Correva l'anno 1428 e nella città di Todi si terminava il processo contro una strega di un paesino del circondario, Ripabianca di Deruta.
I capi di imputazione esaminati dai giudici erano ben trenta e non solo la donna era risultata rea confessa, ma era stata anche riconosciuta colpevole di aver svolto la sua attività criminosa in maniera continuata e aggravata.
Il 28 marzo 1428 il «tribunale dei malefici» lesse la sentenza finale sulla piazza e la strega fu condannata a essere arsa viva.
I capi di imputazione esaminati dai giudici erano ben trenta e non solo la donna era risultata rea confessa, ma era stata anche riconosciuta colpevole di aver svolto la sua attività criminosa in maniera continuata e aggravata.
Il 28 marzo 1428 il «tribunale dei malefici» lesse la sentenza finale sulla piazza e la strega fu condannata a essere arsa viva.
Questo è il testo della sentenza del processo alla strega Matteuccia:
In nome di Dio, amen. Questa è la condanna corporale e la sentenza di condanna capitale data e ratificata e resa di pubblica ragione dal magnifico e potente signore Lorenzo de Surdis romano, onorabile capitano e conservatore della pace della città di Todi e del suo distretto per la Santa Chiesa Romana.
Noi Lorenzo predetto, sedente in tribunale al nostro solito banco del giudice dei malefici, dove sogliono essere date e pronunciate simili condanne corporali, diamo l'infrascritta condanna corporale contro l'infrascritta Matteuccia di Francesco per gli infrascritti malefici, colpe, eccessi, delitti, dalla stessa Matteuccia
fatti, commessi e perpetrati.
Abbiamo formalmente proceduto contro Matteuccia di Francesco, universalmente riconosciuta e ritenuta secondo lo spirito degli statuti del comune di Todi come una donna di cattive abitudini di vita e di malaffare, pubblica incantatrice, fattucchiera, autrice di sortilegi, strega, strega, strega. Giovandoci di informazioni, abbiamo formalmente proceduto in quelle cose che già precedute da pubblica fama ed insistenti e clamorose dicerie, non tanto da malignità e sospetti, ma piuttosto testimoniate da persone e uomini veritieri e degni di fede, pervennero alla conoscenza del suddetto capitano e della sua curia.
Cioè che la suddetta Matteuccia, non avendo presente Dio, ma piuttosto il nemico del genere umano, negli anni 1426, 27 e 28 e oltre, sino al tempo in cui fu definitivamente impedita, moltissime volte e con infiniti modi incantò i sofferenti del corpo, del capo e di altre membra.
Inoltre non contenta delle cose suddette, ma aggiungendo male a male, istigata da spirito diabolico, consigliò svariate volte agli spiritati, ovverosia succubi di fantasmi che si recavano da lei per rimedio, di procurarsi un osso pagano, ossia di sepolti senza battesimo, e di portarlo a un crocevia, e nel posarlo di dire nove Pater Noster e nove Ave Marie, e in più queste parole:
"Osso pagano a quello ti tolsi e qua ti reco."
Per testimonianza diretta sappiamo che così fece nel 1426 a un tale di San Martino, del distretto di Perugia, che si era infatuato ovverosia si era riempito di fantasmi dormendo sopra una sepoltura.
Inoltre non contenta delle cose suddette, ma aggiungendo male a male, istruì molti amanti di donne che si recavano da lei e loro fornì il rimedio, procurando l' erba vinca, incantata con i suoi incantesimi, perché la dessero da mangiare alle loro amanti per ottenere la loro accondiscendenza e far rivolgere verso loro stessi l' amore di quelle donne; il che fece da più di quattro anni sino al presente giorno.
Inoltre non contenta delle cose suddette, ma aggiungendo male a male, prima della venuta di san Bernardino a Todi, nel 1426 e 1427 moltissime volte a diverse persone di diversi luoghi fece fatture con capelli avvolti in pezze mettendoli sotto la porta o il letto per far amare le moglie dai mariti e viceversa.
