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  1. #21
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    Predefinito tratto da IL CORRIERE DELLA SERA 23 novembre 2004

    [color=dark blue]Caro La Malfa, ricordo un suo libro uscito nel 2000 dal ...
    [/color]

    Caro La Malfa, ricordo un suo libro uscito nel 2000 dal titolo «L'Europa legata: i rischi dell'euro» che venne considerato fin troppo severo nel giudizio sul Trattato. L’esperienza di questi anni conferma quelle sue valutazioni: è troppo rigido il Patto di stabilità, secondo cui i Paesi membri debbono, quali che siano le circostanze economiche, evitare deficit pubblici superiori al 3 per cento del Pil («sarebbe bene che Piero Fassino e i suoi - lei ricorda in una parte della lettera che ho dovuto tagliare per ragioni di spazio - non dimenticassero mai che Romano Prodi dichiarò in un'intervista a Le Monde che il Patto è "stupido"»). Ma soprattutto - qui riprendo il suo ragionamento - è sbagliata l’impostazione della politica monetaria che pone l’accento solo ed esclusivamente sul pericolo dell’inflazione e consente alla Banca centrale europea di disinteressarsi per esempio dell'assurdità delle attuali quotazioni dell’euro. È chiaro che più alto è l’euro minori sono i rischi di importare inflazione, ma un euro che valga il 30 per cento più del dollaro comporta un crollo della competitività internazionale delle merci prodotte in Europa e in Italia e quindi la sostanziale stagnazione economica. È la rigidità della politica monetaria a spingere agli sfondamenti del Patto di stabilità: se l’economia non tira, i governi debbono cercare di sostenerla e per farlo non hanno che lo strumento della finanza pubblica o sotto forma di maggiori spese o sotto forma di minori entrate.
    «Per questo motivo - lei conclude - penso che abbia ragione il governo italiano a proporsi una riduzione delle entrate e aggiungo che, perché sia efficace ai fini della ripresa, è bene che essa sia fatta, in tutto o in parte, in deficit. Il problema da valutare non sono i parametri di Maastricht che per qualche anno consentono il superamento del limite del 3 per cento senza provocare sanzioni. Il problema è il giudizio sul debito pubblico italiano che le agenzie di rating potrebbero dare a seguito di un superamento del limite del 3 per cento.
    Io ritengo che se la manovra venisse studiata e presentata bene, non è detto che essa non potrebbe essere accolta in modo non negativo dai mercati». Ma le è chiaro, caro La Malfa, che se la manovra viene giustificata essenzialmente come il rispetto di una promessa elettorale, se la maggioranza è divisa, se il ministro dell’Economia è oscillante, se come lei dice «la Banca d’Italia vuole sfruttare l’occasione per impedire alle Camere una riforma del risparmio e se l'opposizione, temendo il successo del governo, si scatena», tutto diventa più difficile e più rischioso.

  2. #22
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    Predefinito tratto da L'AVANTI 1 dicembre 2004

