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  1. #1
    Estremista del Welfare
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    Predefinito I crimini del fascismo italiano: Il lager di Arbe

    E pensare che ancora fino a poco tempo fa il vicepresidente del consiglio Fini aveva il coraggio di proclamare Mussolini come il più grande statista italiano del secolo scorso.
    E la sua tardiva ritrattazione ha suscitato i commenti sdegnati di molti esponenti di spicco di AN e di gran parte della base.
    Inutile dire che la rapida doccetta di Fiuggi non serve a ripulire dal fango dei crimini del fascismo italiano se non li si condanna apertamente.


    Dopo 55 anni una lapide ricorda i crimini fascisti nel campo di Arbe
    Nel Lager di Mussolini sull'isola croata furono rinchiusi 15.000 internati. Il regime di detenzione era così duro che vi furono circa 1.500 morti. Una pagina di storia rimossa, all'insegna del mito "Italiani brava gente".
    Di Teresa Grande.

    Il problema della memoria dei crimini che gravano sul passato di una Nazione implica la questione della scrittura della storia, ovvero di ciò che del passato fa storia e fonda, in senso ampio, gli orientamenti sociali e culturali del presente.

    La storia ufficiale e le idee dominanti che circolano, soprattutto attraverso i media, rispetto al passato di una Nazione ne strutturano una immagine che tende ad essere omologante e ad eleggere un "oggetto unico" di memoria che non corrisponde affatto alla somma algebrica delle singole memorie in questione (i diversi soggetti coinvolti e le tappe storiche che vi si riferiscono). I discorsi ufficiali sul passato sono pertanto verità parziali, spesso tentativi di autoglorificazione in cui è possibile riconoscere le idiosincrasie e le contraddizioni, i sintomi di verità ben più grandi e inquietanti, rimosse da una memoria illusoriamente portata a circoscrivere la barbarie nell'altro e ad evitarne l'integrazione nella nostra soggettività storica.

    La memoria di una Nazione si compone dunque di un "racconto" costituito da parti "scelte" del passato: alcuni eventi vengono esaltati, altri rimossi. Queste "parti scelte" non sono pertanto frutto del caso, ma sono strutturate e interpretate in modo tale da tracciare le grandi linee di quella che possiamo chiamare una "singolarità nazionale", la delimitazione cioè dei confini di significato entro cui è possibile inscrivere il giudizio sul passato e su quanto ad esso è legato.

    In questa prospettiva, ad esempio, la specificità del fascismo italiano nella vicenda delle persecuzioni razziali durante la Seconda guerra mondiale non è stata definita, nel dopoguerra e negli anni successivi, sulla base della valutazione dei crimini effettivamente commessi dagli italiani, ma è stata costruita, al contrario, operando un confronto costante con il fenomeno della deportazione e dei Lager nazisti. Eleggendo come "oggetto unico" della memoria della persecuzione razziale il Lager tedesco, questo confronto (insieme alla diffusione del mito degli "italiani brava gente"), ha banalizzato e relativizzato i crimini compiuti dall'Italia fascista ed ha costruito così una "singolarità nazionale" forgiata sul modello del "male minore".

    Se negli ultimi anni una parte della storiografia italiana sta criticando e tentando di smontare questo modello del "male minore" tramite, ad esempio, lo studio delle misure di internamento adottate dal governo italiano prima dell'8 settembre del 1943, quindi nel periodo precedente l'occupazione tedesca, prendono forma tuttavia altri modelli di banalizzazione e tentativi nuovi di cancellazione dei crimini italiani. Pensiamo a questo proposito al fenomeno recente di diffusione del "mito delle foibe" operato da una parte del mondo intellettuale e politico italiano: il giudizio sul passato non si fonda qui sul confronto con un "male peggiore", ma è emesso addirittura tacendo sulle proprie colpe e, di conseguenza, ignorando l'ineludibile concatenazione storica degli eventi. Si assiste infatti in Italia ad una attitudine generalizzata a parlare del "caso foibe" (l'uccisione di italiani da parte dei partigiani di Tito nel periodo a cavallo della primavera del 1945), decontestualizzando questa vicenda da quella più generale dell'aggressione nazi-fascista della Jugoslavia nella primavera del 1941 e dalle successive politiche di "pulizia etnica" intraprese dal governo di Mussolini: l'internamento delle popolazioni delle zone jugoslave annesse all'Italia in campi di concentramento ed altre misure ad esso collegate come ad esempio il saccheggio e l'incendio di villaggi e l'uccisione di ostaggi.

