...ebraica riesca a far sparire per sempre il romanzo di William Shakespeare: IL MERCANTE DI VENEZIA
potrete salvarne la copia sul vostro HD
================================
1 PARTE
===========
William Shakespeare
IL MERCANTE DI VENEZIA
PERSONAGGI
Il Doge di Venezia
Il Principe e il Principe di Aragona, pretendenti di Porzia
Antonio, mercante di Venezia
Bassanio, suo amico, pretendente di Porzia
Graziano, Solanio e Salerio, amici di Antonio e di Bassanio
Lorenzo, amante di Gessica
Shylock, ricco ebreo
Lancillotto gobbo, buffone, servo di Shylock
Leonardo, servo di Bassanio
Baldassarre e Stefano, servi di Porzia
Porzia, ricca ereditiera
Nerissa, sua cameriera
Gessica, figlia di Shylock
Magnati di Venezia, Ufficiali della Corte di Giustizia, un carceriere, servi di Porzia e latri domestici
Scena: parte a Venezia e parte a Belmonte, la dimora di Porzia, sulla terraferma
ATTO PRIMO
SCENA PRIMA - Venezia. Una strada
(Entrano ANTONIO, SALERIO e SOLANIO)
ANTONIO: Non so davvero il perché della mia tristezza. Essa mi stanca e, a quel che dite, stanca pure voi, ma ho ancora da sapere come l'ho presa o trovata, o come me la sono procurata, di che sostanza sia è donde sia nata. E' una tristezza che mi rende tanto stupido che stento a riconoscermi.
SALERIO: Il vostro pensiero ondeggia sull'oceano dove le vostre ragusee dalle vele maestose, simili a signori e a ricchi borghesi dei flutti, o in certo modo, simili a ricchi carri trionfali del mare, guardano dall'alto i piccoli trafficanti che ad esse s'inchinano e fanno reverenza quando filano loro da presso con le ali intessute.
SOLANIO: Credetemi, messere, se io avessi avventurate sul mare tante mercanzie, la miglior parte dei miei sentimenti errerebbe lontano di qua insieme con le mie speranze. Sarei continuamente a strappar dei fili di erba per conoscere da che parte spira il vento e a consultar sulle carte i porti, i moli, gli ancoraggi; e tutto ciò che mi potesse far temere una disgrazia per le mie mercanzie mi renderebbe indubbiamente triste.
SALERIO: Il mio soffio per raffreddarmi il brodo mi darebbe i brividi della febbre quando pensassi alla rovina che un vento troppo forte può produrre in mare. Non potrei vedere scorrere la rena in un orologio a polvere senza pensare a bassifondi e a banchi di sabbia, e senza vedere il mio "Andrea" dal ricco carico incagliato nell'arena, con l'albero maestro inclinato più basso delle sue costole, per baciare la sua tomba. Come potrei recarmi alla chiesa e veder le pietre del sacro edificio senza pensar subito a rocce pericolose che, toccando appena il fianco della mia leggiadra nave, ne disperdessero tutte le spezie sulle acque e rivestissero delle mie sete le mugghianti onde? senza pensare, in una parola sola, che essa poco prima vale tanto e poi, subito dopo più nulla? Potrei stare in pensiero e pensare a tutto ciò e non avere il pensiero che l'avverarsi di un simile fatto mi renderebbe triste? No, non mi dite altro: io so che Antonio è triste perché pensa alle sue mercanzie.
ANTONIO: No, ve l'assicuro, e ne ringrazio la mia sorte, le mie merci non sono affidate a una sola nave, né destinate a un sol luogo, e tutta la mia ricchezza non dipende dalla fortuna di quest'anno. Non sono dunque le mie mercanzie che mi rendono triste.
SALERIO: Ebbene, allora siete innamorato.
ANTONIO: Eh via!
SALERIO: Neppure innamorato? Allora diciamo che siete triste perché non siete allegro e vi sarebbe ugualmente facile ridere e saltare e dire che siete allegro perché non siete triste. Ebbene, per Giano bifronte, la natura, da che esiste, ha formato dei curiosi esseri:
alcuni che possono, guardando attraverso i loro occhi socchiusi, ridere sempre come i pappagalli alla vista di un suonatore di zampogna, ed altri di così inacidito aspetto che non mostrerebbero i loro denti in sogghigno, neppure se Nestore giurasse che la facezia era da ridere.
(Entrano BASSANIO, LORENZO e GRAZIANO)
SOLANIO: Ecco viene a questa volta Bassanio, il vostro nobile congiunto, insieme con Graziano e Lorenzo. A rivederci: vi lasciamo in miglior compagnia.
SALERIO: Sarei rimasto finché vi avessi fatto diventare di buon umore, se amici più degni non mi avessero prevenuto.
ANTONIO: Apprezzo grandemente i vostri meriti, ma, capisco: vi reclamano i vostri affari e voi cogliete quest'occasione per andarvene.
SALERIO: Buon giorno, miei cari signori.
BASSANIO: Cari signori tutti e due, quando staremo un po' insieme allegramente? Rispondete, quando? Voi diventate troppo degli estranei.
Dovete proprio andarvene?
SALERIO: Faremo in modo che il nostro tempo libero si metta a disposizione del vostro.
(Escono Salerio e Solanio)
LORENZO: Caro signor Bassanio, dacché avete trovato Antonio, noi due vi lasceremo; ma all'ora del pranzo, ricordatevi, vi prego, dove dobbiamo ritrovarci.
BASSANIO: Non mancherò.
GRAZIANO: Avete cattiva cera, signor Antonio; date troppa importanza alle cose del mondo. Chi le compra con troppa cura le perde.
Credetemi, siete straordinariamente cambiato.
ANTONIO: Io considero il mondo per quello che il mondo è, Graziano: un teatro dove ognuno deve rappresentare una parte, e la mia è una parte seria.
GRAZIANO: Lasciate che io vi rappresenti invece quella del buffone!
