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  1. #11
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    Predefinito Re: ... ma lo sai?...

    Originally posted by Fecia di Cossato
    '... Cossato, ma tu lo sai vero che fine fece Rommel?...

    ... ma lo sai che Rommel fu esiliato in Libia da Hitler perchè filosovietico e contrario alla guerra contro l'urss,
    a differenza,es., di gente come Guderian?...

    ... ma lo sai inoltre che l'apologia di fascismo è un reato?...

    ... ma lo sai che per ogni soldato italiano che si batteva 'coraggiosamente', c'era un bambino ebreo che finiva al forno?...


    caro amico

    ... ma lo sai di essere un autentico e perfetto idiota?...


    --------------

    Nobis ardua

    Comandante CC Carlo Fecia di Cossato

    Caro Fecia di Cossato , per cortesia niente insulti personali.

    Ognuno puo' avere la sue opinioni giuste o sbagliate che siano.

    Queste si possono contestare e discutere ma senza offendere il prossimo.

    Mi raccomando !

    Un saluto


    Ferruccio

  2. #12
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    Predefinito ok...

    messaggio ricevuto...

    non sarebbe meglio cancellare i post a partire da quello di agaragar, dato che sull'argomento proposto hanno ben poco da aggiungere?...

    ricambio il saluto!...

    --------------

    Nobis ardua

    Comandante CC Carlo Fecia di Cossato

  3. #13
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    Predefinito Re: caro Cossato

    Originally posted by agaragar
    ma lo sai che..... spacciarsi falsamente per un comandante dei Carabinieri è reato?

    _______________________
    aspè che becco il sito dell'arma....
    Agaragar ,

    anche a te: moderazione nell'indirizzarti agli altri forumisti e non portare asserzioni e illazioni che non puoi provare.

    Manteniamo le nostre discussioni su di uno stile signorile ed educato.Te ne prego.Non vorrei proprio dover intervenire.


    Un saluto

  4. #14
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    Predefinito

    Originally posted by agaragar
    ma si spieghi la prego


    Eccomi

    Le do un paio di indizi... Comandante CC Carlo Fecia di Cossato.

    Bene: ora dubiti della sua interpretazione di "Comandante CC"... anche alla luce dell'avatar del Comandante, oltre che dell'immagine che compare nella sua firma...


  5. #15
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    Predefinito regole e rispetto

    mi sono visto costretto -a malinquore e per la prima volta- a cancellare alcuni messaggi perchè contenenti insulti gratuiti all'indirizzo di altri forumisti. Tali messaggi inoltre avevano inceppato il corretto procedere della discussione con riferimenti completamente estranei al tema del thread.

    invito inoltre il forumista Agaragar ad attenersi alle norme di correttezza segnalate nel regolamento di Pol. Anche Fecia, per favore, risponda senza toni ed espressioni insultanti.

    saluti

    il moderatore
    Felix
    ________________

    per agaragar: il post che citavi mi era sfuggito. Par condicio ed equità per tutti. Sono stati cancellati i tuoi e i post di Fecia con contenuti violatori del regolamento. Chiusa la faccenda.

  6. #16
    email non funzionante
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    Predefinito

    Originally posted by pillimo
    ...

    Le guerre le vince per il 99% il più forte.
    Il resto sono chiacchere di stampo biscardiano...
    bello spunto di riflessione, anche se non attinente al tema del thread. Le guerre sono prive di valore etico-morale, perchè a deciderne l'esito è solo l'equilibrio delle forze (includendo strategia, astuzia, propaganda e diplomazia). Non vince "il migliore" ma semplicemente il +forte.

  7. #17
    agaragar
    Ospite

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    cancellare i posts....è come falsificare la storia,
    io non mi vergogno di nulla di quello che ho scritto, e protesto.

  8. #18
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    Predefinito

    Originally posted by Felix


    bello spunto di riflessione, anche se non attinente al tema del thread. Le guerre sono prive di valore etico-morale, perchè a deciderne l'esito è solo l'equilibrio delle forze (includendo strategia, astuzia, propaganda e diplomazia). Non vince "il migliore" ma semplicemente il +forte.
    Le guerre hanno alle spalle una molteplicità di "interessi", tra cui anche quello etico-morale (cioè ciò che si considera sia il "bene" in quel dato momento) e questa componente (oltre, naturalmente, alla strategia, alla capacità produttiva, alle risorse disponibili, alla propaganda, ecc.ecc.) può fare anche la differenza.
    Prosit

  9. #19
    memoria storica di PoL
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    Nella foto in alto è ripreso il sommergibile italiano Axum [TV Renato Ferrini] che dnel corso dell'operazione 'mezzo agosto' eseguì un fantastico lancio di siluri colpendo quasi contemporaneamente ben tre navi: gli incrociatori inglesi Nigeria e Cairo e la petroliera americana Ohio. La foto in basso, assai spettacolare, riprende la petroliera proprio nell'estante dell'esplosione del siluro



    Nel mese di agosto di sessant'anni fa si verificò l'ultima grande battaglia aeronavale del Mediterraneo, conosciuta nella storiografia navale italiana come 'operazione mezzo-agosto'. All'origine della battaglia, che per le armi italiane rappresentò l'ultimo disperato sforzo per volgere la guerra a favore dell'Asse, vi fu una gogantesca operazione degli Inglesi avente lo scopo di rifornire l'isola di Malta, baricentro strategico della guerra neol Mediterraneo, per la quale fu istituito un convoglio di circa 60 navi sia inglesi che americane.
    Gli inglesi organizzarono una scorta comprendenti le corazzate Rodney e Nelson, le portaerei Eagle, Furious, Indomitable e Victorius, gli incrociatori pesanti Manchester, Nigeria e Kenia e gli incrociatori antiaerei Cairo, Phoebe, Charybdis e Sirius, altre a cacciatorpediniere e sommergibili.