    Intessuto attorno al silenzio di questi crimini, il "mito delle foibe" rappresenta un vero e proprio tentativo di costruire un discorso "restauratore" riguardo alla vicenda del dominio italiano sul territorio jugoslavo occupato e all'atteggiamento fascista nei confronti degli "allogeni", un discorso che, riconoscendo all'Italia solo lo statuto assoluto di "vittima" e non quello, antecedente, di "aggressore", mira a ristabilire una presunta integrità e una dignità storica impossibili da provare.

    Le polemiche suscitate dalla costruzione del "caso foibe" - che si trova attualmente ad un crocevia di giudizi storici, politici e giudiziari - rendono particolarmente importante ristabilire l'intera verità storica, precisare cioè quali sono state le responsabilità dell'Italia che pesano sul destino subito dalle popolazioni slovene e croate prima e durante l'occupazione della Jugoslavia.

    Il caso del campo di concentramento di Arbe (in croato Rab), una delle isole che costellano il lato orientale dell'Adriatico (oggi territorio della Repubblica di Croazia), è uno degli esempi più tragici dei crimini italiani commessi nei territori occupati della Jugoslavia durante la Seconda guerra mondiale. La sua vicenda è emblematica del modo in cui questi crimini siano praticamente assenti dalla topografia della nostra memoria nazionale e di come il silenzio in Italia contrasti con la memoria viva dei luoghi e delle popolazioni coinvolte.

    Il campo di Arbe fu aperto nel luglio del 1942 ed ospitò complessivamente circa 15.000 internati tra sloveni, croati, anche ebrei. In poco più di un anno di funzionamento (il campo cessò di esistere 1'11 settembre del 1943), il regime di vita particolarmente duro causò la morte di circa 1.500 internati.

    La memoria delle vittime (in maggioranza slovene) di questo campo italiano è custodita oggi da un grande cimitero memoriale sorto su una parte del campo e sul luogo che, già all'epoca, ne costituiva il cimitero. Al suo interno una cupola racchiude un mosaico, opera dello scultore Mario Preglj, che simbolizza la lotta eterna dell'uomo per la conquista della libertà. Poco lontano dal complesso commemorativo alcune sporadiche baracche, inglobate nei terreni coltivati di privati cittadini, sfuggono allo sguardo del visitatore distratto. La loro presenza è però ancora in grado di rievocare in modo autentico il progetto inquietante che l'Italia fascista aveva riservato alle popolazioni della Jugoslavia assoggettate al suo dominio.

    Nel settembre di ogni anno, nella ricorrenza dell'anniversario della liberazione, questo 'luogo della memoria" ospita una sentita cerimonia a cui partecipano rappresentanti delle Repubbliche slovena e croata e nutriti gruppi di ex internati. A queste cerimonie né la società civile, né il governo italiano sono mai stati presenti.

    Il silenzio da parte italiana è stato finalmente rotto il 12 settembre di quest'anno, in occasione del 55° anniversario della liberazione del campo: la Fondazione Internazionale "Ferramonti di Tarsia" ha partecipato alla manifestazione con una propria delegazione, ed ha apposto all'ingresso del cimitero una lapide il cui testo, scritto in italiano e in croato, dichiara per la prima volta da parte italiana, sullo stesso luogo teatro di questo crimine, le colpe dell'Italia. Il testo della lapide recita: «In memoria di quanti, negli anni 1942-1943, qui finirono internati soffrirono e morirono per mano dell'Italia fascista".

    Il significato particolare dell'iniziativa - che si inserisce nel quadro più ampio delle attività che la Fondazione Ferramonti ha dispiegato in questi anni per promuovere la ricerca e il recupero della memoria dell'internamento civile fascista - è stato precisato dal presidente della Fondazione Carlo Spartaco Capogreco nel discorso che ha accompagnato lo scoprimento della lapide.

    L'intera cerimonia si è svolta in un clima carico di emozioni e di ricordi ancora vivi, sottolineati dalla commozione con cui, come un comune "giorno dei morti", gli ex internati e i familiari presenti depositavano fiori e corone sulle tombe delle vittime. A ragione Milan Osredkar, sloveno ed ex internato a Gonars, ha definito quello di Arbe "il più grande cimitero sloveno".

    La presenza italiana ha suscitato grande soddisfazione tra le autorità politiche e i rappresentanti delle varie associazioni presenti alla manifestazione, segno, forse, della speranza che il lungo silenzio italiano su questo passato tristemente comune venga finalmente messo in discussione e che anche questa verità storica entri nel quadro del dibattito attuale sui rapporti tra l'Italia e la Jugoslavia negli anni della Seconda guerra mondiale.

    Il 55° anniversario della liberazione del campo di Arbe è stato anche l'occasione per la presentazione di due pubblicazioni che il croato Ivo Kovacic e l'ex internato, e già ministro sloveno ai tempi di Tito, Anton Vratusa hanno dedicato alla vicenda di Arbe. Questi volumi vanno ad arricchire la già fiorente bibliografia sulla storia di questo campo di internamento dell'Italia fascista a cui la storiografia italiana ha, finora, prestato poca attenzione.