Che le rughe della vecchiaia arrivino in compagnia dell'allegria e del riso, e che il mio fegato si riscaldi col vino piuttosto che il mio cuore si agghiacci con gemiti che danno la morte. Perché un uomo, nelle cui vene il sangue bolle, dovrebbe starsene, come suo nonno, scolpito nell'alabastro? dormire quando è sveglio e cadere nell'itterizia a furia di essere bisbetico? Ti assicuro, Antonio (ti amo, ed è l'amore che mi fa parlare), che c'è una specie di uomini il cui volto fa il panno e si vela come un'acqua stagnante, e che si mantengono in un ostinato silenzio col proposito di acquistarsi una fama di saggezza, di gravità e di profondità di pensiero, come se dicessero: "Io sono il signor Oracolo, e quando apro la bocca, guardate che nessun cane abbai". Ne conosco, Antonio, di quelli che sono reputati savi soltanto perché non dicono nulla, mentre sono sicuro che se parlassero farebbero quasi dannare i loro ascoltatori che, udendoli, chiamerebbero stupidi questi loro fratelli. Ma intorno a ciò parlerò a lungo un'altra volta. Tu non pescare con l'amo della malinconia lo stupido ghiozzo di una stima così fatta. Andiamo mio buon Lorenzo. Addio, per ora. Finirò la mia predica dopo pranzo.
LORENZO: Bene, vi lasceremo dunque sino all'ora del pranzo. Io sono costretto a diventare uno di questi tali muti sapienti, perché Graziano non mi lascia mai parlare.
GRAZIANO: Sicuro! Resta in mia compagnia ancora per due anni e tu non conoscerai più il suono della tua voce.
ANTONIO: A rivederci. Diventerò un chiacchierone per la circostanza.
GRAZIANO: Ve ne sarò grato davvero, perché il silenzio è commendevole soltanto in una lingua di bue seccata e in una ragazza che non si vende. (Escono Graziano e Lorenzo)
ANTONIO: C'è un qualche senso in tutto ciò?
BASSANIO: Graziano dice un'enorme quantità di inezie, più che qualsiasi uomo in tutta Venezia. Le sue idee sono come due chicchi di grano nascosti in due staia di pula. Si deve cercare un'intiera giornata prima di trovarle e quando si sono trovate, non valeva la pena che fossero cercate.
ANTONIO: Dunque, ditemi ora chi è la signora a cui avete fatto giuramento di un segreto pellegrinaggio, quella di cui m'avete promesso di parlarmi oggi.
BASSANIO: Voi sapete bene, Antonio, quanto io abbia dissestato il mio patrimonio ostentando un tenore di vita più fastoso di quanto i miei deboli mezzi non potessero a lungo consentire. E non mi lamento ora di essere costretto a troncare un così grandioso stile, ma la mia cura principale è di trarmi fuori onorevolmente dai debiti nei quali la mia gioventù soverchiamente prodiga mi ha impigliato. A voi, Antonio, debbo assai di danaro e di affetto, e dal vostro affetto mi viene la fiducia di rivelarvi le mie intenzioni e i disegni del come mi voglio liberare di tutti i debiti che ho contratti.
ANTONIO: Ve ne prego, caro Bassanio, mettetemi al corrente di tutto, e se la cosa resta nei limiti dell'onore, come vi restate sempre voi stesso, siate sicuro che la mia borsa, la mia persona e i miei estremi mezzi sono tutti a disposizione delle vostre richieste.
BASSANIO: Nel tempo in cui andavo a scuola, allorché perdevo una freccia, ne scoccavo una seconda della stessa portata nella medesima direzione, con più circospetta attenzione, per ritrovare la prima, e, arrischiandone due, spesso le ritrovavo entrambe. Ricordo questa esperienza della mia fanciullezza perché ciò che viene ora è anch'esso pura fanciullaggine. Io vi devo molto; ma, come un ragazzo caparbio, ho perduto tutto ciò che vi devo. Ora se vi piacesse scoccare un'altra freccia nella medesima direzione in cui scoccaste la prima, sono sicuro che, stando bene attento al punto di arrivo o le ritroverò tutte e due, o vi riporterò quella che avete arrischiata da ultimo, e vi resterò grato debitore della prima.
ANTONIO: Voi mi conoscete bene e perdete soltanto del tempo nel rivolgervi al mio affetto con queste circonlocuzioni. Certamente mi fate più torto a dubitare che io non voglia fare per voi tutto ciò che posso, che se aveste scialacquato tutto il mio avere. Ditemi soltanto che cosa dovrei fare che voi crediate che da me si possa, e sono subito a vostra disposizione. Parlate dunque.
BASSANIO: A Belmonte vive una dama, ricca ereditiera. Essa è bella, e, ciò che è più bello ancora, di meravigliosa virtù. In passato ho ricevuto dai suoi occhi dolci e muti messaggi. Il suo nome è Porzia, per nulla inferiore alla figlia di Catone, la Porzia di Bruto. Il vasto mondo non ignora i meriti di lei, poiché i quattro venti spingono colà, col loro soffio, da ogni spiaggia illustri corteggiatori. I suoi riccioli color di sole le cadono sulle tempie come un vello d'oro; il che fa della sua residenza di Belmonte un lido di Colco, e molti Giasoni vanno alla conquista di lei. O mio Antonio, se potessi avere i mezzi di prendere una posizione di rivale di fronte a uno di essi l'animo mi presagisce un tale successo che io potrei essere senza dubbio fortunato.
ANTONIO: Tu sai che tutte le mie ricchezze sono in mare, e io non ho né danaro né mercanzia per approntare subito una somma. Perciò mettiti in giro e prova quel che il mio credito può ottenere in Venezia. Esso sarà forzato sino all'estremo per fornirti i mezzi d'andare a Belmonte dalla bella Porzia. Va', informati subito, come farò anch'io, dove c'è del danaro, e io non dubito di ottenerlo o in forza del mio credito o per riguardo alla mia persona. (Escono)
SCENA SECONDA - Belmonte. Una stanza nella casa di Porzia
(Entrano PORZIA e NERISSA)
PORZIA: Parola d'onore, Nerissa, il mio piccolo corpo è stanco di questo gran mondo.
NERISSA: Dovreste essere stanca, buona signora, se le vostre disgrazie fossero nella stessa misura delle vostre fortune. Tuttavia a quanto vedo, coloro che sono sazi del troppo si ammalano al pari di quelli che non possono riempirsi di nulla. Perciò non è mediocre felicità essere in una mediocre posizione. La superfluità fa più presto i capelli bianchi, mentre la mera sufficienza vive più a lungo.
PORZIA: Buone massime e ben dette.
NERISSA: Sarebbero migliori se fossero ben seguite.
