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    Predefinito

    ********************************
    ALLE FIAMME IL MANICHINO
    ********************************************
    di Giovanni Conti

    Molti dicono che si dovrebbe «ritornare a Mazzini». La
    frase ha significati diversi sulla penna o sulla bocca di coloro
    che la pronunziano: e v'è da temere che sulla bocca di alcuni
    sia un'espressione della quale l'invocato Nume difenderebbe.
    V'è nella mente di tanti italiani un Mazzini immaginario.
    V'è un Mazzini patriota, il più ardente patriota: uno dei
    «quattro fattori d’Italia», bene accostato, nelle poetiche sintesi
    e nelle narrazioni usuali, a Garibaldi, come a Cavour e a Vit-
    torio Emanuele Il; il monumento che si scopre in Roma bene
    sta a ricordare «il grande patriota»: qualche ribelle, infervo-
    randosi, dice da parte sua: è lui che doveva stare al posto di
    Vittorio Emanuele sul monumento di piazza Venezia!
    V'è un Mazzini cospiratore, fantastico dio dei cospiratori
    d'ogni tempo, mangia tiranni, mangia-preti, un emulo di Ro-
    bespierre; un vero anti-Mazzini ad uso della politica dozzina-
    le tanto praticata.
    V'è un Mazzini pensatore sprofondato a dettare coman-
    damenti, precetti morali, a formulare una dottrina morale,
    non solo per la politica ma per l'economia sociale: per ogni
    sorta di attività umana.
    V'è un Mazzini quasi quasi ancora interessante, eccitatore
    di meditazioni, di elucubrazioni sul fatale andare dell'evolu-
    zione sociale, sui guai che essa conduce seco; c'è un Mazzini
    morto per il tempo nostro, cioè superato, e non in grado di ri-
    spondere alle imperiose domande dell'attualità; e c'è, invece,
    un Mazzini al quale si va a chiedere la soluzione d'ogni più
    trito e banale problema della vita vissuta.
    Non si giunse alla profanazione evocando Mazzini tra le
    imprese del fascismo?
    Grandi uomini furono male conosciuti in vita, per calun-
    nie di nemici, per male arti di antagonisti, per alterazioni e
    defomormazioni di idee; alcuni -Vico -furono scoperti dopo la
    morte; altri ebbero pessimi discepoli e seguaci, traduttori-tra-
    ditori del loro pensiero, delle finalità, delle intenzioni. Mazzi-
    ni è stato, di certo, fra tutti i grandi, il più disgraziato. Fu lun-
    gamente perseguitato e calunniato; fu negli ultimi venti anni
    della vita, tra le spire della perfida destrezza monarchica e
    tra le fiamme della polemica socialista. Morto, egli ebbe an-
    che interpreti e discepoli degni, ma alla difesa generica e a
    quella spicciola diedero mano troppi «mazziniani» e repub-
    blicani, inconsapevoli detrattori, i quali un solo merito hanno
    avuto; quello di aver, comunque, resistito agli attacchi, spes-
    so bestiali, di settari, di faziosi, in lotta contro un pensiero,
    contro un programma, contro idee e ideali ignorati e scono-
    sciuti, i soli, forse, delle innumerevoli ideologie, che hanno a-
    vuto attuazione nel loro pur lento cammino.
    Che, per Mazzini, per il suo pensiero, sia giunto il mo-
    mento della rivendicazione, del riscatto e della giustizia?
    Vorrei dir meglio: che sia giunto il momento dell'inizio di
    un serio studio del pensiero mazziniano, per il quale siano
    bandite la predica delle formule, la ripetizione delle frasi fat-
    te, la retorica di inconcludenti cosiddetti cultori delle dottrine
    del (iniziale maiuscola) Maestro, e siano seguite indicazioni e
    ispirazioni per un'azione feconda di tutti coloro i quali sono
    impegnati nella politica, nel movimento sociale? di un'opera
    spesso scriteriata, senza luce di esperienze, insomma arbitra-
    ria e perciò quasi sempre dannosa?,
    Nessuno tra i più celebrati politici, economisti, sociologi
    contemporanei del Mazzini, ieri ed oggi sugli altari, è passa-
    to, come lui, dalle astrazioni e dalle astruserie, alle applica-
    zioni della realtà delle dottrine e delle escogitazioni; nessuno
    offre, come il Mazzini, una vasta analisi delle questioni che
    interessano in ogni tempo chi pretende di svolgere un'azione
    nella lotta politica e sociale. Il Mazzini delle pagine letterarie,
    il Mazzini degli appelli al sentimento e ai migliori sentimen-
    ti, il Mazzini suscitatore di uomini capaci di devozione a
    un'idea fino al sacrificio, è anche il Mazzini dell'epistolario
    nel quale ha versato tesori di considerazioni umane, di acute
    osservazioni psicologiche, di spesso, spietate condanne deI-
    l'impostazione di problemi e di metodi, di inaspettate benefiche suggestioni, quel Mazzini è anche il Mazzini dei linea-
    menti entrò i quali si inquadrano concretamente problemi
    politici, sociali, morali i quali vogliono, oggi, soluzioni.
    Bisogna respingere la figura del Mazzini disegnata da
    mani fratesche, o esaltata da retori, con offesa e mortificazio-
    ne di quel grande spirito.
    Nò, Mazzini non fu il patriota che si suppone, non il mo-
    ralista cile apparve e appare per tante infelici presentazioni,
    non l'idealista-ideologo molesto e fuori della realtà, che appare
    per i travestimenti infiniti.
    Chi lo ha compreso sente, senza ripetere una sola sua pa-
    rola' come egli sentì. Disse tanto bene di lui il Borgese: «Non
    si creda che egli volesse l'arte a predicozzi e a pistolotti: la
    moralità del Mazzini non era bacchettona».
    Se compreso davvero, Mazzini può essere avanti agli occhi
    di tutti i cittadini, degli uomini politici, del legislatore, del-
    l'amministratore, dell'insegnante, del sindacalista nello svol-
    gimento dell'opera loro. Bisogna, però, cercare il Mazzini au-
    tentico e gettare alle fiamme il manichino…..

