Il canone radiotelevisivo è perfettamente legale. A confermarlo è la Corte costituzionale, che si è pronunciata oggi, con la sentenza 284/2002, su richiesta del tribunale di Milano. Il canone, recita la Consulta, "consente e impone di adeguare la tipologia e la qualità della propria programmazione alle specifiche finalità di tale servizio, non piegandole alle sole esigenze quantitative dell'ascolto e della raccolta pubblicitaria, e non omologando le proprie scelte di programmazione a quelle proprie dei soggetti privati che operano nel ristretto e imperfetto mercato televisivo".
Il Tribunale di Milano aveva chiesto il parere della Corte costituzionale basandosi su due principi: da una parte che sarebbe irragionevole chiedere ai cittadini un onere economico per un diritto che "rientrerebbe, per dettato costituzionale, tra i compiti primari della Repubblica". Poi il fatto che, caduto il monopolio, "il servizio reso dalla Rai non si differenzierebbe da quello offerto al pubblico dalle emittenti radiotelevisive private".
Rispondendo la Consulta ha innanzitutto riaffermato la natura di "prestazione tributaria" che ormai il canone ha assunto, e poi ha dichiarato la questione "non fondata" da momento che "il venir meno del monopolio statale non ha fatto venir meno l'esistenza e la giustificazione costituzionale dello specifico servizio pubblico radiotelevisivo, esercitato da un apposito concessionario rientrante, per struttura e modo di formazione degli organi di indirizzo e di gestione, nella sfera pubblica".
"L'esistenza di un servizio pubblico radiotelevisivo - sentenzia la Consulta - si giustifica solo in quanto chi esercita tale servizio sia tenuto ad operare non come uno qualsiasi dei soggetti del limitato pluralismo di emittenti, bensì svolgendo una funzione specifica per il miglior soddisfacimento del diritto dei cittadini all'informazione e per la diffusione della cultura".
Così, gli obblighi posti alla concessionaria del servizio pubblico "giustificano l'esistenza di una forma di finanziamento, sia pure non esclusiva, del servizio pubblico mediante il ricorso alla imposizione tributaria e, nella specie, alla imposizione del canone". Concludendo la sentenza la Corte costituzionale ha voluto sottolineare come "esulino evidentemente dall'ambito della questione proposta le valutazioni circa l'adeguatezza in concreto dell'attività svolta, alla natura dei compiti affidati al servizio pubblico".
"Una sentenza significativa - commenta MIchele Bonatesta, senatore di An e membro della commissione di vigilanza sulla Rai - perché mette in rilievo come tale legittimità tragga fondamento dalla natura, dal ruolo e dalla funzione del servizio pubblico radiotelevisivo che sono e devono essere profondamente diversi da quelli della tv privata".