PORZIA: Se l'opera fosse così facile come il conoscere ciò che è bene di fare, le cappelle sarebbero diventate delle chiese e le abitazioni dei poveri dei palazzi principeschi. E' un buon sacerdote colui che segue i propri precetti. Io potrei più facilmente insegnare a venti persone ciò che sarebbe bene fare, anziché essere io una di quelle venti e seguire i precetti miei. Il cervello può formulare delle leggi per il sangue, ma un carattere ardente balza al di là di un freddo decreto, e quella pazzia che si chiama giovinezza è come una lepre che spicca un salto al di sopra delle reti di quello zoppo che è il buon consiglio. Ma questi discorsi non sono il mezzo adatto per scegliermi un marito. Ahimè! questa parola "scegliere"! Io non posso né scegliere colui che vorrei, né rifiutare colui che mi dispiace: tale è la volontà di una figlia viva, imbrigliata dall'ultima volontà di un padre morto. Non è forse duro, Nerissa, che io non possa né scegliere né rifiutare alcuno?
NERISSA: Vostro padre fu sempre virtuoso; e gli uomini pii hanno, sul punto di morte, delle buone ispirazioni; e da esse gli è venuta l'idea della lotteria di questi tre scrigni, d'oro, d'argento e di piombo, fra i quali chi sceglie secondo le sue intenzioni sceglie voi: senza dubbio voi non sarete mai giustamente scelta se non da uno che sa veramente amare. Ma c'è nel vostro animo qualche simpatia per alcuno di questi principeschi pretendenti che sono già arrivati?
PORZIA: Ti prego, ripetimi i loro nomi. Via via che tu li enumeri te li descriverò, e, a seconda della mia descrizione, indovina la mia simpatia.
NERISSA: Prima c'è il principe napoletano.
PORZIA: Già, quello si che è come un puledro non scozzonato, perché non fa altro che parlare del suo cavallo, e considera una grande aggiunta agli altri suoi meriti quello di saperlo ferrare da sé. Ho paura che la signora sua madre abbia trescato con un maniscalco.
NERISSA: Poi c'è il conte Palatino.
PORZIA: Egli non fa che aggrottare le ciglia come uno che dica: "se non mi volete, fate il piacer vostro". Ascolta delle storielle allegre e non ride mai. Temo che invecchiando diventerà il filosofo che piange, se in gioventù è pieno di così grossolana gravità. Vorrei piuttosto essere la moglie di una testa di morto con un osso in bocca, anziché quella dell'uno o dell'altro. Dio mi protegga da questi due!
NERISSA: Che cosa dite del signore francese, monsieur Le Bon?
PORZIA: Dio l'ha creato, e perciò consideriamolo pure come un uomo.
Veramente so che il motteggiare è un peccato. Ma lui! Ha un cavallo migliore di quello del Napoletano e la cattiva abitudine di aggrottare le ciglia è in lui migliore di quella del conte Palatino. E il signor tutti senza essere nessuno Se un tordo fischia si mette a far le capriole e sarebbe capace di battersi con la propria ombra. Sposando lui sposerei venti mariti. Se egli mi trattasse con disprezzo gli perdonerei, ché se mi amasse alla follia non potrei mai ripagarlo di egual moneta.
NERISSA: E per Falconbridge, il giovane barone d'Inghilterra, che cosa dite?
PORZIA: Sai che non gli dico nulla, perché egli non capisce me e io non capisco lui. Non parla né latino, né francese, né italiano, e tu potresti venire a giurare in tribunale che io possiedo appena un misero soldo d'inglese. E' un bel ritratto di un uomo; ma, ahimè, chi può conversare con un personaggio da pantomima? Come è vestito buffo!
Credo che abbia comprato il giustacuore in Italia, le brache a sboffo in Francia, il cappello in Germania e le maniere un po' da per tutto.
NERISSA: Che pensate del signore scozzese, suo prossimo vicino?
PORZIA: Che egli è pieno di carità del prossimo: perché ha preso in prestito un ceffone dall'Inglese e ha giurato di renderglielo quando potrà. Credo che il Francese abbia data sicurtà per lui, e gli abbia garantita la restituzione.
NERISSA: E come vi piace il giovane tedesco, il nipote del duca di Sassonia?
PORZIA: Detestabile al mattino quando è in sé, detestabilissimo nel pomeriggio quando ha bevuto. Quando è nei suoi momenti migliori è un po' peggio di un uomo, quando è nei peggiori è poco meglio di una bestia. Se mi capitasse il peggior caso che mai possa capitare, spero di trovare il modo di liberarmi di lui.
NERISSA: Se egli si offrisse di tentar la scelta e scegliesse lo scrigno giusto, voi, rifiutando di accettarlo, rifiutereste di adempiere alla volontà di vostro padre.
PORZIA: E' perciò che, per paura del peggio, ti prego di mettere un bicchiere colmo di vino del Reno sullo scrigno non giusto; perché se dentro di esso fosse il diavolo e, fuori, quella tentazione, sono sicura che egli sceglierebbe quello. Farò di tutto, Nerissa, prima di dover sposare una spugna.
NERISSA: Non c'è bisogno che temiate, madonna, di dover prendere alcuno di questi signori. Essi mi hanno avvertita della loro decisione, che è proprio quella di tornarsene alle loro case e di non importunarvi più con la loro corte, a meno che non vi si possa guadagnare con qualche altro mezzo che non sia la condizione imposta da vostro padre in dipendenza degli scrigni.
PORZIA: Dovessi vivere sino a diventar vecchia come la Sibilla, morirò casta come Diana, se non sarò conquistata nel modo indicato dal testamento di mio padre. Sono contenta che questa mandata di pretendenti sia così ragionevole, perché non ce n'è uno fra essi che io non mi strugga di saper lontano, e prego Dio che conceda loro un buon viaggio.
NERISSA: Non vi ricordate, signora, a tempo di vostro padre, di un Veneziano, uomo di lettere e soldato, che venne qui in compagnia del marchese del Monferrato?
PORZIA: Certamente; era Bassanio.... Così mi pare che si chiamasse.
NERISSA: Precisamente, signora. Egli era di tutti gli uomini su cui si posassero i miei umili sguardi quello che più d'ogni altro era degno di una bella signora.
PORZIA: Me lo ricordo bene, e mi ricordo che è degno della tua lode.
(Entra un Servo)
Ebbene, che notizie?
SERVO: I quattro forestieri chiedono di voi per prendere congedo; e v'è un corriere che viene da parte di un quinto, il principe del Marocco, il quale annunzia che il principe, suo signore, sarà qui questa sera.
