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    Predefinito La paura del collasso finanziario alimentala marcia verso la guerra irakena

    di Muriel Mirak Weissbach

    Quando il 15 luglio, con il mercato azionario a capofitto, il Presidente George W. Bush ha proclamato che "la nostra economia è fondamentalmente forte," la stampa internazionale è stata svelta a far notare che Bush stava ripetendo quasi alla lettera quanto detto da Herbert Hoover il 25 ottobre 1929, "Il business fondamentale del paese, che è la produzione e la distribuzione di beni, è su basi sane e prosperose." La tragicomica dichiarazione di Bush è stata amplificata il giorno successivo, dalle chiacchiere del Direttore della Federal Riserve sul boom permanente della spesa al consumo americana, alimentata dai prezzi dei beni reali saliti alle stelle. Ma le quotazioni delle azioni sono precipitate ulteriormente dopo il discorso del Presidente e sono sopravvissute alle Idi di luglio solo grazie al massiccio intervento della “Squadra di Protezione dal Crollo” di Washington-New York. Più che dalla stessa deposizione di Greenspan che fa fatto seguito al Senato.

    Come sono crollati i mercati mondiali, anche il dollaro è stato scambiato alla pari con l’euro per la prima volta dall’inizio del 1999 e in seguito è andato al di sotto. La quotazione mondiale della moneta scivolava nei confronti del franco svizzero, dello yen giapponese e della sterlina britannica. Il Governatore della Banca Giapponese Masaru Hayami ha dichiarato alla stampa il 17 luglio che “la possibilità di un cambiamento mondiale per scaricare il biglietto verde è abbastanza elevata," come spieghiamo dettagliatamente nella nostra sezione economica.

    Quella crisi del dollaro che era stata prevista da Lyndon LaRouche, come segnale della caduta globale del mondo finanziario, monetario e delle strutture economiche, incombe ora sui banchieri centrali e sui governi nazionali. La via di uscita tenuta d’occhio dall’oligarchia finanziaria colpita dal panico, è la guerra. La loro premessa profondamente sbagliata è che, una volta scatenato un attacco militare contro l’Iraq, gli investitori istituzionali si precipiteranno ad acquistare dollari come rifugio sicuro contro la susseguente crisi. Essi commettono il fatale errore di presupporre di poter consolidare attraverso mezzi militari quell’ “impero” i cui fondamenti finanziari stanno crollando.

    Il più diretto è stato il neo-conservatore di punto John Podhoretz, in un articolo sul New York Post dal titolo "Sorpresa ad ottobre, per favore!" Podhoretz, portavoce dei Cristiano-Sionisti guerrafondai e della "lobby del Likud," la mette giù bruscamente: "Lei si trova inguaiato in politica interna, Sig. Presidente. Ha bisogno di cambiare argomento. Lei ha a sua disposizione il più grande cambiamento. Lo usi.... C’è una succosa doppia trappola iniziando la guerra prima possibile, Sig. Presidente. I suoi nemici sono in delirio esaltandosi con gli scandali sull’avidità delle corporations.... Se lei mette le sue truppe rapidamente in campo, essi andranno su tutte le furie." Due settimane prima, l’ "economista" fascista Lawrence Kudlow aveva detto a Bush che solo una guerra con l’Iraq avrebbe salvato i mercati e l’economia USA, alzando di 2.000 punti il mercato azionario.

    La mobilitazione di truppe

    Mentre il pubblico dibattito sulla guerra contro l’Iraq ha regolato il suo orario per “l’inizio dell’anno prossimo”, è evidente che con il sopraggiunto crollo del dollaro e del mercato, si stanno approntando le condizioni per una mossa in tempi più ravvicinati. Lo scenario militare per una guerra irakena, è stato fatto trapelare con crescente frequenza e maggiori dettagli dalla stampa USA e britannica nel mese di luglio. Ad esempio, il 5 luglio il New York Times ha divulgato la notizia di un “piano militare che mobilita forze aeree, terrestri e navali per attaccare l’Iraq da tre direzioni—nord, sud e ovest—in una campagna per rovesciare il Presidente Saddam Hussein, secondo una persona che ha visto il documento."

    I piani prevedono "l’invasione di decine di migliaia di Marines e soldati, probabilmente dal Kuwait," come "centinaia di velivoli da guerra con base in almeno otto paesi, possibilmente compresi la Turchia e il Qatar," che "scatenerebbero un enorme assalto aereo contro migliaia di obiettivi.... Forze per operazioni speciali o personale operativo coperto della CIA colpirebbero depositi o fabbriche dell’Iraq sospettate di detenere o costruire armi per la distruzione di massa e i missili per lanciarle."

