E se fosse terrorismo di Stato?
Il libro-inchiesta di Ahmed
Ennio Polito
Fin dal primo momento la versione dei fatti dell'11 settembre 2001 offerta da George W. Bush aveva mostrato falle vistose, che facevano pensare a tutt'altra verità. Ora, a distanza di un anno, un libro-inchiesta sorretto da una documentazione imponente e da una combattiva coerenza verso i valori democratici ribalta il quadro, descrivendo un governo immerso fino al collo nel torbido mondo del terrorismo di Stato, strettamente legato sul terreno finanziario a Osama Bin Laden, e alla sua famiglia, coinvolto nella preparazione e nella copertura dell'attacco alle Torri gemelle, esposto ad accuse di "tradimento" e a un'ipotesi di impeachment. Fantapolitica? Sarebbe imprudente in un mondo già saturo di orrori su cui incombono una nuova guerra nel Golfo e l'incubo delle armi nucleari, scommettere sull'introvabile candore del presidente americano. Lontano da ogni sensazionalismo è, d'altra parte, l'autore di questo libro, Nafeez Mosaddek Ahmed. Nato a Londra nel '78 in una famiglia di immigrati del Bangladesh, cittadino britannico, dirige a Brighton l'Institute for Policy Research and Development, un ente di ricerca e intervento impegnato per i diritti umani, è studioso informato e attento dei paesi afro-asiatici e specialista dell'Afghanistan, sui cui problemi ha già dato opere utilizzate come testi di studio a Harvard e in altre università americane. Altrettanto sobrio è il genere di letteratura politica cui egli ha attinto, analizzando e organizzando contributi stimolati da preoccupazioni analoghe alle sue. E, se è vero che alcuni aspetti di questo autentico dramma americano e planetario appaiono romanzeschi, è vero anche che, a proposito dell'11 settembre, inteso come grimaldello per forzare il consenso a decisioni politiche e militari, Ahmed può citare precedenti significativi, quali l'affondamento del "Maine", nel porto dell'Avana, presunta opera degli spagnoli e reale pretesto per l'intervento statunitense nella guerra per Cuba (1898), e l'attacco dell'aviazione giapponese su Pearl Harbour (1941), della cui imminenza, il presidente Roosvelt era stato informato ma che egli favorì per utilizzare contro l'isolazionismo la reazione emotiva degli americani.
Senza addentrarci nella discussione dettagliata di singoli aspetti del tema enunciato nel titolo, ricordiamo qui gli interrogativi di fondo che non trovavano risposte nella versione ufficiale e che si spiegano, al contrario, in modo del tutto logico nel contesto di una responsabilità dell'attuale presidente e del suo gruppo.
Emerge dalla documentazione che una guerra in Afghanistan era stata pianificata dagli Usa da almeno un anno, e in un senso più generale, da un decennio. Il fatto che proprio l'Afghanistan sia stato scelto immediatamente come bersaglio naturale della rappresaglia contraddice la pretesa che in quell'evento la parte degli Stati Uniti sia stata quella di una vittima ignara, colpita a tradimento. E' provato, d'altra parte, che le forze armate e le agenzie dell'intelligence erano state preavvertite dell'attacco aereo dell'11 settembre, ma non avevano dato seguito alla messa in guardia. Di più quel giorno gli stessi normali sistemi per fronteggiare le emergenze non funzionarono: per incompetenza degli addetti, si disse dapprima; ora, la parola-chiave è "complicità". Funzionari dei servizi segreti che avevano annunciato testimonianze importanti sono stati intimiditi e ridotti al silenzio, il capo dei servizi segreti militari pakistani, complici di primo piano della Cia nella vicenda, indotto con una consistente donazione a dimettersi.
Soltanto un'inchiesta ufficiale, investita di poteri che la mettano in grado di confrontarsi con tabù di ogni genere, potrebbe determinare la linea di demarcazione tra l'interesse personale e il presunto interesse nazionale come spinta propulsiva dell'illegalità. E' fuor di dubbio che le radici dell'imbroglio affondino nello scontro strategico tra gli Stati Uniti e l'Urss in Afghanistan, delineatosi sul finire degli anni Settanta, e che la posta ora in gioco siano le immense risorse petrolifere del Caspio priorità, di fronte, per più di un presidente. Bush jr è un petroliere, come suo padre, sotto la cui presidenza gli Stati Uniti hanno intrecciato con i talebani quello che Ahmed descrive come un pericoloso "ballo col diavolo", terreno di cultura di molti terrorismi. A corto di numeri elettorali, il suo bilancio in tema di relazioni internazionali desta scarsi entusiasmi. Senza peli sulla lingua, Ahmed lo accusa anche di trasformare gli Stati Uniti in un "nuovo Stato di polizia".
Cresce, insomma, il numero di chi considererebbe salutare una sua uscita di scena. E commenta: «L'espansione senza precedenti, dell'impero erode, sistematicamente proprio i valori che l'America afferma di difendere».