Dicendo queste parole:
"Sta come stecte Christo nel sepulcro, Sta fisso come stecte Christo crucifisso. Torna a la patria mia come tornò Christo a la madre sua."
Le quali parole operano in modo tale che gli uomini facciano il volere delle donne e viceversa.
Inoltre non contenta delle cose suddette e non tenendo Dio dinanzi agli occhi, istigata da spirito diabolico, nell'anno 1426 essendo un uomo annegato nel Tevere, s'incontrò con un tale soprannominato Corona affinché lo stesso si recasse presso il luogo dell' annegamento e prendesse delle carni e del grasso di detto annegato e glieli portasse, per farne dopo aver cotto le carni, un liquore. Quel tale Corona così fece, e da dette carni fecero liquore ed olio, i quali furono adoperato per i dolori e le ferite delle persone.
E' stato anche riferito che nell'anno 1426 si recò presso la detta Matteuccia una certa donna di un certo prete dal castello di Prodo, dicendo che il detto suo prete non la curava e che da tempo non aveva più rapporti con lei.
Che anzi quel prete la percuoteva ogni giorno, e avendo chiesto alla stessa Matteuccia di darle un qualche rimedio per rivolgere il suo amore verso di lei, la stessa Matteuccia disse di fare una certa immagine di cera e poi di portargliela.
La donna, fatto come le era stato detto, portò la detta immagine alla Matteuccia, la quale la pose sopra un mattone infuocato, e poi la stessa Matteuccia sollecitò la donna a dire le parole
"Come se destruge questa cera, così se possa destrugere el core dell' amor mio, infino che farà la volontà mia."
Fatto questo, era passato un po' di tempo, la detta donna ritornò dalla Matteuccia affermando di aver ottenuto dal suo prete qualunque cosa aveva voluto e che lo stesso si era risvegliato nel suo amore.
Essendo poi giunti al castello di Ripabianca due coniugi del castello di Collemezzo, del distretto di Todi, la donna si recò dalla Matteuccia lamentandosi di suo marito e dicendo che lo stesso la trattava male, e pregando la stessa Matteuccia di darle un qualche rimedio per compensarla dalle tante umiliazioni che ogni giorno le procurava.
Matteuccia diede alla suddetta moglie un uovo e un' erba denominata costa cavallina, e disse di cuocerli insieme e di darli da mangiare al detto suo marito, ché si sarebbe infatturato per qualche giorno. La moglie così fece e così il marito rimase infatturato per tre giorni.
Inoltre nel 1427, essendosi recata dalla detta Matteuccia una certa sposa di nome Catarina del distretto di Orvieto dicendo di avere un uomo che poco la curava, e che giornalmente la percuoteva, pregò la stessa Matteuccia di fornirle rimedio. Matteuccia disse di fare una certa immagine di cera e di portargliela, avuta la quale la detta Matteuccia avvolse la stessa immagine con filo di lino filato da ragazza vergine e disse alla stessa Catarina di mettere quella immagine sotto il letto, all' insaputa di suo marito, dicendo queste parole:
"Torna a me come tornò Christo in sé, torna alla voluntà mia
come tornò Christo alla patria sua. Christo in sé Christo crucifixo."
E le disse che tali parole dovevano essere ripetute tre volte e che l' immagine doveva essere posta a capo del letto del marito e che questi sarebbe ritornato al suo amore e alla sua volontà.
Inoltre, nell'anno 1427 nel mese di marzo, essendosi presentato alla detta Metteuccia un certo giovane legato da amore verso una giovane sua amante che da lungo tempo desiderava sposare, e non riuscendo ad averla, poiché i parenti di detta sua amante non volevano acconsentire, volendola dare in moglie a un altro, richiese alla Matteuccia un rimedio tale da far sì che mai quegli sposi potessero avere pace, né fosse loro possibile la coabitazione.
Così Matteuccia, avendo dinanzi agli occhi lo spirito diabolico, disse al giovane di procurarsi una candela benedetta e di tenerla accesa in un certo trivio, e mentre la sposa si recava a nozze, la spegnesse e la piegasse pronunciando queste parole diaboliche:
"Come se piega questa candela in questo ardore, cossi lo sposo et la sposa non se possa mai congiungere in questo amore."
