertamente. ...Parliamo
    di un gran numero... di preti... È DAL DI
    DENTRO che tramano la rovina della Chiesa,
    il pericolo è oggi quasi NEL SENO e
    NELLE VENE DELLA CHIESA STESSA...
    essi [i modernisti] non colpiscono i rami...
    ma la radice stessa, vale a dire la Fede”.
    Inoltre sempre S. Pio X, nell’allocuzione
    alla cerimonia d'imposizione della berretta
    cardinalizia ai nuovi porporati (27 maggio
    1914) pronunciò queste parole: “Oh quanti
    marinai, quanti piloti e, non voglia Dio,
    quanti CAPITANI, facendo confidenza a
    queste novità profane ed alla falsa scienza
    del tempo presente, invece di giungere in
    porto, hanno fatto naufragio!” (S. Pio X
    AAS 1914 pagg. 260-262).
    Si noti che il Papa santo morirà neanche
    tre mesi dopo, il 20 agosto 1914, e che la parola
    “capitani” si riferisce ai Vescovi!
    Pio XI denuncia i progressi fatti dalla “quinta
    colonna” infiltratasi ormai nell’alto clero.
    “Nel Concistoro del 23 maggio 1923 Pio
    XI chiese a circa trenta cardinali della Curia
    romana cosa pensassero della convocazione di
    un Concilio Ecumenico. Il card. Billot parlò
    esplicitamente di divergenze profonde nel seno
    dello stesso Episcopato. Il card. Boggiani, domenicano,
    pensava che una parte considerevole
    del clero e dei vescovi era imbevuta di idee
    moderniste. ...Il card. Billot concludeva dicendo
    che il Concilio sarebbe stato MANOVRATO
    dai peggiori nemici della Chiesa” (10).
    Ancora, nell’Enciclica Divini Redemptoris
    (29 settembre 1937) Pio XI denuncia i
    tentativi d’infiltrazione comunista che, senza
    menzionare la dottrina propria del Comunismo,
    vorrebbe “impiantare i propri errori
    nei luoghi ove - senza ciò - non potrebbero
    penetrare. E lavorano [i comunisti] con tutte
    le loro forze per INFILTRARSI perfidamente
    nelle assemblee cattoliche”.
    Il P. Cordovani, infine, maestro dei Sacri
    Palazzi Apostolici sotto il pontificato di PIO
    XII, e quindi teologo di papa Pacelli, scrive
    sull’Osservatore Romano del 19 marzo 1950:
    “Nulla è cambiato nella legislazione della
    Chiesa rispetto alla Massoneria. ...I canoni
    694 e specialmente il canone 2335, che infligge
    la scomunica alla Massoneria SENZA
    DISTINZIONE DI RITI, sono sempre in vigore.
    ...Tutti i cattolici devono... ricordarselo
    per non cadere nella TRAPPOLA”.
    Jacques Ploncard d’Assac commenta che
    si era in presenza di un’ INFILTRAZIONE
    di idee massoniche nella Chiesa e che il padre
    Cordovani, profondo conoscitore del
    problema, insisteva: “La scomunica, lo ripeto,
    VALE PER TUTTI I RITI MASSONICI,
    ...anche se alcuni dichiarano che non sono
    ostili alla Chiesa. ...Questa tendenza moderna,
    ...che metterebbe volentieri il Cattolicesimo
    in armonia con tutte le ideologie...
    non ha forse il marchio dell’eresia?” (11).
    I Papi perciò, fino a Pio XII, non hanno
    cessato di metterci in guardia contro le infiltrazioni
    nemiche nella Chiesa: purtroppo
    19
    Allegoria della tolleranza religiosa
    secondo la Massoneria
    con Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni
    Paolo II l’atteggiamento muta radicalmente;
    si dialoga con la Massoneria, si ammette addirittura
    la doppia appartenenza, come vedremo
    nei capitoli successivi (12).
    I FATTI: IL DIALOGO CATTOMASSONICO
    Con la morte di Pio XII il Concilio non
    era ancora stato adunato, ma “l’aggiornamento”
    roncalliano cominciava già a dar corpo
    alle antiche aspirazioni di apertura verso
    i suppositi della Giudeo-Massoneria, per poter
    così introdurre il cavallo di Troia nella
    Chiesa di Cristo.
    Naturalmente ci si propose di dialogare,
    oltre che con le altre religioni, anche con la
    Massoneria, per poter superare le condanne
    portate dalla Chiesa contro la setta (oltre
    590 documenti), a partire da Clemente XII
    (In Eminenti, 1738) fino a Pio XII incluso e
    mai messe in discussione.
    “Le prime manifestazioni di questa tendenza
    nuova risalgono agli anni ’20. Un gesuita
    tedesco, P. Gruber… prese contatto
    con alti dignitari massonici… La campagna
    di avvicinamento iniziata in segreto dal padre
    Gruber fu ripresa… in Francia dal padre
    Berteloot, anch’esso gesuita. Costui pubblicò
    dal 1945 al 1949 una serie di articoli e
    di libri redatti con una grande prudenza, per
    poter preparare il riavvicinamento.
    La campagna di riavvicinamento tra
    Massoneria e Chiesa cattolica restò tuttavia
    allo stato latente sotto il pontificato di Pio
    XII. Il fuoco covava sotto le ceneri, ma i
    progressisti che avevano preso nella Chiesa
    un’influenza considerevole, si rendevano
    conto che i loro sforzi non avevano alcuna
    speranza finché viveva Pio XII… Con l’elezione
    di Giovanni XXIII ci fu bruscamente
    come un’esplosione… Si aveva nettamente
    l’impressione di una campagna internazionale,
    metodicamente orchestrata” (13).
    “Lo spirito di Giovanni XXIII - scrive
    padre Esposito (14) - poi la grande avventura
    ecumenica di Paolo VI, innescarono una
    reazione a catena di cui lì per lì non ci si rese
    conto, ma che divenne evidente allorché i diversi
    gruppi di esploratori - tra gli anni 1965
    e 1968 - vennero scovati dalla stampa. ...Si
    scoprirono scambi epistolari, telefonate più
    o meno diuturne, ...simposi conviviali. Il tutto
    finiva per accrescere la reciproca conoscenza
    degli uomini dei due schieramenti: i
    cattolici toccavano con mano che i massoni
    non hanno il volto di Lucifero [le apparenze
    ingannano, n.d.r.], i massoni che i cattolici
    non sono tutti Grandi Inquisitori... Si può dire
    che l’incontro tra le due comunità quella
    ecclesiale e quella massonica, FU EFFETTUATO
    A TUTTI I LIVELLI”.
    “Il Gran Maestro della Massoneria Dupuy
    stimava che ‘L’avvenimento del Vaticano
    II costituisce una apertura considerevole
    della Chiesa al mondo’. Rivelava di aver intrattenuto
    con Giovanni XXIII delle relazioni
    ‘più che cordiali’, che ‘Giovanni XXIII e il
    Vaticano II hanno dato un impulso formidabile
    al lavoro di chiarificazione e di disarmo
    reciproco nei rapporti tra Chiesa e Frammassoneria’.
    Al limite, nella misura in cui la
    Chiesa conciliare scivola verso il pluralismo
    e la libera religione, tende a diventare una
    semplice obbedienza massonica” (15).
    D’altronde anche l’ex gran maestro del
    Grand’Oriente d’Italia, Armando Corona,
    afferma: “La Massoneria ha, per prima, nella
    storia caldeggiato e difeso la tolleranza religiosa
    ed il diritto di ogni uomo di professare
    la propria fede. Dopo tanti secoli, come
    Massoni, siamo lieti che anche il concilio Vaticano
    II abbia dichiarato testualmente: La
    coscienza degli uomini è sacra…” (16).
    Anche mons. Lefebvre fu costretto ad
    ammettere che la Chiesa era stata infiltrata
    dalla Massoneria allo scopo di distruggerla.
    Proprio perché aveva vissuto direttamente
    l’esperienza del Concilio scrisse: “La riforma
    liturgica è una delle cose più gravi. Fu fatta…
    dal Padre Bugnini, che l’aveva preparata
    già da molto tempo. Già nel 1955 padre
    Bugnini faceva tradurre i testi [liturgici] protestanti
    da mons. Pintonello… che era vissuto
    molto tempo in Germania… È stato proprio
    mons. Pintonello che mi ha raccontato
    che aveva tradotto i libri liturgici protestanti
    per Bugnini, che a quel tempo non contava
    ancora nulla… TIPI COME BUGNINI SONO
    DEGLI INFILTRATI NELLA CHIESA
    PER DISTRUGGERLA… Alcuni dicono
    che dietro tutto ciò vi è la Massoneria. È
    possibile… Ci troviamo davanti ad una VERA
    CONGIURA all’interno della Chiesa,
    da parte dei cardinali attuali. Una classe di
    intellettuali è insorta contro Nostro Signore,
    in un VERO COMPLOTTO DIABOLICO
    contro il suo Regno” (17).
    Il primo cardinale che avvicinò un Gran
    Maestro fu Innitzer, arcivescovo di Vienna,
    che nel 1948 impostò - ad insaputa di Pio
    20
    XII - il dialogo col Gran Maestro Schechebaner.
    Negli anni ’60-’70 la schiera dei ‘dialoganti’
    s’ingrossò e fece il tutto alla luce del
    giorno: i cardinali Cushing di Boston, Cooke
    di New-York, Etchegaray di Marsiglia, Alfrink
    di Utrecht, Feltin e poi Marty di Parigi,
    Krol di Filadelfia, Vilela di Bahìa (Brasile),
    Lorscheider di Fortaleza. Tra i vescovi si
    contano: Mendez Arceo di Cuernavaca
    (Messico), che in Concilio domandò che la
    legislazione antimassonica fosse modificata,
    mons. Dante Benigni di Albano Laziale,
    mons. Ablondi di Livorno che, secondo le affermazioni
    dell’Esposito (18), partecipò agli
    incontri coi dirigenti massonici insieme al
    gruppo italiano. A Parigi mons. Pezerie
    parlò addirittura in Loggia “come in passato
    avevano fatto Joyce di Boston, Pursley di
    South Bend, alcuni presuli nelle Isole Filippine,
    in Canada e altrove” (19).
    In Europa tale dialogo catto-massonico
    era benedetto “anche PRESSO LE ISTANZE
    più ALTE DELLA CHIESA. I tramiti
    più costanti... che ottennero un’ACCOGLIENZA
    ATTENTA PRESSO PAOLO
    VI, furono don Miano, che raggiungerà il
    card. Seper e il card. Koning... Il P. Riquet
    che ebbe ugualmente diverse opportunità di
    AVVICINARE PAOLO VI (20).
    Recentemente il Gran Maestro del
    Grande Oriente d’Italia, l’avv. Gaito, ha dichiarato:
    “Quando ho ascoltato le gerarchie
    ecclesiastiche parlare nelle omelie dell’uomo
    come centro dell’universo mi sono commosso
    fino alle lacrime” (21).
    VERSO LA REVISIONE DELLA SCOMUNICA
    DELLA MASSONERIA
    L’intento immediato di tutti questi spuri
    connubi era di pervenire alla revisione e possibilmente
    all’abolizione della scomunica del
    1738, della setta massonica. Per la Pasqua del
    1971 sembrò prossima la pubblicazione di un
    Dubium della Sacra Congregazione per la
    dottrina della Fede “che avrebbe in qualche
    modo cancellato le gravi pregiudiziali antimassoniche
    contenute nel Codice di diritto
    canonico del 1917, canone 2335 e luoghi paralleli;
    la pubblicazione fu rinviata alla festa
    dei santi Pietro e Paolo, il 29 giugno del medesimo
    anno, ma ancora una volta non si ritenne
    opportuno affrettare i passi, perché si
    temeva - e ben a ragione - che l’opinione
    pubblica cattolica... non avrebbe accolto la
    decisione senza scandalo” (22).
    LA CONFERENZA EPISCOPALE SCANDINAVO-
    BALTICA (21-23 ottobre 1966)
    Fin dal 1964 i vescovi della Norvegia avevano
    consentito ad un massone “convertitosi”
    al cattolicesimo di poter conservare
    l’iscrizione alla Massoneria.
    I vescovi della Danimarca, Svezia, Islanda,
    Norvegia, Finlandia applicarono il decreto
    conciliare Christus Dominus, che all’articolo 8
    afferma: “Ai singoli vescovi diocesani è data
    facoltà di dispensare da una legge generale
    della Chiesa, ogniqualvolta ritengano che ciò
    giovi al bene spirituale dei fedeli, purché dalla
    suprema Autorità della Chiesa non sia stata
    fatta qualche riserva speciale in proposito”.
    Nella riunione plenaria del 21-23 ottobre
    1966, infine, i vescovi di quelle cinque nazioni
    decidevano di non esigere dai massoni che
    chiedevano di entrare nella Chiesa, l’abiura,
    cioè l’abbandono della Massoneria. I VESCOVI
    NON RITENEVANO PERCIÒ INCOMPATIBILI
    LE DUE APPARTENENZE.
    “Nel mese di novembre LA DECISIONE
    VENNE COMUNICATA ALLA SANTA
    SEDE. QUI NON SI EBBERO REAZIONI,
    e questo significa che NON C’ERANO RAGIONI
    NEGATIVE, per cui il 24 gennaio
    1968 la decisione venne resa pubblica” (23).
    Il Radiogiornale vaticano intervenne, comunicando
    che la Santa Sede non aveva mutato
    la disciplina vigente. “Si ribadiva in tal
    modo che la decisione scandinavo-baltica rimaneva
    circoscritta alla situazione locale,
    ma non la si contrastava” (24).
