[Scritti giovanili] - Mazzini oggi (1948)Esiste il “mito di Mazzini”. È il tipico mito italiano, eclettico e confusionario: riassume tutto, concilia tutto, giustifica tutto. In questo senso, Mazzini si è prestato, si presta e si presterà sempre a esser sfruttato da tutti i regimi: liberali, democratici, trasformisti, fascisti, socialisti, comunisti. Ma pochi conoscono la “realtà”, del pensiero e dell’azione mazziniana, ciò che è morto, oggi, e che è vivo di lui.
“Il Messaggero”, 5 agosto 1948
Cosa c’era di caduco nel mazzinianesimo? Quel riflettere gli atteggiamenti più estremi della “Weltanschaung”, massonica, di quella visione della vita che s’era formata nel Settecento e che era tutta intrisa e compenetrata di umanitarismo, di egualitarismo, dei principi della pace, della giustizia, della fratellanza, dell’armonia e del progresso universale.
E cosa c’era di genuino nel Mazzini? Quel dipingere il popolo come “profeta della rivoluzione”, quell’affermare il nesso fra Dio e popolo, quell’insistere su un’impossibile “iniziativa popolare”, quell’illusione, quella fissazione, quella passione “popolaresca”, che mai egli perse nonostante le delusioni del ’48 e le smentite del ’59.
E cosa c’era di retorico? Quell’inseguire il mito della “Terza Roma”, e anzi assegnare alla terza Roma, quale “mente della terra”, “verbo di Dio fra le razze”, centro della religione dell’umanità, il compito di unificare tutte le genti disperse d’Europa e d’America sotto un sol senso comune (quale poi fosse precisamente, nessuno sapeva).
E quanto di derivato dalle dottrine straniere o antiche? A chi guardi il volto complesso e composito del mazzinianesimo, non sfuggiranno i sedimenti del gioachimismo, i ricordi e le eresie medievali, i residui della Riforma, le tracce del giansenismo, le influenze di Saint-Simon, le ripercussioni di Lamennais, i riflessi del Quinet o del Vinet, le risonanze del socialismo utopistico: del suo pensiero, ben poco resterà di originale.
Quel è dunque, la ragione dell’attuale e forse immortale vitalità del pensiero di Mazzini? Mazzini è in primo luogo l’unico grande riformatore religioso che l’Italia abbia avuto dopo Savonarola. In quel moto, a carattere essenzialmente politico-diplomatico che fu il Risorgimento, egli portò un lievito, un fermento, un tormento religioso, che danno alla rinascita italiana un significato che non ebbe nessun altro movimento nazionale europeo.
In un paese, che non aveva più sentito una profonda istanza di religiosità civile, laica, umanistica dalla Controriforma in là, il pensiero mazziniano rappresentava, con l’affermazione dell’unità fra politica e morale, del nesso fra Stato e Chiesa, del vincolo fra democrazia e religione, l’affermazione solenne della necessità di un rinnovamento delle coscienze, di un’interiore “metanoia” prima ancora d’una riforma delle strutture sociali e politiche.
In secondo luogo, Mazzini è il creatore del “mito” operante dell’unità. L’unità, in Italia, non era una realtà geografica, non era un’eredità storica, non era una vocazione nazionale. L’Italia era il paese delle città e dei Comuni; l’Italia era il popolo delle infinite rivoluzioni federali, e nel ’48 ne aveva vissuto l’ultima e più grandiosa; l’Italia era la terra che aveva sempre ondeggiato fra una realtà municipale e una destinazione universale, fra un presente di provincia e una metà di impero; l’Italia era infine la sede del Papato, cioè dell’organismo più universale della storia, e non solo la sede, quanto il cuore, il centro, il fulcro stesso del Pontificato romano. Mazzini riuscì a dare a questo popolo l’illusione dell’unità; riuscì a infondere nelle sue classi dirigenti il sogno, la speranza, il desiderio dell’unità.
Il “mito” unitario non era per Mazzini limitato al fatto nazionale. Egli voleva l’unità fra gli italiani, in quanto, fosse a sua volta principio e premessa dell’unità fra popolo e stato, fra stato e chiesa, fra cielo e terra. Unità nazionale d’Italia; unità internazionale d’Europa; unità universale del mondo; unico dogma quello del progresso; unica religione quella dello spirito; unica educazione quella del vero; unico Stato quello ispirato alla democrazia e alla giustizia.
L’ “unità”: ecco la grande forza di Mazzini. In un paese tendente alla molteplicità, alla diversità, alla discordia, Mazzini gettava questo seme di unità, e lo consacrava col sangue dei martiri. Se oggi si celebra il ’48 come rivoluzione nazionale, lo si deve a lui, non certo ai Principi e ai Granduchi in onore dei quali si organizzavano le varie e inutili mostre commemorative.
Essendo unitario, Mazzini non poteva essere, non fu mai liberale. È l’ultimo equivoco che bisogna dissipare. La visione del liberalismo moderno era per Mazzini il prodotto complessivo dell’individualismo, dell’utilitarismo e del materialismo: tutto ciò a cui bisognava opporsi nella fondazione della nuova società. Se il liberalismo rappresentava la concezione dei diritti individuali rispetto ai poteri dello Stato, Mazzini vagheggiava una concezione in cui fossero ben stabiliti i doveri “individuali” rispetto ai diritti dello Stato. Se il liberalismo era laicismo, religione della laicità, Mazzini sognava uno “Stato teocratico”, dove “fossero sacerdoti tutti con uffizi diversi”. Se il liberalismo era immanentismo, Mazzini sognava una trascendenza, sia pur diversa da quella cattolica. Se il liberalismo era umanesimo, Mazzini auspicava una rivelazione divina, che si attuasse attraverso i geni “angeli di Dio sulla terra” e il popoli “profeti di Dio in terra”.
Se il liberalismo, insomma, era dialettica, dialettica di forze e di idee, di istituti e di uomini, libertà di iniziative e senso di autonomia, capacità dell’autogoverno e vigore di individuale creazione, Mazzini era, invece, per la riduzione a unità delle forze e delle idee, degli istituti e degli uomini, per il controllo delle iniziative e la subordinazione dell’autonomia personale alla nazione e allo stato, per l’educazione impartita dall’alto e secondo uno schema unitario, infine per l’opera sociale, lo sforzo collettivo, l’azione dei molti, l’associazione.
Mazzini non fu mai un liberale, perché in fondo non fu mai un “politico”. Egli fu un anticipatore, un apostolo, un profeta: e io non conosco nella storia un apostolo e un profeta che sia mai stato liberale.
Giovanni Spadolini
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