PORZIA: Se potessi al quinto dare il benvenuto di così buon animo come do agli altri l'addio, sarei contenta del suo arrivo. Avesse egli l'indole di un santo, ma l'aspetto di un diavolo, preferirei averlo per pio conforto anziché per mio consorte. Vieni, Nerissa, e voi, giovanotto, precedeteci. Mentre chiudiamo l'uscio dietro un pretendente eccone un altro che picchia alla porta. (Escono)
SCENA TERZA - Venezia. Una piazza
(Entrano BASSANIO e SHYLOCK)
SHYLOCK: Tremila ducati.... Sta bene.
BASSANIO: Per l'appunto, signore; per tre mesi.
SHYLOCK: Per tre mesi.... Sta bene.
BASSANIO: Per i quali, come vi dicevo, Antonio resterà garante.
SHYLOCK: Antonio resterà garante. Sta bene.
BASSANIO: Potete aiutarmi? Volete farmi questo piacere? E' possibile sapere la vostra risposta?
SHYLOCK: Tremila ducati per tre mesi e la garanzia di Antonio.
BASSANIO: Vi chiedo una risposta.
SHYLOCK: Antonio è buono.
BASSANIO: Avete udito qualche voce in contrario?
SHYLOCK: Ah no, no, no, no! La mia intenzione nel dire che egli è buono è di farvi comprendere che egli è benestante. Tuttavia la sua fortuna è alquanto ipotetica. Egli ha una ragusea in rotta per Tripoli, un'altra per le Indie. Ho saputo inoltre a Rialto che ne ha una terza al Messico e una quarta diretta in Inghilterra: e altre mercanzie alla ventura sparse qua e là per il mondo. Ora le navi non sono che tavole e i marinai non altro che uomini. Vi sono topi di terra e topi d'acqua, ladri d'acqua e ladri di terra, voglio dire pirati, e poi c'è il pericolo delle onde, dei venti, degli scogli. La persona è, ad onta di tutto ciò, benestante. Tremila ducati.... Credo di poter accettare la sua garanzia.
BASSANIO: State certo che potete.
SHYLOCK: Voglio esser sicuro di potere, e, per assicurarmene meglio, voglio pensarci su. Posso parlare ad Antonio?
BASSANIO: Se vi piacesse di venire a pranzo con noi.
SHYLOCK: Già; per sentire l'odore del porco e mangiare di quel ricettacolo nel quale il vostro profeta, il Nazareno, fece con esorcismi entrare il diavolo! Io voglio, sì, fare con voi operazioni di compra e di vendita, parlare con voi, passeggiare con voi, e via di seguito; ma non voglio né mangiare con voi, né bere con voi, né pregare con voi.. Che notizie ci sono a Rialto? Chi viene da queste parti?
(Entra ANTONIO)
BASSANIO: E' il signor Antonio.
SHYLOCK (a parte): Come somiglia tutto a uno strisciante pubblicano!
Io l'odio perché è un cristiano, ma assai più perché nella sua sciocca umiltà presta il danaro gratis e fa diminuire, da noi in Venezia, il saggio dell'interesse. Ma se posso una volta o l'altra mettermelo sotto, voglio saziare il vecchio rancore che gli porto. Egli odia il nostro santo popolo e parla, proprio là, dove è il maggior convegno dei mercanti, ingiuriosamente di me, dei miei affari e dei miei guadagni fatti lecitamente, che egli chiama usura. Sia maledetta la mia razza se gli perdono.
BASSANIO: Shylock, mi state a sentire?
SHYLOCK: Sto facendo il conto di quanto tengo in cassa e, da un calcolo approssimativo che faccio a memoria, non posso subito mettere insieme tutta la somma di tremila ducati. Ma che importa? Tubal, un ricco ebreo della mia tribù, me li procurerà. Ma adagio.... Quanti mesi desiderate? (Ad Antonio Dio vi prosperi, mio buon signore.
L'ultima persona che avevamo sulle labbra era Vossignoria.
ANTONIO: Shylock, quantunque io non presti né contragga prestiti, prendendo o dando a interesse, tuttavia per sopperire agli urgenti bisogni del mio amico, farò uno strappo alla mia abitudine. (A Bassanio E' già informato di quanto desiderate?
SHYLOCK: Sì, sì: tremila ducati.
ANTONIO: E per tre mesi.
SHYLOCK: Non me ne ricordavo più. Tre mesi... Così mi avete detto.
Bene!... E con la vostra garanzia. Vediamo un po'... Ma ascoltatemi.
Mi pare che abbiate detto che voi non prendete e non date a prestito con interesse.
ANTONIO: Non ho mai avuto quest'abitudine.
SHYLOCK: Quando Giacobbe conduceva al pascolo il gregge di suo zio Labano... Questo Giacobbe, a cominciare dal nostro santo Abramo, in grazia di ciò che sua madre fece per avvantaggiarlo, fu il terzo proprietario... Sicuro, fu il terzo.
ANTONIO: E che c'entra lui? Prestava a interesse?
SHYLOCK: No, non prestava a interesse; non precisamente a interesse, come direste voi. Ecco ciò che faceva Giacobbe. Dopo che egli e Labano convennero insieme che tutti gli agnellini vergati e vaiolati andrebbero come salario a Giacobbe, alla fine dell'autunno, le pecore, essendo in caldo, furono menate ai montoni. Mentre si compiva l'atto della generazione fra quei lanosi genitori, l'avveduto pastore prese delle verghe verdi e le scorzò e, nell'istante che si compiva l'atto di natura, le piantò ritte dinanzi alle pecore in calore le quali, concependo in quel punto, quando venne il tempo di figliare, partorirono agnelli vergati, e questi erano di Giacobbe. Questo era un modo di crescere in facoltà, ed egli fu benedetto: e il guadagno è una benedizione quando gli uomini non lo rubano.
ANTONIO: Ma ciò per cui Giacobbe prestava il suo servizio era, signor mio, un rischio, una cosa che non era in suo potere di far succedere, ma governata e regolata dalla mano del cielo. E ciò è stato inserito nella Sacra Scrittura per rendere onesta l'usura? oppure il vostro oro e il vostro argento sono e pecore e montoni?
SHYLOCK: Non saprei dire. Io li faccio prolificare altrettanto. Ma ascoltatemi, signore.
