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06-08-02, 13:12 #1
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Perche' l'Uruguay sta affondando?Su 3.000.000 di abitanti ci sono 300.000 statali
E i giovani oriundi ora fanno la coda per tornare in Italia
DAL NOSTRO INVIATO
MONTEVIDEO - «Non emigrare dove parlano spagnolo, lì trovi solo miseria» diceva il padre a Luis (o Luigi) Libralesso nel 1948. Oggi potrebbe essere un consiglio d'oro, considerate le turbolenze che attraversano l'America Latina, ma all'epoca Luis, ultimo di otto figli, non ascoltò il genitore e partì da Treviso per Montevideo. Ha lavorato sodo e fatto fortuna con un'impresa di costruzioni, nel 1985 è stato nominato Cavaliere del lavoro e nell'azienda opera ora il figlio architetto. Luis non manca mai al pranzo che l'associazione ex combattenti organizza la prima domenica del mese. Prende la caraffa di vino rosso (prodotto dal reduce Angel Fallabrino) e lo offre ai commensali. Nessuno si tira indietro.
«Per 25 anni non sono mai tornato in Italia - racconta parlando un originale veneto- ispanico - adesso ci vengo quasi tutti gli anni, ma ormai sto in Uruguay e così i miei figli».
Sono molti meno del solito al pranzo di agosto. «Le difficoltà economiche si fanno sentire anche tra noi» dice Giovanni Costanzelli, uno degli animatori del centro. Tre portate abbondanti, con pasta di rigore, vino abbondante e budino finale hanno un prezzo popolare di 120 pesos (6 euro), comunque troppi per alcuni. Luigi Colciago, 89 anni, brianzolo e amico del vecchio Caprotti (la famiglia oggi proprietaria della catena di supermercati Esselunga), è stato in Argentina e poi in Uruguay, prima come dirigente d'azienda, poi come imprenditore. Aveva un'azienda cotoniera, andava bene, ha ceduto anche per le concorrenza dei mercati asiatici. Uno dei suoi figli ha studiato a Milano e lavora a Miami.
Le vecchie generazioni restano, la loro vita ormai è qui. Molti giovani, invece, senza lavoro e poche prospettive, cercano di emigrare in Italia. Davanti al consolato di Montevideo, come a quello di Buenos Aires, si ripete ogni mattina la stessa scena con le code di persone che chiedono informazioni o portano i documenti necessari per ottenere il passaporto. Negli ultimi mesi sono aumentate le richieste alla sede consolare di Boulevard Artigas, si arriva ormai a una media di settanta al giorno. Tutti a portare le prove di almeno un bisnonno italiano e aspettare sei o anche più mesi per ottenere il fatidico libretto che consente di attraversare l'Oceano. Tanto che il consolato ha deciso di prendere otto impiegati in più per accelerare l'iter burocratico.
Circa il 40% degli uruguayani hanno connessioni italiane, oltre un milione tra oriundi e cittadini, tra 80 e 90 mila hanno già il nostro passaporto. «In termini percentuali è la più grande comunità del mondo, spero che il governo faccia la sua parte», dice il neoambasciatore Giorgio Malfatti. «Sabato scorso - continua - sono andato al mercato qui vicino, ho incontrato tanta gente con origini italiane, tutti a fare la stessa domanda: come si fa a diventare cittadini?». A Montevideo la comunità può vantare un ospedale, una scuola-modello con circa mille studenti non solo italiani. Qui arrivano 2800 pensioni, anche se poco generose («Circa 80 dollari - sottolinea il cavalier Liberalesso - ma non importa, mi servono per telefonare in Italia...»).
Radici genovesi ha uno degli uomini politici più influenti del Paese, Julio Maria Sanguinetti, due volte presidente dopo il periodo nero della dittatura militare. Ci sarebbe lui dietro il piano che ha consentito all'Uruguay di ottenere in breve tempo i soldi dagli Stati uniti. «Una persona capace e alla mano», garantisce un altro reduce, Luis Facchin, imprenditore nel settore termosanitario.