    Ricordare la tragedia del campo di Arbe e riconoscerne le responsabilità italiane non e però solo un problema storiografico o di politica internazionale, ma anche di sensibilità civile. L'atto pioniere dell'apposizione della lapide va interpretato in tal senso come un gesto dirompente per il «risveglio" della coscienza nazionale atrofizzata, come una denuncia della mancata elaborazione della memoria (collettiva e storica) degli italiani di questo crimine dell'Italia fascista

  2. #2
    email non funzionante
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    Predefinito Re: I crimini del fascismo italiano: Il lager di Arbe

    Originally posted by bom-bim-bom

    Il problema della memoria dei crimini che gravano sul passato di una Nazione implica la questione della scrittura della storia, ovvero di ciò che del passato fa storia e fonda, in senso ampio, gli orientamenti sociali e culturali del presente.

    La storia ufficiale e le idee dominanti che circolano, soprattutto attraverso i media, rispetto al passato di una Nazione ne strutturano una immagine che tende ad essere omologante e ad eleggere un "oggetto unico" di memoria che non corrisponde affatto alla somma algebrica delle singole memorie in questione (i diversi soggetti coinvolti e le tappe storiche che vi si riferiscono). I discorsi ufficiali sul passato sono pertanto verità parziali, spesso tentativi di autoglorificazione in cui è possibile riconoscere le idiosincrasie e le contraddizioni, i sintomi di verità ben più grandi e inquietanti, rimosse da una memoria illusoriamente portata a circoscrivere la barbarie nell'altro e ad evitarne l'integrazione nella nostra soggettività storica.

    La memoria di una Nazione si compone dunque di un "racconto" costituito da parti "scelte" del passato: alcuni eventi vengono esaltati, altri rimossi. Queste "parti scelte" non sono pertanto frutto del caso, ma sono strutturate e interpretate in modo tale da tracciare le grandi linee di quella che possiamo chiamare una "singolarità nazionale", la delimitazione cioè dei confini di significato entro cui è possibile inscrivere il giudizio sul passato e su quanto ad esso è legato.
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    rifletti bene su queste frasi ed ammetterai, se sei onesto, che l'operazione di selezione e filtraggio della memoria è stata operata principalmente ai danni del fascismo e per coprire numerose e gravi colpe dei comunisti, dei partigiani in generale, degli alleati durante la guerra mondiale. Va bene ricordare il campo di Arbe, ma allora ricordiamo anche le foibe, i massacri compiuti dai partigiani nelle ultime fasi o dopo la guerra (cifra minima: 100.000 morti), le violenze perpetrate dalle truppe straniere occupanti (stupri dei marocchini, campi di prigionia), i bombardamenti e mitragliamenti di obiettivi civili da parte dell'aviazione alleata, ecc..

  3. #3
    Claude
    Ospite

    Predefinito Re: Re: I crimini del fascismo italiano: Il lager di Arbe

    Originally posted by Felix


    rifletti bene su queste frasi ed ammetterai, se sei onesto, che l'operazione di selezione e filtraggio della memoria è stata operata principalmente ai danni del fascismo e per coprire numerose e gravi colpe dei comunisti, dei partigiani in generale, degli alleati durante la guerra mondiale. Va bene ricordare il campo di Arbe, ma allora ricordiamo anche le foibe, i massacri compiuti dai partigiani nelle ultime fasi o dopo la guerra (cifra minima: 100.000 morti), le violenze perpetrate dalle truppe straniere occupanti (stupri dei marocchini, campi di prigionia), i bombardamenti e mitragliamenti di obiettivi civili da parte dell'aviazione alleata, ecc..
    Certo, tutti hanno ammazzato, hanno massacrato, nell'opera di ognuna delle parti ci sono state le luci e le ombre. Ma il vostro scopo, di voi fascisti intendo, non è quello di illuminare le ombre di coloro ai quali la storiografia, a vostro parere, mai ne avrebbe attribuito, bensì quello di svalutarne le luci dei risultati complessivi.
    Se l'anticomunismo della destra moderata, pur essendo spesso strumentale ai fini della bassa attualità politica, e ridotto ad un uso stereotipato e posticcio, può trovare nella coscienza profonda della sx (o in una parte di essa) delle "parti molli" sulle quali colpire, al vostro, di anticomunismo, io non ci sto.
    Perchè il fine del quale esso è mezzo è quello della negazione della bontà degli scopi, ma soprattutto dei risultati reali, che la resistenza, ha contribuito, indipendentemente dal ruolo effettivo, concreto che essa ha avuto nella liberazione, ad ottennere. Tant'è che tu fai un gran calderone, tra foibe, marocchini ecc. Ma il gioco del mettere sullo stesso piano aggressori ed aggrediti, democratici ed antidemocratici, democrazia e dittatura, attraverso un uso doppiamente perverso delle atrocità commesse su entrambe i versanti, è un gioco stupido, una tattica perdente.