ANTONIO: Fa' bene attenzione, Bassanio: il diavolo può citare la Sacra Scrittura per i suoi fini. Un'anima malvagia che adduce una sacra testimonianza è simile a un ribaldo con un viso sorridente o a una bella mela tutta fradicia dentro. Oh, che bella apparenza ha la falsità!
SHYLOCK: Tremila ducati! E' una bella somma tonda. Tre mesi su dodici... Vediamo allora... L'interesse...
ANTONIO: Insomma, Shylock, vi possiamo essere obbligati sì o no?
SHYLOCK: Signor Antonio, più e più volte a Rialto mi avete biasimato per i miei danari e per i miei interessi; e io ho sopportato tutto con una paziente alzata di spalle, perché la sopportazione è il distintivo di tutta la nostra razza Mi avete chiamato miscredente, un cane di strozzino, e avete sputato sul mio gabbano di ebreo; e tutto ciò per l'uso che faccio di quel che è mia proprietà. Ebbene ora pare che abbiate bisogno del mio aiuto. Avanti, dunque! Voi venite da me e mi dite: Shylock, vorremmo avere del danaro. Così voi dite, voi che avete schizzato il vostro moccio sulla mia barba e mi avete allungata una pedata, come quando scacciate un cagnaccio randagio dalla soglia della vostra casa. E mi chiedete del danaro! Che cosa dovrei rispondervi?
Non dovrei forse rispondervi: "Ha forse danaro un cane? è mai possibile che un cagnaccio possa prestare tremila ducati?". Oppure dovrei inchinarmi sino a terra e col tono di uno schiavo, col fiato mozzo, con umili mormorazioni dirvi: "Caro signore, mercoledì scorso mi avete sputato addosso, il tal giorno mi avete preso a pedate, un'altra volta mi avete chiamato cane... e per queste cortesie vi presterò una così grande somma?".
ANTONIO: Sono pronto a chiamarti così di nuovo, a sputarti addosso di nuovo e anche a prenderti a pedate. Se vuoi prestar questa somma, prestala, ma non come ad amici tuoi, perché quando mai l'amicizia ha preso dall'amico un frutto dello sterile metallo? Prestala piuttosto al tuo nemico, dal quale, se egli manca all'impegno, tu potrai a viso più aperto esigere la penale.
SHYLOCK: Via; guardate come vi irritate! Io vorrei che voi ed io fossimo amici, vorrei acquistarmi il vostro affetto, dimenticare gli affronti onde m'avete insozzato, soccorrere ai vostri presenti bisogni, non prendere neppure un centesimo di interesse per il mio danaro, e voi non volete ascoltarmi. E' una cortese offerta questa.
BASSANIO: Sarebbe la cortesia stessa.
SHYLOCK: E di questa cortesia voglio darvi prova. Venite con me da un notaio; firmatemi, soltanto voi, l'obbligazione; e, per puro scherzo, se voi non mi rimborserete per tal giorno in tal luogo, quella somma o quelle somme, come sarà dichiarato nel contratto l'ammontare della penale, sarà rappresentato da un'esatta libbra della vostra bella carne da tagliarsi e da prendersi in quella parte del vostro corpo che a me piacerà.
ANTONIO: D'accordo, in fede mia firmerò una tale obbligazione e dirò che c'è nell'ebreo molta cortesia.
BASSANIO: No, voi non firmerete per me un contratto simile. Preferisco rimanere nel mio imbarazzo.
ANTONIO: Via, non abbiate paura, amico. Non incorrerò nella penale.
Entro i due prossimi mesi, ossia un mese prima che scada l'obbligazione, aspetto un provento nove volte maggiore della valuta di essa.
SHYLOCK: O padre Abramo, come sono questi cristiani! Il loro duro modo di procedere insegna loro a sospettare delle intenzioni degli altri.
(A Bassanio Ditemi, per piacere, se egli mancasse al giorno stabilito, che guadagno avrei a esigere la penale? Una libbra di carne umana tolta a un uomo, non ha né il valore né l'utilità di quella dei montoni, dei buoi o delle capre. Se gli faccio questa profferta di amicizia, santo cielo, è per guadagnarmi le sue buone grazie. Se egli l'accetta, bene, se no, addio. E per questa prova di amicizia, vi prego di non trattarmi male.
ANTONIO: Sì, Shylock; sottoscriverò questa obbligazione.
SHYLOCK: Allora aspettatemi fra poco dal notaio e dategli le istruzioni per questo allegro contratto. Io vado subito a mettere i ducati nella borsa e a dare un'occhiata alla mia casa che è rimasta nella malsicura custodia di uno spensierato furfante. Vi raggiungerò subito.
ANTONIO: Spicciati, amabile giudeo. (Esce Shylock) L'ebreo sta per farsi cristiano: diventa cortese.
BASSANIO: A me non piacciono delle belle condizioni e un animo perverso.
ANTONIO: Venite, in questo non ci può essere ragione di temere. Le mie navi saranno di ritorno un mese prima del giorno fissato. (Escono)
ATTO SECONDO
SCENA PRIMA - Belmonte. Una stanza nella casa di Porzia
(Squilli di cornette. Entrano il PRINCIPE DEL MAROCCO e il suo Seguito; PORZIA, NERISSA e altri della casa)
PRINCIPE DEL MAROCCO: Non vi ripugni il mio colore, scura divisa dell'ardente sole, al quale io sono vicino e prossimo parente.
Portatemi qui l'essere più bello nato nel nord, dove la fiamma di Febo a mala pena scioglie i ghiaccioli, e lasciateci, per amor vostro, fare un taglio, per mostrare quale sangue è più rosso, il suo o il mio. Io ti posso assicurare, o Signora, che questo mio aspetto ha fatto paura ai più coraggiosi. Ti giuro, sul mio amore, che le più illustri fanciulle del nostro paese se ne sono anche invaghite. E non cambierei questo mio colore se non per rapire i vostri pensieri, mia graziosa regina.
PORZIA: In quanto a scegliere io non posso lasciarmi condurre unicamente dalla scrupolosa guida dei miei occhi di fanciulla; inoltre l'essere il mio destino rimesso alla sorte mi sbarra il diritto a una scelta volontaria. Ma se mio padre non mi avesse, con la sua saggezza, imposto tali legami e limiti, da darmi in moglie a colui che mi guadagna con quei modi che v'ho detto anche voi, illustre principe, sareste di fronte alla mia inclinazione così immacolato come tutti gli altri visitatori che ho finora visti.
