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    Predefinito Immigrazione, ambasciate sospette

    È stato un caso che i curdi
    morti viaggiassero su un camion diplomatico?

    di Mauro Bottarelli

    Sul caso dei cinque clandestini curdi morti asfissiati all’interno di un Tir mentre cercavano di raggiungere l’Italia si è detto molto, spesso a sproposito.
    Non sono mancati, ovviamente, i campioni del buongusto, ovvero chi ha tanto a cuore il tema dell’accoglienza da dimenticare il sacro dogma per il quale sui morti non si poggiano cappelli o innalzano bandiere. «Uccisi dalla Bossi-Fini», è stata la denuncia della sinistra. Al di là del fatto che la Bossi-Fini non è ancora entrata in vigore (quindi, al limite, si tratta di omicidio della Turco-Napolitano), ciò che stupisce è la miopia di tutti gli osservatori. Diciamo miopia, sperando non si tratti di connivenza o malafede. I magistrati di Ariano Irpino, titolari dell’inchiesta per omicidio “contro ignoti”, e gli uomini dello Sco (Servizio centrale operativo della polizia) si recheranno in Grecia per cercare di acquisire elementi utili a identificare gli schiavisti che hanno organizzato il viaggio. Si tratterebbe di malavita organizzata turca appoggiata - soprattutto a livello logistico - da quella greca (il viaggio sul camion è iniziato infatti a Igumenitza). Ma, stando alla testimonianza di uno dei quattro curdi sopravvissuti, qualcuno degli organizzatori del viaggio verso l’Italia parlava in italiano. Dettagli, particolari, ma niente di più. Una cosa invece sembra essere sfuggita: quel camion trasportava materiale diplomatico (oggetti e l’auto di un diplomatico dell’ambasciata italiana in Bulgaria già rientrato in Italia e quelli di un’impiegata civile della stessa sede ancora presente a Sofia) e, quindi, non avrebbe subito controlli doganali. Un passaggio sicuro, quindi. Ma qualcuno doveva conoscere il contenuto del camion per indicarlo ai clandestini come quello su cui nascondersi, quindi avere contatti o con l’azienda di trasporti (la ditta bulgara Pickford) o con ambienti diplomatici. Vi sembra infatti possibile che nove ragazzi curdi, cresciuti in villaggi dimenticati da Dio possano avere un grado di preparazione tale da intercettare un camion con carico diplomatico? O hanno avuto - nella dramma della tragedia che poi li ha colpiti - una fortuna iniziale incredibile, o non si spiega. Lungi da noi gettare ombre o sospetti, ma che esista un “livello diplomatico” dell’immigrazione clandestina è risaputo. È infatti di neanche due mesi fa, del 4 luglio scorso cioè, la notizia dell’arresto del cancelliere capo del consolato italiano a San Paolo del Brasile, Pierpaolo Savio, accusato di aver rilasciato 61 visti falsi in violazione della legge sull’immigrazione. L’uomo aveva creato nel consolato una sorta di agenzia turistica internazionale che emetteva false certificazioni valide per la circolazione in tutti gli Stati europei aderenti a Schengen. E che dire del fatto che in Italia, stando a dati raccolti nelle città capoluoghi di provincia, sono presenti 6mila donne nigeriane giunte con visto dell’Ambasciata italiana a Lagos e dedite alla prostituzione? Il punto d’arrivo – per quasi tutte, fino al 1991 – era l’aeroporto di Roma ed ultimamente Linate e Malpensa, ma anche Amsterdam, Londra, Bruxelles, Parigi, e la partenza – per tutte – era l’aeroporto di Lagos (Nigeria), con visto di transito da 3 a 15 giorni rilasciato dall’Ambasciata italiana di Lagos, ottenuto attraverso qualcuno che “ha preso a cuore” la loro pratica, pagando l’equivalente di 4-5 milioni di lire normalmente a cittadini