    Il convoglio fu da prima attaccato a sud delle isole Baleari da sommergibili italiani e tedeschi e uno di questi ultimi mandò a fondo la portaerei Eagle.

    Il 12 agosto, le forze aeree dell'Asse lanciarono il primo attacco riuscendo ad affondare il primo cargo [il Deucalion] danneggiandone altri. Vicino Biserta, così come accadette durante la battaglia di mezzo giugno, parte della scorta abbandonò il convoglio lasciando solo 4 incrociatori e 10 cacciatorpediniere.
    La sera del 12 agosto, i sommergibili italiani Dessie e Axum affondarono l'incrociatore Cairo, danneggiarono gli incrociatori Nigeria e Kenia e le navi mercantili Ohio e Brisbarne Star, così infliggendo gravi danni al convoglio.

    La stessa notte Mas italiani affondarono l'incrociatore Manchester e altre 5 navi mercantili. Il giorno seguente, forze aeree dell'Asse affondano ancora un'altra nave mercantile.

    Assenti dalla battaglia erano le corazzate italiane che, a causa del razionamento del carburante, erano relegate in porto. Supermarina, ben al corrente della mancanza di carburante, decise di usare solo la IIIa divisione navale composta degli incrociatori Bolzano, Gorizia e Trieste e la VIIa divisione comprendente l'Eugenio di Savoia, il Montecuccoli [già protagonisti della battaglia di 'mezzo-giugno'] e l'Attendolo. Il piano d'attacco provvedeva per un attacco di superficie vicino l'isola di Pantelleria, e data la situazione assai precaria del convoglio, molte unità della cui scorta erano state già affondate o gravemente danneggiate, le probabilità di successo sarebbero state assai alte.

    A questo punto l'ennesimo comportamento enigmatico di Supermarina, il comando in capo della Regia Marina: alle unità italiane fu ordinato di rientrare nei porti senza tentare di intercettare quanto rimaneva del convoglio inglese. Cinque piroscafi supertiti dei sedici partiti dall'Inghiletrra riuscirono a raggiungere così Malta e il carico da essi trasportato fu sufficiente a ridare potenzialità offensive a quella base e questo dovette di lì a poco rivelrsi uno dei fattori decisivi della sconfitta italiana.

    Durante il viaggio di ritorno, il Bolzano e l'Attendolo furono attaccati da sommergibili inglesi che riuscirono a colpire ciascuna nave con un siluro. Il Bolzano, a causa di un incendio divampato vicino ai magazzini munizione, fu arenato sull'isola di Panarea e successivamente salvato, mentre l'Attendolo, malgrado avesse perso la prua, rientrò in porto senza necessità di aiuto.

    Molto si è scritto nel dopoguerra sui motivi che insdussero Supermarina ad ordinare il rientro degli incrociatori italiani. Si disse a più riprese che la colpa era stata dei tedeschi che avevano negato alle nostre navi la protezione aerea che l'eperienza aveva dimostrato essere oramai necessaria in contesti aeronavali ma numerosi scrittori hanno di fatto smentito tale versione. Resta il fatto che ancora una volta Supermarina scelse la tattica della 'prudenza' in un frangente della guerra decisivo, quasi che lo scopo non fosse quello di vincere la guerra, bensì quello di preservare il più possibile le navi in vista della resa finale.

    Per consolazione del lettore concluderò questa rievocazione della battaglia di 'mezzo-agosto' con la ricostruzione particolareggiata fatta da Francesco Mattesini dell'azione spettacolare condotta dai Mas italiani nel Canale di Sicilia nella notte tra il 12 e il 13 agosto del '42. Anche se la storiografia navale non ha mai dato rilievo particolare a questa azione, essa costituisce di fatto il più grosso successo ottenuto da motosiluranti nel corso dell'intero conflitto mondiale... in barba alle tanto decantate PT americane che, ad onta degli innumerevoli film propagandistici, nel teatro del Pacifico si rivelarono un completo fallimento.






    Nella foto in alto l'elegante incrociatore inglese H.M.S. Manchester, vittima delle motosiluranti italiane [rappresentate nella foto sotto] nell'azione della notte del 12-13 agosto


    Capitolo XIV – Notte di tragedia nel canale di Sicilia

    Prevedendo che il nemico avrebbe potuto procedere verso Malta seguendo la rotta a sud di Pantelleria oppure quella di Capo Bon che si allungava verso sud est in prossimità di Ras Mahmur, il Comando della Marina di Trapani aveva distribuito le sue unità insidiose verso quella zona.
    La 2-a Squadriglia Motosiluranti [MS 16, 22, 23, 25, 26, 31] uscita da Trapani al comando del CC Giorgio Manuti ricevette la zona di agguato ‘Gamma 3’ compresa tra Ras el Mihr e Ras Mahmur, lungo la costa della Tunisia, che venne ripartita in tre sottozone in ciascuna delle quali andò ad operare una sezione di tre unità.
    La 18-a Squadriglia Mas [556, 560, 562, 557] uscita anch’essa da Trapani al comando del TV Luigi Sala raggiunse una zona situata a sud ovest di Pantelleria rea i paralleli 36° 25’ nord, 36° 39’ nord e i meridiani 11° 30’ est e 11° 40’ est.
    La 20-a Squadriglia Mas [552, 553, 554, 564] uscita da Pantelleria al comando del TV Carlo Paolizza si portò in una zona situata a sud dell’isola ma rispetto alla 18-a Squadriglia leggermente spostata a levante, tra i paralleli 36° 24’ Nord, 36° 39’ nord e i meridiani 11° 30’ est, 11° 40’ est.