    Esistono ancora dittature comuniste, ma credo che le contingenze economiche mondiali e, si spera, le condizioni politiche generali e la voglia di essere liberi dei cittadini di quielle dittature, le spazzeranno via. Ci sono dittature d'altra natura, come quelle a base religiosa. Ce ne sono d'altre che paiono, anche al più anticomunista, non esserlo più, perchè, sebbene sventolino le stesse bandiere di quelle dell'ormai deceduto patto di Varsavia, hanno avuto l'accortezza di abbandonarne le strategie economiche.
    Sono le vostre le sole ad essere state definitivamente sconfitte, e per quanto le ripropoiate con gli argomnti più diversi, i dati più accurati, le ricerche più elaborate, tali rimarranno: sconfitte.

  4. #4
    memoria storica di PoL
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    Predefinito il 'coraggio' dei comunisti...

    Interessantissimo certamente l'articolo di Teresa Grande, 'copia- incollato' con grande maestria da bum-bum [complimenti!... ], per chi non lo sapesse, da
    http://www.deportati.it/trosso/TR98/tr498/arbe.htm , specialmente nella parte nella quale presume che scrivendo di queste troiate di smentire il 'mito delle foibe' [sic!!!...].

    Nessun problema cari amici, a 'copia-incolla' rispondo con il 'contro-copia-incolla', riportando un articolo assai più
    'attinente alla realtà' nel quale vengono precisati anche alcuni 'dettagli' che Teresina ha tralasciato, in particolare:

    a) Arbe [che è stato definito dagli 'storiografi' sloveni nientemeno che 'campo di sterminio'] è stato uno dei tanti 'campi per internati' esistenti in Italia, nei quali sono confluiti gli abitanti di certe zone della Croazia e Slovenia che erano stati evacuati semplicemente perchè non servissero da 'scudi umani' ai partigiano slavi...

    b) tale 'tecnica' [quella della deportazione di interi villaggi] non è stata 'inventata' dal fascismo, in quanto già messa in pratica dall'Esercito Piemontese durante la campagna contro i 'briganti' condotta nell'Italia Meriodionale nel periodo 1860-65, e poi dal Regio Esercito in Libia, Etiopia, Eritrea, Somalia durante il 'periodo di colonizzazione'...

    c) è stato accertato dalla stess Croce Rossa Internazionale che i decessi verificatisi in tali campi [principalmente però ad Arbe] sono stati causati da epidemie dovute, questo sì, alla denutrizione e alle cattive condizioni igieniche...

    Certo che paragonare tutto questo, avvenuto nel periodo bellico, alle foibe [dove milgliaia di innocenti sono stati scaraventati anche e soprattutto dopo la fine delle ostiilità ] ci vuole proprio un bel coraggio...

    ... ma si sa che ai comunisti il 'coraggio' non manca...

    buona lettura!...


    I campi del duce Sotto il fascismo l’internamento dei civili e le deportazioni si avvicinarono allo sterminio e alla pulizia etnica.

    Ne fecero le spese libici, etiopi, somali, sloveni e croati


    di Carlo Spartaco Capogreco

    Le deportazioni e l’internamento dei civili erano pratiche ben note all’Italia monarchico-liberale: si pensi, per esempio, alle migliaia di libici deportati a Ustica e alle Tremiti dopo la rivolta di Sciara Sciat del 1911, o al campo-prigione di Nocra, istituito nel 1895 su una delle isolette che fronteggiano Massaua. Fu sotto il fascismo, tuttavia, che i campi di concentramento vennero usati in grande stile e le deportazioni si spinsero ai limiti della 'pulizia etnica' e dello sterminio.

    Nel 1930, il generale Rodolfo Graziani portava a compimento la 'pacificazione' della Libia con una deportazione in massa che non ha precedenti nella storia dell’Africa moderna: quasi 100 mila civili seminomadi del Gebel [un ottavo dell’intera popolazione libica di allora] furono rinchiusi in 15 enormi campi di concentramento realizzati nella Sirtica. Dopo tre anni di segregazione penosa, rimase in vita poco più della metà dei deportati. Nel 1935, a poche settimane dall’inizio del conflitto italo-etiopico, un nuovo campo di concentramento italiano venne aperto a Danane, in Somalia. Sino alla sua chiusura [avvenuta nel marzo 1941], vi si avvicendarono circa 6.500 tra etiopi e somali: per la fame e le disastrose condizioni igienico-sanitarie poco meno della metà degli internati perse la vita.