    LA LETTERA DEL CARD. SEPER AL
    CARD. KROL (19 luglio 1974)
    Il vento del Concilio continuava a soffiare,
    la Giudeo-Massoneria a tramare: il risultato
    più clamoroso dell’infiltrazione della
    “quinta colonna” all’interno della Chiesa la
    si ebbe il 16 luglio 1974. Si trattò di un modesto
    documento destinato a restare privato
    e che invece fu reso pubblico dal destinatario,
    il card. Krol, arcivescovo di Filadelfia e
    presidente della Conferenza Episcopale nordamericana.
    Questo documento, brevissimo ed importantissimo,
    va inquadrato nella scia delle due
    consultazioni a livello universale ordinate dalla
    Sacra Congregazione per la dottrina della fede
    negli anni 1960-1970, per conoscere l’opinione
    dei vescovi sulla consistenza e le caratteristiche
    delle singole obbedienze massoniche.
    21
    Su tale documento così scrive il P. Esposito:
    “A richiesta del card. Krol, il prefetto del dicastero
    romano (della dottrina della Fede) card.
    Franjo Seper rispose… con questa lettera così
    strutturata: 1) la richiesta di nuove istruzioni
    relative al problema massonico è viva presso
    l’Episcopato, e la Santa Sede ha posto il problema
    in seria osservazione; 2) …ogni eventuale
    mutamento viene demandato alla redazione
    del nuovo Codice di Diritto Canonico; 3)
    nell’attesa, a) le situazioni locali devono essere
    giudicate in ambito locale; b) tale giudizio deve
    essere ispirato al principio dell’AMPLIFICAZIONE
    DELLE GRAZIE e delle RESTRIZIONI
    DEGLI ODI; 4) LA PROIBIZIONE
    D'ISCRIZIONE ALLA MASSONERIA
    VIENE RISTRETTA AI SOLI MEMBRI
    DEL CLERO e degli istituti secolari; 5) IMPLICITAMENTE
    LA SCOMUNICA NON
    VIENE PIÙ COMMINATA. …Questa lettera
    ebbe consensi ovunque. Negli Stati Uniti inaugurò,
    da parte della Chiesa, un atteggiamento
    estremamente aperto… La comprensione tra
    cattolici e massoni negli Stati Uniti veniva da
    lontano… COMINCIÒ UN RALLENTAMENTO
    POLEMICO, allorché i massoni, rassicurati
    da Kennedy circa i suoi propositi non
    integralisti, appoggiarono validamente la sua
    candidatura, proseguì con la partecipazione del
    card. Cushing a riunioni conviviali, unitamente
    ad altri presuli, …tra i gesti più incisivi ricordiamo
    la partecipazione del cardinale arcivescovo
    di New York, Cooke, ad un simposio massonico
    nel corso del quale pronunciò un discorso di
    cordiale incoraggiamento alla reciproca comprensione
    e collaborazione” (25).
    LA CONFERENZA EPISCOPALE
    DELL’INGHILTERRA E DEL GALLES
    (11-14 novembre 1976)
    In tale conferenza l’eco della lettera Seper-
    Krol fu evidente. Il documento episcopale
    affermava: “Un cattolico deve considerarsi
    anzitutto membro della Chiesa cattolica…
    Ma se egli crede sinceramente che la
    sua appartenenza alla Massoneria non entri
    in conflitto con questa fedeltà, può entrare
    in contatto con il suo vescovo… per discutere
    le implicazioni di tale appartenenza”.
    LA CONFERENZA EPISCOPALE DI
    SANTO DOMINGO (29 gennaio 1976)
    In una notificazione al clero diramata il 29
    gennaio 1976 la Conferenza episcopale dominicana
    applicava la lettera del card. Seper asserendo:
    “Tra noi (cattolici e Repubblica dominicana)
    NON ESISTE INCOMPATIBILITÀ
    TRA L’ESSERE CATTOLICO praticante…
    ED ESSERE AFFILIATO AD UN’ASSOCIAZIONE
    MASSONICA o similare…”.
    MONS. ETCHEGARAY, ARCIVESCOVO
    DI MARSIGLIA (1975-1977)
    Su richiesta concedeva l’autorizzazione
    ai funerali religiosi di un massone.
    LA CONFERENZA EPISCOPALE DEL
    BRASILE (4 gennaio-12 marzo 1975)
    Nella sessione del 5 gennaio 1975 la Conferenza
    Episcopale brasiliana, presieduta da
    mons. Lorsheider, poi cardinale, domandò alla
    Santa Sede istruzioni circa l’applicazione della
    lettera Seper; la risposta del 12 marzo, firmata
    dal Nunzio Apostolico in Brasile mons. Rocco,
    asseriva: “…Sembra pertanto che si possa
    prestar fede a quanti, iscritti già da tempo alla
    Massoneria, sollecitano spontaneamente di
    essere ammessi ai sacramenti…”.
    Non stupisce quindi che: “per il Natale di
    quell’anno IL CARD. BRANDAO VILELA
    ACCETTAVA L’INVITO DI CELEBRARE
    LA MESSA NELLA LOGGIA
    LIBERDADE DI SAN SALVADOR DI
    BAHIA… in quello stesso mese accettava
    un’alta onorificenza massonica, così come
    l’accettava nel 1976 il card. Paulo Evaristo
    Arns, arcivescovo di Rio de Janeiro” (26).
    LA FALSA RESTAURAZIONE DEGLI
    ANNI ’80
    San Pio X affermava dei modernisti: “Ad
    ascoltarli, a leggerli si sarebbe tentati di crede-
    22
    “Al massone il Candelabro ricorda le sette arti liberali la
    cui conoscenza è indispensabile per il lavoro del vero
    iniziato”. (L. TROISI, Dizionario massonico, Bastogi)
    re che cadono in contraddizione, che sono
    oscillanti e incerti. Assolutamente no! Tutto è
    misurato, tutto è voluto da costoro. …Una pagina
    delle loro opere potrebbe essere scritta da
    un cattolico; ma voltate pagina e vi sembrerà
    di leggere lo scritto di un razionalista” (27).
    La tattica di Satana e dei suoi suppositi è
    sempre stata quella di mischiare il vero al
    falso, la zizzania al buon grano; così fa la
    Giudeo-Massoneria che, ormai infiltratasi sino
    al vertice della Chiesa, mescola vero e
    falso per poter ingannare anche i buoni che,
    altrimenti, reagirebbero.
    Abbiamo già visto quale fosse la tattica
    del massone: restare dentro la Chiesa come
    “quinta colonna” per distruggerla dall’interno,
    se mai fosse possibile, e quindi, dopo
    aver fatto due passi avanti, farne uno indietro
    (Lenin docet), per non suscitare una vera
    reazione che annienti le macchinazioni della
    contro-chiesa. Sappiamo anche che la “quinta
    colonna”, una volta scoperta, susciterà
    una “terza forza”, che lavorerà assiduamente,
    sotto apparenza di moderazione, equilibrio,
    amor di pace e carità, per impedire la
    distruzione della “quinta colonna”.
    Ebbene i vari documenti degli anni ’80 che
    rivedono le posizioni aperte al dialogo, proprie
    degli anni ’60-’70, non sono nient’altro che il
    classico passo indietro dopo i due compiuti in
    avanti, e la produzione di una “terza forza”
    per salvare il lavoro della “quinta colonna”!
    I documenti della falsa restaurazione sono:
    la Dichiarazione dell’Episcopato tedesco (28
    aprile 1980), la Dichiarazione della Sacra
    Congregazione per la dottrina della Fede (17
    febbraio 1981), la Dichiarazione della Sacra
    congregazione per le cause dei Santi (20 settembre
    1981), il Nuovo Codice di Diritto Canonico
    (25 gennaio 1983) che nel canone 1374
    afferma: “Chi dà il [proprio] nome ad un’associazione
    che complotta contro la Chiesa, SIA
    PUNITO CON GIUSTA PENA”. Bisogna rilevare
    che tale testo è molto diverso dal canone
    2335 del Codice del 1917, perché il rigore
    della pena è nettamente alleggerito, in quanto
    VIENE ESCLUSA LA SCOMUNICA, che
    era invece comminata IPSO FACTO, per
    chiunque avesse dato il proprio nome ad una
    setta massonica. Inoltre, per la gioia del padre
    gesuita Michel Riquet non viene neppure
    menzionata la Massoneria! (28).
    Così si giustifica la recente dichiarazione
    del Gran Maestro del Grand’Oriente
    d’Italia Virgilio Gaito: “Si consideri poi che
    la scomunica contro i massoni è ormai affievolita:
    è riservata soltanto a chi cospira
    contro la Chiesa Cattolica” (29).
    Tutto ciò prova che le condanne degli anni
    ’80 erano PURAMENTE VERBALI e
    che nulla de facto ne è seguito, né si voleva
    che ne seguisse. Infatti i vari monsignori che
    negli anni ’60-’70 erano impegnati nel dialogo
    con la Massoneria li ritroviamo quasi tutti
    promossi cardinali negli anni ’80, e coloro
    che già erano cardinali hanno continuato
    tranquillamente ad esserlo senza che alcun
    provvedimento fosse preso a loro carico!
    Bisogna infine registrare la Dichiarazione
    della Sacra Congregazione per la dottrina
    della Fede (26 novembre 1983), la quale,
    nell’affermare che “i fedeli che appartengono
    alle associazioni massoniche sono IN
    STATO DI PECCATO GRAVE e non possono
    accedere alla santa comunione” NON
    RIBADISCE, però, LA SCOMUNICA!
    In un’intervista concessa ultimamente
    dal card. Ratzinger all’Avvenire, si legge che
    bisogna distinguere tra Massoneria e Massoneria,
    che non bisogna fare di ogni erba un
    fascio, che vi è una Massoneria anticlericale
    con la quale non si può dialogare, ma che, se
    la Massoneria non fa professione di fede anticristiana,
    il dialogo è fattibile: si è, in pratica,
    ad un ritorno, seppur in sordina, alle posizioni
    degli anni ’60-’70.
    È il lavoro della “terza forza” che cerca di
    consolidare, sotto apparenza di maggior fermezza
    e di restaurazione, le conquiste della
    “quinta colonna”? La dottrina di cui sopra fu
    già condannata dal P. Cordovani nel 1950.
    Ma essa ritorna di moda anche in campo
    massonico, allorchè il prof. Di Bernardo, nel
    suo libro Filosofia della Massoneria afferma
    che la Massoneria è per principio non esclusivista
    e tollerante ed auspica un dialogo con
    la Chiesa, ciascuno restando quello che è.
    L’importante è che la Chiesa, senza perdere
    la sua identità, rinunci alle scomuniche per
    aprirsi al dialogo, accettando il pluralismo, la
    tolleranza ed il non esclusivismo, e divenga
    poi così, nella realtà, una specie di Massoneria
    universale. Tutto ciò si è avverato e lo abbiamo
    costantemente sotto gli occhi (30).
    Anche in campo cattolico-conservatore è
    ripreso questo atteggiamento; per esempio
    mons. Casale arcivescovo di Foggia, l’11 dicembre
    1993, in un convegno organizzato
    dal CESNUR, ha dichiarato che la doppia
    appartenenza non è lecita, ma che il dialogo
    con le Massonerie… non è escluso dalla
    Chiesa cattolica [conciliare, n.d.r.] (31).
    23
    LA CHIESA CONCILIARE E IL
    ROTARY CLUB (1905)
    a) Massoneria e Rotary
    Il rapporto tra Rotary e Massoneria è
    “strutturale”, come dice P. Esposito, “ non solo
    a causa della fondazione del Rotary avvenuta
    il 23 febbraio 1905 ad opera dell’avvocato
    Paul Harris di Chicago e di tre suoi colleghi,
    massoni come lui; ma anche a causa
    dell’impostazione ideologica e giuridica del
    club, il quale DEL MESSAGGIO INIZIATICO
    ASSUME IL MEGLIO, PER INSERIRLO
    NELLA SOCIETÀ LAICIZZANDOLO,
    CIOÈ ESCLUDENDO GLI ASPETTI
    VINCOLANTI ED INIZIATICI” (32).
    In Cile ed in Spagna molti vescovi, negli anni
    Venti, espressero vive condanne del Rotary,
    denunciandone la radice massonica. La Santa
    Sede di fronte a queste denunce dovette prendere
    posizione. Il primo passo fu di prendere le
    distanze dal Rotary per poi condannarlo. Il
    compito di preparare la strada alla condanna fu
    affidato alla Civiltà Cattolica che pubblicò tre
    articoli del padre Pirri s.j., secondo il quale il
    ROTARY NON DIFFERISCE AFFATTO
    DALLA MASSONERIA, sotto il dominio
    della quale intende portare il mondo intero.
    Tuttavia il gesuita non vuole affermare che tutti
    i rotariani siano massoni, ammette l’ignoranza,
    la buona fede, l’ingenuità in alcuni di essi.
    La tolleranza religiosa del Rotary, conclude
    il Pirri, è de facto sincretismo religioso (33).
    Sull’Enciclopedia Cattolica mons. Buzzetti
    scrive: “La mentalità ch’esso [il Rotary]
    proclama può facilmente diventare indipendenza
    dall’insegnamento della Chiesa, anche
    nel campo della fede e dei costumi e FAVORIRE
    L’INFILTRAZIONE DI ELEMENTI
    MASSONICI ed anticlericali” (34).
    b) La prima condanna pontificia (4 febbraio 1929)
    Il testo pontificio di condanna del Rotary
    uscì quasi contemporaneamente al terzo articolo
    del padre Pirri del 2 febbraio 1929; è infatti
    di solo due giorni posteriore il Dubium
