Durante le lotte franco-spagnuole si era segnalato come abilissimo ammiraglio ed astuto politico Andrea Doria, che dopo un lungo tirocinio come «assentista», cioè come appaltatore di navi, a servizio ora dell'una, ora dell'altra potenza, pel cui vantaggio percorse vittorioso i mari d'Italia, strinse un patto con Carlo V, che finalmente liberava Genova da ogni dominazione straniera (1528).

La tormentata città ebbe così, dopo tante lotte intestine, un lungo periodo di pace e di ordine. Il grande ammiraglio, come s'era mostrato valoroso stratega, si rivelò abile legislatore e, ricordando il lungo disordine da cui era stata travagliata la sua città per ambizioni delle famiglie nobili, volle stabilire un ordinamento radicalmente nuovo che evitasse per l'avvenire tale pericolo e stabilisse su tutti sovrana l'autorità dello Stato.

Egli, che era entrato in Genova al grido: «San Giorgio e libertà»,non può essere rimproverato di essersi rivelato piuttosto «dominus et patronus» anziché «padre della patria», perché i tempi eran tali che non permettevano certo una libertà nel senso moderno e d'altra parte, se egli non avesse tenuto il governo con ferrea mano, della «libertà» avrebbero approfittato solo le vecchie fazioni, che avrebbero ripreso il loro violento avvicendarsi.

La nobiltà fu riunita tutta in «alberghi», formando. il «Liber Civitatis» da cui si dovevan trarre gli amministratori della città e di cui potevan far parte anche quei popolani, che si fossero resi meritevoli di tale inclusione. Gli «alberghi» erano distinti in quelli del «Portico di San Luca» (o nobili antichi) ed in «Portico S. Pietro» (o nobili nuovi). Dagli iscritti si traevano i membri del Consiglio maggiore e quelli del Consiglio minore (sorteggiati fra i 400 del primo), che rappresentavano il potere legislativo, il quale, con una forma di elezione doppia, sceglieva il Doge, assistito da otto governatori. Accanto a questi magistrati v'eran pure i «sindacatori» che dovevan vigilare sulla correttezza degli eletti e sull'osservanza della costituzione. Non mancavano gli Inquisitori di Stato per il servizio di polizia ed un «magistrato degli esuli», per sorvegliare sulle mene dei nobili banditi. Andrea Doria si fece nominare «priore dei sindacatori» a vita, ciò che gli conferì una vera, se pur non manifesta dittatura. Di animo non mite, fu duro con gli avversari: che egli vedeva combattere o per gli stranieri o per scopi personali e non pubblici.

Durante il suo governo, Genova subì una splendida e profonda trasformazione edilizia; si arricchì della più bella strada (Via Aurea ora via Garibaldi), dei più bei palazzi, di magnifiche ville e di chiese grandiose, sotto l'ispirazione di Galeazzo Alessi e con la cooperazione dei più noti artisti d'allora.

Andrea Doria, si era costruita la principesca villa di Fassolo, decorata da valentissimi pittori e ben degna dell'imperatore Carlo V che vi fu ospitato: ma oltre a questa egli possedeva la Casa, sita in piazza S. Matteo al n. 17, che gli era stata data in dono dallo Stato, perché aveva restituito «all'antica libertà la Repubblica da lungo oppressa».

Genova godette di una feconda pace fino alla congiura dei Fieschi (1547); mentre le navi genovesi, comandate prima da Andrea e poi da Giannettino, suo nipote, tennero testa quasi sempre vittoriosamente alle incursioni piratesche e, pur combattendo per la bandiera spagnuola, ottennero che le rive liguri fossero risparmiate dagli orrori, che dovettero subire altre coste italiane. La congiura dei Fieschi fu sanguinosamente repressa e la costituzione fu modificata in modo da escludere dal governo i nobili del «Portico di S. Pietro», sospetti di aver favorito i Fieschi, che agivano per consiglio ed a vantaggio dei Francesi. Anzi, Carlo V fu preoccupato di tale minaccia e, temendo che Andrea Doria, per la grave età, non potesse difendere Genova da una invasione, voleva mandar armati spagnuoli, ma il Doria si oppose e non permise mai che truppe straniere intervenissero in difesa della città.