    Sia alle motosiluranti che ai Mas venne data la consegna di eseguire un rastrello iniziale nella zona assegnata, senza vincoli di limiti di zona, e di accorrere in caso di intercettazione di segnali di allarme per aggredire il nemico. Ai comandanti venne inoltre richiesto il massimo spirito offensivo.

    Per evitare la zona a levante di Capo Bon che era stata a più riprese minata dagli italiani, la Forza X seguì una rotta costeggiante la scoscesa e brulla costa della Tunisia passando in acque territoriali francesi a sud dell’Isola di Zembra.
    Dopo gli attacchi nella zona del Banco di Skerki la formazione inglese aveva proseguito la sua navigazione lasciandosi dietro il livido chiarore delle navi in fiamme. Un’improvvisa quiete era scesa nella notte e i cacciatorpediniere di scorta ne approfittavano per riordinare le unità disperse in una formazione più o meno compatta.
    Poco prima della mezzanotte [ore 23.54] le prime navi della formazione, raggiunto Capo Bon, piegavano a sud navigando lungo costa per passare al largo di Kelibia, il cui faro, come riferì il comandante del piroscafo americano Almeria Likes, illuminando il mare permetteva di individuare la sagoma di una nave a dieci miglia di distanza.
    Trovandosi in acque ostili e insidiate da mine le navi britanniche procedevano il lunga formazione, con i cacciatorpediniere Ashanti, ICarus e Fury all’avanguardia che, con i paramine in funzione, dragavano di prora per aprire un canale sicuro. Precauzione pienamente giustificata dovendo proteggere le navi che seguivano, il cacciatorpediniere Ashanti, con a bordo il contrammiraglio Burrosugh, e gli incrociatori Kenia e Manchester, seguiti a loro volta dagli unici mercantili ancora in vista, il Glenorchy, l’Almeria Likes e il Wairangi. Più indietro navigavano il Melbourne Star, il Waimarama, il Santa Elisa, il Dorset e il Rochester Castle in compagnia del solo cacciatorpediniere Pathfinder, la Ohio con il cacciatorpediniere Ledbury, il Port Chalmers con il cacciatorpediniere Penn 3d infine, più lontani e isolati, il cacciatorpediniere Bramhan e il piroscafo Brisbane Star.