    L’europeismo miope di Amato e Giscard

    01/12/2004
    Giuliano Amato, Ralph Dahrendorf, Valery Giscard d'Estaing sono uomini d'onore. Il loro onore di europei d'America, contro ogni suggestione di europeismo intriso di antiamericanismo, li ha indotti a quella lettera aperta (“Caro Bush, voltiamo pagina”) pubblicata domenica sul “Corriere della Sera”, per iniziativa dell'Aspen Institute Italia, non priva di accenti critici e anche autocritici sulle ultime stagioni delle relazioni tra Stati Uniti ed Europa. Bisogna, per Amato, Dahrendorf e Giscard, evitare “due errori di prospettiva: occorre che gli americani non smettano di considerare l'integrazione europea tra i loro principali interessi e che gli europei non inizino a definire la loro identità in opposizione agli Stati Uniti”. Giustissimo. Ma questi “due errori di prospettiva” non sono in realtà due volti di un unico errore di prospettiva? E perché chiamare in causa atteggiamenti e comportamenti dell'America di Bush invece che dell'Europa di Chirac e di Schroeder? E davvero in Europa ci si può adoperare per rendere possibile l'affermazione di una leadership palestinese responsabile e affidabile, come ai tre uomini d'onore piacerebbe, senza sradicare quelle incestuose contiguità con il terrorismo palestinese che hanno segnato e disonorato le politiche dei Prodi e dei Solana? Non senza “ésprit de geometrie” e con qualche risorsa pure di “ésprit de finesse”, la lettera aperta degli europei d'America vorrebbe articolare e bilanciare le ragioni di una alleanza transatlantica più forte, comunque e dovunque, delle incomprensioni e delle lacerazioni registratesi negli ultimi anni. Si evocano la Cina, l'India, la Russia, la Nato, l'Iran, il Medio Oriente e, ovviamente, un'America non più in campagna elettorale e un’Europa ancor più integrata. Ma non c’è alcun riferimento - nei sentimenti e negli argomenti degli europei d'America - alla Gran Bretagna. Perché? Perché si considera Blair un americano d'Europa, troppo vicino alle scelte di Bush per partecipare dell’“europeismo” degli Chirac e degli Schroeder? Perché nella vicenda dell'integrazione europea, la sovranità nazionale del socialismo francese merita più rispetto e più attenzione di quella del laburismo inglese? Perché nella storia e nel futuro dell'Europa il 1789 francese deve pesare più del 1688 inglese (per alleggerire poi, nel sistema globale, il peso del 1776 americano…)? “L'Europa - scriveva su ‘La Stampa’ di domenica scorsa Barbara Spinelli - si può fare senza inglesi, e più volte s’è fatta loro malgrado. Senza la Francia no. La Francia è una potenza che ha sempre fatto o disfatto l'Europa, e anche adesso ha il potere di edificarla come di disintegrarla. Senza Parigi, gli altri referendum europei diventano in fondo superflui e la Costituzione, solennemente firmata il 29 ottobre a Roma, sarà affossata”. Non è così. Almeno dopo l’undici settembre e dopo tutto quel che ne è seguito, un'Europa senza inglesi è impensabile. Del resto, Giorgio La Malfa su “Il Sole 24Ore” sempre di domenica scorsa replicava alle ricorrenti accuse al governo Berlusconi di scarso europeismo con un ricordo assai lontano dalle odierne sensibilità della Spinelli e degli stessi Amato, Dahrendorf e Giscard. In una polemica degli anni Sessanta - all'indomani del veto posto dalla Francia gollista (di cui Chirac è l'erede) all'ingresso della Gran Bretagna guidata allora (come oggi) da un primo ministro laburista - Ugo La Malfa aveva rilevato come l'Unione europea senza la Gran Bretagna e contrapposta agli Stati Uniti non avesse alcun valore agli occhi degli europeisti veri. “Oggi - argomenta Giorgio La Malfa - che l'Europa unita degli Chirac e degli Schroeder non ha il coraggio di difendere la democrazia del voto in Ucraina ed è su questo tema assai più cauta della Amministrazione americana, siamo certi che l'europeismo italiano coincida esattamente con un appiattimento sulla Francia e sulla Germania, come vorrebbe l'attuale opposizione?”.

    Luigi Compagna

  3. #23
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    Predefinito tratto da L'OPINIONE 18 dicembre 2004

    Ue: Berlusconi allenta il patto



    Nel giorno dell’accordo sull’entrata della Turchia nella Ue, Berlusconi incontra i principali partner europei e li convince della necessità di rivedere i parametri del patto di stabilità che per la loro eccessiva rigidità minacciano di strangolare l’economia europea. Blair, Chirac e Schroeder si dicono d’accordo con il presidente del Consiglio italiano e propongono un’interpretazione più flessibile a vantaggio di tutti i paesi dell’Unione.

  4. #24
    brescianofobo
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    Traduciamo in parole povere: Berlusconi vuole fare nuovi debiti.


  5. #25
    Garibaldi
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    Ecco, bravo, adesso fammi un sondaggio su Mastella e l'Udeur!!!