    Durante la Seconda guerra mondiale, campi per civili furono realizzati sia nel Regno d’Italia che nei territori occupati da truppe italiane. Nella penisola ne funzionarono di due tipi: quelli sottoposti al ministero dell’Interno [già responsabile delle colonie di confino], destinati ai vari gruppi di internati civili di guerra; quelli di pertinenza del Regio Esercito, che accoglievano deportati civili jugoslavi. Entrambi furono accomunati dalla denominazione ufficiale di 'campo di concentramento', qualifica che ritengo attribuibile ai soli campi ad amministrazione militare e non a quelli controllati dal ministero dell’Interno, da denominare, semplicemente, 'campi di internamento' – ciò che effettivamente essi furono. Tuttora poco conosciuti ai più e spesso circondati da un alone d’incredulità, i campi d’internamento, in realtà, sono da tempo ben noti agli storici e agli altri studiosi che si occupano dell’argomento: già nel giugno del 1989 chi scrive ha presentato il loro elenco definitivo al IV Convegno internazionale Italia Judaica.
    Vero è che – per una serie di ragioni – quelle vicende storiche sono rimaste a lungo vittima di amnesie e di rimozioni. Generalmente attrezzati in edifici preesistenti [ville, castelli, fattorie, opifici, conventi, scuole, normali abitazioni ecc.], i campi del ministero dell’Interno ebbero una capienza media di circa 150 posti e una dislocazione geografica che ha interessato il Centrosud della penisola. In Toscana i campi d’internamento furono tre: Bagno a Ripoli, Montalbano di Rovezzano e Oliveto di Civitella della Chiana. Nelle Marche sei: Sassoferrato, Fabriano, Urbisaglia, Treia, Petriolo e Pollenza. In Umbria, un campo operò a Colfiorito di Foligno, mentre nel Lazio vennero utilizzati l’ex colonia di Ponza, quella ancora attiva di Ventotene e, in scarsa misura, il 'centro di lavoro' per confinati di Castel di Guido; campi con baraccamenti, di notevoli dimensioni, sorsero invece alle Fraschette di Alatri e a Castelnuovo di Farfa. In Abruzzo-Molise i campi furono 19: Civitella del Tronto, Corropoli, Isola del Gran Sasso, Nereto, Tortoreto, Tossicia, Notaresco, Città Sant’Angelo, Chieti, Casoli, Marina di Istonio, Lama dei Peligni, Lanciano, Tollo, Agnone, Boiano, Casacalenda, Isernia e Vinchiaturo. Quattro in Campania: Ariano Irpino, Monteforte Irpino, Solfora e Campagna. Anche i campi pugliesi furono quattro ed ebbero sede a Manfredonia, Alberobello, Gioia del Colle e nella colonia delle Tremiti. In Lucania svolse anche funzione di campo d’internamento la colonia di Pisticci, mentre in Calabria venne costruito un campo ad hoc a Ferramonti, non lontano da Cosenza. In Sicilia, infine, furono appositamente riconvertiti i locali delle ex colonie di Ustica e di Lipari. In Emilia-Romagna funzionarono gli unici due campi d’internamento dell’Italia settentrionale: Montechiarugolo e Scipione di Salsomaggiore.Italiani o stranieri che fossero, i civili internati dal ministero dell’Interno non furono mai sottoposti a crudeltà o violenze premeditate. Fino all’8 settembre 1943, neppure gli 'ebrei stranieri' [definizione usata allora dalla burocrazia per indicare gli israeliti provenienti da stati retti da regimi antisemiti], quantunque bollati dal fascismo come 'elementi indesiderabili imbevuti di odio contro i regimi totalitari', vennero sottoposti a misure persecutorie particolari. Tant’è che le stesse organizzazioni ebraiche, dopo le prime reazioni piuttosto allarmate, finirono per tranquillizzarsi, considerando sostanzialmente l’internamento in Italia – in quel frangente – come 'il male minore'.