    Il primo contatto con le moto siluranti ebbe luogo poco dopo mezza notte e vide impegnata l’avanguardia delle navi da guerra. L’Ashanti individuò a dritta con il radar due piccoli scafi s subito dopo la scorta del convoglio aprì il fuoco con tutte le armi ed accostò in quella direzione per schivare eventuali siluri. Le unità nemiche si allontanarono emettendo fumo, ma poco dopo tornarono ad avvicinarsi cautamente e vennero controbattute mentre navigavano ad alta velocità fin oltre il faro di Kelibia. Da trasmissioni radio intercettate dall’Ashanti gli inglesi compresero che una delle motosiluranti era stata danneggiata.
    Alla stessa ora passando presso il faro di Kelibia nelle stesse acque dove la notte precedente il cacciatorpediniere italiano Malocello aveva posato lo sbarramento di mine ‘S6’, l’Ashanti osservò due mine ad antenna scivolare lungo il bordo a tre metri di distanza. Il comandante Onslow ritenne trattarsi di armi i cui cavi di ormeggio erano stati tagliati dai cacciatorpediniere che navigavano di prua.
    Vi furono pochi minuti di tregua dopo di che all’improvviso un nuovo disastro di abbatté sulla sfortunata Forza X, le cui unità di testa vennero avvistate all’altezza di Ras Mustafà dalle motosiluranti italiane MS.16 [CC Giorgio Manuti] e MS.22 [TV Franco Mezzadra].
    La luce di un proiettore che si accese improvvisamente su una delle navi, riconosciuta dal comandante Manuti per un incrociatore della classe Arethusa, e che illuminò altre sagome di prora permise alle due motosiluranti di scegliere i bersagli. La MS.16 diresse lentamente contro l’incrociatore e alle 01.04 dalla distanza di ottocento metri gli scagliò contro il siluro di dritta. Deviando dalla traiettoria, probabilmente per cattivo funzionamento degli organi di direzione, l’arma fallì il bersaglio e passò di prora alla MS.22 che in quel momento di trovava duecento metri più avanti rispetto alla MS.16 e stava puntando contro l’unità centrale della fila nemica apprezzata per un cacciatorpediniere della classe Tribal.
    Rinunciando a lanciare il secondo siluro contro un bersaglio in allontanamento la MS.16 accostò per dirigere contro una delle navi che seguivano e all’improvviso venne a trovarsi in posizione favorevole per lanciare contro un altro incrociatore che si trovava a poppa dell’unità attaccata in precedenza. Lo stesso bersaglio venne individuato anche dalla MS.22 la quale all’ultimo momento rinunciò a lanciare contro un cacciatorpediniere puntando invece sull’incrociatore. Il tal modo alle 01.07 le due motosiluranti, che all’accostata si erano perdute di vista, attaccarono la stessa nave. La MS.16 lanciò il suo secondo siluro da una distanza di ottocento metri e dopo ventisette secondi vide la parte posteriore dell’incrociatore sollevarsi ed illuminarsi di un bagliore rosso arancione. La MS.22, che rispetto alla MS.16 occupava una posizione avanzata [l’intero equipaggio fu concorde nell’affermare di aver visto un siluro proveniente da poppa passare avanti alla motosilurante e perdersi sulla scia dell’incrociatore], attaccò da distanza di seicento metri lanciando due siluri. Il primo di essi per errore di angolazione passò a prora del bersaglio mentre il secondo fu visto scoppiare dopo trenta secondi all’altezza del fumaiolo di poppa.
    Subito dopo le motosiluranti si disimpegnarono defilando lungo il convoglio sotto un fuoco intenso. Accostando a zig-zag per disturbare la correzione del tiro esse diressero ad alta velocità sotto costa finendo all’incaglio in bassi fondali. La MS.16 dopo aver girato intorno al relitto del cacciatorpediniere Havock che aveva scambiato per una unità del convoglio si arenò nei pressi di Ras el Mihr, la MS.22 a ridosso di Ras Mustafà.
    Il Manchester [CV Harold Drew], l’unico incrociatore della Forza X che ancora non aveva subito danni, all’ultimo momento si accorse della presenza delle motosiluranti. Immediatamente aprì il fuoco con le torri trinate prodiere da 152 mm e accostò bruscamente per evitare i siluri. Uno riuscì a schivarlo ma un secondo lo raggiunse sul fianco destro in un deposito di proiettili da 102 mm. Tredici uomini rimasero uccisi nello scompartimento poppiero delle macchine, che si allagò insieme agli adiacenti compartimenti dell’estrema poppa. Il timone della nave si arrestò e tre dei quattro alberi portaeliche rimasero immobilizzati. Privo di governo e di energia elettrica a causa delle dinamo andate in avaria l’incrociatore continuò la sua corsa descrivendo lentamente un arco di cerchio per poi arrestarsi sbandato sul fianco di dodici gradi ed emettendo fumo e vapore dallo scafo.
    Le tre navi mercantili che seguivano il Manchester manovrarono in modo da non entrare in collisione con l’incrociatore e in parte si sbandarono. Il Waimarama, ultimo della fila, rimase per qualche tempo isolato. L’Almeria Likes si allontanò verso il largo di circa un miglio ma poi riuscì a portarsi sulla scia del Kenia. Il Glenorky proseguì nella sua rotta originale e prima di riportarsi a poppa del piroscafo americano che lo precedeva inquadrò con il fuoco delle sue armi una delle motosiluranti e dichiarò di averla vista saltare in aria.
    Più indietro intanto stavano arrivando in linea di fila altri quattro piroscafi guidati dal Pathfinder [CF E.A. Gibbs]. Allorquando alle 01.40 il cacciatorpediniere avvistò l’immobilizzato Manchester esso ordinò ai mercantili di proseguire nella loro rotta a sud degli sbarramenti di mine esistenti nella zona e si avvicinò all’incrociatore. Dopo un colloquio con il comandante della nave danneggiata, che si dichiarò fiducioso di poter eseguire le riparazioni sufficienti per tornare a Gibilterra con i propri mezzi, il CF Gibbs imbarcò centocinquantotto membri dell’equipaggio del Manchester e poiché non poteva lasciare soli i mercantili si affrettò a seguirli.
    In tal modo l’incrociatore rimase del tutto isolato e privo di una qualsiasi protezione proprio quando avrebbe avuto bisogno di assistenza. Non appena entrarono in azione i gruppi elettrogeni di emergenza lo sbandamento della nave venne ridotto a cinque gradi mediante il controbilanciamento di alcuni compartimenti. Le macchine però non erano in grado di funzionare e il Manchester non riusciva a muoversi. Alle 02.45 venne ordinata l’evacuazione e poco dopo vennero fatte esplodere le cariche di autoaffondamento. Alle 05.50 la bella nave si inabissò a sei miglia dalla costa della Tunisia in lat. 36° 50’ nord, long. 11à 10’ est. Quattrocentotrentatre uomini che costituivano la maggior parte dell’equipaggio raggiunsero la terraferma e vennero internati dalle autorità francesi.
