Ecco un articolo che fa riflettere. Io a pensarci bene condivido solo una piccola parte di ciò che qui viene sostenuto, ma si tratta comunque di un dissenso liberale (anche se fin troppo laicista) alla guerra: non se ne trovano tanti.

Da Il Nuovo

L'America ha dimenticato Mickey Mouse

di Diego
Gabutti

Può darsi che l’attacco all’Iraq, se ci sarà, provochi davvero un’esplosione generale del Medio Oriente, come temono alcuni catastrofisti, presenti sia nella sinistra europea che in una parte della stessa destra americana. Come può darsi che non la provochi affatto e che la CNN sia ridotta di nuovo, come durante la guerra contro i talebani, a pagare qualche comparsa islamica per gridare “Allah Akbar” e bruciare bandiere americane all’ora del notiziario. Ma di sicuro c’è il rischio che la guerra “giusta” di Bush jr contro Saddam e le sue “terrificanti, ipertecnologiche” truppe cammellate si trasformi rapidamente (per inarrestabile escalation ideologica) in una guerra “santa” voluta da Dio. Cioè in una crociata contro l’Islam e in una guerra di religione.

Alle spalle di Bush figlio, tra gli elettori che lo mandarono avventurosamente alla Casa Bianca due anni fa, non c’è soltanto la destra laica e pragmatica dei brain trust repubblicani. C’è anche il fondamentalismo protestante americano, che esattamente come la sua controparte islamista non vede l’ora, essendo questa la sua natura, di trasformare la tragedia storica in una farsa religiosa. Ma anche la guerra “culturale” contro l’Islam, per esempio i furiosi pamphlet d’Oriana Fallaci e le denunce apparentemente sobrie delle infamie islamiste che vengono ormai da ogni parte, comprese le più inaspettate, ha ormai soltanto una vaga somiglianza con il realismo storico e politico di cui pretende d’essere il solo interprete autorizzato (come Maometto, gli emiri e bin Laden della volontà dell’unico Iddio). In realtà, il fondamentalismo occidentalista è sempre meno laico e sempre meno raziocinante. Comincia a soffrire delle stesse allucinazioni che rendono minaccioso e devastante il fondamentalismo religioso.

Come le Mille e una notte, al cui modello sotto sotto s’ispira, l’occidentalismo fondamentalista s’esprime attraverso fiabe esotiche e avventure fantastiche. Sogna quaranta ladroni armati di spada laser a mezzaluna da liquidare con l’abracadabra dell’onnipotenza tecnologica e lampade di Aladino da strofinare esprimendo il desiderio dei desideri: diffondere la democrazia da un capo all’altro del mondo. Ma proprio le fiabe mettono in guardia contro gli effetti collaterali dei desideri avverati con astute magie da geni col turbante e da fate col cappello a cono: una volta realizzato, il desiderio cambia natura e diventa irriconoscibile (come sa chiunque, nelle fiabe e nei racconti dell’orrore, abbia mai venduto l’anima al diavolo). Anche la libertà, imposta dagli eserciti e dagl’imperativi categorici d’una filosofia forzata ad avvitarsi sulla testa l’elmetto dei marines, rischia di cambiare natura e di passare al nemico: il militarismo cieco e fanatico, che è stato e continua a essere il cancro degli stati moderni.

Non basta avere ragione circa la pericolosità delle satrapie mediorientali. Non basta avere ragione per quanto riguarda la superiorità della democrazia politica su qualunque altro sistema di governo(khanati, commissariocrazie, moghulati e teocrazie d’ogni ordine e grado). Sarebbe conveniente, visto che si ha ragione, anche rispettare le forme della ragione.

Ma disgraziatamente la difesa d’uffico della politica americana (quale che sia) sta diventando sempre più oltranzista e caciarona. Ogni giorno meno ragionevoli, per stare soltanto all’Italia politica, sono soprattutto i “filoamericani” di casa nostra, da Massimo Teodori agli editorialisti del “Foglio”. Fino a qualche anno fa i “filoamericani” erano i soli cittadini del Bel Paese che non prendessero lucciole per lanterne. Erano gli unici a tenere i nervi saldi e a sapere con certezza da che parte stavano la ragione e il torto durante le risse bipolari della guerra fredda. Ma ormai anche i “filoamericani” di casa nostra stanno cambiando natura e passando al nemico: l’ossessione ideologica e la passione sportiva. Nuove reclute s’infiltrano nei loro ranghi inneggiando all’America “potenza solitaria” e alle notti arabe delle sue “responsabilità globali”. A cominciare da chi soltanto ieri tifava per l’industria pesante sovietica e che oggi tifa, con gli stessi argomenti e gli stessi alleluia, per l’industria militare americana e per la sua spettacolare virilità tecnologica, qualcosa di cui un’intellighenzia liberale dovrebbe diffidare per principio.

È cambiata o sta cambiando, in questo triplo salto mortale dell’Occidente in guerra contro il terrorismo islamista, anche l’immagine che gli Stati Uniti hanno diffuso di sé negli ultimi due secoli, dalla Dichiarazione d’indipendenza ai film di Doris Day. Fino a ieri il “modello americano”, che oggi sembra esaurirsi nel saluto alla bandiera, nei memorial day dell’11 settembre e nelle parate militari, si fondava su ben altre meraviglie: sulle ballate di Bob Dylan e su un sistema legale garantista, sul federalismo e su Mickey Mouse, sulle autonomie locali e sui film hollywoodiani, sulla Rapsodia in blues e sul quinto emendamento, sui fumetti di supereroi e sulla disobbedienza civile, sulla sex revolution e sui cartoni animati di Bugs Bunny e Duffy Duck. Era quello il “modello americano”: libertà politica e cultura pop. Oggi il “modello americano” e l’american way of life sono diventati “hard”, come la pornografia estrema e la peggior fantascienza, quella tutta incrociatori stellari e guerre galattiche.

Prendiamo la legge che dopo l’11 settembre permette d’arrestare i sospetti di terrorismo e di tenerli sotto chiave a tempo indeterminato senza assistenza legale. È un evidente insulto alla tradizione giuridica americana, che negli Stati Uniti preoccupa (com’è naturale) sia la destra che la sinistra, ma che non preoccupa nemmeno un po’ Bush jr. e i “filoamericani” di recente conversione, come sempre indifferenti ai dettagli ma affascinatissimi, in compenso, dalle esibizioni muscolari degli strateghi della Casa Bianca.

Non so voi, ma io sono preoccupato anche da quella serie di telefilm che va in onda il venerdì sera su Retequattro, West Wing, dove il Presidente degli Stati Uniti e l’altissima nomenklatura americana sono presentati come una specie di Famiglia Bradford onnipotente e misericordiosa tutta torte di mele, carole natalizie e dominio politico globale. West Wing è il primo telefilm sovietico girato a Hollywood. Un titolo più appropriato sarebbe forse Washingtonburgo, DC.