    Tuttavia il soggiorno nei campi – come ebbe a scrivere uno dei primi internati – 'se materialmente non era terribile, spiritualmente rappresentava una sofferenza per i disagi morali e le preoccupazioni per l’avvenire'. Inizialmente il sussidio di lire 6,50, fornito dal governo agli internati indigenti, consentiva loro di procurarsi un vitto accettabile, poiché, sul cliché di quanto sperimentato nelle colonie di confino, anche nei campi vennero realizzate mense autogestite e altre strutture cooperative. Ma, dalla seconda metà del 1941, la penuria alimentare e l’affollamento degli alloggiamenti cominciarono a incalzare soprattutto per quanti erano internati nei campi maggiori [i più affollati e gli unici con recinzione] e avevano minori occasioni di scambio con i popolani e di approccio con il mercato nero. A fianco di un internamento ufficiale e 'regolare' gestito dal ministero dell’Interno, nell’Italia fascista ve ne fu anche uno 'selvaggio', messo in atto dalle forze armate. Esso si realizzò, per la sua gran parte, nei territori del Regno di Jugoslavia che furono occupati o annessi dall’Italia in seguito all’invasione nazifascista del 6 aprile 1941. In quelle zone, nel quadro di un’occupazione violenta ed esplicitamente razzista, l’Esercito Italiano fece frequente ricorso a metodi ritenuti tipicamente nazisti, quali l’incendio di villaggi, le fucilazioni di ostaggi e le deportazioni in massa dei civili in speciali campi di concentramento ubicati sia in Italia che negli stessi territori occupati. Dell’intero capitolo dell’internamento fascista, la parte a gestione militare fu preponderante sul piano quantitativo e ingiustificabile sul piano del diritto: per via delle dure condizioni di vita dei deportati, infatti, furono a essa addebitate reiterate violazioni del diritto internazionale bellico e dello stesso codice penale militare di guerra italiano. Non a caso, alla fine della seconda guerra mondiale, i principali responsabili e organizzatori di quei campi e di quel sistema di deportazione impiantato dal Regio Esercito [tra i primi, il generale Mario Roatta, generalmente noto come 'protettore di ebrei'] vennero additati come criminali di guerra. Ma la mancanza di una 'Norimberga italiana' ha fatto sì che le accuse di 'internamento in condizioni disumane' [come quelle relative ad altri crimini], inoltrate alle apposite commissioni internazionali dal governo jugoslavo e da quello di altre nazioni aggredite dall’Italia, cadessero praticamente nel vuoto.

    Tra i campi gestiti dalle autorità militari, in Italia quello dalle maggiori dimensioni [ospitava mediamente 5 mila civili] operò, dal marzo 1942, a Gonars [Udine], dove, in un anno e mezzo di attività, persero la vita più di 400 deportati. Nell’estate dello stesso anno due campi di circa 3 mila e 4 mila posti furono attrezzati in altrettante caserme dell’esercito a Monigo di Treviso e a Chiesanuova di Padova. Tra il 1942 e il 1943, altri due grandi campi vennero istituiti a Renicci di Anghiari [in provincia di Arezzo] e a Visco [allora in provincia di Trieste]. Dal gennaio 1943 venne utilizzato per gli 'allogeni' [così venivano indicati, con disprezzo, gli appartenenti alle minoranze slovena e croata che il fascismo, per anni, cercò rozzamente di italianizzare] anche l’ex campo per prigionieri di guerra n. 93, sito a Cairo Montenotte [Savona]. Nello stesso periodo in Umbria venne ingrandito e destinato a deportati montenegrini il campo di Colfiorito, nel comune di Foligno. Tra i campi fascisti operanti in territorio jugoslavo, voglio ricordare quello allestito sull’isola di Arbe, con oltre 11 mila internati, del quale ho già riferito su Diario nel settembre 1998, in occasione del 55° anniversario della sua liberazione. Nel campo di Arbe, definito 'di sterminio' da alcuni autori jugoslavi, per gli stenti, la fame e la mancanza di qualsiasi assistenza internazionale, persero la vita in un anno non meno di 1.400 internati civili, principalmente sloveni . Monsignor Giuseppe Srebrni, vescovo della vicina isola di Veglia, rimase estremamente impressionato da quanto visto durante una visita a quel campo: quella di centinaia di figure scheletriche, che sfinite dalla fame si trascinavano nell’improbabile ricerca di qualcosa da mangiare, era infatti una scena del tutto consueta. I modelli di riferimento dei campi italiani della Seconda guerra mondiale non vanno ricercati – come, purtroppo, assai spesso avviene – nei lager tedeschi, e neppure in quelli di altri regimi totalitari.
    La 'filosofia ispiratrice' dell’internamento civile fascista non mirava, in linea di principio, allo sfinimento degli individui o allo sfruttamento del loro lavoro schiavo, ma alla 'semplice' messa al bando dei nemici, dei 'pericolosi', degli indesiderabili. Tuttavia, l’internamento realizzato dal nostro esercito nei Balcani , per la forte componente razzistica, la notevole entità delle deportazioni e le caratteristiche particolarmente negative dei campi di concentramento utilizzati, è certo più vicino ai vecchi metodi di segregazione coloniale [in particolare alla 'deriva concentrazionaria' attuata dal fascismo nel corso delle campagne per la 'riconquista' o la 'pacificazione' di taluni territori] che non al confino politico o all’internamento 'garantista' praticato dal ministero dell’Interno nei territori dell’Italia metropolitana.