    Frattanto il convoglio era stato avvistato dalle altre mot5osuiluranti.La prima a farsi sotto fu la tedesca S.79 che riprese il contatto alle 01.15 il lat. 36° 57’ nord, long.11° 02’ 4est, ma la perse dopo venti minuti a sette miglia da Kelibia. Poi sopraggiunse la italiana M.S. 31 [TV Antonio Calvani], che avendo captato un segnale di scoperta della M.S. 32 si era portata sottocosta per mettersi in condizioni più favorevoli. Alle 01.50 essa avvistò il gruppo navale di testa che si trovava leggermente a sud di Kelibia e, nonostante un’avaria al timone prontamente riparata, diresse contro un cacciatorpediniere e poi, in lat. 36° 45’ nord, long. 11° 50’ est, contro il più importante bersaglio costituito dal piroscafo Glenorky [capitano G. Leslie], in quel momento illuminato dal fascio di un proiettore. Alle 02.15 il mercantile fu colpito sul fianco destro da due siluri lanciati da settecento metri dalla M. S.31. Con la sala macchine allagata e fortemente sbandato rimase immobile e venne abbandonato.
    Subito dopo le navi dell’avanguardia vennero attaccate dalla M.S. 26 [ST.V. Alberto Bencini] a circa sette miglia a sud di Ras Mustafà. Il piccolo scafo venne illuminato da luce di bengala mentre dirigeva contro un piroscafo e un cacciatorpediniere individuati sul lato sinistro. Le due navi inglesi aprirono un fuoco intenso e la motosilurante per sfuggire ai colpi si insinuò rapidamente in mezzo al convoglio defilando controbordo ad un piroscafo, con il quale scambiò raffiche di mitraglia. Oltrepassata questa nave Bencini individuò alla distanza di circa mille metri dalla prua la sagoma di un incrociatore della classe Arethusa e dopo averlo attaccato alle 02.20 da breve distanza con due siluri ebbe l’impressione di averlo colpito con entrambe le armi.
    Subito dopo il cacciatorpediniere Pathfinder, ‘una nave – disse l’ammiraglio Burrough – che era sempre al posto giusto nel momento giusto’, manovrò per speronare la M.S. 26 e la inquadrò con il proiettore e con il fuoco di tutti i pezzi. La piccola unità italiana, coprendosi con cortine di fumo e lasciando nella sua scia bombe di profondità, diresse verso la costa tunisina per portarsi al sicuro in una zona minata, manovra che portò a termine agevolmente dal momento che il cacciatorpediniere inglese abbandonò l’inseguimento per dedicarsi all’attenzione di una nuova motosilurante che aveva segnalato la sua presenza sulla rotta del convoglio.
    Si trattava ancora della M.S. 31 che, essendo rimasta senza siluri, si era messa dietro la formazione britannica seguendola e comunicandone i movimenti per radio. Nello stesso tempo si avvicinarono la M.S. 25 [TV Franco la Pera] e la M.S. 23 [ST.V. Giacomo Patrone] ma trovarono le unità nemiche in stato di completo allarme.
    La M.S. 25 avvistò alle 02.10 un grosso piroscafo a circa sette miglia a sud di Kelibia e nel portarsi all’attacco venne illuminata dai fasci di alcuni riflettori e presa di mira da intenso fuoco di atrtiglieria. Mentre tentava di allontanarsi avvistò un incrociatore contro il quale effettuò il lancio di un siluro da grande distanza senza successo. Subito dopo si disimpegnò lasciando cadere in mare le bombe di profondità per prevenire un inseguimento. La M.S. 23 non arrivò neppure al lancio.
    Intanto le unità di punta del convoglio avevano proseguito la loro rotta sotto la costa della Tunisia fino all’altezza del Banco Kurba. Malta distava ancora centottanta miglia quando alle 02.20 il Kenia
    Virò verso sud-est per passare a sud della montagnosa isola di Pantelleria. Dopo circa un quarto d’ora l’incrociatore avvistò sulla sinistra il Santa Elia che, al pari delle altre navi rimaste indietro, aveva seguito una rotta più diretta per ricongiungersi all’avanguardia, tagliando attraverso le zone minate. In tal modo anche il Port Chalmers, accompagnato dai cacciatorpediniere Penn e Bramhan, potè attraversare la zona pericolosa e recuperare parte del tempo perduto in precedenza.
    Alle ore 02.45 l’incrociatore Charybdis e i cacciatorpediniere Eskimo e Somali raggiunsero la testa della formazione portando all’ammiraglio Burrough un notevole incremento difensivo nel momento in cui il convoglio
    si inoltrava nella zona di agguato del Mas italiani della 20-a squadriglia.
    Fino a quell’istante il Fury, l’Icarus e l’Interepid, i cacciatorpediniere incaricati di dragare la rotta davanti al convoglio, non avevano potuto dare alle navi mercantili che seguivano quasi nessun aiuto, né lo poterono in seguito poiché costretti a mantenere la loro posizione prodiera in forzata inattività. Pertanto quando alle 03.10 il gruppo di piroscafi di testa, costituito dal Santa Elia e dal Wairangj, venne attaccato in lat. 36° 30’ nord, long. 11° 12’ est, dal Mas 552 [ST. V. Rolando Perasso], il Kenia, che guidava la fila, poco potè per evitare nuovi danni. L’incrociatore avvistò il Mas 552 e lo impegnò violentemente con le armi leggere. Il piccolo scafo però diresse decisamente contro il Wairangi [capitano R. Gordon] e lo colpì sul fianco destro a poppa con un siluro lanciato da una distanza di quattrocento metri. Il piroscafo, centrato nel locale macchine, si arrestò con la sala mortori allagata, leggermente sbandato sul fianco e invano l’equipaggio tentò di rimetterlo in moto. Alle 04.10 la nave trasmise con la radio il segnale di S.O.S. e poco dopo venne abbandonata.
    Quasi contemporaneamente in lat. 36° 30’ nord, 11° 15’ est, si volgeva l’azione delle due motosiluranti tedesche S.30 e S.36. Alle 02.20 esse avevano avvistato il nemico navigante verso sud alla velocità di tredici nodi, a circa venti miglia a sud di Ras Mahmur e si erano separate muovendosi all’attacco.
    La S.30 [STV Horst Weber] penetrò silenziosamente in mezzo alla formazione insinuandosi tra i cacciatorpediniere di scorta e alle 03.14, giunta a ottocento metri di distanza da un grosso, piroscafo di 10-12.000 tonnellate, lanciò due siluri uno dei quali fu visto colpire a proravia della plancia. La motosilurante rimase ferma per osservare l’effetto del siluro e ricaricò i tubi di lancio. Non potè tuttavia tentare altre azioni poiché la nave attaccata dette l’allarme lanciando un razzo giallo e trasmettendo segnali radio. Subito dopo da prima si accesero i bengala che illuminarono la S.30 e successivamente i proiettori di numerose unità di scorta. Centrata dal fuoco di armi di ogni genere la motosiliurante si disimpegnò sottraendosi anche all’inseguimento di un cacciatorpediniere che la tenne sotto tiro parecchi minuti.
    Nel frattempo la S.36, [STV Gunther Brauns] attaccava a lento moto un grosso cacciatorpediniere contro il quale lanciò una coppia di siluri che passarono vicini al bersaglio. La motosilurante ricaricò i tubi e alle 03.28 si avvicinò ad una petroliera di 8-10000 tonnellate. Sebbene illuminata dal fuoco delle unità di scorta che avevano percepito la minaccia lanciò un siluro dalla distanza di seicento metri e ritenne di aver raggiunto il bersaglio sotto il centro del castello. Subito dopo fu costretta a disimpegnarsi per sottrarsi alla reazione dei cacciatorpediniere della scorta.