    ***********************************************

    Qual da gli aridi scogli erma su'l mare
    Genova sta, marmoreo gigante,
    Tal, surto in bassi dì, su'l fluttuante
    Secolo, ei grande, austero, immoto appare.

    Da quegli scogli onde Colombo infante
    Nuovi pe'l mare vedea mondi spuntare,
    Egli vide nel ciel crepuscolare
    Co'l cuor di Gracco ed il pensier di Dante

    La terza Italia: e con le luci fise
    A lei trasse per mezzo un cimitero ,
    E un popolo morto dietro a lui si mise.

    Esule antico , al ciel mite e severo
    Leva ora il volto che giammai non rise,
    -Tu sol- pensando -o ideaI, sei vero.


    di Giosue Carducci
    *************************************************

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  2. #132
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    SCRITTORE DI PROSA VIVA

    di Guido Mazzoni

    Giuseppe Mazzini (tutti ormai hanno dovuto riconoscer-
    lo) fu grande anche come scrittore di prosa viva, eloquente,
    efficace, ora acutamente dialettica, ora magnanimamente
    poetica. Mosse in ciò dal Foscolo; ma fu scolaro che superò il
    maestro. Poteva il Manzoni, con uno de' suoi arguti giudizi,
    ferire, non dirò a morte, ma di grave ferita la retorica di Ugo,
    professore cattedratico; quando confessava di non riuscire a
    intendere, nelle orazioni di lui, che cosa ciascun periodo a-
    vesse a che fare col precedente e col seguente. Quanto al pe-
    riodare del Mazzini, la catena delle idee vi è così calda che
    non ne puoi spostare un anello; e questo è, insomma, il fon-
    damento della prosa e dello stile, questo della concatenazio-
    ne logica.
    Mosse parimente il Mazzini dal Foscolo, per la critica let-
    teraria. Ma pur qui lo sorpassò, sia per la larghezza della cul-
    tura, sia per quella della vista. Il Foscolo rimase a mezza stra-
    da tra l'erudizione e la penetrazione più propriamente critica;
    il Mazzini, non solo volle essere e fu un critico vero e proprio,
    risalì cioè sempre nel fatto all'idea, ma, identificando l'idea-
    lità estetica con la morale, civilmente intesa, salì anche più al-
    to sopra le teorie romantiche, verso la vetta che a me pare
    suprema.
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  3. #133
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    Predefinito .... Socialismo Mazziniano .....