    Pur ponendo tutto ciò puramente nella fase di piano preliminare, il documento ha aggiunto: "Nondimeno, vi sono parecchi segnali che i militari stiano preparando una grande campagna aerea e un’invasione di terra," tra i quali abbiamo i seguenti: "Migliaia di Marines della prima forza di spedizione di Camp Pendleton, California, l’unità marine designata per il Golfo, hanno intensificato le loro esercitazioni di modelli di assalto, ha detto un consigliere del Pentagono. I militari stanno allestendo basi in diversi stati del Golfo Persico, compreso un grande aeroporto nel Qatar chiamato Al Udeid. Migliaia di soldati americani sono già stanziati nella regione." In più, "il Pentagono ha affermato di avere incrementato la produzione di munizioni critiche. L’Air Force sta immagazzinando armi, munizioni e parti di ricambio, come dispositivi per aerei, nei depositi degli Stati Uniti e del Medio Oriente." Altre descrizioni sulla stampa, anche se presentano delle varianti, concordano che l’operazione è in corso. Il 16 luglio, ad esempio, il Wall Street Journal ha raccolto una precedente storia riguardante un altro piano di guerra di “media dimensione”, che vedrebbe il dispiegamento di solo 50-75.000 soldati ed una massiccia forza aerea. Questa versione, richiederebbe solo due settimane per concentrare le forze in Kuwait.

    Le voci di effettive mobilitazioni di truppe sono state separatamente confermate da fonti regionali. Tra i dispiegamenti citati vi sono la concentrazione di truppe nella base aerea turca di Incerlik, e l’introduzione di un numero limitato di special forces in Giordania, dove le basi sono state rese disponibili per le forze USA. Sebbene il governo giordano abbia immediatamente negato la cosa, la speculazione è stata alimentata dall’apparizione dell’ex principe ereditario Hassan ad un ben pubblicizzato meeting di ex ufficiali dell’esercito irakeno a Londra, nel corso del weekend 13-14 luglio.

    Il gruppo di 60-90 ex ufficiali ha discusso sul come attuare il “cambio di regime” a Baghdad. Guidati dal Brig. Gen. Najib al-Salihi, hanno dibattuto sul tipo di governo che potrebbe avere un Iraq post-Saddam, e non hanno trovato un accordo. Najib al-Salihi ha previsto il collasso dell’esercito irakeno in caso di attacco USA; Saddam Hussein si troverebbe isolato e tenterebbe di fuggire; e con la copertura aerea USA, le truppe ribelli sul campo potrebbero prendere Baghdad. Egli ha sollecitato gli Stati Uniti a chiarire di puntare solo su Saddam Hussein, per evitare "due eserciti uno di fronte all’altro." Un comitato di 15 ufficiali, in rappresentanza di tutti i gruppi religiosi ed etnici, è stato costituito per pianificare l’operazione completa.

    Un meeting spettacolo

    Secondo esperti regionali ben informati, il branco raccolto a Londra non rappresenta un’alternativa militare praticabile, più di quanto l’ Iraqi National Congress a guida di Ahmed Chalab reppresenti un’alternativa politica. Qualsiasi paragone con le capacità militari e l’esperienza del Fronte Unito Afghano (esso stesso non in grande forma), sarebbe minacciato dal ridicolo. Il significato del meeting di Londra non è stato militare, ma politico e psicologico: esso ha semplicemente reso molto pubblico - grazie alla presenza in massa dei media britannici— che è avviata un’operazione per rimuovere Saddam Hussein.

    La presenza dell’ex principe ereditario e zio del re giordano Abdullah II, ha destato enorme attenzione nel mondo arabo. Come riferisce Brian Whitaker, sul London Guardian, il principe Hassan ha camminato fino in capo alla hall, per prendere posto vicino a Sharif Ali bin al-Hussein, cugino dell’ultimo re dell’Iraq. Il principe Hassan ha detto ai reporters di essere lì come "osservatore," aggiungendo che egli sostiene "il diritto dell’Iraq di vivere in democrazia, in sicurezza e in pace."

    Il giorno dopo, il Ministro giordano dell’Informazione, Mohammad Advan, ha negato che il governo sapesse della partecipazione, "che non è conforme alle posizioni di principio giordane di fraternità con l’Iraq." Anche il Re Abdullah II è intervenuto per valutare l’impatto dell’apparizione di Hassan, ribadendo con enfasi in un’intervista alla NBC News, che non esiste alcuna intesa tra Giordania e Stati Uniti per un attacco contro l’Iraq. Il Re ha anche avvertito che qualsiasi azione militare aggraverebbe le frustrazioni arabe, isolerebbe internazionalmente gli Stati Uniti e accenderebbe la violenza in tutto l’Iraq.