PRINCIPE DEL MAROCCO: Anche per questo vi ringrazio. Vi prego quindi di condurmi agli scrigni, per tentar la mia fortuna. Per questa scimitarra che ha ucciso il Sofì e un principe di Persia, che ha vinto tre battaglie sul sultano Solimano, io potrei far abbassare gli occhi che si levassero più arditamente, sfidare il più audace coraggio della terra, strappare all'orsa i piccoli mentre poppano e, anche di più prendermi gioco del leone quando ruggisce in cerca di preda, per conquistare te, o signora. Ma ahimè! Se Ercole e Lica giocassero a dadi per vedere chi dei due è più forte, il miglior tiro potrebbe essere fatto per avventura dalla mano più debole. Così Alcide si lascerebbe vincere dal suo paggio, e così potrei anch'io, guidandomi la cieca fortuna, mancare ciò che può ottenere uno meno degno, e morir di dolore.
PORZIA: Voi dovete correre il vostro rischio e non tentare affatto la scelta, o prima di scegliere, giurare, se scegliete male, di non rivolgere in avvenire profferte di matrimonio ad alcuna signora.
Perciò riflettete bene.
PRINCIPE DEL MAROCCO: No non ne rivolgerò. Orsù, conducetemi al mio rischio.
PORZIA: Prima rechiamoci al tempio. Dopo pranzo sarà decisa la vostra sorte.
PRINCIPE DEL MAROCCO: A te dunque, o buona fortuna, di rendermi il più beato o il più disgraziato fra gli uomini! (Squilli di cornette)
(Escono)
SCENA SECONDA - Venezia. Una strada
(Entra LANCILLOTTO)
LANCILLOTTO: Certamente la mia coscienza finirà per consentirmi di scappare da questo mio padrone ebreo... Il diavolo mi sta alle costole e mi tenta dicendomi: "Gobbo, Lancillotto Gobbo, buon Lancillotto o buon Gobbo, fa' uso delle tue gambe, prendi il volo, scappa via". La mia coscienza dice: "No, bada bene, onesto Lancillotto, bada bene, onesto Gobbo, o, come ho detto prima, onesto Lancillotto Gobbo: non scappare, da' un calcio a quest'idea di dartela a gambe". Ma ecco che il coraggiosissimo diavolo mi ordina di far fagotto. "Via! - dice il diavolo. - Va' via! - dice il diavolo. - In nome del cielo, prendi risolutamente una decisione e scappa". Allora la mia coscienza, attaccandosi al collo del mio cuore, mi dice assai saggiamente: "Mio onesto amico Lancillotto, poiché tu sei il figlio di un onest'uomo, o meglio, il figlio di un'onesta donna...", perché mio padre sapeva un po', un po' d'attaccaticcio, aveva un certo gusto... Basta, la mia coscienza mi dice: "Lancillotto, non ti muovere". "Muoviti", dice il diavolo. "Non ti muovere", replica la mia coscienza. Coscienza rispondo io, tu mi consigli bene. Tu mi consigli bene, diavolo, rispondo io. A dar retta alla mia coscienza, dovrei rimanere con l'ebreo mio padrone che, salvo mi sia, è una specie di diavolo, e se scappassi dall'ebreo darei retta al diavolo, che, col dovuto rispetto, è il diavolo in persona. Certamente l'ebreo è proprio un diavolo incarnato, e, in coscienza, la mia coscienza è una specie di coscienza insensibile per darmi il consiglio di rimanere con l'ebreo. Il diavolo mi dà un consiglio più amichevole. Scapperò, diavolo: le mie calcagna sono ai tuoi ordini; scapperò.
(Entra il vecchio GOBBO, con un paniere)
GOBBO: O giovinotto, per piacere, qual è la strada per andare dal padrone ebreo?
LANCILLOTTO: (a parte) O cielo, questi è il mio padre legittimamente generato, il quale avendo mangiato cicerchie, anzi addirittura veccioni, non mi riconosce. Voglio farlo confondere un poco.
GOBBO: Giovinotto, per piacere, qual è la strada per andare dal padrone ebreo?
LANCILLOTTO: Prendete a destra alla prima svoltata, e poi alla prima di tutte le svoltate prendete a sinistra; ma per carità, proprio alla primissima svoltata, non prendete da nessuna parte, ma andate giù indirettamente alla casa dell'ebreo.
GOBBO: Per i santi del Signore, sarà una strada difficile a imbroccare. Sapete dirmi se un certo Lancillotto che abita con lui, ci sta o no?
LANCILLOTTO: Volete dire il signorino Lancillotto? (a parte) Attenti ora; ora faccio gonfiar le acque. Volete dire il signorino Lancillotto?
GOBBO: Non un signore, signor mio; ma il figlio di un pover'uomo. Suo padre, benché lo dica io, è un poverissimo onest'uomo e, grazie a Dio, vivo e vegeto.
LANCILLOTTO: Bene, che suo padre sia ciò che egli vuole; noi parlavamo del signorino Lancillotto.
GOBBO: Servo devoto di Vossignoria, ma semplicemente Lancillotto, signore.
LANCILLOTTO: Ma vi prego, "ergo", buon vecchio, "ergo", ve ne supplico; dite il signorino Lancillotto.
GOBBO: Lancillotto se piace a Vossignoria.
LANCILLOTTO: "Ergo", il signor Lancillotto. Oh non rammentate il signor Lancillotto, buon uomo: poiché il giovane gentiluomo, per volere dei Fati, dei Destini e di altri simili strani modi di dire, come le Tre Sorelle e siffatti rami del sapere, è in verità trapassato o, come direste voi con semplici parole è volato al cielo.
GOBBO: Santa Vergine! Dio non voglia! Il ragazzo era proprio il bastone della mia vecchiaia, proprio il mio sostegno.
LANCILLOTTO: (a parte) Somiglio io a un randello, a un puntello, a un bastone o a un sostegno? Mi riconoscete, babbino?
GOBBO: Oh poverini! Non vi riconosco, signorino mio. Ma di grazia, ditemi: il mio ragazzo - Dio abbia in pace l'anima sua S vivo o morto?
LANCILLOTTO: Non mi riconoscete, babbino?
GOBBO: Ah! signore, sono mezzo cieco; non vi riconosco.
LANCILLOTTO: Eh!... anche se aveste la vostra vista, potreste forse non riconoscermi; è bravo quel padre che riconosce il proprio figlio.