    MAZZlNI E PISACANE

    di Francesco Lenci

    Ove si guardi a tutta l'opera di Pisacane, che i più ricorda-
    no quasi soltanto per la spedizione del 1857, nella quale trovò
    gloriosa morte, avvertiamo in lui non solo un grande amore
    di patria, ma, soprattutto, un grande pensiero di giustizia so-
    ciale che egli intende inscindibile dalla libertà e dalla indipen-
    denza nazionale.
    Per questa sua sete di giustizia si vogliono trovare in lui,
    nei suoi postulati, nella sua critica, grandi affinità con i temi
    fondamentali del marxismo, e per le sue ripetute affermazioni
    che le idee derivano dai fatti di natura politica e sono subordi-
    nati a quelli di natura economica, gli si dà addirittura la quali-
    fica di materialista storico.
    E si vorrebbe anzi da alcuno fare di Pisacane un termine
    intermedio tra Mazzini e Marx, ma egli ha una concezione eti-
    co-morale tutta sua che in fondo lo pone nell'orbita della
    scuola sociale mazziniana, anzi nella scuola filosofica italiana
    del 700 al seguito di Filangeri, di Mario Pagano, di Romagno-
    si ai quali nei Suoi scritti fa sovente riferimento, mentre non
    ricorda mai il filosofo di Treviri del quale, peraltro, forse non
    conosceva gli scritti.
    Può essere con Marx nella parte, diciamo, così critica della
    società del suo tempo, ma non lo è di certo in quella ricostrut-
    tiva, anzi in questa la sua concezione è in antitesi con quella
    di Marx - specialmente quanto all'ordinamento dello Stato, e
    si identifica invece con quella di Mazzini, come vi si identifica
    nei principi di nazionalità.
    «1 miei principi politici sono abbastanza noti» -scriveva
    nel suo testamento -«io credo che il socialismo, ma non già i
    sistemi francesi informati tutti a quell'idea monarchica e di-
    spotica che predomina nella nazione, ma il socialismo espres-
    so nella formula «libertà e associazione» sia il solo avvenire
    non lontano dell'ltalia e forse d'Europa».
    E già prima alla ricerca di una formula da dare alla ban-
    diera del nuovo Stato italiano che già intravedeva dopo di a-
    vere scartata la formula mazziniana - Dio e Popolo - e quelle
    francese - libertà uguaglianza fraternità - aveva detto: «non
    comprendo come mai sia fuggito alla mente di tutti la formu-
    la semplice, chiarissima già titolo di un savio giornaletto che
    pubblicavasi a Genova: "Libertà e Associazione"».
    «Questa formula evidente per se medesima non ha biso-
    gno di interpreti nè di commenti: essa è un principio, ed è ap-
    punto quello su cui deve basarsi il patto sociale: la libertà e-
    sprime il diritto di ogni italiano, l'associazione la sola legge a
    cui si sottopongono, il solo patto che li unisce, l'unico rappor-
    to sociale, e sotto questa unica legge, eziandio, deve svilup-
    parsi l'indefinito processo sociale».
    Quasi con le stesse parole si era espresso Mazzini nel suo
    primo discorso alla Costituente romana: «Noi intendiamo per
    Repubblica il sistema che deve sviluppare la Libertà, l'Ugua-
    glianza, l' Associazione; ma libertà e per conseguenza ogni svi-
    luppo di idee quand'anche differisse in qualche parte dal no-
    stro, l' Associazione, cioè un pieno consenso dell'universale,
    per quanto può aversi dai cittadini, dal popolo».
    L'Associazione è per Mazzini, e come vedremo, anche per
    Pisacane, il mezzo per risolvere il problema sociale, il proble-
    ma del lavoro.
    «Il rimedio alle vostre condizioni -aveva detto Mazzini a-
    gli operai - è l'unione del capitale e del lavoro nelle stesse ma-
    ni. Il lavoro associato. Il riparto dei frutti del lavoro, ossia il ri-
    cavato dalla vendita dei prodotti, tra i lavoratori in proporzio
    ne del lavoro compiuto: è questo il futuro sociale. In questo
    sta il segreto della vostra emancipazione: foste schiavi un tem-