«A differenza dell'Argentina - avverte Guillermo Riva-Zucchelli - abbiamo una classe politica seria e organizzata, vedi il presidente Josè Luis Batlle al volante della propria automobile, senza autista. Là sono tutti ladri, tutte le istituzioni sono corrotte». Riva- Zucchelli è uno scultore di fama e vive a Punta de l'Este, cittadina balneare di moda dove si rifugiano molti argentini benestanti che portano i soldi in Uruguay. E' nato e ha sempre vissuto in questo Paese, nulla ha a che vedere con i reduci. Il bisnonno Giovanni arrivò a metà del secolo scorso. Era amico di Giuseppe Garibaldi, andava a trovarlo nella casetta gialla che ancora esiste (e si può visitare) sulla Calle 25 de Mayo. «Negli anni Cinquanta - ricorda - era un Paese ricco, oggi soffriamo. Colpa anche delle politiche pubbliche, dei 750 mila pensionati e 300 mila funzionari statali su un totale di tre milioni di abitanti, una struttura difficile da finanziare con le attività private e con l'industria».
[email protected]
Claudio Lindner
Altro che dare la colpa alle politiche FMI,e alla globalizzazione!
Tra l'altro: ma perche' la globalizzazione economica,secondo alcuni causa di tutti i mali,non colpisce mai Paesi come l'Australia e Nuova Zelanda??
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06-08-02, 13:30 #2
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Tra l'altro sulla crisi argentina c'era un ottimo pezzo di Mingardi che aveva letteralmente tappato la bocca a tutti coloro che, digiuni totalmente di economia straparlavano e blateravano sui mali del capitalismo e del libero mercato...dopo di che, di fronte a ragionamenti e numeri inconfutabili tutti i vari sostenitori del socialismo di stato (di destra o di sinistra) non seppero più come controbattere, non avendo argomenti validi...era sul vecchio pad ind, qualcuno lo ricorda?
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06-08-02, 13:31 #3
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Pare comunque che il vizio della moltiplicazione smisurata dei dipendenti pubblici sia una peculiarita' tutta latina...
Diario di garibaldino pentito
Nella galleria dei memorialisti garibaldini, Giuseppe Nuvolari non compare. Partecipe di tutti i grandi eventi del Risorgimento, volontario in Sicilia con Garibaldi, e a lui vicino in quella sorta di esilio che fu Caprera, tornando a casa ebbe il coraggio di dire “ciò che pensava”: di qui l’ostracismo decretato della storiografia ufficiale. A differenza di Giuseppe Cesare Abba, autore del celebratissimo e “politicamente corretto” libro di memorie garibaldine “Da Quarto al Volturno”, prefigurazione dell’Italia monarchica, o di Giuseppe Bandi, ostico toscano e duro combattente, rientrando presto nei ranghi della “normalizzazione” regia, ucciso per mano di un anarchico, dopo una vita da “irregolare e bastian contrario”, il nostro Nuvolari, mantovano sobrio e concreto, tornando a casa deluso dalla piega degli avvenimenti non s’era macerato nell’astio e nel compatimento di sé, come fanno spesso i reduci che danno per scontato che per pochi “fessi” che si sacrificano c’è sempre la vasta legione dei profittatori e dei furbi che si fa avanti per reclamare la pensione. Al contrario Nuvolari, sfidando il nuovo regime che lo ripagò con la moneta del silenzio, sebbene più a suo agio col vomere e la vanga, prese la penna ispirato dalla passione e dall’indignazione, e quasi di getto, con verve ironica irresistibile, compose questo straordinario e godibilissimo memoriale diviso in due parti e scritto in forma di lettera. Memoriale finora poco noto perché documento scomodo, ignorato dalla pubblicistica militante, che raccolto in volume venne pubblicato per la prima volta a Genova nel 1879 col titolo significativo: “Come la penso”; libro appena ristampato dall’editore Sometti di Mantova, a cura dell’associazione Padi Terrae, con una penetrante ed esemplare introduzione di Sante Bardini.