    Alle 03.40 il Mas 554 [STV Marco Calcagno] attaccò in lat. 36° 30’ nord, long. 11° 25’ est. Approfittando di alcuni bengala che illuminarono improvvisamente la profonda oscurità della notte diresse contro il piroscafo americano Almeria Likes, che si trovava di poppa al cacciatorpediniere Somali, e da una distanza di cinquecento metri lanciò i due siluri, uno dei quali colpì il bersaglio a prora sul lato sinistro. L’esplosione aprì uno squarcio nella stiva numero uno dove si trovavano munizioni che fortunatamente non deflagrarono. Nondimeno la dinamo andò immediatamente fuori uso e cinque minuti dopo le macchine si fermarono. Alle 04.30 il comandante si vide costretto ad ordinare l’evacuazione.
    Contemporaneamente ai Mas della 20-a squadriglia avrebbero dovuto intervenire quelli della 18-ma. A partire dalle 01.30 e fino alle 04.00 essi avvistarono ad intervalli bagliori ed esplosioni dovuti al fuoco dell’artiglieria, ai fasci di proiettori e ai bengala, che si spostavano verso sud ed intercettarono segnali di scoperta lanciati dalle motosiluranti. Trovandosi a sud degli sbarramenti minati italiani 6AN e 6AN-bis e vedendo bagliori verso Capo Bon le unità della squadriglia si trovarono in posizione favorevole per intercettare il nemico diretto verso oriente in quanto il convoglio a causa delle zone minate sarebbe stato costretto ad attraversare la parte meridionale del settore di agguato. Invece di portarsi tra la costa della Tunisia e lo sbarramento 6AN-bis ove era probabile sarebbe passato il nemico in modo da favorire l’incontro, il capo flottiglia preferì rimanere con le sue unità passivamente nella zona occupata.
    Nonostante ciò il Mas 557 [GM Battista Cafiero] non si attenne all’imposizione e con lodevole iniziativa si spostò a circa quaranta miglia a sud-ovest di Pantelleria, ove alle 04.40 avvistò il piroscafo americano Santa Elisa. Constatato che la distanza non gli avrebbe permesso di poe4rtarsi in posizione favorevole al lancio manovrando con i soli motori ausiliari, il GM Cafiero non esitò a mettere in moto i motori principali, pur sapendo che il loro rumore avrebbe messo in allarme il nemico. Il Santa Elisa percepì la minaccia e quando poco dopo vide sbucare dall’oscurità, molto vicina e sul lato sinistro, la sagoma della motosilurante manovrò opportunamente schivando il siluro. Fra il piroscafo e il Mas 557 che lo oltrepassava di poppa ad alta velocità si svolse da prima un violento scambio di colpi di mitragliera, poi l’unità italiana tornò all’attacco dall’altro lato e alle 05.10 lanciò da breve distanza il secondo siluro che arrivò a segno a prora del mercantile determinando un forte scoppio e immediatamente dopo una fiammata alta dai centocinquanta ai duecento metri di colore giallo-azzurrognolo. Trasportando in massima parte benzina per aerei il Santa Elisa prese fuoco da una estremità all’altra. Parte dell’equipaggio ebbe appena il tempo di mettersi in salvo calando in mare tre imbarcazioni prima che le fiamme, insieme all’esplosione del carico di munizioni, trasformassero la nave in un rottame incandescente. Due ore più tardi i ventotto superstiti vennero raccolti dai cacciatorpediniere Penn e Bramham, rimasti arretrati per scortare il piroscafo Port Chalmers.
    Gli attacchi delle unità insidiose contro il convoglio in transito a sud di Pantelleria continuarono con intensità fino all’alba. Alle 05.00 il Mas 564 [N. II c. Giuseppe Iofrate] diresse contro il fianco sinistro del Rochester Castle [capitano Richard Wren] e da breve distanza lanciò un siluro che mancò il bersaglio. A questa azione e alla pronta reazione del piroscafo che aprì il fuoco con le mitragliere assistette la motosilurante germanica S.30, che aveva seguito il convoglio e attendeva l’occasione per attaccare eludendo i cacciatorpediniere di scorta. Il STV Weber si portò avanti sulla dritta del Rochester Castle e, fermate le macchine, lanciò due siluri. Con tale inosservata manovra, avvenuta alle 05.08 in lat. 36° 33’ nord, 11° 40’ est, il comandante della S.30 precedette un secondo attacco del Mas 564 ma non ebbe fortuna. Allorquando infatti circa due minuti più tardi si verificò lo0 scoppio seguito immediatamente da una immensa fiammata che avvolse completamente la nave attacata le armi della motosilurante avevano già percorso circa duemila metri e quindi una distanza molto maggiore di quella calcolata dal STV Weber per il lancio.
    Con ben altro esito si era svolto alle 05.10 il secondo attacco del Mas 564 che aveva aggirato il piroscafo con il favore dell’oscurità. Il Rochester Castle riuscì ad individuare l’unità attaccante nello stesso tempo in cui fu raggiunto sul fianco destro da un siluro che aprì uno squarcio in corrispondenza della stiva 3. Fortunatamente per la nave le paratie ressero, le macchine continuarono a funzionare e il piroscafo, pur con la prua notevolmente abbassata, potè continuare la sua rotta mantenendo l’elevata velocità di 13 nodi.
    Nel frattempo alle 05.08 un altro attacco era stato portato a compimento dal Mas 553 [TV Carlo Paolizza] in lat. 46° 28’ nord, long. 12° 00 est. Il piccolo scafo che di trovava qualche miglio più a levante del Mas 564 diresse contro un mercantile apprezzato per petroliera e ritenne di averlo colpito con un siluro sul fianco destro verso il centro dove scoppiò un incendio. Si trattò evidentemente di una osservazione errata poiché a quell’ora in quella zona non vennero affondate o danneggiate altre navi del convoglio.
    Alla stessa ora, quando ormai stavano apparendo ad oriente le prime luci dell’alba, andarono ancora all’attacco tre motosiluranti italiane.
    La prima fu la M.S. 31 che dopo aver silurato il Glenorky aveva seguito la lungo la testa del convoglio dei cui movimenti comunicò per circa quattro ore preziose informazioni. Avendo avvistato alle 05.15 due piroscafi ne attaccò uno da breve distanza lanciandogli contro, in mancanza di siluri, bombe di profondità. Il mercantile evitò le esplosioni accostando in fuori e comunicò la presenza della motosilurante ad un cacciatorpediniere che inseguì la M.S. 31 senza successo.
    Poco più tardi, alle 05.20, la M.S. 25 e la M.S. 23 attaccarono un piroscafo scortato da un cacciatorpediniere la cui presenza era stata segnalata dalla M.S. 16. Poiché a causa della sorgente luce dell’alba il lancio dei tre siluri venne effettuato da eccessiva distanza le armi non arrivarono a bersaglio.
    Sulla rotta del ritorno Pantelleria le due moto siluranti avvistarono un grosso piroscafo e una petroliera immobilizzati. La M.S. 23 aveva ancora un siluro ma il comandante non approfittò dell’occasione che gli si presentava di finire una di quelle navi in evidenti precarie condizioni di navigazione.