    po, poi servi, poi assalariati, sarete tra non molto, purche’ lo
    vogliate, liberi produttori e fratelli nell' Associazione».
    Ma non associazione forzata: «associazione libera volonta-
    ria, ordinata su certe basi da voi medesimi da uomini che si
    conoscono e si studiano l'un l'altro, non imposta dall'autorità
    governativa, non ordinata senza riguardo ad affetti e vincoli
    individuali tra uomini considerati non come esseri liberi e
    spontanei, ma come cifre e macchine produttrici».
    E Pisacane tesse particolarmente quale dovrebbe essere
    l' ordinamento di queste associazioni e la loro funzione.
    «Il suolo d'Italia verrà ripartito secondo le diverse specie
    di Cultura a cui mostrasi adatto. Una porzione di terra verrà
    assegnata ad ogni Comune in proporzione della sua popola-
    zione e coltivato da coloro che si dedicano all'agricoltura i
    quali formeranno una società che stabilirà essa medesima la
    sua costituzione in caso che non volesse accettare quella che la
    Costituente le proporrà. Il guadagno netto diviso tra tutti».
    «Tutti i capitali verranno dichiarati proprietà della nazione
    e tutti gli impiegati in ogni stabilimento di industria compor-
    ranno una società alla quale la nazione affida il capitale tolto
    ai capitalisti, e questa società potrà reggersi con una costitu-
    zione identica a quella stabilita per gli agricoltori.
    «1 mercanti che vendono ingrosso, i trafficanti intermedi,
    tutti verranno trasformati in società composte ognuna dall'ex
    capitalista fino all'ultimo facchino e carrettiere».
    «Ogni cittadino il quale trovisi isolato e privo di lavoro ha
    diritto di essere ammesso come socio in quella Società di agri-
    coltori o d'industriali che da lui medesimo sarà scelta».
    "Una società di uomini agiati - conclude - tutti dediti se-
    condo le proprie abitudini ad un medesimo lavoro dovranno
    indubbiamente produrre un accrescimento grandissimo delle
    ricchezze sociali".
    E allora il lavoro non sarà più il destino delle razze male-
    dette destinate a soffrire, maledire e morire, ma sarà il biso-
    gno, la gioia, l'obbligo degli uomini liberi: "un giorno saremo
    tutti operai", aveva detto Mazzini.
    Un contrasto, contrasto fino ad un certo punto, tra Mazzi-
    ni e Pisacane si palesa nel modo di dar vita a questo ordina-
    mento societario, contrasto fondato sulla diversa concezione
    che ciascuno di loro ha del principio di proprietà.
    Per Pisacane la proprietà è addirittura la causa di tutti i
    mali che affliggono l'umanità, è stata la causa del decadimen-
    to delle nazioni, essa è frutto di usurpazioni militari e dello
    sfruttamento dell'uomo su l'uomo e non può essere corretta,
    bisogna quindi, come aveva sentenziato Mario Pagano, espro-
    priare gli espropriatori.
    Mazzini invece, constata anch'egli l'ingiusta costituzione
    della proprietà, perche l' origine del suo riparto sta general-
    mente nella conquista, nella violenza con la quale in tempi
    lontani certi popoli e certe caste invadenti si impossessarono
    delle terre e dei frutti del lavoro da loro non compiuto, e per-
    che essa conferisce dei privilegi politici a chi la detiene, ma
    non vuole totalmente abolirla perche è di pochi, vuole invece
    aprire la via perche i molti possano conquistarla, quindi biso-
    gna richiamarla al principio che la rende legittima facendo sì
    che il lavoro solo possa produrla.
    E questa proprietà, che non può essere però mezzo di
    sfruttamento ne di inattività - chi non lavora non ha diritto al-
    la vita - e che «è il segno della rappresentazione della quantità
    di lavoro col quale l'individuo ha trasformato, sviluppato e
    accresciuto le forze produttrici della natura», può, secondo
    Mazzini, essere trasferita, entro certi limiti, ai figli, per Pisaca-
