Il pastore Gianni Genre sui temi del Sinodo valdese
Da Rio de la Plata ci dicono che...


Fulvio Fania

Una "valle" valdese nel Rio de la Plata, abitata da lontani discendenti delle valli di Pinerolo, lo storico insediamento dei seguaci di Valdo. Nipoti e pronipoti di gente che scappò a metà Ottocento dalla fame, dai cattivi raccolti di patate o, nell'ultimo dopoguerra, inseguì il richiamo di un'Argentina ricca di carne e grano. Il "moderatore" dei quindicimila valdesi argentini e uruguayani, Hugo Armand Pilon, in questi giorni è venuto a Torre Pellice, in Piemonte, per seguire l'annuale Sinodo valdese e metodista italiano, piccola e vivace chiesa cristiana di 35mila fedeli. A tutti ha raccontato la tragedia economica che ha colpito il suo popolo, famiglie di ceto medio finite sul lastrico, posti di lavoro e risparmi bancari evaporati, disperazione e povertà improvvise.
Per Gianni Genre, moderatore della Tavola valdese e metodista in Italia, la sua testimonianza ha confermato che i valdesi costituiscono davvero una chiesa "dei due mondi" e soprattutto che il crack latino-americano è parente stretto dei problemi sul tappeto a Johannesburg. Lo scorso anno, il Sinodo aveva dedicato un'intera sessione al tema della globalizzazione; stavolta ha proposto - insieme alla Federazione evangelica - l'adozione di un «codice vincolante per le multinazionali» nel tentativo di una «globalizzazione democratica».

«Il dramma dell'Argentina - osserva Genre - è una vicenda che interroga da vicino la fede. Vogliamo che i membri delle nostre chiese ne siano sempre più consapevoli: siamo tutti su una stessa barca. Noi, tra l'altro, non siamo mai stati una chiesa soltanto italiana: nati in Francia, diffusi nelle Fiandre, sul Baltico, in Sud America.

Che cosa vi dimostra la crisi latino-americana?
Sicuramente ci sono anche colpe nazionali e risalgono al 1946, alla vittoria del populismo di Peron, poi all'incredibile livello di corruzione. Ma questi paesi stanno subendo soprattutto le ripercussioni della politica adottata negli anni 80 in accordo con il Fmi, cioè la privatizzazione. L'Argentina si è letteralmente venduta, ha ceduto anche i beni del sottosuolo e l'acqua - ad una multinazionale francese -, sebbene la Costituzione consideri queste risorse beni inalienabili. E' proprio questo uno dei tanti nessi con Johannesburg. Inoltre c'è il rischio che una saldatura tra la piccola borghesia impoverita e i poveri da sempre provochi una repressione militare, purtroppo già vista da quelle parti.

E Johannesburg?
Il timore è che il vertice si trasformi in un summit del Wto. Però, la consapevolezza su questi problemi sta crescendo tra la gente.

Nella capitale dell'impero, gli Usa, batte un cuore protestante. Voi siete una piccola porzione del cristianesimo evangelico ma le posizioni sociali e politiche dei Riformati sono molto differenziate. Sarà mai possibile dare una voce unitaria alla famiglia protestante?
Non si arriverà mai ad un'unica posizione. E' una delle grandi debolezze e al tempo stesso, non dico una chance, ma il segno di una libertà perché non esiste un magistero che ci indichi ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Negli Usa esistono duemila denominazioni protestanti, quasi una follia. Tra quelle maggiori vi sono posizioni diversificate su molte questioni politiche ed etiche. La "Southern baptist convention", una delle più grandi e potenti confessioni del mondo cui aderiscono molti uomini politici, ha espresso spesso opinioni reazionarie. Altre chiese, come la presbiteriana, sono invece "liberal" e infatti si sono pronunciate contro l'eventualità di un attacco all'Iraq. Lo stesso vale per la "United Church of Christ", che è contraria alla pena di morte e alla guerra, compreso l'intervento in Afghanistan. I presbiteriani americani, anzi, ci hanno sollecitato ad una iniziativa contro le bombe su Baghdad, alle quali naturalmente siamo contrari.

Lei ha partecipato ad una delegazione evangelica in Palestina. Come è andata?
Abbiamo cercato di parlare con tutte le parti, anche alla Knesset, con l'opposizione e con il capogruppo del Likud. A dispetto dei "consigli" dell'esercito israeliano siamo stati nei Territori e nella striscia di Gaza. E' scontato per noi considerare inaccettabile l'occupazione israeliana dei Territori, ma abbiamo voluto incontrare tutti, in particolare i famigliari delle vittime dell'una e dell'altra parte. L'Europa ha un grandissimo ruolo da svolgere e non lo svolge abbastanza. I palestinesi ci hanno detto che anche le chiese cristiane sono presenti meno del necessario.

Che effetto vi fa la nuova legge anti-immigrati?
E' inaccettabile anche da un punto di vista cristiano. Nutre infatti la cultura del sospetto, la presunzione di colpevolezza solo per il colore della pelle. Sono d'accordo con Nigrizia e con tutte le voci cattoliche che la respingono. Cerchiamo di accogliere gli immigrati integrandoli anche nelle nostre chiese per costruire qualcosa di nuovo assieme.

Ha citato i cattolici: qual è il bilancio dei rapporti nell'ultimo anno?
Non ci sono novità rilevanti: un ottimo rapporto a livello di base quasi ovunque con qualche incomprensione, come ad esempio sul documento comune tra Sinodo valdese e Cei (matrimoni misti) firmato nel 2000 ma non sempre conosciuto e fatto rispettare. D'altra parte, il dialogo con il mondo cattolico italiano sul terreno ecumenico non può che andare avanti. Su alcune posizioni vaticane, invece, continuiamo ad essere preoccupati. Certe ingerenze nella vita dello Stato stanno riducendone la laicità: si pensi al finanziamento delle facoltà teologiche in Sicilia o a quello degli oratori. Queste pressioni, che prendono di mira anche leggi come l'aborto, non ci piacciono.

Wojtyla esalta il Dio nella storia e propone una fede che non si fermi sulla soglia dello Stato. E voi?
Sono cose diverse. Il Dio biblico è un dio della storia, che chiama un popolo alla liberazione e gli dà vocazione; Gesù è Dio che si fa storia terrena, non il dio dei filosofi greci. Quanto alla laicità dello stato, invece, noi la rivendichiamo proprio in quanto credenti. Non devono esserci compromissioni: lo Stato deve svolgere il suo compito e la Chiesa deve fare altrettanto, pagandosi la propria predicazione. Mi preoccupa uno stato che delega alle chiese gli interventi sociali, e ci dice ad esempio: «sulle tossicodipendenze fate voi, che siete bravi».

Liberazione 28 agosto 2002
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