nigeriani che hanno accesso agli uffici consolari dell’Ambasciata, con cui collaborano, e riescono ad ottenerlo, oppure in agenzie di cambio o di viaggi vicino all’Ambasciata. La corruzione dei funzionari avviene non solo alla nostra ambasciata a Lagos, ma anche in molte ambasciate europee (Inghilterra, Francia, Olanda, Germania, ...). Il passaporto viene ottenuto direttamente dalla polizia locale che lo prepara e lo vende. Sono passaporti “regolari”, acquisiti attraverso l’organizzazione criminale che poi sostituisce la fotografia. Questo vale anche per chi è già in Italia: gli verrà inviato per posta, o attraverso un amico o un parente. Ci sono casi di donne che hanno avuto lo stesso giorno il rifiuto di visto e – dopo poche ore – il visto per i buoni auspici di questi signori ed il versamento della “tangente” corrispondente. «In questi ultimi anni (’93-’98) stanno arrivando, assieme a molte nigeriane, anche cittadini del Benin e ghanesi, via Parigi o via Bucarest, Sofia, Mosca, Vienna, Amsterdam e Bruxelles. I gruppi più numerosi di nigeriane arrivavano a Roma con visto di transito o visti di ingresso collettivi per “pellegrinaggio religioso a luoghi sacri” (il numero delle donne registrate per ogni visto è di circa 15-20). Questo fino al 1993». Lo dice la Caritas Diocesana, non la Lega Nord. E che dire poi dei casi di commercio di visti falsi emersi pochi mesi fa nelle nostre rappresentanze diplomatiche in Bosnia? Nel giugno scorso due addetti consolari in servizio presso l’ambasciata italiana a Sarajevo (Bosnia) e tre bosniaci furono denunciati con le accuse di abuso di ufficio e favoreggiamento all’immigrazione clandestina alla magistratura dal Nucleo provinciale della polizia tributaria di Roma della guardia di finanza: avrebbero rilasciato 715 visti per motivi di affari a 483 bosniaci che non ne avevano i requisiti.
    Il presunto traffico di visti d'ingresso in Italia è stato scoperto grazie alla denuncia dell’ambasciatore italiano a Sarajevo che segnalò alcune irregolarità riscontrate nelle procedure di rilascio di visti per motivi di affari a cittadini bosniaci, attraverso la ditta “Madonna Abbigliamento”, con sede legale a Trieste. Secondo l’ambasciatore non sarebbe mai stata richiesta la documentazione necessaria per gli accertamenti sui reali motivi del viaggio in Italia dei cittadini bosniaci che richiedevano il visto. Nella maggior parte dei casi lo ottenevano senza neanche presentarsi all’ambasciata.
    La guardia di finanza perquisì gli uffici dell’ambasciata italiana Sarajevo e ha sequestrato i fascicoli relativi a 700 persone entrate in Italia dal gennaio 1999 al marzo 2001 attraverso l’azienda di Trieste. Le Fiamme Gialle hanno così ricostruito l’organizzazione: delle richieste per il rilascio dei visti si occupava un bosniaco con funzioni di “prezzolato mediatore” che agiva con la complicità dei due funzionari dell’ambasciata italiana. Una prassi per i Balcani. Nei Paesi dell’ex Urss e soprattutto in Africa, poi, la situazione è terrificante. Lungi da noi puntare il dito contro ambasciatori o personale in genere (soprattutto per quanto riguarda il caso di Avellino) ma che esistano molte mele marce, specie tra i cittadini stranieri che sul territorio collaborano con i nostri rappresentanti, è indubbio: troppo facile corrompere un funzionario, magari dopo averlo minacciato o invogliato con facili guadagni extra. Non si spiegano altrimenti visti turistici rilasciati con tanta facilità o coincidenze - drammatiche e inquietanti - come quella dei cinque curdi asfissiati nel Tir “diplomatico”.
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