    ne invece il testamento -«mostruoso diritto che, oltre il limite
    della natura prescritto, prolunga la vita dell'uomo» - va aboli-
    to e i risparmi accumulati da ognuno appartengono di diritto
    alla società o al Comune in cui egli lavora od era domiciliato.
    Espropriazione immediata o assorbimento lento porteran-
    no in ogni modo solo il lavoro padrone del suolo e del capita-
    le d 'Italia.
    In conclusione fondamento della rivoluzione economica
    sarà secondo Pisacane che «ogni cittadino ha il diritto di gode-
    re di tutti i mezzi materiali, di cui dispone la società, onde dar
    pieno sviluppo alle sue facoltà fisiche e morali» e per Mazzini
    che «chiunque è disposto a dare pel bene di tutti ciò ch'ei può
    di lavoro deve ottenere compenso totale che lo renda capace
    di sviluppare più o meno la propria vita sotto tutti gli aspetti
    che la compongono».
    Ma, mentre tutti gli altri popoli possono ormai, perche da
    tempo costituiti in nazione pensare a darsi un ordinamento
    sociale, l'Italia è ancora divisa e schiava dello straniero. Il fine
    primo che si propone la rivoluzione, dice Pisacane, «è quello
    di sgombrare l’Italia da stranieri, qualunque lingua essi parli-
    no, e da tutto ciò che viola l'indipendenza, la libertà indivi-
    duale».
    E Mazzini rivolto agli operai aveva detto loro: «non vi
    sviate dietro speranze di progresso economico che nelle vostre
    condizioni di oggi sono illusioni. La patria sola, la vasta e ricca
    patria italiana che si stende dalle Alpi all'ultima terra di Sicilia
    può compiere quella speranza; senza nome, senza un'unica
    bandiera sarete i bastardi della umanità».
    Ed al compimento di questa patria, di questa Italia, Mazzi-
    ni e Pisacane dedicano la loro vita con i medesimi sentimenti,
    con i medesimi mezzi.
    Non l'attendono dall'intervento di armi straniere, anzi lo
    deprecano, non dalla iniziativa di un principe, ma unicamente
    dall'insurrezione popolare; iniziativa, congiure, insurrezioni in
    qualunque parte della penisola, rivolta di popolo. «Il popolo -
    aveva scritto Mazzini dopo gli insuccessi del '31 -ecco il no-
    stro primo principio sul quale deve poggiare tutto l' edificio
    politico: il popolo grande unità che abbraccia ogni cosa, com-
    plesso di tutti i diritti, di tutte le potenze, di tutte le volontà;
    arbitro, centro, legge del mondo».
    Si vuole oggi, più a scopo di polemica che di verità, far
    credere un contrasto tra Mazzini e Pisacane nel fine che essi
    volevano raggiungere con la rivoluzione. «Pei moderati e i re-
    pubblicani - Egli avrebbe detto - basta che l'uomo venga di-
    chiarato libero, poco conta che la miseria lo condanni all'igno-
    ranza e che esso sia costretto ad invidiare quel nutrimento di
    cui gli animali domestici e gli schiavi non mancano mai».
    Ora, Pisacane,che ben conosceva l'opera svolta dai repub-
    blicani, e da Mazzini in particolare, durante la Repubblica Ro-
    mana, non poteva attribuire ad essi un programma così me-
    schino. Egli poteva bene scrivere che «tutti i moti iniziati in I-
    talia dopo il '15 caddero tutti dappoiche’ essi attaccavano la
    forma del dispotismo e non il dispotismo medesimo», ma,
    appunto per questo già ne11831 Mazzini aveva fortemente at-
    taccato i dirigenti di quei moti. «Avete mai gettato in mezzo
    al popolo quella parola Uguaglianza che annunciando all'uo-
    mola propria dignità crea dello schiavo un eroe? No. Avete a-
    vuto paura del popolo».
    E aveva condannato le rivoluzioni ogni volta che il fine
    prepostosi fosse l'interesse di una minoranza, d'una casta,
    d'un monopolio e avesse un fine esclusivamente politico, men-
    tre dichiarava sante quelle che soddisfacevano ai bisogni delle
    moltitudini:
    Pisacane si mostra severo contro lo spiritualismo di Mazzi-