  6. #26
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    Predefinito tratto da L'OPINIONE 7 marzo 2005

    L’anima “stalinista” di Romano Prodi e l’estromissione di Giuliano Amato

    Tutti i colpi bassi inferti dal leader dell’Unione all’ex craxiano passato agli avversari

    di Maurizio Liverani

    Dopo aver forgiato il programma di Romano Prodi per le elezioni europee, Giuliano Amato, da ghirigoro inesplicabile, è stato messo nell’Unione (capeggiata dallo stesso Prodi) come il verme nel formaggio. Quello che il presidente dello Sdi Enrico Boselli definisce una “risorsa preziosa” della sinistra non è più sfiorato dal respiro della Storia, da quando i ds gli hanno preferito Lamberto Dini e Ciriaco De Mita. La scusa per estrometterlo: “non ha la tessera del Ds”. Bisogna riconoscere che nella scialuppa di Romano Prodi Amato aveva, in questi ultimi tempi, l’aria di un modello invecchiato, sfiorito nella sacrestia dell’Ulivo.
    Craxiano della prima ora aveva un tempo l’innata capacità di trarre il massimo vantaggio da avvenimenti contrari. Bisogna però ammettere che è uno dei pochissimi ex-craxiani con la vocazione al naufragio. Quando era utile a Fassino e D’Alema appariva colmo degli onori che si attribuiscono ai cosiddetti “cervelli aguzzi” cui si dà la cresta inamidata e le maniche a sbuffo che usano le domestiche bretoni in modo che anche gli avversari possano guardarli con occhi sbarrati di meraviglia e che gli sciocchi scambiano per considerazione e stima. Giuliano Amato ha conosciuto, al teatro Brancaccio – dove era riunita la federazione di Prodi – la spietatezza dei suoi “amici”, Fassino e D’Alema. Romano Prodi sa che, in casa socialista, Giuliano Amato non è più “portato”; citandolo, ha favorito il malumore dei congressisti. Il “dottor sottile” è visto, tra i socialisti come un infedele.
    Tra i diessini ha perduto da tempo tutti gli angeli custodi; gli è rimasto fedele Enrico Morando, un autentico “liberal” che, per favorire Fassino al congresso, non aveva incrociato le armi con l’attuale segretario del Ds.
    Come ricompensa per tanta lealtà, Romano Prodi, da “ladro nella notte”, ha sostituito Amato con Bassolino. E pensare che, dietro lo scudo di Massimo D’Alema, Amato si era costituito una fama “blairiana” di spadaccino della “terza via”. Si è sempre atteggiato a intellettuale che ha l’universo “berlusconiano” a dispetto, pur essendo stato incoraggiato da Silvio a candidarsi in quel di Grosseto in vista di un non lontano “inciucio”. “Cosa volete”, pare dica, “sono fatto così”, come in una sorta di difesa di diversità dai “boselliani”, diversità che Amato vorrebbe persino malinconica, immensa e “orrenda”, come quella che patì Leopardi.
    La campana di chi è incline a leggere nella “notte dei lunghi coltelli”, svoltasi al teatro Brancaccio (e condotta da Romano Prodi) l’espulsione di Amato, va interpretata in tre modi: a) al “dottor sottile” non passi per la mente di candidarsi a Palazzo Chigi; b) che nella cosca del centrosinistra non salirà molto in alto; c) che ormai i socialisti non hanno più futuro perché il “craxismo” è stato fagocitato nel Ds.
    Invasato dalla propria vocazione di essere un tecnocrate di stampo anglosassone, Amato si prende troppo sul serio; sia per compiacersi del proprio “genio”, sia per prendere le distanze dagli ex socialisti che considera “delle schiappine”. Senza Bettino Craxi, i boselliani sono dei piccoli fedifraghi. Dalla loro attrezzeria stalinista, Fassino e D’Alema – sollecitati da Romano Prodi – hanno tirato fuori le armi per scongiurare la scalata di Giuliano Amato e per aprire a colpi d’ascia nella foresta tra “destra” e “sinistra” una via d’uscita, un sentiero per quei riformisti che avvertono il richiamo della sirena di Berlusconi. Lo stalinismo non è morto con Stalin. E’vivo nel presente, anche se ha cambiato forma. L’attuale stalinismo, soprattutto quello italiano, non può non impiegare gli stessi metodi, dato che non ne possiede più la forza. Non ci sono più le famose “purghe”, non c’è più confessione di colpe non commesse, non c’è l’esilio, non ci sono i gulag. L’essenza del neo stalinismo è trasferita nell’obbligo – sentito come una invitante costrizione – di vivere nel guscio della politica della sinistra. C’è chi si adegua, convinto che la salvezza passa per il conformismo; in cambio di qualche poltrona.