    della Sacra Congregazione concistoriale. Il decreto
    pontificio era la risposta al quesito se fosse
    lecito agli ecclesiastici iscriversi al Rotary e
    partecipare alle riunioni di questa organizzazione,
    ed era nettissima: NON EXPEDIRE,
    cioè “non è conveniente”. La proibizione non
    è estesa ai laici. Il testo fu pubblicato negli
    A.A.S. (1929, anno 25, 15 gennaio 1929, 42).
    Anche il cardinale di Milano Schuster intervenne,
    vent’anni dopo, il 12 ottobre 1949,
    riaccendendo i fuochi della polemica: “Al
    tempo della nostra giovinezza a Roma…
    v’erano associazioni che si dicevano affiliate
    [alla Massoneria] come il Rotary… Tutte forme
    essoteriche di una Massoneria unica” (35).
    c) La seconda condanna (gennaio 1951)
    Essa fu molto più severa della prima, più
    solenne, con L’ESPLICITO RICHIAMO
    DELL’ASSENSO DIRETTO DI PIO XII (36).
    d) La svolta di Giovanni XXIII
    Il deus ex machina del Rotary italiano,
    Omero Ranelletti, che fondò il Club di Roma
    nel 1924 narra che “all’avvento di Papa Giovanni
    pensò che il problema avrebbe potuto
    essere avviato ad una soluzione migliore che in
    passato” (37); il 22 dicembre 1958 chiese pertanto
    a Giovanni XXIII un’udienza, che gli fu
    accordata il 20 aprile 1959. “In udienza presentò
    i suoi colleghi coi loro titoli rotariani, e
    papa Giovanni …gradì la visita affermando
    che a Venezia aveva avuto occasione di avvicinare
    più volte i rotariani della città, ed era perciò
    bene al corrente della nostra istituzione.
    …Ebbe per tutti parole di bontà, confortandoci
    infine della sua apostolica benedizione” (38).
    Il 20 marzo 1963 Roncalli accordò al Rotary
    una seconda udienza.
    e) Paolo VI
    La terza udienza pontificia ebbe luogo con
    Paolo VI il 28 settembre 1963. Ma la più importante
    fu la quarta, del 20 marzo 1965, nella
    quale Ranelletti ricordò che il 13 novembre
    1957 (un anno prima della morte di Pio XII)
    l’allora card. Montini s’incontrò con i rotariani
    e tra l’altro disse loro: “Vi ringrazio signori rotariani
    per questa manifestazione di omaggio
    che mi rivolgete, ma debbo con lealtà dichiaravi
    che in passato io ebbi molte riserve sul
    Rotary, frutto di ignoranza e di errori” (39).
    Nell’udienza del 20 marzo 1965 Paolo VI
    riprese questo pensiero; un altro incontro
    col Rotary avvenne il 14 novembre 1970.
    f) Giovanni Paolo II
    “CON GIOVANNI PAOLO II L’ACCETTAZIONE
    DEL ROTARY RAGGIUNGE
    LIVELLI ANCORA PIÙ ELEVATI,
    nel senso che non solo è affermata la
    COMPATIBILITÀ, …ma forse addirittura
    la COMPLEMENTARIETÀ fra l’opera cattolica
    e quella rotariana” (40).
    Giovanni Paolo II ha ricevuto i rotariani
    il 14 giugno 1979 ed il 4 febbraio 1984.
    24
    IL MOVIMENTO PAX E IL GRUPPO I.DOC
    (braccio armato della sovversione all’interno
    della Chiesa conciliare)
    “Dopo il Concilio Vaticano II - scrive
    Orio Nardi (41) - la gnosi influenza tutta la
    fermentazione modernista o progressista
    all’interno della Chiesa, non senza la complicità
    di teologi… che spesso operano sotto
    l’influsso di centri di potere mondialista, come
    appare dalla storia del Movimento Pax e
    del gruppo I.DOC”.
    IL MOVIMENTO PAX
    Il 6 giugno 1963 il card. Wyszynski scrisse
    una lettera ai vescovi francesi, che fu fatta
    pervenire al Segretariato dell’Episcopato
    francese tramite il nunzio apostolico: oggetto
    della lettera era il Movimento PAX.
    Il cardinale smascherava nel suo scritto
    la vera natura del Movimento: “PAX non è
    un’organizzazione a scopo culturale, ma unicamente
    un mezzo di propaganda travestito
    per denigrare l’attività della Chiesa in Polonia,
    tramite la diffusione d'informazioni false…
    Tale movimento riceve le direttive dal
    Partito Comunista, dalla Polizia segreta e
    dall’Ufficio per gli Affari del Culto. In compenso
    della sua sottomissione PAX beneficia
    di certe facilitazioni ed appoggi”.
    All’inizio del Concilio il Movimento
    PAX intensificò la sua propaganda nei Paesi
    dell’Europa occidentale e specialmente in
    Francia, diffondendo notizie false od equivoche
    ed offensive della Chiesa e soprattutto
    della Curia romana.
    Il fondatore di PAX (vero e proprio organo
    della polizia comunista polacca, alle dirette
    dipendenze del Ministero degli Interni)
    era M. PIASECKI, che era stato condannato
    a morte dai russi sovietici ed era stato graziato
    a prezzo di un impegno formale di mettersi
    al servizio del Partito Comunista per infiltrare
    la Chiesa Cattolica.
    Fin dalle sue origini, quindi, PAX è
    un’agenzia del Partito Comunista Polacco
    che emana direttamente gli ordini ai suoi
    membri tramite l’Ufficio Centrale. Piasecki
    dipendeva in modo diretto dall’Ufficio Sicurezza
    (U. B.) e dall’Ufficio dei Culti, che, in
    Polonia, disponeva di un potere assoluto per
    quanto riguardava la Chiesa Cattolica.
    Nel 1956 col disgelo Piasecki cade in disgrazia
    (nuovamente), però, grazie ai servizi
    resi soprattutto alla Francia, può risalire la
    china; il suo potere raggiunge l’apogeo durante
    i lunghi anni di prigionia di Wyszynski.
    Fu quella l’epoca in cui PAX assorbiva tutte
    le pubblicazioni cattoliche ancora indipendenti
    dal Partito Comunista. La destalinizzazione
    atterrò di nuovo Piasecki, che però risorse
    grazie… al Concilio Vaticano II! Infatti
    gli fu assegnato il compito di formare focolai
    di dissenso negli ambienti ecclesiastici che
    lavoravano al Concilio, di scindere i Vescovi
    in due blocchi (progressisti e conservatori),
    per poter mettere la Chiesa al passo con il
    mondo moderno (Solve et coagula).
    In Francia, giornali come la Croix e periodici
    come Les Informations catholiques
    Internationales erano giunti a diffamare il
    card. Wyszynski e a difendere PAX, spianando
    così la strada al trionfo del Comunismo in
    Francia e nel mondo.
    Jean Madiran scrisse un coraggioso ed interessante
    articolo su La Nation Française
    (1° luglio 1964) dal titolo Lo spionaggio sovietico
    nella Chiesa, aggiungendo che Piasecki
    era una creatura del generale Ivanov
    Sierow della N.K.V.D. (la polizia politica russa).
    Madiran scriveva anche che PAX attaccava
    la Curia romana, in quanto nel 1956 una
    sua delegazione si era recata in Vaticano per
    difendere Piasecki condannato dal Sant’Uffizio,
    senza però ottenere quanto desiderava.
    IL GRUPPO I.DOC
    Con l’inizio del Concilio nacque a Roma
    un Centro di informazione per i vescovi e i
    teologi olandesi, il DOCumentation.
    Tale centro diffondeva bollettini d’informazione
    in tutte le lingue ed organizzava conferenze
    stampa tenute dai Padri conciliari o da teologi
    progressisti per potersi impadronire dell’opinione
    pubblica; ad esse infatti erano regolarmente
    presenti i responsabili di agenzie internazionali
    e gli informatori di grandi quotidiani.
    Al termine del Concilio quest'Agenzia
    stampa volle mantenere le relazioni che aveva
    stabilite nel periodo del Concilio: così il
    DOC è diventato I.DOC (Information-Documentation
    sur l’Eglise Conciliaire).
    Louis Salleron scriveva: “Siamo in presenza
    di un vero potere parallelo [I.DOC] in
    seno al Cattolicesimo, perché tiene in mano
    l’informazione, la pubblica opinione… ed è
    in grado di cercare di imporre le proprie vedute
    al Magistero” (42).
    Delaman, a sua volta, sosteneva che
    “l’I.DOC dà le sue consegne… Quando un
    25
    vescovo osa levarsi contro uno dei suoi obiettivi,
    …diventa la vittima di un vero assassinio
    morale nella stampa del mondo intero” (43).
    La rivista inglese Approches (44) afferma:
    “La sezione britannica di I.DOC è composta
    interamente da progressisti, e il gruppo è
    controllato all’interno da un nucleo marxista,
    esso stesso condotto da uno dei capi comunisti
    tra i più esperti dell’Inghilterra”.
    Jack Dunman, infatti, che occupa un posto
    di primo piano nella sezione inglese
    dell’I.DOC, è “una personalità in vista del
    Partito Comunista Inglese, il cui influsso è
    cresciuto con la sua elezione a deputato. In
    Inghilterra è lo specialista del dialogo tra comunisti
    e cristiani” (45). Il Dunman godeva
    poi anche dell’appoggio del gruppo Slant,
    collegato con il Movimento PAX.
    Sono quindi profondamente vere le parole
    del Nardi: “È bene che la considerazione
    del tradimento affiori nelle coscienze di
    molti, e riporti soprattutto i responsabili al
    senso di dignità e di libertà di spirito che distingue
    i veri cercatori della verità” (46).
    LETTERA APERTA ALLA CHIESA DI
    FRANCIA: CIÒ CHE L’EBREO
    ROBERT ARON PENSA DELL’EVOLUZIONE
    DELLA CHIESA CONCILIARE
    Nell’interessante libro Lettre ouverte à
    l’Eglise de France (47) Robert Aron esamina
    Les orientations pastorales sur l’attitude chrétiens
    à l’egard du Judaisme, cioè il documento
    dell’Episcopato francese sul Giudaismo, ed
    afferma che proprio questo documento, che
    dovrebbe essere magistero episcopale, è “una
    refutazione del deicidio, una riabilitazione dei
    Farisei, un'affermazione del permanere della
    missione di Israele, che non abolisce la Nuova
    Alleanza del Cristo. Questi sono tanti indizi
    che ci permettono di affermare che QUALCOSA
    DI PROFONDO È CAMBIATO
    NON SOLO NEI RAPPORTI TRA ISRAELE
    E LA CHIESA, MA ANCHE NEI
    RAPPORTI TRA LA CHIESA ED IL DIO
    DI ABRAMO E DI MOSÈ” (48).
    Il documento episcopale non menziona
    neppure una volta il problema della divinità
    di Gesù Cristo, che pure è essenziale nello
    stabilire i rapporti che debbono intercorrere
    tra Giudaismo e Cristianesimo.
    Aron apprezza, naturalmente, questo nuovo
    linguaggio dell’Episcopato francese. Infatti
    la Chiesa preconciliare, che nell’argomentare
    si basava sui dogmi immutabili e precisi, non
    poteva andare “a braccetto” con la Sinagoga
    anticristiana. Ma se la Chiesa conciliare cessa
    di essere dogmatica, anzi mette in sordina il
    dogma, per parlare un linguaggio familiare
    all’uomo moderno, il linguaggio massonico
    della filosofia illuminista e idealista, allora
    l’abbraccio diviene possibile (come de facto si
    è verificato il 13 aprile del 1986 alla Sinagoga
    di Roma) …e letale per Nostro Signor Gesù
    Cristo e il suo Corpo Mistico.
    Ed è per questo che Aron gioisce dell’evoluzione
    (eterogenea) che ha subito la
    Chiesa conciliare, grazie a “Theilhard de
    Chardin… che è diventato post mortem…
    uno degli ispiratori del Concilio Vaticano II”.
    Ed è così che Aron si spinge fino a fare
    delle proposte alla Chiesa, a condizione che
    ritorni alla fede giudaico-talmudica, rinunciando,
    perciò, ad essere cristiana. Il nodo
    gordiano, infatti, o “la pietra d’inciampo”
    (quant’è vero il Vangelo…) è proprio Gesù
    Cristo, poiché l’Aron riconosce che “la difficoltà
    d’essere cristiano è… metafisica… [per
    i cristiani] vi è un intercessore sublime, reputato
    Figlio di Dio, il Cristo. È l’Agnello di
    Dio che prende su di sé e cancella in Cristo i
    peccati del mondo, MENTRE, per l’ebreo,
    OGNI UOMO ASSUME IL PESO DEI
    PROPRI PECCATI” (49). Ogni uomo cioè è
    Messia e Redentore, in quanto (secondo la
    Cabala e per Teilhard) è l’evoluzione ed il
    completamento di Dio stesso.
    Ma “che cosa succede se la maggior parte
    dei cristiani si mette a contestare la base
    stessa della religione che professa? Ecco il
    cuore della crisi attuale che attraversa la
    Chiesa…” (50).
    Ebbene sì, lo studioso ebreo ha visto giusto.
    La maggior parte dei cristiani… non è
    cristiana; è questa la crisi provocata dalla
    “quinta colonna” giudaico-massonica all’interno
    della Chiesa conciliare. Infatti nei sondaggi
    fatti da giornali cattolici risultava che