    ni specialmente nella parte che rispecchia il misticismo cristia-
    no e la vana speranza di farne base per il risorgimento sociale,
    ma Mazzini non ebbe titubanza a Roma ad espropriare i beni
    degli istituti ecclesiastici e i palazzi dei cardinali. Pisacane at-
    tacca invece violentemente e come nessun altro mai, il cristia-
    nesimo non solo, ma ogni forma di religione, e Mazzini cerca
    di giustificare questa sua irreligiosità, «dissentivamo sull'idea re-
    ligiosa, scrive, ch'Ei non guardava, errore comune ai più, se non at-
    traverso le credenze consunte e perciò tiranniche e corrotte di oggi».
    Ma Pisacane, che pur stimava Mazzini e lo amava diceva di
    Lui: «se Mazzini fosse irreligioso sarebbe l'ideale».
    Altro dissenso tra i due, la fiducia che Mazzini poneva
    nella propaganda delle idee e nell'efficacia dell'educazione
    popolare. Per Pisacane invece la propaganda è una chimera e
    l'educazione del popolo un assurdo come la fratellanza degli
    uomini. Per fare la rivoluzione è necessaria la rivoluzione del-
    le idee, ma questa è un effetto non una causa. Le sorti degli uo-
    mini dipendono pochissimo dalle istituzioni politiche: sono le leggi e-
    conomiche che tutto assorbono, che tutto travolgono nei loro vortici...
    le idee risultano dai fatti, non questi da quelle ed il popolo non sarà
    libero.
    Ce n'è di troppo per fare di Pisacane un teorico del deter-
    minismo ma, nei «Ricordi», Mazzini scrisse di Lui «sul così
    detto socialismo che riducevasi a una mera questione di paro-
    le dacche’ i sistemi esclusivi, assurdi, immorali delle sette fran-
    cesi erano ad uno ad uno da lui respinti e sulla vasta idea so-
    ciale fatta oggi mai inseparabile in tutte le menti di Europa dal
    moto politico, si andava forse più in là di Lui».
    Riconosce Pisacane la necessità di un ordinamento politi-
    co, ma innalza, come Mazzini, la funzione del Comune e vor-
    rebbe invece ridotta al minimo quella dello Stato che, allar-
    gandosi, può dar luogo alla dittatura e alla creazione di idoli.
    «Guai, Egli dice, allorche’ le masse si avvezzano alla inviolabi-
    lità ed alla infallibilità di un uomo. Guai allorche’ le masse si
    avvezzano alla fede non alla ragione; è questo il segreto nel
    quale sino ad ora si è basata la tirannide che ha trovato facile
    strada al conseguimento dei suoi disegni dappoiche’ il pensare
    è fatica dalla quale rifuggono le moltitudini corrive sempre al
    credere» .
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    Ugo La Malfa: Commemorazione nei cent'anni dalla nascita (con Casini, Craveri e Giorgio La Malfa)

    Roma, 20 maggio 2003 - Il presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini, con l'aiuto dello storico Pietro Craveri, ha commemorato oggi nella Sala della Lupa, alla presenza fra gli altri del capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi e del presidente del Senato Marcello Pera, Ugo La Malfa, nel centenario della sua nascita. «Un democratico, senza altri aggettivi» - ha detto Casini. «Ricordarlo non è soltanto il doveroso tributo alla memoria di uno dei padri della Repubblica. E' soprattutto l'occasione per riannodare le fila della vicenda storica nazionale». Il leader storico del Pri, che prima militò nell'Unione democratica nazionale e poi nel partito d'Azione, «ha contribuito a determinare le scelte decisive dell'Italia repubblicana» testimoniando «la nobiltà della politica come passione civile e come impulso alla trasformazione della società, saldando una profonda ispirazione etica e un impietoso realismo». Dopo un quarto di secolo, - ha concluso Casini - «in un quadro politico pur così profondamente modificato, ritroviamo intatta l'attualità non solo della sua ispirazione ideale, ma anche delle sue indicazioni programmatiche».

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