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  1. #1
    Roderigo
    Ospite

    Predefinito Quel poliziotto che sapeva disobbedire

    Giovanni Palatucci, commissario di Ps, salvò 5000 ebrei: la prima biografia ufficiale
    Quel poliziotto che sapeva disobbedire


    Annibale Paloscia

    Il Viminale riconosce che la disobbedienza civile può essere una scelta anche per un poliziotto e onora quel dimenticato commissario di polizia che, opponendosi agli ordini e alle gerarchie, salvò 5000 ebrei dalla ferocia dei nazifascisti. E' una storia durata parecchi anni, dal 1938 al 1944. Il protagonista è Giovanni Palatucci, un poliziotto di Avellino, ritenuto dal regime negligente e inaffidabile. Al suo primo incarico di vice commissario a Genova è bollato dal questore come «funzionario scarsamente attaccato al servizio, assenteista, assiduo frequentatore di luoghi di divertimento, elemento che l'amministrazione della Ps perderà senza risentire alcuno svantaggio». Per punizione è trasferito a Fiume, porto di confine e sede di una antica comunità ebraica. Gli affidano l'ufficio stranieri che di fatto significa dedicarsi alla persecuzione degli ebrei, ai quali il regime aveva tolto la cittadinanza italiana.
    Giovanni Palatucci era entrato in polizia con la strana idea che quella professione gli avrebbe permesso di offrire aiuto a chi ne aveva bisogno. Al padre che lo voleva avvocato aveva risposto: «Io voglio aiutare la povera gente senza farmi pagare». Può sembrare un paradosso che sotto il fascismo un giovane generoso potesse pensare che solo facendo il poliziotto poteva essere utile ai più deboli, ma forse lavorando nella polizia era più facile avere un contatto con chi subiva ingiustizie e persecuzioni.

    A Fiume ad aver bisogno di aiuto sono gli ebrei, non solo quelli locali, ma quelli in fuga come un torrente di disperati dai nazisti e dagli Ustascia. Hanno una sola speranza: quel commissario che non ha mai obbedito alla direttiva del governo fascista di respingerli al confine e di consegnarli ai carnefici. Per anni, Palatucci ricorre ad astuzie d'ogni gener per mettere in salvo gli ebrei. Si mette intorno agenti e soldati che la pensano come lui e con il loro aiuto trasforma l'ufficio stranieri in una fabbrica di falsi documenti ariani per gli ebrei entrati a Fiume illegalmente. Le spie fasciste non riescono a procurarsi prove contro di lui e restano impotenti fino a quando arrivano arrivano le SS. Solo allora la delazione raggiunge il suo scopo.

    «Giusto tra le nazioni»
    Il merito di aver salvato 5000 ebrei è stato riconosciuto a Palatucci dal congresso mondiale delle comunità israelitiche, svoltosi a Londra nel '45. Gli sono state intitolate una strada e una foresta nella città israeliana di Ramat Gan per iniziativa di quattrocento israeliani che grazie al suo aiuto poterono scampare al massacro e rifugiarsi in Palestina. Nel museo dell'olocausto di Tel Aviv il suo nome è ricordato con l'appellativo di «Giusto fra le Nazioni». L'Italia lo ha ignorato per cinquant'anni. Negli archivi del Viminale il suo nome era ricordato solo nell'archivio della sezione disciplinare. Nel 1998, dopo un libro di uno storico istriano dedicato a Palatucci, finalmente il Viminale, ha costituito un gruppo di lavoro col compito raccogliere le testimonianze di famiglie ebree e di ricostruire la biografia di quel commissario. Il frutto è un volume edito dal Dipartimento della Ps col titolo Giovanni Palatucci il poliziotto che salvò migliaia di ebrei. Il libro ha una buona ambientazione storica. Il profilo di Palatucci, presentato attraverso molti dettagli, è quello di un poliziotto consapevole di essere alle dipendenze dello Stato fascista, ma che rifiuta l'etica di quello Stato, e mette sempre il valore della coscienza al di sopra della passiva obbedienza agli ordini: la sua disobbedienza non é un rifiuto della responsabilità, anzi è l'unico funzionario di polizia che quando arrivano i tedeschi a Fiume avverte la responsabilità di rimanere al suo posto perché è il solo modo per continuare ad aiutare gli ebrei. E sa che cosa
    rischia. E' un fatto positivo che questo modello di poliziotto democratico non sia più un'identità perduta dalla Ps, che sia recuperato e reso visibile dopo i fatti di Napoli e di Genova che hanno oscurato i tassi di democraticità della polizia. In questo senso c'è già un segnale significativo: contemporaneamente al libro del Viminale, è stato pubblicato Per non dimenticare Giovanni Palatucci, una raccolta di contributi storici curata dal vice questore Ennio Di Francesco, che fu attivissimo negli anni Settanta nel movimento di democratizzazione della polizia.