La storia di Giuseppe Nuvolari, agricoltore, con possedimenti a Roncoferraro, suo paese natio, nel mantovano, è simile per molti versi a quella di molti altri giovani del suo tempo, infiammati dalle nuove idee di “nazionalità” e di indipendenza, ed era implicito per tutti che il concetto significasse anche libertà, sebbene i programmi dei liberali devoti a Torino non vi facessero specifico riferimento. E non a caso. “Non basta l’indipendenza per essere liberi”, diceva Carlo Cattaneo. La libertà non era roba che potesse interessare la corte di Torino. Nel nome di Garibaldi venuto dall’America per fondare una nuova patria rigenerata, il giovane Nuvolari scappa di casa nel 1852. Si arruola nel 1859 nei “Cacciatori delle Alpi”, di Garibaldi visto con sospetto dai generaloni di Torino: nel 60 è in Sicilia con i Mille, che al primo solenne raduno nel cinquantenario della spedizione, nel 1910, invece di presentarsi dimezzati complice l’anagrafe e la falce, si erano come moltiplicati, come aveva temuto Garibaldi. Fatta o disfatta l’Italia, Nuvolari resta per qualche tempo con Garibaldi a Caprera, avendo modo di sperimentare come il “sogno” svanisca lasciando il posto a una ben triste realtà. Tornato a casa comincia a stendere questa lunga lettera e il destinatario simbolico è il sindaco dell’isola della Maddalena, Leonardo Bargoni, al quale, senza volerne fare il capro espiatorio del decadimento morale già in atto, denuncia quasi con foga e con dati inoppugnabili, le incipienti storture, i ladrocini, la corruzione, ravvisando nel doppio sistema che si va instaurando la nascita della “questione meridionale” (speculare a quella “settentrionale”), che sarà alla base di un secolare e irrisolto malinteso. Vede, quasi in anticipo e chiaramente, la formazione di due Italie contrapposte, di una doppia morale, e provoca il Bargoni, con la sua
focosa e stringente requisitoria:«Come Ella avrà osservato, nel mio Comune vi è meno di un impiegato su mille persone. Alla Maddalena, e nella Sardegna tutta, quanti ve ne saranno? Credo di non esagerare dicendo uno su cento. Ma mi dica di grazia, caro signor Leonardo, a che cosa servono, cosa fanno tutti gli impiegati che sono alla Maddalena?».
È già in atto, specie al Sud, il “miracolo” della moltiplicazione dei posti, nelle ferrovie, alle poste, nelle preture. Ed è con saggezza contadina che egli commenta:«Chi lavora ha una camicia, chi non lavora ne ha due». Cita l’esempio del suo comune di Roncoferraro,«dove si lavora davvero e dove c’è tanta miseria, e dove ogni individuo, con meno di un ettaro di terreno, paga attualmente allo stato nette lire 18 - diciamo 18 camicie che il nostro poco coscienzioso Governo prende da chi lavora per regalarle ad ogni individuo della Maddalena che mangia pane bianco, si provvede di pesce o carne ogni giorno, non sa cosa sia la miseria, fa il signore, ed è rispettivamente passivo al Governo di annue lire 56, ovvero 56 camicie!».Prima del 1860, il governo piemontese non aveva costruito in Sardegna un chilometro di ferrovia (come i Borboni in Sicilia); dopo l’unità è un fervore d’opere a spese dei contribuenti delle nuove province annesse; l’isola, dopo il secolare abbandono (c’era solo una strada - la Carlo Felice - che la attraversava da Nord a Sud), verrà collegata al continente da un numero francamente eccessivo di linee di navigazione; e non si stenta a credere perché: lavori, posti, clientele; un sillogismo che non sfugge al Nuvolari, scarpe grosse e cervello fino. Senatori e notabili naturalmente viaggiano gratis. Non è finita! La Sardegna, poco abitata, poco ricca, è dotata di due università, Cagliari e Sassari, quando in Piemonte ce ne è una sola. Più posti, più professori, più burocrazia! Quanto alla magistratura (e sembra che parli di quella d’oggi),“lungi dall’essere libera e indipendente, il più delle volte è in balia dell’intrigo, alla mercè di Alti Personaggi o di partiti e così la bilancia della Giustizia, presenta il doloroso spettacolo di due pesi e due misure sempre a vantaggio del denaro o del blasone...». Al Sud osserva le terre lasciate incolte dai proprietari ed esclama:«Si fossero trovati sotto il paterno regime austriaco - allorché questi dominava nel Lombardo-Veneto - sarebbero stati freschi! Negli anni di penuria, l’Austria obbligava i conduttori di fondi a dare lavoro ai contadini, in proporzione del censo, indicandogliene il numero, e se non vi era proprio nulla da fare... in tal caso bisognava pagarli lo stesso!».Così dopo aver combattuto l’Austria a viso aperto, viene quasi la tentazione di rimpiangerla: col “regime italiano” la Lombardia scade di livello e di senso civico. Se si vuol fare giustizia della propaganda post-risorgimentale, questo libro è l’antidoto adatto. Una lettura che vivamente raccomando. Ne emerge l’immagine veritiera dell’Italietta di ieri, pataccara e vile, nutrice e pronuba dell’Italia d’oggi, vizi, malversazioni e cialtronerie compresi.