Fatto questo, disse che quella candela così piegata doveva essere riposta in luogo sicuro, e per quanto tempo fosse rimasta così piegata, per altrettanto tempo il marito e la moglie sarebbero rimasti in maniera tale da non potersi congiungere.
La stessa fattura fece a molti altri amanti.
Inoltre, nel 1427 nel mese di maggio, essendosi recata dalla stessa Matteuccia una certa donna del castello di Pacciano del distretto di Perugia chiedendo di farle un rimedio per poter ottenere da colui che amava qualunque cosa ella volesse, la Matteuccia le disse di catturare delle rondini, di bruciarle e di dare a bere e a mangiare la polvere delle stesse a chiunque volesse, che avrebbe ottenuto da questa persona qualunque cosa.
Inoltre, nel 1427 nel mese di dicembre, essendosi recata dalla stessa Matteuccia una certa Giovanna del Castello di San Martino del distretto di Perugia, lamentandosi del proprio marito che conviveva con un'altra donna e non la curava affatto, ma la trattava male, affinché le desse un consiglio per riconquistarlo, la detta Matteuccia le disse di trovare un rondinino e, dopo averlo nutrito con dello zucchero, di darlo a mangiare a suo marito, e inoltre di lavarsi i piedi e di dargli poi a bere quell'acqua mescolata a vino.
Inoltre, non contenta di queste cose ma aggiungendo male a male disse a una donna di Mercatello che le richiedeva un rimedio per il marito che poco la curava ma preferiva la compagnia di altre donne, di prendere e bruciare una ciocca dei suoi stessi capelli e, ridottili in polvere, di darli a bere o a mangiare al suo marito; fatto questo avrebbe ricevuto le sue attenzioni; il che fece nel 1427 nel mese di ottobre.
Inoltre la stessa Matteuccia consigliò a moltissime donne percosse dai propri mariti e che chiedevano a lei un qualche rimedio, di prendere quell'erba chiamata costa cavallina, di ridurla in polvere e di darla a bere o a mangiare ai loro uomini, dicendo queste parole:
"Io te do a bevere questo al nome de Jà'itasma et degli spiriti incantati, et che non possa domire et ne posare perfinché tu non faccia quello che te voglio domandare."
Inoltre, nel 1427, nel mese di dicembre si recarono dalla detta Matteuccia alcuni del Castello di Panicale, distretto di Perugia, mostrando una penna legata in una certa pezza che dicevano di aver trovato in un certo cuscinotto, e chiedendo se era una fattura.
Infatti affermavano di avere nello stesso castello dì Panicale un certo nepote che riteneva di essere stato fatturato perché andava fantasticando ragionamenti e perché gli amici avevano trovato detta penna così avvolta nel cuscinotto sopra il quale esso dormiva.
Allora Matteuccia, prendendo nelle sue mani la penna e pronunciando incantesimi, distrusse detta fattura e gli ordinò di riportarla al loro castello di Panicale et ivi arderla.
Inoltre nel novembre del 1427, una certa moglie di un tale soprannominato "il poverello" del castello di Deruta, si recò dalla stessa Matteuccia dicendo di avere una certa figlia inferma, dalla quale infermità non poteva essere liberata, e di credere che a detta sua figlia era stata fatta una fattura da una certa altra donna con il cui marito detta sua figlia molte volte aveva coabitato.
La Matteuccia disse di ricercare in casa di sua figlia, sotto la soglia della porta, la fattura e di bruciarla.
Pochi giorni dopo la donna e l'uomo di sua figlia ritornarono dalla Matteuccia e le dissero di aver trovato sotto la soglia della porta tre topi neri, avvolti in una stoffa di lino e canapa e di averli bruciati, come aveva suggerito la stessa Matteuccia.