    già nel 1972 soltanto il 36% dei Cattolici credeva
    alla divinità di Cristo. (Ed oggi ?). Il
    64% restante, perciò, non era più cristiano: il
    Cristianesimo è infatti la religione che professa
    la divinità di Cristo.
    Secondo l’Aron ci troviamo di fronte allo
    scacco della Chiesa: infatti nei rapporti tra
    Cristianesimo e Giudaismo bisogna scegliere
    una delle due alternative: o Cristo è Dio, e
    quindi il Giudaismo anticristiano è una falsa
    religione; oppure non è Dio e quindi il Cristianesimo
    è un’eresia, una setta staccatasi
    dal Popolo di Dio.
    26
    Purtroppo trent’anni di catechesi conciliare,
    che ha snaturato i rapporti tra Antica e
    Nuova Alleanza, tra Cristianesimo e Giudaismo
    hanno portato alla conclusione logica
    ed inevitabile che, per la maggior parte dei
    cristiani, (64% nel 1972, ventidue anni fa!)
    Cristo non è Dio, quindi “ha bestemmiato ed
    è reo di morte”.
    Ecco perchè Aron fa delle proposte alla
    Chiesa a nome della Sinagoga: “Se la Chiesa
    è in crisi, non è soltanto perché usava il latino…
    No! Ciò è dovuto ad una sorta di proliferazione
    che sembra prodursi in essa, a partire
    da un germe pericoloso, che deve alla
    sua origine stessa… È il problema delle origini
    che si pone di nuovo per la Chiesa” (51).
    Se già nel 1972 il 64% dei cattolici non crede
    più alla divinità di Cristo, non è forse perché
    occorre risalire alle origini stesse della Chiesa
    ed alla biforcazione iniziale tra il fiume (la
    Chiesa) e la sua sorgente (la Sinagoga), si
    chiede l’Aron. Bisogna quindi riproporre la
    stessa domanda che Caifa pose a Gesù: “Io
    ti scongiuro, nel nome del Dio vivente, sei tu
    il Messia, il Figlio di Dio?”. Alla quale, però,
    bisogna dare una risposta diversa da quella
    che diede Gesù (“Tu lo dici, Io lo sono”),
    per poter finalmente riportare il fiume (la
    Chiesa) alla fonte (la Sinagoga).
    Per Robert Aron la strada che ricongiunge
    fiume a fonte è proprio quella intrapresa
    dal Concilio Vaticano II, infatti…
    L’OPINIONE DI ARON SUL VATICANO II
    “Il Vaticano II… costituisce uno sforzo
    splendido della Chiesa per RIADATTARSI
    AL MONDO [more judaico-talmudico]… In
    questo avvenimento considerevole, vi è - nel
    senso migliore del termine - un GERME RIVOLUZIONARIO,
    ma se tale germe è concepito,
    non è ancora sbocciato. Se è permesso
    di paragonare il Concilio ad un’altra Rivoluzione
    di natura ben diversa, questa Rivoluzione
    religiosa non è ancora che al suo
    inizio; …essa non è che alla notte del 4 agosto
    1789” (52).
    De ore tuo te judico!
    Chi apprezza il Concilio, chi lo ha fatto?
    Lo sappiamo: Jules Isaac, un B’nai B’rith, è
    stato il redattore materiale di Nostra Ætate.
    Per questo Aron afferma che la Chiesa, staccatasi
    dalla sua fonte, la Sinagoga, vi sarà ricondotta
    dalla Rivoluzione conciliare, ed i
    segni già si vedono: la maggior parte dei cattolici…
    non è più cristiana!
    Ma già Nostro Signor Gesù Cristo aveva
    affermato: “Quando il Figlio dell’Uomo tornerà
    sulla terra, credete che vi troverà ancora
    la Fede?”. Tutto era previsto.
    Ciò che deve aprirci gli occhi è la pretesa
    che ha il Giudaismo anticristiano d'ingiungere
    ad ognuno l’accettazione del Vaticano II.
    Infatti Ha Kellah, il bollettino della Comunità
    israelitica di Torino (53) qualche tempo
    fa invitava l’Istituto Mater Boni Consilii ad
    accettare il Vaticano II, a non voler continuare
    a parlare come la Chiesa preconciliare!
    Non ci accusava - si badi bene - di antisemitismo,
    no! Ma di essere ancora fedeli alla
    teologia preconciliare. Ma se il Concilio, come
    afferma Robert Aron, è la strada maestra
    che fa perdere la Fede nella divinità di
    Nostro Signor Gesù Cristo, chiederci di accettare
    il Concilio significa chiederci di vendere
    Gesù Cristo per trenta denari!
    Ora ogni cattolico che vuol restare fedele
    a Cristo e alla sua Chiesa, dovrebbe riflettere
    su questi fatti evidenti ed inoppugnabili. Il Vaticano
    II è figlio della Sinagoga, ed è la strada
    che conduce alla giudaizzazione dei cristiani.
    Henry le Caron così commenta: “Un
    ebreo vi fa una proposta di servizio a nome
    della Sinagoga… Se volete salvare la Chiesa…
    la vostra “nuova Chiesa”, dovrete rinunciare
    alla Rivelazione, all’Incarnazione
    ed alla Redenzione. A tale prezzo otterrete
    la simpatia della Sinagoga e potrete così
    contare sul suo appoggio” (54).
    27
    Stemma dei cavalieri Kadosch, 30° della Massoneria,
    che promettono di vendicarsi contro il Papa ed il Re,
    simboleggiati dalla Tiara e dalla Corona
    INFLUSSO GIUDAICO AL CONCILIO
    Nel libro di Ratier sul B’nai B’rith (55) apprendiamo
    che Jules Isaac apparteneva a quella
    potente organizzazione massonica composta
    da soli ebrei, che attualmente conta a livello
    mondiale circa mezzo milione di membri (56).
    Già conosciamo il ruolo avuto da Jules
    Isaac nella redazione di Nostra Ætate (57), ma
    forse non sono note le proposte ancora più
    favorevoli al Giudaismo che hanno preceduto
    il documento conciliare, né il lavorìo del
    B’nai B’rith intorno ad esse.
    Ralph Wiltgen (58) narra che il 31 agosto
    1964, due settimane prima dell’apertura della
    terza sessione del Concilio, ricevette la visita del
    signor Lichten, direttore del dipartimento degli
    affari interculturali dell’A. D. L. (Anti-Defamation
    League of B’nai B’rith): “Costui era molto
    inquieto che la frase che discolpava il Giudaismo
    dalla Crocifissione del Cristo, potesse essere
    soppressa dal documento e sosteneva che tale
    frase era per gli ebrei l’elemento più importante
    del documento... Disse ancora che aveva reso
    visita a parecchi cardinali europei e di essere in
    contatto con gli ambienti romani; aggiunse che
    il card. Bea preparava una correzione relativa a
    questa decisione sgradevole e che l’avrebbe
    presentata nell’aula conciliare”.
    CONCLUSIONE
    Chi potrebbe ancora dubitare, dopo i fatti
    esposti e le denunce del Magistero della Chiesa,
    che la Sposa di Cristo sia stata l’oggetto di
    un oscuro complotto e che purtroppo sia stata
    infiltrata dal nemico fin nei suoi più alti gradi?
    Di fronte a questa triste realtà tre attitudini
    sono possibili:
    a) LA POLITICA DELLO STRUZZO,
    che consiste nel chiudere gli occhi di fronte alla
    realtà e nell’illudersi che tutto vada bene…
    b) LO SCORAGGIAMENTO di chi, di
    fronte a tale APPARENTE vittoria nemica di
    un’importante battaglia, pensa che la guerra
    sia persa, non tenendo presente che la Chiesa
    è divina e che Nostro Signore ci ha promesso
    “le porte dell’Inferno non prevarranno”.
    c) L’ATTITUDINE REALISTA E SOPRANNATURALE,
    che tenga conto al
    tempo stesso non solo dei fatti tristissimi,
    che non possono essere ignorati, ma anche
    della Fede e della Speranza cristiana, che ci
    danno l’ASSOLUTA CERTEZZA che la
    Madonna, come sempre, schiaccerà il capo
    al serpente infernale: “IPSA CONTERET”!
    Chiediamo a Maria Santissima ed in particolare
    alla Madonna del Buon Consiglio di
    darci luce e forza, per scorgere le trappole
    della “quinta colonna” e per saperle combattere
    con tutte le nostre forze!
    Mi sembra doveroso concludere con questa
    bella preghiera di don Bosco: “Dolcissimo
    Gesù, nostro divin Maestro! Che sempre
    sventaste le NEFANDE MACCHINAZIONI
    con cui i FARISEI frequentemente v’insidiavano,
    dissipate i consigli degli empi”.
    (San Giovanni Bosco).
    Note
    1) Cfr. Sodalitium, n° 37, pagg. 33 - 45.
    2) Cfr. Sodalitium, n° 37, pagg. 33 - 45.
    3) Il motto del Grand’Oriente di Francia era: “Bisogna
    SENTIRE la Massoneria DAPPERTUTTO, e
    NON SCOPRIRLA IN NESSUN LUOGO”.
    4) Cfr. Sodalitium, n° 37, pagg. 33 - 45.
    5) GUILLON, Collection générale des brefs et institutions
    de notre très saint Père le pape Pie VI, Paris, tome II. pag. 233.
    6) CRETINEAU-JOLY, L’Eglise romaine en face de la
    Révolution, “Cercle de la Renaissance française”, Paris
    1859 tomo. II, pagg. 373-375.
    7) Cfr. Verbe, n° 123, luglio-agosto 1961, pag. 44.
    8) citato da Mons. M. DELASSUS in Verités sociales
    et erreurs démocratiques, ed. Sainte Jeanne d’Arc, Villegenon
    1986, pagg. 398-399.
    9) Cf. La Contre Réforme catholique, n° 237, novembre
    1987, pag. 5.
    10) R. DU LAC, La collégialité épiscopale au deuxième
    Concile du Vatican, ed. Du Cèdre, Paris 1979, pag. 9.
    11)J. PLONCARD D’ASSAC, Le secret des Francs-
    Maçons, ed. de Chiré, Chire en Montreuil, 1979, pag. 26.
    12) Cf. U. FIDELE, Le décalogue de Satan, sine loco
    et data, pagg. 341-388.
    Anche la venerabile Anna Caterina Emmerich
    (1774-1824) e la beata Anna Maria Taigi (1769-1837)
    hanno denunciato tali infiltrazioni massoniche nella
    Chiesa, che esse potevano scorgere grazie a fenomeni
    mistici da cui erano favorite. Cfr. Mons. M. DELASSUS,
    La conjuration antichrétienne, Desclées de Brouwer,
    Lille 1940, tome III, pagg. 853-891.
    13) LEON DE PONCINS, Infiltrations ennemies dans
    l’Eglise, Documents et témoignages, Paris 1970, pagg. 85-88.
    14) R. ESPOSITO, Le grandi concordanze tra la Chiesa
    cattolica e la Massoneria, Nardini ed., Firenze 1987,
    pagg. 25-26.
    15) J. PLONCARD D’ASSAC, op. cit., pag.169.
    16) A. CORONA, Non c’è Massoneria senza trascendenza,
    in HIRAM, maggio 1988.
    17) Mons. LEFEBVRE, L’Eglise infiltrée par le modernisme,
    ed. Fideliter, Eguelshadt 1993, pagg. 31-55.
    18) R. ESPOSITO, op. cit., pag. 26.
    19) Ib. pag. 27.
    20) Ib. pag. 27.
    21) 30 Giorni, febbraio 1994, pag. 29. Lo stesso Gaito
    ha anche affermato che non poteva asserire se Giovanni
    XXIII fosse stato iniziato in una loggia massonica,
    ma quello che era certo è che nel suo insegnamento
    si ritrovava la filosofia della Massoneria (Questo argomento
    sarà trattato ex professo da don Ricossa in un
    prossimo articolo sul “Papa del Concilio”).
    28
    22) R. ESPOSITO, op. cit., pagg. 29-30.
    23) Ib. pag. 32.
    24) Ib. pag. 33.
    25) Ib. pagg. 34-37.
    26) Ib. pag 41.
    27) Pascendi, 8 settembre 1907.
    28) Cf. U. FIDELE, op. cit., pag. 193.
    29) Cf. 30 giorni, febbraio 1994, pag . 29.
    30) Cf. Sodalitium, n° 24, pagg. 3-8.
    31) Cf. Cristianità, Piacenza, gennaio-febbraio 1994,
    pag. 23.
    32) Op. cit., pag. 335.
    33) Cf. Civiltà Cattolica, II, 1928, 481-489/ 1928, III,
    97-109/ 1929, I, 337-346.
    34) G. B. BUZZETTI, voce Rotary, in Enciclopedia
    Cattolica, vol. X, col. 1398.
    35) Rivista diocesana milanese, novembre 1949,
    pagg. 240-241.
    36) il testo si trova negli A.A.S., anno 33, gennaio
    1951, 91.
    37) R. ESPOSITO, op. cit., pag. 345.
    38) Ib. pag. 345.
    39) Ib. pag. 347.
    40) Ib. pag. 348.
    41) O. NARDI, Gnosi e rivoluzione, Grafiche Pavoniane,
    Milano 1991, pag. 77.
    42) Carrefour, 9 ottobre 1968.
    43) Rivarol, 26 settembre 1968.
    44) Approches, gennaio 1968.
    45) O. NARDI, op. cit., pag. 83.
    46) Ib. pag. 86.
    47) ROBERT ARON, Lettre ouverte à l’Eglise de
    France, Paris, 1975.
    48) Ib. pag. 38.
    49) Ib. pag.133.
    50) Ib. pag. 138.
    51) Ib. pag.141.
    52) Ib. pag.141.
    53) Ha Kellah n° 1 anno 1994, pag. 1.
    54) H. LE CARON, Dieu est-il anti-semite? Ed. Fideliter,
    Escurolles, 1987, pag. 80.
    55) E. RATIER, Mystères et secrets du B’nai B’rith,
    Facta, Paris 1993.
    56) Il 3 giugno 1971 Paolo VI ricevette in udienza
    pubblica la loggia del B’nai B’rith (Osservatore Romano,
    3 giugno 1971); Giovanni Paolo II lo fece nel 1984
    (Documentation Catholique, n° 1874, pag. 509).
    57) Cf. Sodalitium, n° 28 pagg. 8-10.
    58) R. WILTGEN, Le Rhin se jette dans le Tibre, ed.
    du Cèdre, Paris 1976, pag. 169.
    29
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

