Risultati da 1 a 5 di 5
  1. #1
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    Dal Festival di Venezia...

    Dopo l'ottimo Magdalen del bravo Mullan(di cui consiglio vivamente la visione non trattandosi minimamente di un film anticlericale, anzi direi molto cattolico)ecco un altro ottimo regista, Larry Clark, già balzato agli onori delle cronache per il bel film "Kids".Purtroppo "Bully", a quanto mi risulta, non è mai stato distribuito qui in Italia

    Dal "IlNuovo.it"

    Buona lettura e sopratutto buona visione

    VENEZIA - Torna lo scandalo al Festival del cinema di Venezia, dopo Magdalene di Peter Mullan, considerato un attacco contro la repressione della Chiesa cattolica.

    Questa volta, lo scandalo si chiama Ken Park. Un film che ha raccolto consensi, ma anche sgomento e che mette in mostra con dovizia di particolari sesso esplicito ed incontri sessuali a tre. Situazioni al limite dell'inverosomile.

    Nel film, l'immagine shock di un rapporto orale tra una mamma e il giovane fidanzato della figlia; un giovane si masturba mentre guarda una partita di tennis in tv; un incontro incestuoso tra padre e figlio.

    Ed infine un' orgia a tre e un ragazzo che si eccita dopo aver ucciso i nonni, colpevoli di annoiarlo.

    Uno scandalo annunciato: la pellicola è diretta dall'americano Larry Clark che già aveva stupito con Kids e Bully.

    Il provocatorio Ken Park, in concorso nella sezione Controcorrente, nelle intenzioni dell'autore, vuole illustrare la gioventù, un po' sfortunata, della provincia americana.

  2. #2
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    Il tipico film da noleggiare e vedersi con la famigliola la vigilia di Natale.

  3. #3
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    Originally posted by asburgico
    Il tipico film da noleggiare e vedersi con la famigliola la vigilia di Natale.
    Perchè no?

  4. #4
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    Talking ancora su "Ken Park" pork

    Dal Corriere di oggi

    «Siamo noi la porno-generazione»

    E il regista di «Ken Park» contrattacca: scandalosa è la realtà, non il mio film


    DA UNO DEI NOSTRI INVIATI

    VENEZIA - «Sì, i ragazzi di Ken Park esistono davvero. Nel Texas, lo stato da cui vengo io, ne ho conosciuti molti. Alcune delle loro storie sono finite nel copione. Quella dello strangolamento autoerotico, ad esempio. Una pratica sempre più diffusa tra i giovani americani, un mio amico ci ha lasciato le penne». Senza enfasi, Tiffany Limos, la bella Peaches che nel film di Larry Clark ed Ed Lachman si ribella alle ossessioni di un padre morboso e bigotto facendo sesso affollato, racconta al Lido i dietro le quinte di un set iperrealistico, senz’ombra di fiction.


    «Nessuna controfigura, quello che si vede sullo schermo è quello che è successo davvero. Parlo anche a nome degli altri ragazzi del cast: nudità e sesso non ci turbano. Non ho avuto nessun imbarazzo a girare quelle scene, a farmi toccare da tutti. Siamo una porno-generazione, fin da piccoli ci hanno messo davanti gli sculettamenti di Britney Spears, i nudi continui della pubblicità. La bimbetta di pochi anni che nel film passa pomeriggi solitari guardando in tv le fanciullette in tanga, non ci metterà molto a imitarle. Se il mondo di oggi è questo, non vedo perché il cinema dovrebbe censurarlo». Il suo stesso personaggio, Peaches, di inventato ha solo il nome.


    Racconta Larry Clark, 59 anni, che dopo aver mostrato in Kids tutto quello che l’America non avrebbe voluto sapere sui suoi figli, adesso fa lo stesso strappando il velo sulle vere facce di padri e madri: «Scandaloso e intollerabile non è il mio film ma la realtà. Io non ho fatto altro che denunciarla - sostiene -. Queste violenze accadono in troppe case, spesso insospettabili. E non da ora.


    Quando andavo a scuola, tra gli anni ’50 e ’60, tutti sapevamo di una ragazza che veniva picchiata con la Bibbia da genitori fanatici religiosi. E di un’altra sistematicamente violentata dai cinque fratelli. E di tanti altri che arrivavano in classe con occhi neri e cicatrici per le botte ricevute. Tutti sapevamo, ma nessuno parlava. L’America non vuole mai capire cosa sta dietro ai suoi mali. Le violenze familiari hanno tratti ciclici: chi le subisce probabilmente le infliggerà a sua volta. L’unico modo di spezzare questa catena è portarla alla luce del sole».