Inoltre, nel mese di dicembre del 1427, si recò dalla stessa Matteuccia una certa donna che dicendole di amare un uomo e che, se le fosse stato possibile, volentieri avrebbe voluto spandere odio, affinché l' uomo, abbandonata la moglie, amasse solo lei.
E affinché la donna potesse ottenere qualunque cosa volesse, la Matteuccia le disse di lavarsi le mani e i piedi rivolta all'indietro e con gli stessi rivoltati e piegate la ginocchia si lavasse i piedi voltati all'indietro, e così lavati prendesse quell'acqua e la gettasse dove quella donna e quell'uomo passavano, con l'animo, il proposito e la fiducia di generare odio tra lo stesso uomo e la donna. Capito?
Così fu fatto e la donna e riferì alla stessa Matteuccia che la sua acqua aveva generato odio tra la moglie e il marito, in modo che non si poterono più vedere, ma si odiarono.
Inoltre, non contenta delle cose suddette, ma aggiungendo male a male, nel mese di settembre del 1427, la Matteuccia gettò nella strada in detto castello di Ripabianca l'acqua ottenuta dalla cottura di trenta erbe per un tale paralizzato e mal ridotto in tutta la persona affinché qualcuno, passando sopra detta acqua prendesse detta infermità e ne fosse afflitto, e perché quella infermità cessasse di tormentare quello per il quale quel decotto aveva fatto; la qual cosa fece scientemente, consapevolmente, dolosamente, con l'animo di nuocere e a scopo di lucro.
Inoltre, svariatissime volte, in diversi tempi su diverse persone di diversi luoghi fece incantesimi, e a molti e molti uomini e donne di diversi luoghi e in diversi tempi fece fatture e mali con l'animo di nuocere loro e con prava intenzione, avendo dinanzi agli occhi il nemico del genere umano.
Inoltre, la detta Matteuccia istigata da spirito diabolico, non avendo dinanzi agli occhi Dio, nel mese di maggio del 1427, ricevette una certa donna di nome Catarina del castello di Pieve che si era rivolta a lei per averne un rimedio per non rimanere incinta.
Questa, non essendo ancora sposata e avendo dormito varie volte con un certo prete di detto castello e desiderando avere rapporti con lui ogni giorno, temeva che potesse verificarsi il caso di rimanere incinta.
E Matteuccia le disse di prendere un'unghia di una mula, di bruciarla e di ridurla in polvere e di bere poi detta polvere mescolata al vino, dicendo queste parole:
"Io te piglio nel nome del peccato et del demonio maiure, che non possa mai appicciare più".
Inoltre, non contenta delle cose suddette, ma aggiungendo male a male, istigata da spirito diabolico, infinite volte andò al convegno delle streghe devastando bambini, il sangue degli stessi lattanti succhiando in molti e diversi luoghi.
E anche molte volte si recò insieme con altre streghe al noce di Benevento o presso altri noci ungendosi con un certo unguento fatto con il grasso di avvoltoio, con il sangue delle nottole, con il sangue di fanciulli lattanti e altri ingredienti, dicendo:
"Unguento, unguento, mandame al noce de Benevento, supra acqua et supra vento, et supra ad omne maltempo".
E per di più, dopo essersi unta, invocando Lucifero, diceva queste parole:
"O Lucibelio, demonio dell’ inferno, poiché bandito fosti, nome cagnasti
et hai nome Lucifero maiure, viene ad me o manda un tuo servitore".
E immediatamente apparve innanzi a lei un certo demonio sotto l'aspetto di un capro ed essa stessa trasformatasi in mosca andava alla detta noce cavalcando sopra lo stesso capro, andando sempre per fossati sibilando come folgore, e lì trovava moltissime streghe e spiriti incantati e demoni infernali e Lucifero maggiore, il quale, presiedendo, ordinava alla stessa e agli altri di andare in giro per distruggere i bambini e per fare altre cose malvagie.
Ed allora Matteuccia dopo aver ricevuto l'ordine, molte volte e svariate prese parte al convegno, istigata e informata dagli stessi diavoli, si recò presso bambini e bambine di circa un anno, succhiando il sangue degli stessi attraverso la gola o attraverso il naso e portando il loro sangue per fare quell' unguento.