  2. #2
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    È stato un caso che i curdi
    morti viaggiassero su un camion diplomatico?

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    Sul caso dei cinque clandestini curdi morti asfissiati all’interno di un Tir mentre cercavano di raggiungere l’Italia si è detto molto, spesso a sproposito.
    Non sono mancati, ovviamente, i campioni del buongusto, ovvero chi ha tanto a cuore il tema dell’accoglienza da dimenticare il sacro dogma per il quale sui morti non si poggiano cappelli o innalzano bandiere. «Uccisi dalla Bossi-Fini», è stata la denuncia della sinistra. Al di là del fatto che la Bossi-Fini non è ancora entrata in vigore (quindi, al limite, si tratta di omicidio della Turco-Napolitano), ciò che stupisce è la miopia di tutti gli osservatori. Diciamo miopia, sperando non si tratti di connivenza o malafede. I magistrati di Ariano Irpino, titolari dell’inchiesta per omicidio “contro ignoti”, e gli uomini dello Sco (Servizio centrale operativo della polizia) si recheranno in Grecia per cercare di acquisire elementi utili a identificare gli schiavisti che hanno organizzato il viaggio. Si tratterebbe di malavita organizzata turca appoggiata - soprattutto a livello logistico - da quella greca (il viaggio sul camion è iniziato infatti a Igumenitza). Ma, stando alla testimonianza di uno dei quattro curdi sopravvissuti, qualcuno degli organizzatori del viaggio verso l’Italia parlava in italiano. Dettagli, particolari, ma niente di più. Una cosa invece sembra essere sfuggita: quel camion trasportava materiale diplomatico (oggetti e l’auto di un diplomatico dell’ambasciata italiana in Bulgaria già rientrato in Italia e quelli di un’impiegata civile della stessa sede ancora presente a Sofia) e, quindi, non avrebbe subito controlli doganali. Un passaggio sicuro, quindi. Ma qualcuno doveva conoscere il contenuto del camion per indicarlo ai clandestini come quello su cui nascondersi, quindi avere contatti o con l’azienda di trasporti (la ditta bulgara Pickford) o con ambienti diplomatici. Vi sembra infatti possibile che nove ragazzi curdi, cresciuti in villaggi dimenticati da Dio possano avere un grado di preparazione tale da intercettare un camion con carico diplomatico? O hanno avuto - nella dramma della tragedia che poi li ha colpiti - una fortuna iniziale incredibile, o non si spiega. Lungi da noi gettare ombre o sospetti, ma che esista un “livello diplomatico” dell’immigrazione clandestina è risaputo. È infatti di neanche due mesi fa, del 4 luglio scorso cioè, la notizia dell’arresto del cancelliere capo del consolato italiano a San Paolo del Brasile, Pierpaolo Savio, accusato di aver rilasciato 61 visti falsi in violazione della legge sull’immigrazione. L’uomo aveva creato nel consolato una sorta di agenzia turistica internazionale che emetteva false certificazioni valide per la circolazione in tutti gli Stati europei aderenti a Schengen. E che dire del fatto che in Italia, stando a dati raccolti nelle città capoluoghi di provincia, sono presenti 6mila donne nigeriane giunte con visto dell’Ambasciata italiana a Lagos e dedite alla prostituzione? Il punto d’arrivo – per quasi tutte, fino al 1991 – era l’aeroporto di Roma ed ultimamente Linate e Malpensa, ma anche Amsterdam, Londra, Bruxelles, Parigi, e la partenza – per tutte – era l’aeroporto di Lagos (Nigeria), con visto di transito da 3 a 15 giorni rilasciato dall’Ambasciata italiana di Lagos, ottenuto attraverso qualcuno che “ha preso a cuore” la loro pratica, pagando l’equivalente di 4-5 milioni di lire normalmente a cittadini nigeriani che hanno accesso agli uffici consolari dell’Ambasciata, con cui collaborano, e riescono ad ottenerlo, oppure in agenzie di cambio o di viaggi vicino all’Ambasciata. La corruzione dei funzionari avviene non solo alla nostra ambasciata a Lagos, ma anche in molte ambasciate europee (Inghilterra, Francia, Olanda, Germania, ...). Il passaporto viene ottenuto direttamente dalla polizia locale che lo prepara e lo vende. Sono passaporti “regolari”, acquisiti attraverso l’organizzazione criminale che poi sostituisce la fotografia. Questo vale anche per chi è già in Italia: gli verrà inviato per posta, o attraverso un amico o un parente. Ci sono casi di donne che hanno avuto lo stesso giorno il rifiuto di visto e – dopo poche ore – il visto per i buoni auspici di questi signori ed il versamento della “tangente” corrispondente. «In questi ultimi anni (’93-’98) stanno arrivando, assieme a molte nigeriane, anche cittadini del Benin e ghanesi, via Parigi o via Bucarest, Sofia, Mosca, Vienna, Amsterdam e Bruxelles. I gruppi più numerosi di nigeriane arrivavano a Roma con visto di transito o visti di ingresso collettivi per “pellegrinaggio religioso a luoghi sacri” (il numero delle donne registrate per ogni visto è di circa 15-20). Questo fino al 1993». Lo dice la Caritas Diocesana, non la Lega Nord. E che dire poi dei casi di commercio di visti falsi emersi pochi mesi fa nelle nostre rappresentanze diplomatiche in Bosnia? Nel giugno scorso due addetti consolari in servizio presso l’ambasciata italiana a Sarajevo (Bosnia) e tre bosniaci furono denunciati con le accuse di abuso di ufficio e favoreggiamento all’immigrazione clandestina alla magistratura dal Nucleo provinciale della polizia tributaria di Roma della guardia di finanza: avrebbero rilasciato 715 visti per motivi di affari a 483 bosniaci che non ne avevano i requisiti.
    Il presunto traffico di visti d'ingresso in Italia è stato scoperto grazie alla denuncia dell’ambasciatore italiano a Sarajevo che segnalò alcune irregolarità riscontrate nelle procedure di rilascio di visti per motivi di affari a cittadini bosniaci, attraverso la ditta “Madonna Abbigliamento”, con sede legale a Trieste. Secondo l’ambasciatore non sarebbe mai stata richiesta la documentazione necessaria per gli accertamenti sui reali motivi del viaggio in Italia dei cittadini bosniaci che richiedevano il visto. Nella maggior parte dei casi lo ottenevano senza neanche presentarsi all’ambasciata.
    La guardia di finanza perquisì gli uffici dell’ambasciata italiana Sarajevo e ha sequestrato i fascicoli relativi a 700 persone entrate in Italia dal gennaio 1999 al marzo 2001 attraverso l’azienda di Trieste. Le Fiamme Gialle hanno così ricostruito l’organizzazione: delle richieste per il rilascio dei visti si occupava un bosniaco con funzioni di “prezzolato mediatore” che agiva con la complicità dei due funzionari dell’ambasciata italiana. Una prassi per i Balcani. Nei Paesi dell’ex Urss e soprattutto in Africa, poi, la situazione è terrificante. Lungi da noi puntare il dito contro ambasciatori o personale in genere (soprattutto per quanto riguarda il caso di Avellino) ma che esistano molte mele marce, specie tra i cittadini stranieri che sul territorio collaborano con i nostri rappresentanti, è indubbio: troppo facile corrompere un funzionario, magari dopo averlo minacciato o invogliato con facili guadagni extra. Non si spiegano altrimenti visti turistici rilasciati con tanta facilità o coincidenze - drammatiche e inquietanti - come quella dei cinque curdi asfissiati nel Tir “diplomatico”.
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