    «Il più sconvolto da questo film sono proprio io - prosegue - Come padre di tre figli, come nonno di un nipotino, non posso restare estraneo. La domanda se non stavamo usando violenza ai giovani attori, tutti maggiorenni, ce la siamo posta a lungo. Con loro abbiamo discusso scena per scena. So di aver fatto un film duro ma onesto».


    Sarà difficile vederlo. Negli Usa, dopo tutti i divieti che gli pioveranno addosso, uscirà solo nei canali d’essai. E anche nel resto del mondo non avrà vita facile. Angoscioso e disperato per tutto il tempo, nel finale Ken Park lascia però intravedere un barlume di speranza. «Qualcuno resta sul campo ma altri forse si salveranno: quelli che hanno trovato il coraggio di parlare, di appoggiarsi gli uni agli altri. "Partiremo per altre terre, cercheremo un posto dove tutto questo non accade", si promettono. Forse un sogno, forse un nuovo inizio».

    Giuseppina Manin


    Spettacoli

  5. #5
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    «Siamo noi la porno-generazione»

    E il regista di «Ken Park» contrattacca: scandalosa è la realtà, non il mio film


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    VENEZIA - «Sì, i ragazzi di Ken Park esistono davvero. Nel Texas, lo stato da cui vengo io, ne ho conosciuti molti. Alcune delle loro storie sono finite nel copione. Quella dello strangolamento autoerotico, ad esempio. Una pratica sempre più diffusa tra i giovani americani, un mio amico ci ha lasciato le penne». Senza enfasi, Tiffany Limos, la bella Peaches che nel film di Larry Clark ed Ed Lachman si ribella alle ossessioni di un padre morboso e bigotto facendo sesso affollato, racconta al Lido i dietro le quinte di un set iperrealistico, senz’ombra di fiction.


    «Nessuna controfigura, quello che si vede sullo schermo è quello che è successo davvero. Parlo anche a nome degli altri ragazzi del cast: nudità e sesso non ci turbano. Non ho avuto nessun imbarazzo a girare quelle scene, a farmi toccare da tutti. Siamo una porno-generazione, fin da piccoli ci hanno messo davanti gli sculettamenti di Britney Spears, i nudi continui della pubblicità. La bimbetta di pochi anni che nel film passa pomeriggi solitari guardando in tv le fanciullette in tanga, non ci metterà molto a imitarle. Se il mondo di oggi è questo, non vedo perché il cinema dovrebbe censurarlo». Il suo stesso personaggio, Peaches, di inventato ha solo il nome.


    Racconta Larry Clark, 59 anni, che dopo aver mostrato in Kids tutto quello che l’America non avrebbe voluto sapere sui suoi figli, adesso fa lo stesso strappando il velo sulle vere facce di padri e madri: «Scandaloso e intollerabile non è il mio film ma la realtà. Io non ho fatto altro che denunciarla - sostiene -. Queste violenze accadono in troppe case, spesso insospettabili. E non da ora.


    Quando andavo a scuola, tra gli anni ’50 e ’60, tutti sapevamo di una ragazza che veniva picchiata con la Bibbia da genitori fanatici religiosi. E di un’altra sistematicamente violentata dai cinque fratelli. E di tanti altri che arrivavano in classe con occhi neri e cicatrici per le botte ricevute. Tutti sapevamo, ma nessuno parlava. L’America non vuole mai capire cosa sta dietro ai suoi mali. Le violenze familiari hanno tratti ciclici: chi le subisce probabilmente le infliggerà a sua volta. L’unico modo di spezzare questa catena è portarla alla luce del sole».


    «Il più sconvolto da questo film sono proprio io - prosegue - Come padre di tre figli, come nonno di un nipotino, non posso restare estraneo. La domanda se non stavamo usando violenza ai giovani attori, tutti maggiorenni, ce la siamo posta a lungo. Con loro abbiamo discusso scena per scena. So di aver fatto un film duro ma onesto».


    Sarà difficile vederlo. Negli Usa, dopo tutti i divieti che gli pioveranno addosso, uscirà solo nei canali d’essai. E anche nel resto del mondo non avrà vita facile. Angoscioso e disperato per tutto il tempo, nel finale Ken Park lascia però intravedere un barlume di speranza. «Qualcuno resta sul campo ma altri forse si salveranno: quelli che hanno trovato il coraggio di parlare, di appoggiarsi gli uni agli altri. "Partiremo per altre terre, cercheremo un posto dove tutto questo non accade", si promettono. Forse un sogno, forse un nuovo inizio».

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