    L'ufficialità del testo edito dal dipartimento della Ps è suggellata da una presentazione bipartisan del cardinale Ruini e del presidente delle comunità israelitiche Amos Luzzato. Per la chiesa Giovanni Palatucci, che aveva in famiglia tre sacerdoti tra cui uno vescovo, fu un martire cattolico e come tale merita la beatificazione (la procedura è già stata avviata). Per Luzzatto Palatucci fu «un fratello» degli ebrei che si sacrificò per salvare migliaia di vittime innocenti, tra le quali la sua fidanzata che era una musicista ebrea sfuggita alla caccia degli Ustascia.

    Lo zio vescovo
    Non sappiamo quanto influì la fede cattolica sulle scelte di Palatucci, ma è certo che lui ebbe un legame importante con lo zio vescovo, uno dei più importanti personaggi della chiesa in Campania. E' possibile che le relazioni dello zio Vescovo lo abbiano messo al riparo dall'esser cacciato dalla Ps finché a guidare la polizia fascista fu il clan dei campani. Il capo della polizia era di Benevento e il suo vice di Napoli. Di certo quello zio era un pio francescano che considerava anticristiane tanto le leggi razziali del fascismo che le feroci persecuzioni naziste. Di continuo inviava caparbie lettere al Papa e al capo della polizia chiedendo misure meno afflittive per i profughi che il nipote da Fiume incanalava con mille trucchi verso l'Italia.

    Quando ai vertici della polizia cessò l'egemonia del clan dei campani, su denuncia dei fascisti di Fiume, il Viminale catapultò un ispettore nell'ufficio del commissario che ormai si era preso la fama di protettore degli ebrei. Il giudizio dell'ispettore, dopo aver trascorso nella questura di Fiume l'intera giornata del 23 luglio 1943, fu devastante. Scrisse nella relazione che non aveva trovato un solo fascicolo in ordine e che Palatucci aveva reso «praticamente inefficiente il servizio stranieri». Degli ebrei non c'era praticamente traccia. Erano rimasti solo nomi di quelli che avevano lasciato l'Italia da parecchi anni. Quel caos era stato architettato da Palatucci lucidamente, per far sparire ogni indicazione sugli ebrei che ancora risiedevano a Fiume. Due giorni dopo cadde Mussolini e l'ispezione non ebbe seguito. Ma arrivarono i nazisti e per il commissario «fratello» degli ebrei cominciarono i giorni più drammatici.