  7. #27
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    Predefinito tratto da http://www.pri.it

    Approccio sbagliato

    Confusa e contraddittoria la proposta economica del centrosinistra

    Dalle cronache politiche di questi giorni abbiamo sempre più maturato la convinzione che, se la sinistra vincesse le prossime elezioni politiche, la confusione economica sarebbe totale.

    Lo pensiamo sulla base delle indicazioni contrastanti in cui si dilettano in queste ore i principali esponenti dell'opposizione. Cominciamo con il professor Romano Prodi, che pur dice una cosa giusta quando chiede la riduzione del costo del lavoro, perché è chiaro che, se il governo procedesse su questa direttiva, le imprese ne trarrebbero benefici considerevoli. Ma non favorisce il Mezzogiorno la riduzione del costo del lavoro, come pure richiede con insistenza l'onorevole D'Alema impegnato in Puglia, perché una tale misura aiuta la parte del Paese dove è concentrata la maggior parte del sistema imprenditoriale, e cioè il Nord. Per cui non ha senso accusare il governo di non aver sostenuto il Sud, come dice D'Alema, e proporre al contempo la riduzione del costo del lavoro con Prodi, il che comporterebbe solo una agevolazione per il settentrione.

    E' vero poi che l'onorevole Fassino ha fatto propria, e con un certo vigore, l'idea di un rilancio di misure favorevoli alla competitività. Non avremmo nulla da contestare ad una formula che presupporrebbe di reperire risorse per rendere così più competitivo il sistema del Paese. Piuttosto temiamo che il rapporto tempi - benefici potrebbe essere tale da mandare all'aria il governo portatore di questa proposta, se esso non disponesse di una maggioranza molto ampia e coesa. Il vero problema, però, è capire come pensa l'onorevole Fassino di coniugare questi investimenti per la competitività con i sussidi alla disoccupazione, in modo da sopperire ai rischi del lavoro precario. La sua ci sembra un'idea fuori dalla storia. Paesi come l'Inghilterra e la Germania che, badate bene, non hanno avuto un sindacato impegnato in vent'anni di lotta al profitto e al superamento del capitalismo, hanno impiantato un modello di questo genere creando danni sociali enormi, oltre che ingenerando reazioni ultraliberiste. Ma vorremmo vedere come, a fronte di una situazione economica considerata gravissima, quale la dipinge - a torto o a ragione - l'onorevole Fassino, un governo di sinistra sarebbe in grado di reperire insieme risorse per la competitività a creare posti di lavoro, e al contempo offrire un sussidio a chi il lavoro lo cerca o non ce l'ha. Senza contare che l'onorevole Fassino ha descritto nella sua relazione congressuale un modello sociale da difendere di dimensioni tali che i costi del welfare supererebbero almeno di sei volte quelli attuali. Per cui, forse, l'unica ipotesi plausibile per realizzare un tale piano fassiniano sarebbe la patrimoniale, come chiede l'onorevole Bertinotti. Ma se questo salderebbe il rapporto fra Ds e Rifondazione, ecco che verrebbe immediatamente meno quello con Prodi e la Margherita, che si sono già detti contrari - e a nostro avviso con ragione - all'imposta patrimoniale. Temiamo che tali differenziazioni non si superino in questa ultima fase della legislatura, perché il centrosinistra è più impegnato a cercare un duello rusticano con la maggioranza, piuttosto di capire davvero cosa vuole fare domani, se mai avesse di nuovo la responsabilità di governo. Prodi da parte sua è convinto di poter comandare e che gli altri obbediranno, ma gli diciamo in amicizia che si illude, come si illuse nel '96 di poter governare per cinque anni.

    Certo: ci sono dei problemi nella situazione economica del paese, ed anche nella strategia del governo, ma l'approccio critico dell'opposizione è profondamente sbagliato.