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06-08-02, 13:32 #4
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Originally posted by Nanths
Tra lìaltro sulla crisi argentina c'era un ottimo pezzo di Mingardi che aveva letteralemtne tappato la bocca a tutti coloro che, digiuni totlamente di economia straprlavano e blateravano sui mali del capitalsimo e del libero mercato...dopo di che, di fronte a ragionamenti e numeri inconfutabili tutti i vari sostnitori del socialismod i stato (di destra o di sinistra) non seppero più coem controbattere, non avendio argomenti validi...era sul vecchio pad ind, qualcuno lo ricorda?
Se qualcuno ha un link...
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06-08-02, 13:37 #5
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L'aveva postato stonewall se ricordo bene, ma penso fosse in rete quel pezzo...
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06-08-02, 15:12 #6
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Originally posted by Nanths
Tra lìaltro sulla crisi argentina c'era un ottimo pezzo di Mingardi che aveva letteralemtne tappato la bocca a tutti coloro che, digiuni totlamente di economia straprlavano e blateravano sui mali del capitalsimo e del libero mercato...dopo di che, di fronte a ragionamenti e numeri inconfutabili tutti i vari sostnitori del socialismod i stato (di destra o di sinistra) non seppero più coem controbattere, non avendio argomenti validi...era sul vecchio pad ind, qualcuno lo ricorda?
Il problema semmai va affrontato da un punto di vista culturale.
Thomas Friedman Giornalista e scrittore ebreo statunitense (vincitore del Pulitzer) in un suo recente libro "Le radici del futuro"
spiega in maniera convincente come la globalizzazione economica per essere digerita necessiti di alcuni accorgimenti legislativi, formativi e culturali tali da rendere un paese immune dagli shock più gravi.
Non esistono alternative al libero mercato, così come è ingenuo pensare che il mercato si autoregoli senza conseguenze per la società.
E mette in guardia chi con molta leggerezza pensa che sia sufficiente connettersi alla mandria elettronica (gli investitori) per
poter beneficiare dei vantaggi dell'economia globale.
Classi dirigenti robuste e fiere della propria identità, legislazioni trasparenti, apertura dei mercati interni possono consentire l'ingresso a pieno titolo in questo mondo di opportunità (e di rischi).
Nessuno di questi paesi (guarda caso) risponde ai criteri necessari.
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07-08-02, 18:43 #7
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Re: Perche' l'Uruguay sta affondando?Su 3.000.000 di abitanti ci sono 300.000 statali
Originally posted by Dragonball
[B
Altro che dare la colpa alle politiche FMI,e alla globalizzazione!
Tra l'altro: ma perche' la globalizzazione economica,secondo alcuni causa di tutti i mali,non colpisce mai Paesi come l'Australia e Nuova Zelanda?? [/B]
Bella cura questo tuo' libero mercato' che lascia solo morti .. mi ricorda la famosa frase di certi medici .. ' la cura e' andata benisimo ma sfortunatamente il paziente ' morto ' ...
PS in anticamera dal dott WTO c' e anche l' italietta ... forse sara' un 'occcasione per la PADANIA ma sara' parecchio sangue per i padani ... compresi i furbi padioti ...
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07-08-02, 20:29 #8
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Re: Re: Perche' l'Uruguay sta affondando?Su 3.000.000 di abitanti ci sono 300.000 statali
Originally posted by larth
in effetti il tracollo , anzi la svendita dei poveri paesi ' curati' dal WTO incomincia sempre con un grosso deficit di bilancio .. ma il risultato e' che SEMPRE alla fine tutto il bene reale del paese e' in mano alle multinazionali e nel paese c'e' una disoccupazione del 30 % ...
Bella cura questo tuo' libero mercato' che lascia solo morti .. mi ricorda la famosa frase di certi medici .. ' la cura e' andata benisimo ma sfortunatamente il paziente ' morto ' ...
PS in anticamera dal dott WTO c' e anche l' italietta ... forse sara' un 'occcasione per la PADANIA ma sara' parecchio sangue per i padani ... compresi i furbi padioti ...
-la benzina anzichè calare (ora che l'euro è più forte del dollaro) rimane stabile oltre le 2000 vecchie lire
-le borse subiscono tracolli improvvisi sotto non si sa quale preciso disegno si sa solo che i comuni cittadini continuano a perdere dei soldi
-l'immigrazione ci sta schiacciando (l'entrata di milioni di turchi ci darà la botta finale..)
insomma quello che vediamo nei tg in sudamerica non è poi così lontano da una situazione europea che potrebbe vederci coinvolti tra qualche anno.