Ebbene, buon vecchio, vi darò notizie del vostro figliolo. Datemi la vostra benedizione. (Si inginocchia) La verità verrà a galla. Un omicidio non può rimaner nascosto a lungo mentre il figlio di un uomo, sì; ma alla lunga la verità viene fuori .
GOBBO: Vi prego, signore, alzatevi. Son sicuro che non siete Lancillotto, il ragazzo mio.
LANCILLOTTO: Vi prego, non facciamo più scherzi su quest'argomento, ma datemi la vostra benedizione. Io sono Lancillotto, quello che fu il vostro ragazzo, che è il vostro figliolo e che sarà il vostro rampollo.
GOBBO: Non posso credere che voi siate mio figlio.
LANCILLOTTO: Non so che cosa debbo pensare di ciò ma io sono Lancillotto, il servo dell'ebreo, e sono sicuro che la Ghita vostra moglie è mia madre.
GOBBO: Il suo nome è infatti Ghita. E se tu sei Lancillotto, posso giurare che sei carne mia e sangue mio. Dio sia benedetto! Che barba hai messo su! Hai più peli tu sul mento che non ne ha sulla coda Dobbin, il cavallo del mio barroccio.
LANCILLOTTO (alzandosi): Parrebbe che la coda di Dobbin cresca alla rovescia. Sono sicuro che l'ultima volta che lo vidi aveva più peli sulla coda che non ne ho io sul viso.
GOBBO: Dio, come sei cambiato! Come andate d'accordo tu e il tuo padrone? Gli ho portato un regalo. Come andate d'accordo, dunque?
LANCILLOTTO: Bene, bene, ma per parte mia, siccome ho preso la ferma decisione di scapparmene, così non mi fermerò finché non ho corso un buon tratto di strada. Il mio padrone è un vero ebreo. Dargli un regalo! Un capestro piuttosto. Muoio di fame al suo servizio. Voi potete contare con le mie costole ogni dito che ho. Babbo, sono contento che siate venuto. Date il vostro regalo a un signor Bassanio che dà davvero delle splendide livree nuove. Se io non entro al suo servizio voglio correre tanto lontano quanta terra c'è sotto il cielo.
Ma che rara combinazione! La persona viene da questa parte. Andiamo incontro a lui, babbo, perché sono un ebreo, se sto più a lungo a servizio dell'ebreo.
(Entrano BASSANIO con LEONARDO e altri Servi)
BASSANIO: Fate pur così; ma spicciatevi, in modo che la cena sia pronta al più tardi per le cinque. Guardate che queste lettere siano consegnate; date a fare le livree, e pregate Graziano di venire immediatamente a casa mia. (Esce un Servo)
LANCILLOTTO: Parlategli, babbo.
GOBBO: Dio benedica Vossignoria.
BASSANIO: Mille grazie! Vuoi qualche cosa da me?
GOBBO: C'è qui mio figlio, signore, un povero ragazzo...
LANCILLOTTO: Non un povero ragazzo, signore; ma il servo del ricco ebreo, che vorrebbe signore, come mio padre specificherà...
GOBBO: Egli è, signore, come si direbbe, assai declinato a servire...
LANCILLOTTO: A farla lunga e breve, io sto al servizio dell'ebreo e desidero, come mio padre specificherà...
GOBBO: Il suo padrone e lui, salvo il rispetto a Vossignoria, sono un po' come cane e gatto...
LANCILLOTTO: A farla breve, la verità vera è che l'ebreo avendomi trattato male, è stato causa che io, come mio padre, che è, spero bene, un uomo vecchio, vi fruttificherà....
GOBBO: Ho qui una tegliata di piccioni che vorrei offrire a Vossignoria, e la mia preghiera è...
LANCILLOTTO: In pochissime parole, la preghiera è impertinente a me stesso, come Vossignoria apprenderà da questo onesto vecchio, e, nonostante che lo dica io, quantunque vecchio, povero: mio padre.
BASSANIO: Parli uno per tutti e due. Che cosa volete?
LANCILLOTTO: Entrare al vostro servizio, signore GOBBO: Questa è la vera "assenza" della questione, signore.
BASSANIO: Ti conosco bene: hai ottenuto ciò che chiedi. Il tuo padrone Shylock, che ha discorso oggi con me, ti diceva degno di una promozione: se si può dire esser promosso il lasciare il servizio di un ricco ebreo e diventare il domestico di un povero gentiluomo come me.
LANCILLOTTO: Il vecchio proverbio si può dividere bene in due parti fra il mio padrone Shylock e voi, signore: voi avete la grazia di Dio ed egli ha la ricchezza sufficiente.
BASSANIO: Hai detto bene. Va' babbo, col tuo figliolo. Licenziati dal tuo vecchio padrone e fatti insegnare dov'è la mia casa. (Ai Servi Dategli una livrea con più guarnizioni che quelle dei suoi compagni.
Guardate che ciò sia fatto.
LANCILLOTTO: Venite, babbo. Io non posso procurarmi un servizio, no.
Lascio sempre la lingua a casa. (Si guarda la palma della mano) Eppure se c'è in Italia qualcuno che abbia una palma più bella della mia da stenderla sulla Bibbia per giurare che io avrò buona fortuna... Ecco:
qui c'è una semplicissima linea di vita! qui una sciocchezzuola di mogli. Oh! quindici mogli sono un nonnulla. Undici vedove e nove ragazze sono una misera rendita per un uomo solo. E poi c'è il segno di scampare tre volte dall'annegare e quello di trovarsi in pericolo di vita sulla sponda di un letto di piume: questi sono scampi da ridere! Orbene, se la Fortuna è femmina, essa è una buona ragazza per questa volta. Venite, babbo; mi licenzierò dall'ebreo in un batter d'occhio.
(Escono Lancillotto e il vecchio Gobbo)
BASSANIO: Ti prego, buon Leonardo, prenditi cura dl questo: dopo aver comprato e messo debitamente in ordine le cose che t'ho detto, ritorna subito, perché ho invitato stasera a cena le più ragguardevoli mie conoscenze. Va' e sbrigati.
LEONARDO: Metterò tutto il mio impegno.
(Entra GRAZIANO)
GRAZIANO: Dov'è il vostro padrone?
LEONARDO: E' là, signore, che passeggia. (Esce)
GRAZIANO: Signor Bassanio!
BASSANIO: Graziano!
GRAZIANO: Ho da chiedervi un favore.