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    http://www.plion.it/sodali/PDF/Soda-it50.pdf

    Trent’anni. Sono passati trent’anni da
    quella prima domenica d’Avvento del
    1969, quando, in quasi tutte le chiese
    cattoliche del mondo, entrò in vigore il nuovo
    messale voluto da Paolo VI. I danni causati
    alla Chiesa e alle anime dalla riforma liturgica
    sono incalcolabili. Infatti, se pensiamo
    che il Sacrificio della Messa è il più alto
    atto della virtù di religione, si può ben dire
    che con la distruzione della Messa si distrugge
    nello stesso tempo la religione; e distrutta
    la religione, si annienta anche la stessa società
    civile, che nella religione trova il suo
    fondamento primo e il suo fine ultimo. Noi
    pensiamo che il nuovo messale sia invalido.
    Questo significa che, ogni volta che la Messa
    viene celebrata col nuovo messale di Paolo
    VI, quale che sia il sacerdote celebrante, la
    sua fede o la sua virtù, Nostro Signore Gesù
    Cristo non è presente sugli altari, non si offre
    per noi al Padre e non viene sacramentalmente
    in coloro che vorrebbero riceverlo
    nella Santa Comunione. Si tratta, ovviamente,
    di una affermazione gravissima, che va
    oltre le stesse posizioni di Mons. Lefebvre.
    Ma è gravissimo, anche, che il messale della
    Chiesa cattolica sia stato composto ex novo
    nel 1969, facendo tabula rasa di quasi duemila
    anni di tradizione liturgica, con la collaborazione
    di numerosi pastori protestanti,
    per i quali, come per Lutero, la Messa cattolica
    è una abominazione peggiore di tutti gli
    adulteri e le prostituzioni del mondo. La liturgia
    della Chiesa è santa, e non può che
    essere santa. Una liturgia inventata da
    “esperti” modernisti ed eretici protestanti
    non può essere santa. Quindi, non può essere,
    in alcun modo, la liturgia della Chiesa. I
    30 anni che sono passati dalla sua imposizione
    non rendono legittimo ciò che era illegittimo,
    né ortodosso ciò che era eterodosso,
    né valido ciò che era invalido. Infatti, solo i
    riti della Chiesa, garantiti e approvati da Essa,
    danno ai cristiani la garanzia della loro
    ortodossia e validità. Il nuovo messale non è
    un rito della Chiesa: noi non abbiamo pertanto,
    a priori, nessuna garanzia né della sua
    ortodossia, né della sua validità. Il fatto che
    una generazione di battezzati sia cresciuta
    senza neppur conoscere il messale romano
    di San Leone, di San Gregorio, di San Pio V,
    di don Bosco o di Padre Pio, non è una ga-
    ranzia della accettabilità di tale messale, ma
    solo del danno spirituale che Paolo VI - che
    anche solo per questo fatto non poteva godere
    dell’autorità pontificia - ha inferto al
    gregge che avrebbe dovuto pascere.
    Passato questo tempo, qual è il punto
    della situazione? Gli umili eroi che conservarono
    il messale della loro ordinazione in
    quell’Avvento del 1969, stanno lasciando
    questa terra per la ricompensa del Cielo;
    pensiamo a Padre Guérard des Lauriers e a
    Padre Vinson, ai quali deve tanto il nostro
    Istituto. Nonostante ciò, dopo 30 anni l’antico
    Missale Romanum è ancora celebrato nel
    mondo intero, anche se il più delle volte come
    nelle catacombe. La riforma di Paolo VI,
    autorizzandone la celebrazione solo ai sacerdoti
    anziani e senza assistenza del popolo,
    ne prevedeva la scomparsa per i nostri
    tempi: non è stato così. Delle consacrazioni
    episcopali, fin dal 1981, hanno assicurato la
    sopravvivenza provvidenziale del santo Sacrificio:
    senza Messa e sacramenti non esiste
    la Chiesa. Altri pensano più sicuro e più ortodosso
    affidarne la conservazione all’Indulto
    concesso da Giovanni Paolo II. Quanto
    all’ortodossia di questa soluzione, basti pensare
    che essa implica il riconoscimento della
    piena legittimità e cattolicità del nuovo messale.
    A che scopo, allora, conservare l’antico?
    E questo valga per la sicurezza di questa
    soluzione. I fatti hanno smentito le illusioni.
    L’abate del monastero benedettino del Barroux,
    Dom Gérard Calvet, ha infatti dovuto
    concelebrare con Giovanni Paolo II seguendo
    il nuovo rito (il 27 aprile 1995). Al Congresso
    romano di ottobre delle comunità legate
    alla Commissione Ecclesia Dei ha riconosciuto
    la validità e l’ortodossia del nuovo
    messale. Poco dopo, è stato raggiunto un accordo
    tra il Barroux e i benedettini di Francia,
    autorizzante la (con)celebrazione del
    novus ordo nel monastero di Dom Gérard.
    Quello che costui ha fatto sponte et libenter,
    la Fraternità San Pietro dovrà farlo contro
    voglia. Una rivolta capeggiata da 16 sacerdoti
    di quella società (accusata di essere ancora
    troppo lefebvrista) ha avuto come effetto
    immediato, tra l’altro, una risposta ufficiale
    della Congregazione per il Culto Divino
    (3 luglio 1999, n. 1411/99) riguardante le
    diverse società religiose che, nel 1988, avevano
    accettato l’Indulto. Le tre risposte stabiliscono:
    1) che i sacerdoti di queste società
    possono celebrare con il nuovo messale, 2)
    3
    che i loro superiori non possono proibirglielo,
    3) che questi sacerdoti possono anche
    concelebrare. Gli “indultisti” speravano di
    ottenere nuovi permessi per la liturgia preconciliare;
    hanno ottenuto l’esatto contrario.
    Questo decreto suona, annuncia l’agonia
    della Fraternità San Pietro, dell’Istituto di
    Cristo Re e Sommo Sacerdote di Gricigliano,
    della Fraternità San Vincenzo Ferreri
    ecc. e oggettivamente, benché involontariamente,
    porta acqua al mulino della Fraternità
    san Pio X, proprio nel momento in cui
    alcuni suoi settori stavano studiando una
    possibilità di resa condizionata. Ecône può
    vantarsi - riprendendo le vesti dell’intransigenza
    e additando l’esempio della triste fine
    dei cattolici “Ecclesia Dei” - di aver fatto la
    scelta giusta con le consacrazioni del 1988.
    Ma Ecône non dovrebbe dimenticare che la
    corresponsabilità della “trappola” dell’Indulto
    ricade innanzitutto su di se stessa, che
    questa trappola ha fortemente voluto: dalla
    Lettera agli amici e benefattori n. 16 del 19
    marzo 1979 (con la quale Mons. Lefebvre
    rendeva pubblica la missiva da lui inviata a
    Giovanni Paolo II nella vigilia del Natale
    1978, chiedendo la coesistenza dei due riti
    nella Chiesa e nelle medesime chiese) fino
    al protocollo d’intesa del 5 maggio 1988, firmato
    da Mons. Lefebvre e mai rinnegato nei
    suoi princìpi (ma solo nella sua opportunità),
    fondamento della stessa Ecclesia Dei.
    Il Decreto del 3 luglio 1999 conferma ciò
    che già si sapeva (o si sarebbe dovuto sapere):
    è impossibile restare veramente cattolici
    e svolgere un ministero cattolico restando in
    comunione con Giovanni Paolo II. La soluzione
    dell’attuale situazione della Chiesa
    non potrà venire da un compromesso pratico,
    ma solo da un ritorno dottrinale all’ortodossia.
    La conservazione della liturgia senza
    la difesa delle verità di fede negate dai neomodernisti
    è una battaglia insufficiente e già
    persa in partenza.
    A 30 anni dall’introduzione del Novus Ordo
    Missae, dunque, rinnoviamo il nostro proposito
    di fare quanto è in noi perché sia espulso
    totalmente e definitivamente, con l’aiuto di
    Dio, da tutte le chiese cattoliche del mondo.
    Ritorni a Wittemberg, da dove è venuto.
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

