Bossi a Udine: tutto è pronto
per far scattare la devoluzione
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Arrivato in ritardo alla festa della Lega Nord in Giardin Grande, Umberto Bossi non ha smentito le attese di una platea entusiasta, strappata a generosi boccali di birra e a prelibatezze tipo il “muss in tavola” e salsicce a volontà. L’incipit è solenne: tutti in piedi ad ascoltare il coro verdiano dal Nabucco, eletto a inno del Carroccio; poi agli applausi, uno scroscio; e via libera infine a un Bossi torrentizio e tonitruante, in forma smagliante, che ha infilato tutte le stecche possibili nel gran ventaglio della politica italiana, dall’inflazione all’emigrazione, con ampie digressioni nella storia recente, intese a dimostrare il paradigma della Lega-che-ha-sempre-ragione «perché espressione del popolo».
Il ministro alle riforme ha esordito con l’attualità, ovvero la paura che in settembre arrivi l’onda inflazionista. E ha concluso con il federalismo («stiamo facendo noi le leggi di attuazione tenute nel cassetto dalla sinistra») e con la devoluzione («sarà l’anno buono, e tutto è pronto per scattare in settembre») in materia di scuola, sanità e Corte Costituzionale. «Sarà, questa, la volata finale prima di passare al terzo passo: il Senato federale e i Coordinamenti interregionali cui sarà conferita potestà di progettazione legislativa».
Quanto alla politica economica, che ha occupato gran parte del discorso, Bossi ha assicurato che il Governo «farà la sua parte fin dove arriva il suo potere», purtroppo limitato al contenimento delle tariffe pubbliche. «Possiamo mettervi dei limiti - ha spiegato - e li decideremo nel prossimo Consiglio dei ministri. Ma non possiamo certo infilarci nei listini prezzi del barista perché chi l’ha tentato, vedi l’Urss, ha visto lievitare la borsa nera. Se mai è da chiedersi, e io lo chiederò in quella riunione, cosa ci stanno a fare le nostre authorities di controllo guidate da “sinistrorsi” a mezzo miliardo di lire l’anno. Non mi pare funzionino. So anch'io - ha insistito - che l’inflazione sale, ma queste authorities non hanno fatto nulla. Diciamo che questo problema va affrontato con coraggio: bisogna cacciarli e poi chiudere certe organizzazioni che non funzionano e che di fatto si alleano ai produttori glissando invece sul controllo dei livelli dei prezzi». La colpa è sicuramente della crisi mondiale - ha aggiunto il ministro entrando nel merito - «ma noi la scelta per uscirne l'abbiamo già fatta: ed è quella degli investimenti nelle grandi opere. La gente potrà così investire i propri risparmi in obbligazioni sicure, di durata medio-lunga, piuttosto che nel “mordi e fuggi” della Borsa».
La guerra all’inflazione non sarà dunque disgiunta dall’opzione per lo sviluppo, presentata dal senatùr come il cardine della filosofia politico-economica della Lega. Se per smuovere la congiuntura occorre far ripartire i consumi, bisogna fare una scelta di campo tra chi ha puntato sulla virtualità di un’economia poi impaludatasi nei bilanci falsificati (e giù una pesantissima stoccata all’ex presidente americano Clinton, presentato come il mantice della gigantesca bolla speculativa della new economy) e chi – come la Lega – predilige allargare i consumi delle famiglie, della gente, insomma del popolo, in uno scenario dove a prevalere sia l’economia reale e non quella finanziaria. Da qui le scelte – puntualmente e ostinatamente rivendicate alle sollecitazioni della Lega – di aumentare le pensioni minime e contestualmente di abbassare le tasse. «Un muratore che pagave tre milioni di Irpef ora ne risparmia 1,2», che può investire appunto nei consumi. «E fra un mese – ha annunciato – Maroni entrerà in azione per aiutare le famiglie». Se occorre aumentare i consumi per contrastare il ristagno economico, insomma, «sia il popolo a consumare di più».
Bossi ha dato una spallata al pessimismo di chi prevede un autunno gramo. «In campo economico – ha detto – le cose in Italia non vanno male, perchè dal punto di vista della produzione e dello sviluppo non siamo secondi a nessun Paese al mondo. E lo siamo anche in un momento di grave crisi dell’economia finanziaria. Quando siamo partiti con la Casa delle Libertà - ha aggiunto il leader leghista - abbiamo investito su un principio fondamentale sul quale la Lega non molla la presa: l’idea che il potere viene dal basso contro quella del potere tecnocratico che viene dall'alto cara alla sinistra che l’applicata in Europa». Se il potere viene dal basso - e qui ha tuonato il suo sillogismo - anche l'economia deve venire dal basso. «Noi non siamo contro la Borsa, ma contro le forzature della Borsa (e la Consob che fa?), contro la falsificazione dei bilanci fatta per alimentare forzosamente il circuito tra produzione, imprese e consumi. Noi della Lega diciamo invece che per sostenere i consumi la via giusta è aiutare i redditi medio-bassi, le famiglie insomma, dopo di che saranno queste a sostenere i consumi prima e lo sviluppo poi».
Tra sventagliate alla sinistra, «ai comunisti di ieri e di sempre, «quelli del tanto peggio tanto meglio (per loro...)»; critiche al vetriolo ai «grembiulini e ai tecnocrati della business community», definiti rudemente «porcelloni che vogliono la fine della democrazia» per volere il popolo «occupato a guardare soap operas»; e valanghe di accuse fatte rotolare sugli eurocrati dell’Europa, Bossi ha tirato dritto, enciclopedico, passando dall’attualità alla storia (riconsiderata in chiave leghista), con un linguaggio pungente e colorito, che rimbalzava sulla piazza attraverso altoparlanti a decibel spiegati.
Sull’Europa, memore degli strali lanciati al Carroccio da varie capitali europee, Bossi ha detto di scegliere «quella dei popoli, cristiana», contro quella «dei framassoni e dei loro manutengoli». Questa Europa «ha tentato di cancellare l’identità dei popoli. Ma la Lega ha superato questa via crucis perché ha le spalle larghe. Largo spazio ha dedicato all’immigrazione e alla legge che porta anche il suo nome (al riguardo ha insistito sull’opportunità di aiutare i Paesi poveri «non con la Tobin tax», ma con progetti selezionati, da attivare attraverso risorse raccolte defiscalizzando l’1% dei consumi); e, infine, al come sfrattare dalle strade e dai luoghi pubblici la prostituzione. Una nota di colore tra le tante è stata il richiamo al limite imposto sul numero dei calciatori stranieri, presentato come un indotto della sua legge; richiamo – ha precisato – volutamente fatto a Udine. «Il limite agli stranieri bidoni – ha esclamato – segna la fine delle porcherie dei mercanti di carne umana che comprano ragazzini di 15 anni per rivenderli in serie D o C o B, raramente in A, a tutta Europa».
Scontata la conclusione: «Viva la Padania, viva il Friùl
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