    Ma dell’internamento jugoslavo, come pure di quello inflitto dall’Italia alle popolazioni africane, nel dopoguerra non rimasero che tracce sbiadite nella memoria degli italiani. Nel 1965, a una delegazione di ex combattenti giunti dalla Slovenia per rendere omaggio alle spoglie mortali dei propri connazionali che persero la vita nel campo di Monigo – che aveva operato alla periferia della città di Treviso – né le autorità comunali né le associazioni partigiane seppero indicare il luogo di sepoltura di quegli sventurati. Fu proprio grazie a quella visita, del resto, che la maggior parte dei trevigiani ebbe modo di prendere coscienza della passata esistenza di un campo di concentramento nei pressi della loro città… Arthur Koestler, per dare un’idea delle condizioni di vita nei campi di concentramento non nazisti, immaginò un’unità di riferimento della quale il campo francese di Le Vernet d’Ariège [dove egli stesso era stato internato nel 1939] costituiva 'lo zero dell’ignominia'. Prendendola qui come riferimento, si può affermare a ragione che i campi del ministero dell’Interno non sconfinarono mai nel 'sottozero' della scala centigrada proposta da Koestler; lo fecero, invece, spesso e di misura, i campi allestiti dall’esercito italiano in Jugoslavia, Grecia e Albania, e qualcuno di quelli ubicati nei vecchi confini del Regno d’Italia, nei quali, per alcuni periodi, la lotta per la sopravvivenza e la morte dei deportati per la fame e le terribili condizioni igienico-sanitarie furono parte del consueto scenario quotidiano. Ritengo che la collocazione extra legem di tali strutture di concentramento appaia del tutto evidente se si considera, in particolare, che ai civili jugoslavi internati – la maggior parte dei quali furono definiti italiani 'per diritto annessione' – l’Italia negò lo status di 'sudditi nemici', privandoli così [sino alla caduta del regime fascista e quasi allo scioglimento della maggior parte dei campi] dell’assistenza del proprio governo in esilio e di qualsiasi supporto umanitario. Soltanto il 19 agosto 1943 il ministero degli Affari Esteri concesse al Comitato internazionale della Croce rossa la possibilità di assistere i civili jugoslavi internati in Italia. Ciò solo a condizione che tale atto non avesse 'carattere ufficiale de jure, ma soltanto di pratica e umanitaria azione di soccorso'.


    --------------

    Nobis ardua

    Comandante CC Carlo Fecia di Cossato

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    Predefinito

    Più che di crimini parlerei dei disastri del fascismo.
    Il disastro comincia dalle imprese d'Africa e dalla conseguente rinuncia all'influenza sull'Austria ed un po' anche sull'Ungheria.
    Avrebbe dunque dovuto continuare a seguire una politica anti-tedesca.
    In Spagna avrebbe dovuto stare colla Repubblica e non trasportare le truppe marocchine di Franco sul continente, né regalargli grandi quantitativi di armi che lui rivendette ai nemici dell'Italia, a Belgrado.
    Avrebbe piuttosto dovuto preoccuparsi di far fuori la monarchia e di spedire il Papa ad Avignone, e per sempre.


  6. #6
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    Comunque il fascismo resta di sinistra.
    E' il nazismo che nasce nella destra "reazionaria" (sognatrice, magica, esoterica, ecologica, "orientale") la quale non ha proprio nulla a che fare con la destra liberale, o non più di quanto non ci abbia a che fare la sinistra.

  7. #7
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    Originally posted by Fecia di Cossato
    Interessantissimo certamente l'articolo di Teresa Grande, 'copia-incollato' con grande maestria da bum-bum [complimenti!... ], per chi non lo sapesse, da http://www.deportati.it/trosso/TR98/tr498/arbe.htm , specialmente nella parte nella quale presume che scrivendo di queste troiate si smenire il 'mito delle foibe' [sic!!!...].
    L'arguzia dei pollisti non cessa mai di stupirmi.
    Che io avessi fatto un copia-incolla l'hai dedotto brillantemente dal fatto che sotto il titolo era a chiare lettere scritto l'autrice del pezzo?
    Complimenti vivissimi a te, Feccia!