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    http://www.plion.it/sodali/PDF/Soda-it51.pdf


    Questo numero di Sodalitium esce più
    in ritardo del solito, al punto che
    molti lettori ci hanno scritto credendo
    di aver perso dei numeri o temendo una
    cessazione della pubblicazione. La colpa è
    solo mia (del direttore) e me ne scuso con
    tutti gli amici della nostra rivista, che sono
    tanti. Speriamo, con questo numero, di soddisfarli.
    Sodalitium esce raramente ma è
    molto denso (per la redazione è persino
    troppo denso) come pagine e contenuti, per
    cui... un numero dura a lungo!
    Come non è la prima volta che ho dovuto
    scusarmi per il ritardo della pubblicazione,
    così non è la prima volta che devo lamentare
    la situazione tristissima nella quale
    si trovano la Chiesa, la società e persino i
    cattolici rimasti fedeli alla dottrina tradizionale.
    Giovanni Paolo II preparava da tempo i
    cattolici a questo “anno santo” del 2000; purtroppo
    i programmi si stanno realizzando
    l’uno dopo l’altro. La “giornata del Perdono”,
    celebrata nella Basilica di San Pietro la
    prima domenica di Quaresima, 12 marzo
    2000, è stata definita a ragione da Giovanni
    Paolo II una “giornata storica”. Egli ha denunciato
    “errori, colpe e deviazioni del passato”
    che sarebbero state commesse da dei
    “figli della Chiesa”, e per le quali ha chiesto
    perdono. In realtà, e tutti lo sanno bene,
    questi “errori, colpe e deviazioni del passato”
    non sono state commesse da anonimi “figli
    della Chiesa”, ma dalla suprema gerarchia
    della Chiesa, in nome della Chiesa e
    della sua dottrina. Quella di Giovanni Paolo
    II è quindi in realtà una abiura solenne della
    Chiesa cattolica, dei suoi Pontefici, dei suoi
    santi, dei suoi dottori... Mai fino ad ora egli -
    e quanti sono in comunione con lui - si era
    avvicinato così ampiamente all’ammissione
    esplicita della contraddizione esistente tra il
    “concilio Vaticano II” e la dottrina e la prassi
    della Chiesa cattolica, in un impressionante
    “auto da fe” al contrario. Questa cerimonia
    - si dice - avrebbe dovuto avvicinare alla
    Chiesa quanti le sono lontani, quanti da secoli
    le rimproverano l’intolleranza del passato.
    Avrebbe dovuto avvicinare alla Chiesa
    un uomo come Indro Montanelli, ad esempio.
    Sulle parole pronunciate da Giovanni
    Paolo II, egli scrive che “hanno lasciato sen-
    za fiato anche un laico come me”. Un “laico”
    stimato da Giovanni Paolo II, che lo volle ricevere,
    qualche anno fa, nel suo appartamento
    privato, trattenendolo poi a pranzo. E
    Montanelli racconta, sul Corriere della Sera
    (9/3/00, p. 1): “capii, o credetti di capire che
    quel Papa (...) avrebbe lasciato dietro di sé un
    cumulo di macerie: quelle della struttura autoritaria
    e piramidale della Curia romana. Ora
    mi sembra di capire - prosegue Montanelli -
    che quella intuizione vagamente catastrofica
    peccava, sì, ma per difetto: quelle che Papa
    Wojtyla si lascerà dietro non sono le macerie
    soltanto della Curia, ma della Chiesa, o almeno
    di quella che da duemila anni siamo abituati
    a considerare tale e ci portiamo, anche
    noi laici, nel sangue. Nella sua lunga storia la
    denuncia degli errori commessi in suo nome
    non rappresenta una novità, anche se l’uso
    che se ne è fatto in questi ultimi tempi, e che
    sconfina nell’abuso, ci ha lasciato alquanto
    interdetti. Ma rubricare fra i propri errori, anzi
    addirittura - se abbiamo ben capito - fra le
    proprie colpe anche gli scismi e le conseguenti
    scomuniche delle altre chiese cristiane, ortodosse
    e protestanti, suggerisce anche a noi laici
    la smarrita domanda: ‘Ma allora...?’. È - ripeto
    - uno smarrimento. Ma più che legittimo,
    mi sembra”. Nefas est ab inimicis discere! E
    purtroppo ancora una volta sono i nemici
    della Chiesa a avvicinarsi di più alla verità...
    Il “sospetto” di Montanelli è che Giovanni
    Paolo II, per ottennere la collaborazione
    dei protestanti e degli “ortodossi” alla ‘nuova
    evangelizzazione’ sia disposto anche al
    “sacrificio del proprio primato”. A chi si
    scandalizza a questa prospettiva, il card.
    Martini ricorda le parole di Giovanni Paolo
    II stesso in Ut unum sint...
    Ma la posta in gioco è più grande. Se ai
    “fratelli separati” bisogna sacrificare il Primato
    romano, ai “fratelli maggiori” bisognerà
    sacrificare... la divinità di Cristo? Tutti
    i commentatori (e soprattutto le autorità
    israeliane, civili e religiose) si sono accorti di
    come il gesto del 12 marzo, pur così importante,
    fosse essenzialmente propedeutico al
    viaggio di Giovanni Paolo II in Israele, durato
    dal 20 al 26 marzo. Nel documento della
    Commissione teologica internazionale
    ‘Memoria e riconciliazione’ riguardante le
    “colpe” del passato, l’unico gruppo religioso
    o sociale esplicitamente nominato al quale si
    chiede perdono è il giudaismo, ovvero l’erede
    spirituale del farisaismo.
    3
    Il 26 marzo Giovanni Paolo II si è recato
    al Muro del Pianto e, con un gesto di preghiera
    ebraico, ha introdotto nelle fessure
    del muro di quel Tempio distrutto materialmente
    dai romani il 29 agosto 70, ma per volontà
    di Dio stesso, in punizione del deicidio
    (cf. Matth. XIV, 38ss), la domanda di perdono
    al popolo ebraico per l’attitudine passata
    della Chiesa nei suoi confronti.
    Leggiamo sulla Contre-Réforme Catholique
    (dalla quale tuttavia, spesso, dissentiamo):
    «Dopo il 1967, lo spazio creato davanti al
    muro è diventato un luogo di culto. Per il cardinal
    Lustiger il gesto del Papa al muro occidentale
    è un vero e proprio gesto liturgico:
    ‘Ha pregato, ha pregato come un credente,
    che sa che questo muro di Erode è il muro del
    Tempio ove risiede la gloria di Dio (...). E se
    ha chiesto perdono, è perché è il suo ruolo di
    pontefice chiedere perdono in nome dei fedeli
    dei peccati commessi’ (La Croix, giovedì 6
    aprile). Giovanni Paolo II ha quindi agito nella
    veste di sommo sacerdote ebraico. Per noi
    cattolici, la ‘gloria di Dio’ risiede in ‘tutti i tabernacoli
    della terra’ ed Essa si trova ‘orribilmente
    oltraggiata’, secondo le parole dell’angelo
    di Fatima, da quanti gli voltano le spalle,
    dopo 2000 anni, per adorare oggi... delle pietre!”.
    “‘Gesto inaudito’, titola La Croix di lunedì
    27 marzo. In effetti, è il mondo alla rovescia!
    Per misurare la strada percorsa, basta
    mettere a confronto, da un lato ‘le poche frasi
    scritte sul foglio, che il muro nasconde dal vento,
    che esprimono il pentimento della Chiesa
    nei confronti del popolo ebraico’ e, d’altra
    parte, le parole pronunciate da San Pietro
    duemila anni fa per esortare il medesimo popolo
    ebraico... a un pentimento al contrario!
    Teshuvà di Giovanni
    Paolo II: ‘Dio dei nostri
    padri, tu hai scelto Abramo
    e la sua discendenza
    affinché il tuo nome sia
    conosciuto in mezzo alle
    nazioni: Noi siamo profondamente
    rattristati dal
    comportamento di coloro
    che, nel corso della
    storia, li hanno fatti soffrire,
    loro che sono i tuoi
    figli, e domandandoti
    perdono, vogliamo ingaggiarci
    a vivere un’autentica
    fraternità con il
    popolo dell’alleanza’.
    Kerigma di san Pietro:
    ‘Uomini d’Israele, pentitevi
    e ciascuno di voi
    si faccia battezzare nel
    nome di Gesù Cristo,
    per la remissione dei
    vostri peccati; dopo riceverete
    il dono dello
    Spirito Santo. Per voi
    infatti è la promessa e
    per i vostri figli e per
    tutti quelli che sono
    lontani, quanti ne chiamerà
    il Signore Dio
    nostro’ (Atti 2,
    38-40)».
    (CRC, n. 366, aprile 2000, p. 2).
    4
    La preghiera di Giovanni Paolo II al Muro
    del Pianto è un fatto così sconvolgente che
    forse solo la rivelazione (che deve essere ancora
    confermata da prove certe) fatta dallo
    scrittore israeliano Yoram Kaniuk su Repubblica
    del 22 marzo 2000 (p. 15) puo spiegare:
    “È assurdo - scrive Kaniuk - aspettarsi che il
    Papa esprima un rincrescimento maggiore o
    che si scusi più di quanto non abbia fatto per
    la Shoah e l’Inquisizione e per i millenni di
    odio. Non ha per questo nessun mandato dai
    suoi predecessori che, per il fatto stesso di essere
    papi, non potevano sbagliare. Egli ha
    invece un mandato di amore da parte del suo
    Dio e viene da sua madre, vuoi per estraniarsene
    in quanto cristiano, vuoi al tempo stesso
    per chiederle pietà, in quanto orfano di una
    ebrea”. In realtà, la madre e il padre di Karol
    Wojtyla erano entrambi battezzati. Ma forse
    Yoram Kaniuk sa qualche cosa di più, sulla linea
    di quanto scritto da Sodalitium in Karol,
    Adam, Jacob (n. 49, p. 30).
    Checché ne sia delle intime convinzioni
    di Giovanni Paolo II, note solo a Dio, tutti i
    collaboratori di Sodalitium si sentono in dovere
    di difendere pubblicamente, in questa
    occasione, l’onore della Chiesa. Non rinneghiamo
    la Chiesa. Non rinneghiamo il suo
    passato. Non rinneghiamo gli scritti dei Padri
    della Chiesa. Non rinneghiamo gli anatemi
    e le scomuniche degli eretici e degli scismatici.
    Non rinneghiamo i Papi che hanno
    promosso delle guerre dolorose ma necessarie
    contro infedeli, eretici o scismatici, ed i
    santi canonizzati che le hanno predicate o
    combattute. Non rinneghiamo il Tribunale
    del Sant’Uffizio dell’Inquisizione dell’eretica
    pravità, i Papi che lo hanno istituito e
    presieduto fino al Concilio, i Santi che lo
    hanno difeso e ne hanno svolto le funzioni.
    Non ci vergognamo della Chiesa. Ci vergognamo
    di chi si vergogna della Chiesa. Di
    chi non acconsente ma tace, e tacendo acconsente.
    Di chi attribuisce alla Chiesa questo
    rinnegamento del passato, della dottrrina
    e della prassi della Chiesa.
    Questo doveroso rifiuto di una dottrina e
    di una prassi adulterata che ci viene da chi occupa
    la Sede di Pietro (ma non ne esercita
    l’autorità!) non ci abilita però a creare - poco
    a poco, ma inesorabilmente - un’altra Chiesa.
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