    Intanto essa non vuole rendersi conto, per ragioni propagandistiche immaginiamo, delle difficoltà congiunturali dovute dalle politiche antinflazionistiche della Banca centrale europea. Ma come possiamo pensare di vedere crescere l'economia italiana, o quella continentale in generale, se la nostra moneta unica schiaccia il dollaro che pure rappresenta una crescita economica di oltre 4 punti percentuali rispetto alla nostra? Se domani la sinistra vincesse le elezioni, non avrebbe ricette che potrebbero tenere, se non l'unica perseguibile, quella di incrementare i consumi, la stessa sostenuta dall'attuale governo. Forse, dopo la campagna elettorale delle regionali, bisognerà preoccuparsi di cambiare registro e trovare elementi di strategia comune per superare difficoltà che vanno ben sopra le responsabilità di questa o di quella coalizione.

    Roma, 31 marzo 2005

  8. #28
    brescianofobo
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    Ma sentiamo adesso anche il parere di chi lavora, non solo quello dell'anonimo corsivista-pollista che bada bene a non svelare la propria identità, perchè di una tale marea di CAZZATE BANANAS giustamente si vergogna.

    Amici, la verità è una sola, semplice e lineare: CON PRODI SI STAVA MEGLIO. CON BERLUSCONI SIAMO GLI ULTIMI AL MONDO E FILIAMO VERSO LA BANCAROTTA.

    Amici, parliamoci chiaro: possibile che confcommercio, confartigianato, confindustria, sindacati, presidente Ciampi, Presidente Prodi, Fazio, ISTAT, OCSE, siano tutti dei faziosi propagandisti e l'unico genio del gruppo sia il banana che scrive di economia sulla Voce Repubblicana? Ma ci prendete tutti per fessi?



    «Il governo deve dare una scossa alla nostra economia»
    Billè: Italia rischia una deriva argentina
    Il presidente della Confcommercio: Pil 2004 a +0,8%, il Paese rischia di finire in serie B


    CERNOBBIO (COMO) - L' economia italiana sta rischiando «una deriva argentina» ed il paese corre il pericolo «di finire in serie B tra le grandi economie». Lo ha detto il presidente di Confcommercio Sergio Billè nel corso dell'apertura dei tre giorni di lavoro della sua associazione a Cernobbio sul tema «I protagonisti del mercato e gli scenari per gli anni 2000».
    Il presidente della Confcommercio Sergio Billè (Emblema)
    Il governo, ha aggiunto, «deve svegliarsi, deve muoversi», deve dare «una scossa alla nostra economia che ha bisogno di una svolta». «Occorre una svolta nella politica economica - ha continuato rispondendo alle domande dei giornalisti - e se è vero che anche l'Europa deve darsi una mossa, anche il governo italiano deve fare la sua parte ponendo fine a una serie di equivoci dal punto di vista politico». «Ci sono nodi nella politica economica - ha aggiunto Billè - che vanno affrontati e risolti. O il paese ha un colpo d' ala - ha concluso a riguardo - o finiamo in serie B»
    I DATI - «La crescita del Pil nel 2004 non supererà lo 0,8% condensandosi solo nella seconda metà dell'anno, i consumi delle famiglie non cresceranno più dello 0,6%, l'inflazione sarà del 2,1% in media, l'occupazione crescerà solo di 100.000 unità, mentre la scarsa crescita porterà il rapporto deficit/pil italiano su valori prossimi al 2,5%, comunque sotto il tetto del 3%». È la situazione del nostro Paese nel 2004 fotografata dal Centro studi della Confcommercio che fa dire al presidente Sergio Billè che «si configura una situazione da allarme rosso che ci obbliga a cambiare da subito la nostra politica economica».

    Corriere 26 marzo 2004

  9. #29
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    Originally posted by brunik
    Traduciamo in parole povere: Berlusconi vuole fare nuovi debiti.

    Il grafico è fazioso perchè non parte da 0 e fa sembrare che l'italia abbia più del doppio del debito degli altri paesi. Inoltre se guardiamo la tendenza, vediamo che in Italia il debito (accumulato e lasciato da prodi) cala, mentre in francia e germania aumenta. Se Berlusconi vince le politiche, prevedo verso il 2010 il sorpasso di francia e germania.

    Ma da Brunik c'è da aspettarsi quest e altro.

    romanamente

  10. #30
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    Con i debiti che abbiamo ereditato dal trio D'Alema-Prodi-Amato questo governo ha fatto i miracoli veramente.
    Grazie.

 

 
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