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    Nobis ardua

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    Sessant'anni fa la 'volpe del deserto' e la 'faina del deserto' si scontrarono in quella che doveva essere la 'battaglia decisiva' sul teatro di guerra del Mediterraneo... l'esito purtroppo lo conosciamo...

    Veniamo ora a parlare di quella che in fondo è la pagina più amara, la seconda battaglia di El-Alamein combattuta tra la fine di agosto e l'inizio di settembre del '42. Lì si è giocato l'ultimo 'asso' che avrebbe potuto ancora far volgere la partita a favore dell'Asse, non ha funzionato e da allora di 'assi' non ve ne sono stati più a disposizione...

    Che cosa è mancato?...

    Lascio a voi il compito di trovare la risposta e mi limito a riportare la cronaca degli avvenimenti di quei giorni...

    Quell’agosto del 1942 fu un mese denso di avvenimenti e di fondamentale importanza. Innanzitutto mentre una gigantesca tenaglia sembrava chiedersi sul Medio Oriente e le truppe tedesche e giapponesi cercavano, rispettivamente a Stalingrado e Guadalcanal lo sfondamento a sud-est, gli americani fecero sentire per la prima volta l’importanza della loro presenza nel conflitto e presero l’iniziativa. Il 7 agosto essi sbarcarono a Guadalcanal, dando così l’avvio ad una furibonda battaglia nella giungla [destinata a durare ben sei mesi] contro la 17-a armata giapponese del generale Haruyo Yakutake, che comprendeva 35.000 soldati.

    Sul teatro di guerra africano anche i britannici avevano manifestato la loro volontà di riprendere l’iniziativa. Dopo che il generale H.E.W. Gott, destinato ad assumere il comando dell’8-a armata, era stato abbattuto il 7 agosto da un caccia tedesco mentre si recava in aereo da Burg el-Arab al Cairo, i britannici posero al comando dell’armata un uomo di grandi capacità, Sir Bernard Law Montgomery.
    ‘Monty’ era stato appena nominato comandante della 1-a armata, in sostituzione di Sir Harold Alexander, quando l’8 agosto seppe per telefono che doveva assumere il comando dell’8-a armata. Ebbe appena il tempo di affidare il fido cane ad un amico che il 9 partì per l’Egitto, dove giunse il 12. Al quartier generale dell’8-a armata trovò un’atmosfera ‘deprimente, fosca e provvisoria’ e si decise perciò ad assumere il comando già il 13 con due giorni di anticipo. Alle 18.30 comunicò agli uomini del suo stato maggiore che l’era delle ritirate era finita. Il flemmatico inglese comprese però anche ciò che i suoi predecessori non avevano capito, e cioè l’importanza di creare un mito intorno alla propria persona per galvanizzare le proprie truppe , contrapponendo il basco storto agli occhialoni antisabbia di Rommel, divenendo così in breve il naturale antagonista della ‘volpe del deserto’, ovvero la ‘faina del deserto’. Quanto al superiore di Montgomery, Claude J. E. Auchinleck, che al contrario di Churchill non intendeva passare subito al contrattacco, fu sostituito al comando dello scacchiere levantino proprio da Sir Harold Alexander, coetaneo di Rommel. Quest’ultimo seppe instaurare un’ottima collaborazione con ‘Monty’ ed il suo stato maggiore… era il 15 agosto.
    El-Alamein è una stazioncina posta a metà strada tra Alessandria d’Egitto e Marsa Matruh, che prende il nome da un’altura detta Tel el-Alamein [‘collina delle cime gemelle’], situata tra la ferrovia e la costa. La località era servita negli anni prima della guerra come posto di ristoro e di pernottamento ai soldati britannici destinati alla guarnigione di Marza Matruh, che al tempo era raggiungibile solo attraverso una polverosa pista. Lo squallore del luogo era mitigato da una spiaggia incantevole da dove ci si poteva immergere in una azzurra acqua sub-tropicale che compensava tutte le asperità del deserto. Circa 28 miglia più a sud di El-Alamein vi è una località che si chiama Qaret el-Himeimat e subito più a sud di essa si apre la depressione di Qattara, una enorme conca salmastra posta a 60 metri sotto il livello del mare intransitabile per automezzi e carri armati e solo in alcuni punti attraversabile a dorso di cammello. Non si poteva pensare di aggirare la depressione poichè essa si estende fino all’oasi di Siva, e cioè a circa 250 km a sud della costa. Ciò voleva dire che o si sfondava ad El-Alamein o non vi era altra via per raggiungere il canale di Suez, obiettivo della ‘volpe del deserto’.
    Né vi era alternativa poiché tutto il mondo si stava coalizzando contro l’Asse. Nei giorni 22 e 28 agosto infatti anche il Brasile dichiarò guerra rispettivamente alla Germania e all’Italia.Occorreva assolutamente una vittoria sul campo. Accantonata ogni idea di ripiegamento Rommel decise di attaccare il 30 agosto e alle 22 lanciò quella che doveva essere l’offensiva finale. Gli obiettivi erano ambiziosi. La 21-a divisione corazzata avrebbe preso Alessandria d’Egitto mentre la 15-a divisione corazzata e la 90-a divisione leggera avrebbero raggiunto prima il Cairo[1] e poi Suez. Mussolini, che aveva categoricamente ordinato alle truppe italiane di compiere ogni sforzo per entrare prima dei tedeschi ad Alessandria, attendeva ormai solo di poter presenziare sul suo cavallo bianco alla parata della vittoria. Dopo di che l’armata corazzata Afrika avrebbe puntato su Gerusalemme e da qui, attraverso il deserto Siriano, su Bassora e sul Golfo Persico.