Inoltre, nel mese di settembre del 1427, detta Matteuccia, trasformata in strega sotto forma di mosca, come sopra, si recò al castello di Montefalco, in casa di una certa donna chiamata Andreuccia, e sugò e percosse un suo figlio di non ancora un anno, per il quale fatto detto bambino si ammalò e si consunse.
Inoltre nel mese di maggio del 1427, la stessa Matteuccia, trasformata in strega come sopra, sotto forma di mosca, insieme con un' altra strega si recò al castello di Canale, del distretto di Todi, nella casa di una certa donna di nome Andrellina che aveva un suo figlio di non ancora sei mesi, e lo percossero e lo succhiarono come erano solite fare.
Inoltre, aggiungendo male a male nel mese di agosto dello stesso anno, si recò in un certo villaggio esistente vicino al castello di Andria, del distretto di Perugia, nella casa di un certo Angelino villaggio, e, trasformata in strega come sopra, sotto forma di mosca, sugò un certo suo figlio di circa otto mesi.
Inoltre, nel mese di agosto dello stesso anno, trasformatasi in strega come sopra, sotto forma di mosca, sugò e percosse una certa figlia di circa sette mesi di una tale Catarina del castello di Rotacastellì, del distretto di Orvieto.
Inoltre, nel mese di maggio del 1427 il giorno di giovedì si recò per fare incantesimi alla villa di Rotelle, e ivi entrò in casa di un certo Mecarello trovandovi la figlia di detto Mecarello, mentre dormiva in una culla vicino al letto, e percosse e sugò questa stessa figlia così come è solita fare.
La detta Matteuccia fa le cose dette qui sopra e va a detto noce di Benevento durante sei mesi all'anno, cioè:
in aprile, maggio, agosto, settembre, marzo e dicembre
e in tre giorni della settimana, cioè:
il lunedì, il sabato e la domenica.
E le cose suddette e singolarmente riferite una per una da testimoni, furono commesse e perpetrate dalla Matteuccia nei luoghi e nei tempi suddetti, contro la volontà delle persone alle quali nocque, con danno e pregiudizio grave di esse, in obbrobrio e vituperio di Dio e di tutti i santi, contro il diritto divino ed i buoni costumi e contro lo spirito delle leggi statutarie e degli ordinamenti del Comune di Todi.
E consta a noi ed alla nostra curia che tutte le cose suddette contenute in detta requisitoria, sono state e sono vere nei luoghi e nei tempi citati, per vera e legittima confessione fatta legittimamente e spontaneamente dalla detta Matteuccia interrogata dinanzi a noi.
E così spontaneamente ha confessato e ha dichiarato di non aver alcuna difesa e ha rinunciato al termine procedurale.
Alla Matteuccia fu dato e assegnato un certo termine, già scaduto, per presentare qualunque difesa per le accuse suddette; e nulla la stessa fece né altri per lei per queste cose nè per le altre cose.
Perciò, noi Lorenzo, capitano suddetto, sedente per il tribunale come sopra, attenendoci e volendoci attenere allo spirito delle leggi degli statuti e ordinamenti del comune di Todi e all'autorità a noi concessa in questo campo dai suddetti statuti, con questa sentenza ufficialmente condanniamo nel modo migliore, via e legalità e nella forma di diritto che meglio possiamo e dobbiamo, che la predetta Matteuccia, affinché non possa gloriarsi della sua malizia e iniquità e sia di esempio a chiunque desiderasse svolgere simile attività, impostale sul capo una mitra e legate le mani dietro alla schiena, sia posta sopra un certo asino, e sia condotta al luogo pubblico dove abitualmente si amministra la giustizia nell'interno o fuori della città,
e ivi sia bruciata con il fuoco, così e in maniera tale che la colpevole muoia e la sua anima si separi dal corpo.
Note: Il testo qui presentato è conservato presso l'Archivio Storico del Comune di Todi.