    Non si conoscono i fatti che stanno dietro le azioni del Principe Hassan. Può essere che sotto la massiccia pressione americana esercitata sulla Giordania, con il bastone della potenza militare e la carota dell’aiuto finanziario, alcune forze del Regno stiano flirtando con l’opzione di accettare segretamente le mosse USA. È stato riferito che altre nazioni arabe sono state ragguagliate dagli Stati Uniti che “questa volta” l’operazione sarà chirurgica, veloce, efficace e che chiunque non voglia affiancarla si troverà in seguito egli stesso sulla graticola. Coloro che scelgono di adeguarsi, potrebbero raccogliere i benefici di un ridisegno della carta dell’intera regione.

    Gli scenari in circolazione includono l’opzione di un’azione israeliana per espellere i Palestinesi verso la Giordania una volta iniziato l’attacco all’Iraq, secondo la strategia del Primo ministro israeliano Ariel Sharon per cui "la Giordania è Palestina." In questa eventualità, la dinastia hashemita verrebbe ricollocata verso un Iraq suddiviso o verso un’Arabia Saudita con un analogo destino, con l’attribuzione di nuovi poteri. Un piano d’azione che il Vicesegretario alla Difesa Wolfowitz avrebbe discusso con i governi della regione, compreso quello turco, prevede la suddivisione dell’Iraq, con un meridione sciita, una Bagdad sunnita (con presenza degli Hashemiti), un settentrione “turco” attorno a Mosul e a Kirkuk, ed una regione montana kurda.

    La sostanza di cui sono fatti gli incubi

    Nessuno degli scenari e delle strategie di guerra americani e britannici funzionerà secondo i piani, come già mostrato in dettaglio da EIR (“Non vi sarà una II Desert Storm”, EIR del 29 marzo). In base alle attestazioni di militari di professione, qualsiasi serio tentativo di rovesciare il governo irakeno richiederebbe una forza d’invasione di 250.000 uomini, che non è prontamente disponibile. È una chimera che le forze kurde a nord ed i gruppi sciiti a sud possano unirsi per combattere una guerra efficace, raccogliendo un massiccio sostegno popolare. I leaders kurdi hanno ripetutamente insistito di non ambire ad essere i burattini degli USA in un gioco che potrebbe distruggere la relativa autonomia economica e politica di cui essi godono. Qualsiasi aggressione da parte dei gruppi shiiti metterebbe in moto altri ingranaggi, dal momento che alcuni di essi sono spalleggiati dall’Iran, una delle potenze principali del Golfo Persico che nessuno a Washington vuole accrescere.

    Lyndon LaRouche ha sottolineato in un’intervista dell’8 luglio alla radio nazionale iraniana, che una simile guerra contro l’Iraq non può essere vinta, perché con l’attacco degli Stati Uniti, l’Israele di Sharon si muoverà verso la sua “soluzione finale” di espellere i palestinesi e, molto probabilmente, attaccherà l’Iran. L’Iran, in questo caso, non rimarrebbe fermo. Non si può sapere il tipo di reazione dell’Iraq, ma esso resisterebbe. La Turchia si troverà nel pieno di rivolgimenti. Il Vicesegretario alla Difesa Wolfowitz ha cercato di rassicurare gli ufficiali turchi che gli Stati Uniti non tollererebbero il sorgere di un’entità kurda dal conflitto; ma ogni frantumazione dell’Iraq darebbe l’avvio alla guerra civile, i cui effetti ricadrebbero sulla Turchia.

    Che la guerra accenda malcontento e conflitto in tutto il mondo arabo e islamico è, non a caso, uno degli obiettivi dell’intera operazione. Un caos proprio di questo tipo, che sta minacciando i governi in Africa del Nord, Medio Oriente, nel Golfo Persico e in Asia Centrale, favorisce l’imposizione militare di un nuovo controllo imperiale.

    Ma questo ipotetico impero è al collasso; un simile caos intende (senza successo) salvare gli squali del mercato azionario di un sistema finanziario fallito.



    Questo articolo compare sul numero del 26 luglio 2002 di Executive Intelligence Review.
    Traduzione dall'inglese a cura di "Belgicus"
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

  2. #2
    Totila
    Ospite

    Predefinito

    A proposito di collassi finanziari...Sembra che altre "corporations" abbiano casini nei bilanci: AOL, Citybank...O Citycorps (?)...

 

 

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