    A tutto questo però si opponeva ‘Monty’. La ‘faina del deserto’ aveva spostato subito il suo quartier generale verso la costa per essere più vicino al comando dell’Aviazione, ed aveva disposto la creazione di depositi nelle zone avanzate e la riorganizzazione delle forze in profondità, forze a cui non aveva lesinato munizioni, acqua e vettovagliamento. In breve aveva ridato fiducia alla 8-a armata e ciò che più conta aveva afferrato appieno la tattica di Rommel. Troppe volte sperimentata per non essere logora: puntare a sud verso il deserto, spinta profonda in direzione est e rapida conversione verso nord. Non gli sarebbe stato dunque molto difficile, sfruttando la superiorità di forze, parare e neutralizzare la mossa dell’avversario [2]. Per sovrappiù in questo ‘primo incontro’ egli venne favorito dall’astuzia e dalla fantasia del suo capo di stato maggiore, Francis De Guinguand, che, preparata una carta topografica truccata ove erano segnate false piste percorribili, errate zone di sabbia impraticabili per gli automezzi e finte posizioni di campi minati nel settore del XIII corpo d’armata, la fece cadere con abile stratagemma nella terra di nessuno in mano ai tedeschi che, prendendola per buona, se ne servirono in azione con conseguenze immaginabili.
    Partito all’attacco con 281 carri armati italiani e 234 tedeschi Rommel tentò di sorprendere il XXX corpo d’armata britannico [generale William H.C. Ramsden] ed il XIII [generale Brian G. Horrocks], entrambi forti di 712 carri armati. Perno della lotta fu quota 132, punto dominante della cresta di Alam el-Haifa, altura strategica su cui montgomery aveva piazzato una divisione. Già cinque ore dopo l’offensiva si arenò. Presi sotto il fuoco della 7-a divisione corazzata e dell’aviazione del deserto, parte dei carri dell’Asse finirono in campi minati non individuati e altri si insabbiarono su itinerari che erano stati segnalati sulla carta come praticabili. I rimanenti non riuscirono ad avanzare che di una quindicina di chilometri. Il 31 agosto il generale Walther Nehring, comandante dell’Afrika-Korps, rimase ferito in un attacco aereo e fu sostituito dal colonnello Fritz Bayerlein e poi nel corso della stessa giornata dal generale Gustav von Vaerst. Il 1° settembre lo stesso feldmaresciallo Rommel scampò per un pelo ad una attacco della RAF e il 3 settembre, vista l’impossibilità di sfondare, dovette sospendere l’offensiva e ripiegare sulle linee di partenza. L’armata corazzata Afrika lamentava 2865 uomini tra morti, feriti e dispersi, oltre a 56 carri perduti. Tra i morti vi era anche il generale Georg von Bismark, comandante della 21-a divisione corazzata che nel tentativo di raggiungere Alessandria era saltato su una mina. Tra i feriti il comandante della 90-a divisione leggera, colpito durante un attacco aereo. Dal canto suo l’8-a armata britannica lamentava la perdita di 1600 uomini tra morti, feriti e dispersi e la perdita di 68 carri. L’estrema offensiva di Rommel era stata bloccata da una poderosa barriera di ferro e fuoco e con ciò l’Asse aveva perso definitivamente la possibilità di vincere la guerra nel Mediterraneo. Ora non restava che arroccarsi sulle posizioni raggiunte ed attendere il giorno x che l’avversario, ormai superiore a dismisura e padrone dell’iniziativa, avrebbe presto o tardi fissato con comodo.

    [1]Come in Russia, anche in Egitto Napoleone fu più abile [o più fortunato] di Hitler, avendo occupato il Cairo il 24 luglio 1978.

    [2] Alla fine di luglio Rommel ricevette di rinforzo la divisione di paracadutisti italiana Folgore e la brigata paracadutisti tedesca Ramke, entrambe originariamente destinate all’operazione ‘C3’ contro Malta che poi era stata annullata. Entrambe vennero da lui impiegate come normali unità di fanteria mentre nel corso della battaglia di fine agosto ad El-Alamein un eventuale lancio di paracadutisti alle spalle delle linee difensive britanniche avrebbe potuto costituire una mossa a sorpresa di imprevedibili sviluppi. Essa avrebbe richiesto tuttavia una elasticità mentale che evidentemente alla ‘volpe del deserto’ in questa circostanza mancò del tutto.


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