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    La Massoneria

    Andrea Menegotto

    Oggi della massoneria si parla nelle cronache politiche e giudiziarie, ma non sempre è chiaro di cosa esattamente sia stia discutendo, per questo appare di una qualche utilità affrontare seppur brevemente l’argomento.

    La realtà massonica può essere definita come una risposta di carattere relativista al pluralismo dottrinale del mondo moderno; secondo la storica inglese Frances Yates, la questione delle sue origini rappresenta uno dei problemi più discussi e discutibili in tutto il contesto della ricerca storica. La massoneria moderna nasce sotto due spinte contrastanti: da una parte l’auspicio del razionalismo, dall’altra l’anelito preromantico al mistero che affonda le sue radici nella tradizione esoterica. Le origini storiche, ovviamente, sono da tenere distinte rispetto le leggende sorte all’interno della stessa massoneria. Convenzionalmente, la data di nascita della moderna massoneria è fissata nel 1717, anno in cui le quattro logge londinesi si riuniscono nella Gran Loggia di Londra. Nel 1723 la massoneria riceve le sue "Costituzioni" dal pastore presbiteriano James Anderson. Le radici si trovano nelle antiche corporazioni dei freemason, cioè dei liberi muratori e architetti (da qui derivano i gradi massonici di apprendista, compagno e maestro). Queste, a partire dal 1600, vengono infiltrate da persone che non hanno relazioni con la professione, ma si interessano di esoterismo e ricercano i mitici Rosacroce, che oggi si sa con certezza non essere mai esistiti, ma che sarebbero stati i detentori di un sapere segreto che avrebbe consentito di accedere all’unità profonda di tutte le religioni.

    Attualmente la massoneria si presenta come un complesso puzzle dove è possibile, in particolare, distinguere fra obbedienze e riti. Le obbedienze sono federazioni amministrative di logge o di gruppi nazionali di logge; i riti, invece, sono sistemi di gradi massonici, di cui prescrivono non solo le cerimonie, ma anche le caratteristiche. Dunque, all’interno della stessa obbedienza possono convivere più riti e uno stesso rito può essere presente in più obbedienze. Fra i riti più diffusi si trova il Rito Scozzese Antico e Accettato, in 33 gradi, da cui deriva l’abitudine di considerare i massoni più elevati in grado come dotati della qualifica di "33°".

    Le organizzazioni parallele possono essere distinte in "para-massoniche", "simil-massoniche" e "pseudo-massoniche". Le prime non fanno parte della massoneria, ma ammettono al loro interno esclusivamente massoni; le seconde sono sorte ad imitazione e in concorrenza con la massoneria, spesso rivolgendosi a classi sociali più basse; infine, le organizzazioni "pseudo-massoniche", seppure utilizzano nel loro nome il termine massoneria, sono considerate al di fuori del mondo massonico dalla maggior parte degli organismi ufficiali.

    La massoneria non ha una dottrina, ma piuttosto un metodo di tipo relativista, il quale consiste nell’affrontare i problemi con la discussione comune e nel risolverli secondo quanto sembra giusto alla maggioranza dei "fratelli". Tutto può essere messo in discussione, tranne il metodo stesso. Se qualche massone proponesse l’unicità di una verità, di una religione o di una via si porrebbe automaticamente fuori dal metodo massonico, il quale, dato il suo valore estremamente relativizzante, è espressamente incompatibile con la fede cattolica, così come hanno sottolineato i Documenti magisteriali.

    Passandoli in rassegna ci si accorge che il momento più ricco di Testi prodotti dal Magistero pontificio sulla massoneria corrisponde al periodo che va dal 1738 fino alla morte di Papa Leone XIII, nel 1903. Questo dato non è di poco conto, infatti, se si tiene in considerazione la storia dell’evoluzione della massoneria, si nota che questi anni rappresentano un momento di grande sviluppo e diffusione delle logge. In totale i pronunciamenti magisteriali sulla massoneria sono 586. Il primo Documento risale al 28 aprile 1738, quando Papa Clemente XII, con la Lettera apostolica In eminenti, mette in guardia i credenti contro tale organizzazione. L’Humanum genus di Leone XIII, invece, adotta un’impostazione di carattere sociologico poiché descrive le ricadute filosofiche e morali della massoneria in un contesto segnato dall’indifferentismo religioso. La massoneria viene condannata perché veicola il trionfo del relativismo ed è volta a distruggere l’ordine religioso e sociale nato dalle istituzioni cristiane e a creare un nuovo ordine a suo arbitrio. La seconda fase del Magistero pontificio sulla massoneria può essere circoscritta al periodo che va dall’inizio del Pontificato di Pio X nel 1903 all’apertura del Concilio Vaticano II nel 1962. Durante questo periodo la condanna della massoneria e la scomunica per chi ne fa parte viene codificata dal Codice di Diritto Canonico (canone 2335) promulgato da Papa Benedetto XV nel 1917 e dalle Costituzioni sinodali del Primo Sinodo Romano (articolo 247), indetto da Papa Giovanni XXIII nel 1960. Dal Concilio Vaticano II al 1983 il Magistero non nomina più la massoneria; la Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede interviene nel 1981 solo per una rettifica circa alcune interpretazioni date ad una lettera riservata indirizzata ad alcuni episcopati e divenuta di pubblico dominio. Nel 1983 il nuovo Codice di Diritto Canonico, canone 1374, prevede che sia punito "chi dà il nome ad una associazione che complotta contro la Chiesa". Il fatto che questo canone non menzioni direttamente la massoneria è stato interpretato come un’abolizione della scomunica. In realtà, il 26 novembre 1983 una Dichiarazione della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede conferma che rimane immutato il giudizio della Chiesa circa le associazioni massoniche e, dunque, l’iscrizione ad esse rimane proibita. Infine, in un articolo apparso sul "L’Osservatore Romano" del 23 febbraio 1985, intitolato "Inconciliabilità tra fede cristiana e massoneria", viene fornita una motivazione ufficiosa della reiterata condanna del 1983. Questo scritto, in particolare, sottolinea che, anche nel caso in cui non vi siano espliciti risultati ostili alla fede cattolica, il metodo massonico è sempre incompatibile con la stessa, in quanto esso si fonda su una concezione simbolica relativistica, del tutto inaccettabile per un cristiano "al quale è cara la sua fede".



    Per approfondire:

    Getta luce sull’argomento il volumetto di Massimo Introvigne, Direttore del CESNUR (Centro Studi sulle Nuove Religioni) e già curatore del testo interdisciplinare Massoneria e Religioni (Elle Di Ci - Leumann, [Torino] 1994). Si tratta del settimo volume della collana di studi scientifici – Direttore di Redazione: Pierluigi Zoccatelli, un altro studioso del CESNUR – "Religioni e Movimenti". Come recita il manifesto programmatico della stessa, essa "...intende offrire un primo sguardo su problemi, correnti, denominazioni e movimenti religiosi, descrivendone sommariamente le origini, la storia e gli aspetti dottrinali, al di là e prima di qualunque giudizio di valore". Conformemente alle intenzioni della collana, il volumetto – seppure accenna in ultima battuta ai pronunciamenti del Magistero cattolico sulla massoneria – non si prefigge di dare un giudizio di valore, ma vuole essere uno strumento che favorisca la prima conoscenza di una realtà in sé estremamente complessa. E’ pur vero, però, che la conoscenza è condizione indispensabile e preliminare per qualunque giudizio, per cui l’opera di Introvigne si presenta decisamente come un ottimo strumento nelle mani di chi, preoccupato per l’integrità della fede della Chiesa e conformemente alle posizioni espresse dal Magistero cattolico, esclude con il relativismo ogni possibilità di "doppia appartenenza" e si prodiga in quella "lotta" per la Verità di Cristo che trova nella massoneria – ed in particolare nel suo metodo relativista – un ostacolo consistente, ma non insormontabile.
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

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    Dai documenti di don Luigi Villa un’inquietante contaminazione
    all’interno della Chiesa cattolica
    Le tonache con il “grembiulino”
    Le accuse di un vecchio
    prete lombardo: «Ecco i nomi dei Vescovi massoni»
    di Giorgio Del Re