    Palatucci prende contatti con la Resistenza che in codice lo chiama «dottor Danieli» e rafforza la rete dei rifugi clandestini. Come responsabile dell'ufficio stranieri ha accesso ai programmi dei servizi di vigilanza nazisti, conosce mappe e orari, e se ne vale per trovare varchi via terra e via mare per mettere in salvo gli ebrei. La polizia tedesca, come sempre lavora di routine: sospetta che moltissimi ebrei abbiano arianizzato il nome e per rintracciarli manda all'anagrafe di Fiume i suoi segugi che con un lavoro lungo e metodico sui cartellini anagrafici riescono a identificare le case e le proprietà ebraiche. Palatucci prende le contromisure, si fa indicare dai funzionari dell'anagrafe tutti i cartellini che i tedeschi si sono portati via. Il seguito lo racconterà dopo cinquant'anni ai biografi del Viminale l'ebrea fiumana Miria Tramontina: «Palatucci, sfruttando al sua posizione istituzionale, era diventato una sorta di detective alla continua ricerca delle mosse che le autorità naziste predisponevano per scoprire le abitazioni degli ebrei non solo a Fiume, ma anche nei dintorni. Dopo che aveva quelle notizie lui stesso, accompagnato per dare meno nell'occhio dalla direttrice dell'opera Maternità e Infanzia, si recava di sera a casa di chi era stato segnalato e, nel volgere massimo di mezz'ora, giusto il tempo per raccogliere le poche cose indispensabili, metteva in fuga intere famiglie». I tedeschi dopo aver fatto l'accurato lavoro preparatorio predispongono la grande retata, ma sono beffati. Fiume è l'unica città dell'Europa occupata dai nazisti dove una retata pianificata con molto zelo va completamente a vuoto. Neppure un'ebreo cade nelle mani dei carnefici.

    La compagna ebrea
    Per Palatucci ormai spira brutta aria. Il console svizzero a Fiume viene a sapere che la polizia tedesca, imbeccata dalle spie naziste, lo ha messo nel mirino e lo avverte. Gli raccomanda di sparire in fretta e offre a lui e alla sua compagna ebrea Mika un salvacondotto per la Svizzera. Il nord est è ormai una provincia del terzo Reich, ma Palatucci come commissario di polizia della Repubblica sociale ha ancora libertà di movimento. Arriva con Mika a Milano, da lì raggiungono il confine svizzero. Potrebbero fare insieme l'ultimo passo verso la salvezza, ma lui rimane sul suolo italiano. Si separano. Mika racconterà poi che lui le disse semplicemente: «Torno a Fiume, perché là sono rimasto solo a proteggere gli ebrei».

    Pochi giorni dopo è di nuovo al suo posto. Ormai è lui a reggere la questura di Fiume perché tutti gli altri funzionari si sono dati alla macchia. Il 13 settembre 1944 la polizia nazista lo arresta con l'accusa di intese col nemico. L'ordine è firmato dal boia delle Ardeatine Herbert Kappler, che ora dirige il comando delle SS a Fiume. Dopo un processo farsa Palatucci è deportato a Dachau dove muore il 10 febbraio 1945.

    Liberazione13 agosto 2002
    http://www.liberazione.it

  2. #2
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    Predefinito Valori che continuano

    "Ribellione, forza vindice della Ragione!", diceva Carducci. Una ribellione che diviene forza vendicatrice della ragione, del buon senso, che diviene vendicatrice di giustizia.
    La ribellione come moda non serve a nulla, quella descritta dal compagno Paloscia (e che è stata anche tradotta in una fiction che avevo visto su Rai Uno, l'attore che interpretava Palatucci era Sebastiano Somma) è la vera ribellione, come lu fu quella di Antonio Gramsci, come lu fu quella di Sacco e Vanzetti e di tanti altri che patirono con la vita le scelte coerenti di una vita.
    Come Salvador Allende, Patrice Lumumba, Franco Serantini...e tanti tanti altri.
    Ridiamo alla ribellione il suo vero significato, quello della coerenza ideale, politica, sociale, filosofica, per combattere un altro modo di fare società. Per combattere questo capitalismo totalizzante che annichilisce i diritti di miliardi di persone, che le schiavizza, che le disorienta in un percorso di vita che dovrebbe essere limpido e armonico.

    Un saluto comunista.

    Marco

    www.geocities.com/prcsvcentro

    www.geocities.com/rossebandiere

 

 

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