Corriere, 20.9.02

L’attore Paolini «interpreta» il processo infinito


ROMA - Un processo possibile. Un processo ai limiti del grottesco, eppure verosimile fino alla pedanteria. Un processo come quelli che verranno, dopo che il Parlamento avrà approvato l’ormai celebre disegno di legge Cirami e le modifiche al Codice di procedura penale proposte dal deputato di Forza Italia Giancarlo Pittelli. Una provocazione lanciata dall’Associazione nazionale magistrati, e affidata al talento di Marco Paolini, attore divenuto celebre per le sue performance «civili», come quella sulla tragedia del Vajont. Solo davanti ad un leggìo, per 40 minuti Paolini racconta una storia giudiziaria qualunque. La storia dei fratelli Buso, rapinatori specializzati in ville di periferia e di Michele Pesce, loro basista e ricettatore. Un arresto in flagranza per i quattro fratelli, un processo per direttissima, una confessione piena alla quale segue l’arresto della «mente». Michele Pesce, appunto. Preso alla frontiera il 2 novembre 2002, prima udienza fissata per il 1° marzo 2003. E subito eccezione di nullità dell’avvocato difensore, perché dagli atti processuali mancano due pagine fotocopiate. Sono due inutili bollette del gas, ma il ricorso in Cassazione parte ugualmente. Bocciato il 18 luglio, ma bisogna aspettare il 1° ottobre per la ripresa del processo: i 16 faldoni di atti viaggiano con la posta ordinaria. Pesce ha già due sentenze passate in giudicato, che lo bollano come delinquente. Ma la legge Pittelli impedisce che vengano acquisite come prova. Bisognerà quindi sentire anche i testimoni di quei processi ormai passati in giudicato. Ora però l’avvocato presenta 115 testimoni, 96 dei quali per dimostrare che Pesce non era nel Nord-Est nei giorni delle rapine. Il Tribunale ne accetta solo 19, perché Pesce è imputato come basista e non come autore materiale. Dunque i 96 testimoni sono inutili. E l’avvocato ricorre di nuovo in Cassazione. E, come vuole la Pittelli, il processo viene nuovamente sospeso. La Suprema Corte però, legge Pittelli alla mano, sentenzia che anche i 96 testimoni inutili debbono essere ascoltati. E alla ripresa delle udienze, il 30 marzo 2004, il Tribunale si ritrova con 227 testimoni da sentire: quelli nuovi e quelli dei vecchi processi che le nuove norme impediscono di dare per scontati.
Il 15 luglio 2004, dopo mesi di udienze serrate, il processo dovrebbe arrivare alla conclusione. Ma l’imputato solleva il problema della legittima suspicione , per un articolo di giornale. Ancora Cassazione, ancora sospensione. Il 30 novembre 2004 è invece l’avvocato a sollevare la questione del legittimo sospetto, perché il presidente del Tribunale ha partecipato ad un convegno dove si parlava dei diritti delle parti lese. Quarto viaggio dei faldoni verso Roma, nuova bocciatura. E il 16 marzo 2005, alla ripresa delle udienze, l’imputato Michele Pesce se ne va libero dall’aula: termini di custodia cautelare scaduti. «Capirà, dopo tanti mesi ho bisogno di prendere un po’ d’aria fuori».
Il cerchio del grottesco si chiude con un’ultima istanza per legittima suspicione dell’indomabile avvocato: «Lei presidente il 19 settembre ha partecipato ad un convegno sulla ragionevole durata del processo, a Roma. Sì, quel convegno dove c’era anche quell’attore, Paolini. A proposito, che fine ha fatto? Non se n’è più sentito parlare...».