    Il mondo è governato da tutt’altri personaggi che neppure immaginano coloro il cui occhio non giunge dietro le quinte. (Benjamin Disraeli, primo ministro britannico) Ieri abbiamo visto come l’Islam, troppo superficialmente etichettato dai mass-media come religione “tradizionale” e fanaticamente avversa all’ideologia moderna occidentale (e quindi illuminista e materialista), sia in realtà infiltrato da importanti esponenti e seguaci di un determinato tipo di massoneria. Oggi, saccheggiando a piene mani dall’enorme documentazione messa a disposizione dei lettori dal battagliero don Luigi Villa attraverso la sua casa editrice (Civiltà) e il suo periodico Chiesa viva (Via Galileo Galilei 121, Brescia, telefono e fax: 030 - 3700003), affrontiamo lo spinosissimo problema delle infiltrazioni massoniche in seno alla Chiesa cattolica. Ci occuperemo soprattutto di due volumi e di un opuscoletto scritti da don Villa. Trattasi di due libri dedicati alla controversa figura di papa Paolo VI e di un pamphlet da poco uscito dal titolo Una nomina scandalo!, dedicata alla recentissima nomina di monsignor Francesco Marchisano a Vicario generale dello Stato del Vaticano e arciprete della Basilica Vaticana. Il quale Marchisano, stando ai documenti pubblicati dal sacerdote lombardo, sarebbe un importante massone, da quarant’anni impegnato a sostenere la lotta della setta massonica contro il suo nemico storico: la Chiesa cattolica. E, secondo don Villa, Marchisano non sarebbe l’unico prelato massonico operante nelle stanze vaticane, come vedremo.
    ANTEFATTO: AGOSTO 1976 E LA LOGGIA DI SAN PIETRO - Ma prima di entrare nella strettissima attualità, bisogna fare qualche passo indietro nel tempo e risalire all’estate del 1976 e precisamente al mese di agosto di quell’anno, quando il settimanale Panorama (ben diverso dall’attuale, impegnato soprattutto a raccontare aneddoti tradizionalmente consoni ai settimanali scandalistici femminili) pubblica l’elenco, preparato dal giornalista Mino Pecorelli per il suo periodico Op, di cardinali, vescovi ed alti prelati cattolici affiliati alla massoneria. Pur definendolo inattendibile (ma don Villa la pensa diversamente), il commento di Panorama alla pubblicazione dell’elenco della Gran Loggia vaticana riassume in poche righe quello che don Villa ha scoperto leggendo decine di migliaia di documenti riservati, di discorsi pubblici e interni alla Chiesa, di articoli di riviste di mezzo mondo: ovvero, che la massoneria, grazie alla spinta favorevole del Concilio Vaticano II, ha raggiunto i vertici della Chiesa cattolica ed è vicinissima alla vittoria contro il suo nemico secolare. Scrisse infatti Panorama nel numero del 10 agosto 1976: «Se l’elenco fosse autentico, la Chiesa sarebbe in mano ai massoni. Paolo Vi ne sarebbe addirittura circondato. Anzi, sarebbero stati loro a fargli da grandi elettori e poi a pilotarlo nelle più importanti decisioni prese durante questi 13 anni di pontificato. E, prima ancora, sarebbero stati loro a spingere il Concilio Vaticano II sulla strada delle riforme». Le riforme, appunto: da quella liturgica a quella dei Seminari, giudicata perniciosa da don Villa e da molti altri sacerdoti e prelati che hanno preferito non esporsi. Don Luigi non è un lefebvriano e neppure un sedevacantista , le posizioni tradizionaliste ed anticonciliari provengono quindi dall’interno della stessa Chiesa, a rappresentare, forse, l’estremo tentativo, l’ultima battaglia contro il demone della sovversione e della scristianizzazione che ammorba da anni i corridoi vaticani, tanto da far dire a suo tempo (era il 1972) dallo stesso Paolo VI una frase simbolicamente drammatica: «Da qualche fessura è entrato il fumo di Satana nel Tempio di Dio».
    IL FUMO DI SATANA NEL TEMPIO DI DIO - Don Villa, nel libro Paolo VI beato?, dimostra che l’elenco della Gran Loggia vaticana è veritiero. I nomi in esso contenuti dovrebbero far rabbrividire qualsiasi fedele alla parola di Cristo. Sarebbero stati massoni, infatti, quindi nemici mortali della Chiesa, vicinissimi e potenti collaboratori di papa Montini. Ne citiamo alcuni: monsignor Pasquale Macchi, segretario personale del pontefice (lo ritroveremo più avanti); il cardinale Jean Villot, segretario di Stato di Paolo VI, di Giovanni Paolo I e di Giovanni Paolo II, fino alla morte avvenuta nel 1979; il cardinale Agostino Casaroli, sulla cui appartenenza alla massoneria sarebbe a conoscenza anche papa Wojtyla, stando alla testimonianza resa a don Villa da un arcivescovo, stretto collaboratore dell’attuale pontefice; il vescovo Annibale Bugnini, cui Paolo VI affidò la «rivoluzione liturgica» al Concilio, nonostante il precedente allontanamento del Bugnini da parte di Giovanni XXIII; il vescovo Paul Marcinkus, presidente dello Ior, legato alla scandalo Sindona. Pare che papa Luciani, il papa dei 33 giorni (e il 33 è un numero simbolico per tutti i massoni), volesse fare «pulizia» all’interno del Vaticano, avendo individuato l’«arrosto» massonico coperto dal «fumo» di Satana e molti, tra cui don Villa, individuano in questa volontà manifesta le cause dell’improvvisa morte di Giovanni Paolo I.
    PAOLO VI E IL TRIONFO DEI “FIGLI DELLA VEDOVA” - Nella postfazione al libro Paolo VI, processo a un Papa?, don Villa scrive, riprendendo una sua lettera inviata nel 1979 a monsignor Driwisz, segretario personale di Giovanni Paolo II: «La Chiesa ha ormai i suoi seminari distrutti, o semi distrutti e quasi tutti vuoti, divenuti pascolo di preti modernisti, socialistoidi, politologi e persino eretici; come pure vede gli Istituti religiosi ridotti a cifre irrisorie e i Conventi fatti deserti, a causa di un esodo continuo, impressionante!.. e vede anche le dissacrazioni liturgiche, innumerevoli e continue, talora innominabili, che hanno ridotto la sacralità ad una sceneggiata, vuota di ogni spiritualità; e vede sul clero imperversare un vento di terrorismo teologico, fatto da teste d’uovo pervicaci...». Don Villa concludeva così: «Ripeto anche a Lei quello che da anni mi sto chiedendo, e cioè: perché Paolo VI ha aperto al Modernismo? Perché ha aperto al comunismo? Perché ha aperto alla Massoneria?.. Tre terribili domande a cui la Storia dovrà e potrà rispondere; e non sarà, certo, una risposta di plauso!.. Inoltre, rimarrà sempre vero che Mons. Montini fu cacciato via dalla segreterie di Stato dallo stesso Pio XII, perché Lo tradiva!..».
    PADRE PIO, L’ANTI-MASSONE - In quella postfazione don Villa accenna anche alla sua amicizia con una delle figure più straordinarie e al tempo stesso controverse della Chiesa del XX secolo: Padre Pio. Il sacerdote, santificato lo scorso 23 giugno, incitò don Villa a «combattere la Massoneria». «Mi disse - scrive il sacerdote - di mettermi in contatto con S. Ecc.za Monsignor G. B. Bosio e sotto la Sua protezione diretta, per eseguire quel mandato che mi aveva affidato. Così feci. Al termine del mio terzo incontro con padre Pio, salutandomi, Egli mi abbracciò e mi disse: «Coraggio, coraggio, coraggio! Dovrai soffrire molto da una Chiesa già invasa dalla Massoneria!». Una Chiesa «invasa» dalla Massoneria potrà mai difendersi dai suoi nemici, quali l’Islam, la scristianizzazione, l’ecumenismo? La risposta è lapalissiana: no. Per questo motivo i documenti proposti da don Villa sono diventati veri e propri tabù. Inviati a tutti i giornali, nessuno ha mai scritto una riga, si lamenta il battagliero prete padano. Denunce ai suoi danni? Nessuna. Eppure spesso don Villa lancia accuse pesantissime, eppure... silenzio! Vista la tragica fine di Pecorelli, ammazzato a pistolettate pochi mesi dopo la pubblicazione dell’elenco della Gran Loggia vaticana e vista la stranissima morte di papa Luciani dopo soli 33 giorni del suo pontificato, nel 1978, don Villa non ha mai avuto paura? Chi lo conosce dice di no e a vederlo nulla lascia sospettare il contrario. Eppure, ci raccontano alcuni suoi amici, è stato oggetto di diversi attentati e aggressioni, una delle quali a Parigi, proprio mentre si trovava ad indagare su alcuni cardinali in odore di grembiulino massonico. Ma don Villa, fermo nella Fede e sicuro che alla fine le «porte dell’Inferno non prevarranno», tira dritto per la sua strada, continuando a combattere la massoneria, come indicato da Padre Pio. Sta ultimando il terzo e conclusivo volume sui guasti commessi da Paolo VI, prepara il nuovo numero di Chiesa viva e ha appena pubblicato l’opuscoletto di cui abbiamo accennato all’inizio: Una nomina scandalo! Vediamo il perché.
    LO «SCANDALO» DELLA NOMINA DI MONS. MARCHISANO - Il 26 aprile di quest’anno l’Osservatore Romano riportava in prima pagina, all’interno della rubrica “Nostre informazioni”, che «il Santo Padre, accogliendo la richiesta presentataGli dall’Eminentissimo Signor cardinale Virgilio Noè, ha accettato le sue dimissioni» e ha nominato al suo posto «Arciprete della Patriarcale Basilica Vaticana, Suo Vicario Generale per lo Stato della Città del Vaticano e Presidente della Fabbrica di San Pietro l’Eccellentissimo Monsignore Francesco Marchisano». Marchisano era arcivescovo titolare della Pontificia Commissione per i Beni culturali della Chiesa e della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, quando il Papa lo nomina a successore del cardinal Noè. Ma il neo-nominato, stando ai documenti pubblicati da don Villa, è un potente massone, rispettoso dell’ordine impartito da Nubius, Capo d’Azione politica della Massoneria Universale: «Tendete le vostre reti - invocava Nubius - tendetele al fondo delle sacrestie, dei Seminari e dei Conventi! Voi pescherete degli amici e li condurrete ai piedi della Cattedra Apostolica. Voi avrete così pescato una rivoluzione in tiara e cappa, preceduta dalla croce e dal gonfalone; una rivoluzione che non avrà bisogno che di ben piccolo aiuto per appiccare il fuoco ai quattro angoli del mondo».
    TRE LETTERE INQUIETANTI - Don Villa riporta il testo integrale di tre lettere inviate da un certo “Frama” al Venerabile Gran Maestro del Grande Oriente di palazzo Giustiniani. Due risalgono al 1961, nella terza la data è illeggibile. Da notare che in tutti i documenti massonici i nomi reali dei “fratelli” sono occultati da sigle e il Frama in questione sarebbe nient’altro che Francesco Marchisano, all’epoca sottosegretario della Congregazione Studi ed Educazione Cattolica. Ma non mancheranno altre sorprese. Il 23 maggio 1961 Frama scrive al capo dei massoni italiani di aver ricevuto «con molta gioia, tramite il F. Mapa, il Vostro delicato incarico: organizzare silenziosamente in tutto il Piemonte e la Lombardia come disgregare gli studi e la disciplina nei seminari». Un po’ come avvenne dopo il 1968 nelle scuole statali, quando professori imbevuti di ideologie marxiste, socialiste, libertarie, materialistiche, fecero di tutto per devastare l’insegnamento pubblico, riducendo alla fine la scuola in uno squallido «diplomificio» incapace di selezionare i migliori sulla base della meritocrazia. Il Fratello “Mapa” in questione - secondo don Villa - è Pasquale Macchi, che sappiamo essere stato segretario personale di Paolo VI. Sarebbe stato lui, quindi, a far da tramite tra il Gran Maestro e Marchisano. Quattro mesi dopo, il 12 settembre 1961, sempre secondo i documenti illustrati dal sacerdote lombardo, “Frama” scrive ancora a palazzo Giustiniani. «Dopo aver avvicinato e contattato più volte i Ff. “Pelmi” e “Bifra”, sono ritornato da “Mapa” per presentare un primo piano di lavoro - scrive “Frama” - Egli consiglia di iniziare con la disgregazione dei programmi di studio, insistendo presso i nostri fedeli docenti perché, con argomenti di nuova pseudo-teologia e pseudo-filosofia, gettino il seme presso gli alunni, oggi sitibondi di novità». «In tal modo - continua la lettera -, la disgregazione disciplinare sarà una semplice conseguenza che verrà spontaneamente, senza che noi ce ne occupiamo: penseranno gli stessi alunni». Un piano evidentemente esteso e ben architettato, quello della massoneria contro la Chiesa. Un piano che ha purtroppo dato i suoi frutti marci. La terza lettera di “Frama” parla di una riunione svoltasi la sera prima tra i Fratelli “Pelmi”, “Mapa”, “Bifra”, “Salma”, “Buan”, “Algo” e “Vino”, in cui si è deciso di «iniziare degli esperimenti presso alcuni seminari d’Italia», ad esempio Torino, Trento e Udine, pieni di massoni. Inoltre «bisogna diffondere in tutti i Seminari il nostro concetto di libertà e di dignità della persona umana, senza alcuna remora né da parte dei superiori, né da parte di alcuna legge. Occorre una stampa capillare». Vediamo chi si celava dietro quella sigle, secondo quanto riportato da don Villa. “Buan” trattavasi di Bugnini Annibale, di cui abbiamo già parlato, autore della riforma liturgica sotto papa Montini e quindi inviato in Iran come Pro-Nunzio apostolico, dopo che un cardinale consegnò a Paolo VI le prove della sua appartenenza alla setta massonica. “Pelmi” sarebbe stato Michele Pellegrino, cardinale e arcivescovo di Torino, mentre “Algo” sarebbe la sigla massonica di Alessandro Gottardi, arcivescovo di Trento. Sotto il nome in codice di “Vino” si celerebbe invece Virgilio Noè, cardinale e fresco protagonista per aver passato la mano in favore di Marchisano, mentre “Bifra” sarebbe Franco Biffi, rettore dell’Università lateranense, e “Salma” l’Abate O.S.B. di Finalpia, nel Savonese, Salvatore Marsili.
    VERSO LA BATTAGLIA FINALE - Arcivescovi, cardinali, rettori di atenei pontifici: la massoneria ha perciò pianificato, anno dopo anno, la sua infiltrazione ai massimi livelli della gerarchia ecclesiastica, arrivando infine a circondare il Soglio di Pietro? Davanti ai documenti di don Villa è difficile non crederlo. Moltissime le coincidenze, così come gli indizi che dal Concilio Vaticano II a tutt’oggi, evidenziano la trasformazione della Chiesa cattolica, oseremmo dire l’involuzione della medesima. Da qui i rischi nel divulgare simili documenti, come le vicissitudini di don Villa dimostrano. Noi non vogliamo dare alcun parere su quanto riportato nei volumi del coraggioso sacerdote padano, il quale continuerà - me lo ha ripetuto - la sua battaglia nel nome di Cristo e della Tradizione cattolica. Semplicemente cerchiamo di fare il nostro lavoro di cronisti, offrendo ai lettori uno squarcio di quanto accade dietro le quinte della Chiesa, così come viene riportato da un suo servitore. Il quale, pur ammettendo la quasi-vittoria della massoneria a livello pratico, è sicuro che alla fine vincerà la Verità. «Noi abbiamo sempre parlato di questi assalti contro Cristo e la Sua Chiesa - scrive don Villa - pur sapendo che Cristo ha già vinto Lucifero e il Mondo, ma non ignorando neppure, però, che Noi, che viviamo nel tempo, non abbiamo ancora terminata la battaglia contro di Loro!». E se si conosce il nemico, specie quello che si maschera e si nasconde, aumenteranno le possibilità di vincerlo una volta per tutte.
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

 

 
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