BASSANIO: L'avete già ottenuto.
GRAZIANO: Non dovete dirmi di no: ho bisogno di venire con voi a Belmonte.
BASSANIO: Eh... dal momento che ne avete bisogno! Ma prestami bene attenzione, Graziano. Tu sei troppo imprudente, troppo spiccio, troppo ardito di lingua: qualità che a te si adattano abbastanza bene e che ad occhi come i nostri non appaiono difetti, ma dove non sei conosciuto, ebbene là esse rivelano qualche cosa di troppo licenzioso.
Abbi cura, ti prego, di temperare con qualche fredda goccia di moderazione il tuo animo impetuoso, se no, per la tua imprudente condotta, io potrei esser mal giudicato nella casa dove vado, e perdere le mie speranze.
GRAZIANO: Ascoltatemi, signor Bassanio. Se non assumerò un contegno serio, se non parlerò decentemente, se non sacrerò solo di tanto in tanto, se non porterò in tasca il mio libro delle orazioni, se non prenderò un'aria compunta, se mentre è detto il "Benedicite" non mi tirerò sugli occhi il cappello, così, se non sospirerò nel dire "Amen", se non metterò in pratica tutte le regole della buona creanza, come uno che s'è studiato di acquistar gravi maniere per piacere a sua nonna, non vi fidate più di me.
BASSANIO: Bene, vedremo i vostri portamenti.
GRAZIANO: Faccio però un'eccezione per questa sera: non mi dovete giudicare da quel che faremo questa sera.
BASSANIO: No; sarebbe peccato. Vorrei anzi esortarvi a prender l'aria della più spensierata gioia perché avremo degli amici che hanno voglia di divertirsi. Ma a rivederci. Ho qualche cosa da fare.
GRAZIANO: E io devo vedere Lorenzo e gli altri; ma saremo da voi all'ora della cena. (Escono)
SCENA TERZA - Venezia. Una stanza nella casa di Shylock
(Entrano GESSICA e LANCILLOTTO)
GESSICA: Mi dispiace che tu voglia lasciare mio padre così. La nostra casa è un inferno e tu, un allegro diavolo, le toglievi un po' del suo senso di noia. Ma, addio; ecco un ducato per te, e, Lancillotto appena vedrai a cena Lorenzo, che è ospite del tuo nuovo padrone, dagli questa lettera, ma in gran segretezza. Addio dunque. Non vorrei che mio padre mi vedesse a discorrere con te.
LANCILLOTTO: Le lacrime mi esibiscono le parole. Bellissima pagana, dolcissima ebrea! Se un cristiano non diventa un briccone per ottenerti, vuol dire che non capisco più nulla. Queste stupide lacrime affogano un po' il mio coraggio virile. Addio.
GESSICA: Addio, buon Lancillotto. (Esce Lancillotto) Ahimè, quale odioso peccato è il mio a vergognarmi di essere la figlia di mio padre! Ma quantunque gli sia figlia per sangue, non gli sono tale per il carattere. O Lorenzo, se mantieni la tua promessa, io porrò fine a questa lotta, diventerò cristiana e tua moglie amorosa. (Esce)
SCENA QUARTA - Venezia. Una strada
(Entrano GRAZIANO, LORENZO, SALERIO e SOLANIO)
LORENZO: Sì; noi ce ne andremo alla chetichella durante la cena; ci maschereremo a casa mia e poi ritorneremo. Tutto in un'ora.
GRAZIANO: Ma non abbiamo fatto sufficienti preparativi.
SALERIO: Non abbiamo neppure parlato dei portatori di torce.
SOLANIO: Se non è preparata galantemente la cosa riuscirà meschina, e, a mio parere, è meglio non arrischiarvisi.
LORENZO: Non sono, ora, che le quattro. Abbiamo due ore per prepararci.
(Entra LANCILLOTTO con una lettera)
Che c'è di nuovo, amico Lancillotto?
LANCILLOTTO: Se vi compiacerete di dissuggellar questa, probabilmente essa ve lo dirà.
LORENZO: Conosco la mano: in verità, è una bella mano. E più bianca della carta su cui c'è scritto è la bella mano che scrisse.
GRAZIANO: Notizie amorose senza dubbio.
LANCILLOTTO: Col vostro permesso, signore.
LORENZO: Dove vai?
LANCILLOTTO: Eh! signore, a invitare il mio vecchio padrone, l'ebreo, a venire a cena dal mio nuovo padrone, il cristiano.
LORENZO: Aspetta, prendi questo. (Gli dà del danaro) Di' alla gentile Gessica che non mancherò, ma diglielo in segreto. Va'. (Esce Lancillotto) Signori, volete prepararvi per la mascherata di questa sera? Io mi sono provvisto di un portatore di torcia.
SALERIO: Certamente; ci vado subito.
SOLANIO: E io pure.
LORENZO: Veniteci a prendere, me e Graziano, a casa di Graziano fra un'ora.
SALERIO: Sta bene: faremo così.
(Escono Salerio e Solanio)
GRAZIANO: Quella lettera non era della bella Gessica?
LORENZO: Bisogna che ti dica tutto a ogni modo. Essa mi informa in che maniera la potrò portar via dalla casa di suo padre, di quanto oro e di quanti gioielli si è provvista e qual vestito da paggio ha pronto.
Se un giorno o l'altro l'ebreo suo padre andrà in paradiso sarà per causa della sua gentile figliola. La sventura non oserà mai attraversarle il cammino, a meno che non lo faccia sotto il pretesto che essa è nata da un miscredente ebreo. Orsù, vieni con me. Leggi mentre cammini. La bella Gessica sarà la mia portatrice di torcia.
(Escono)
SCENA QUINTA - Venezia. Davanti alla casa di Shylock
(Entrano SHYLOCK e LANCILLOTTO)
SHYLOCK: Bene, tu vedrai (e saranno giudici i tuoi occhi) la differenza fra il vecchio Shylock e Bassanio... Ehi, Gessica!... Tu non potrai più mangiare a quattro palmenti come hai fatto da me...
Ehi, Gessica!... E dormire e russare e strapparti i vestiti... Ehi, Gessica, dico!
LANCILLOTTO: Ehi, Gessica!
SHYLOCK: Chi t'ha dato l'ordine di chiamare? Io non t'ordino di farlo.
LANCILLOTTO: Vossignoria era sempre solito di dirmi che io non sapevo far nulla senza ordini.