    Nessun problema cari amici, a 'copia-incolla' rispondo con il 'contro-copia-incolla', riportando un articolo assai più
    'attinente alla realtà' nel quale vengono precisati anche alcuni
    'dettagli' che Teresina ha tralasciato, in particolare:

    a) Arbe [che è stato definito dagli 'storiografi' sloveni nientemeno
    che 'campo di sterminio'] è stato uno dei tanti 'campi per internati' esistenti in Italia, nei quali sono confluiti gli abitanti di certe zone della Croazia e Slovenia che erano stati evacuati semplicemente perchè non servissero da 'scudi umani' ai partigiano slavi...

    b) tale 'tecnica' [quella della deportazione di interi villaggi] non è
    stata 'inventata' dal fascismo, in quanto già messa in pratica
    dall'Esercito Piemontese durante la campagna contro i 'briganti'
    condotta nell'Italia Meriodionale nel periodo 1860-65, e poi dal Regio Esercito in Libia, Etiopia, Eritrea, Somalia durante il 'periodo di colonizzazione'...

    c) è stato accertato dalla stess Croce Rossa Internazionale che i decessi verificatisi in tali campi [principalmente però ad Arbe] sono stati causati da epidemie dovute, questo sì, alla denutrizione e alle cattive condizioni igieniche...
    Già è deprecabile che esistano nostalgici di quel funesto e immorale fenomeno italiano che fu il fascismo.
    Ma se poi codesti beceri sostenitori di un regime illiberale (che con le sue azioni e scelte scellerate ha causato una ecatombe di morti all'Italia) si prodigano nell'opera di giustificazionismo di vergognosi crimini (ricordiamocelo 1500 morti) la misura non può che essere colma per ogni democratico, di qualsiasi schieramento politico esso sia.

    Certo che paragonare tutto questo, avvenuto nel periodo bellico, alle foibe [dove milgliaia di innocenti sono stati scaraventati anche e soprattutto dopo la fine delle ostiilità ] ci vuole proprio un bel coraggio...

    ... ma si sa che ai comunisti il 'coraggio' non manca...

    buona lettura!...
    Mi spiace per te, mai stato comunista.
    Sono un democratico e non attacco certo una dittatura per appoggiarne un'altra.

    Così come è giusto indignarsi per le foibe, è doveroso indignarsi di questo bieco crimine di quel regime criminale che fu il fascismo.

    Vergogna, 1500 morti!

  8. #8
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    Originally posted by Allanim
    Comunque il fascismo resta di sinistra.
    E' il nazismo che nasce nella destra "reazionaria" (sognatrice, magica, esoterica, ecologica, "orientale") la quale non ha proprio nulla a che fare con la destra liberale, o non più di quanto non ci abbia a che fare la sinistra.
    Sarà... resta il fatto che i nostalgici del fascismo o gli ammiratori all'interno del parlamento li trovi a destra, soprattutto in AN.

    Come definire persone che giudicano Mussolini il migliore statista italiano del secolo?

  9. #9
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    originally posted by tekila bum-bum:

    '... mi spiace per te, mai stato comunista.
    Sono un democratico e non attacco certo una dittatura per appoggiarne un'altra...

    vergogna, 1500 morti [!!!... ]


    caro amico
    riguardo al 'comunista' mi devi scusare ma per la mia mentalità, un tantino superficiale questo magari è vero, tendo ad identificare come 'comunista' [ con tuute le conseguenze del caso...] non necessariamente chi si fregia di falce e martello ma anche chi come te considera 'crimine contro l'umanità' 1500 morti [!!!... ] di malnutrizione e malattie infettive in tempo di guerra e una 'dolorosa tappa per l'instaurazione della democrazia' invece 150 milioni di morti [???... ] ammazzati nelle varie 'purghe etniche' prodotte in varie parti del mondo dal cosiddetto 'socialismo reale...

    --------------

    Nobis ardua

    Comandante CC Carlo Fecia di Cossato

  10. #10
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    Originally posted by Feccia
    caro amico
    riguardo al 'comunista' mi devi scusare ma per la mia mentalità, un tantino superficiale questo magari è vero, tendo ad identificare come 'comunista' [ con tuute le conseguenze del caso...] non necessariamente chi si fregia di falce e martello ma anche chi come te considera 'crimine contro l'umanità' 1500 morti [!!!... ] di malnutrizione e malattie infettive in tempo di guerra e una 'dolorosa tappa per l'instaurazione della democrazia' invece 150 milioni di morti [???... ] ammazzati nelle varie 'purghe etniche' prodotte in varie parti del mondo dal cosiddetto 'socialismo reale...
    Fossero solo quelli...
    Tu seguita a minimizzare, nostalgicone.

    Hai forse l'abitudine di mettere in bocca parole agli altri?
    'dolorosa tappa per l'instaurazione della democrazia' lo dici tu.

    Io il mio giudizio sul comunismo sovietico lo baso su "Arcipelago Gulag" di Soljenytsin.
    E non ho ancora visto un esempio di comunismo attuato che non fosse una dittatura soffocante e spesso, se non sempre, sanguinaria.

    Lo stesso posso dire del fascismo.

 

 
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