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Sabato 21 settembre 2002
STORIA
Uno studio di Yves Durand analizza gli Stati fantoccio nei territori occupati dalle truppe naziste: dalla Francia di Vichy alla Norvegia di Quisling
Tutti gli amici del Terzo Reich
Il caso dei regimi-satelliti, specialmente nell'Est europeo, ove la neutralità era solo l'altro nome della collaborazione
Di Yves Durand
Nel suo progetto di conquista dell'intera Europa - una sorta di integrazione «ante litteram», ma forzata e totalitaria - Hitler ebbe al suo fianco come «amici» più o meno volenterosi parecchi esponenti delle forze politiche e sociali nei Paesi via via occupati. Al nuovo assetto continentale all'ombra della svastica contribuirono fascisti convinti, come il norvegese Vidkun Quisling, o vecchi generali come il francese Philippe Pétain, capo del regime satellite di Vichy. Il primo un «collaborazionista», il secondo un «collaboratore» secondo la distinzione concettuale da cui parte lo storico Yves Durand, esperto delle vicende francesi nella Seconda guerra mondiale. Infatti i due nomi sono divenuti emblematici, tanto che si parla del «Pétain serbo» Milan Nedic e del «Quisling ungherese» Ferenc Szálasy (e «Quisling» in generale è rimasto come dispregiativo per chi si unì anima e co rpo ai nazisti). Le differenze tra le due categorie sono però sfumate, ammette lo stesso studioso: c'è tutta una zona grigia che investe il continente da Ovest a Est, che questo volume, in libreria dal 27 settembre, indaga in una prospettiva completa e comparativa, ancora poco esplorata. Il «collaboratore» Pétain fu, scrive l'autore, molto più utile ai disegni hitleriani del «collaborazionista» Quisling. Intento dei gerarchi che via via piantavano le bandierine sui territori conquistati era, infatti, metter su regimi fantoccio che godessero di un appoggio popolare. Cosa che i fanatici della purezza razziale non erano in grado di assicurare. Prova ne fu che Quisling, proclamatosi via radio capo del governo norvegese al momento dell'invasione (9 aprile 1940), dovette in realtà attendere il 1942 per assumere il potere. Appoggiato dall'ideologo nazista Alfred Rosenberg, era però osteggiato da diplomatici e gerarchi che avevano capito quanto egli fosse inviso in Norvegia. Dunque, l'appoggio a Hitler non fu un fenomeno delle masse, quanto piuttosto delle élites. E su quelle tradizionali (soprattutto esercito e monarchia) furono rivolti i tentativi di mediazione. Fino all'ultimo si tentò di scongiurare l'esilio da Oslo di re Haakon VII e del governo, creando un Consiglio nazionale con dentro uomini di Quisling, ma con lui ai margini. L'intento non riuscì, come invece avvenne in Danimarca. Qui le strutture della monarchia e dell'esercito restarono, sia pur simbolicamente, intatte. E la collaborazione si profilò con il supporto alla guerra antibolscevica, non certo nella persecuzione degli ebrei. I pochi residenti nello Jutland furono risparmiati. Destino diverso da quelli dei territori occupati dell'Est dove all'antisemitismo e all'anticomunismo (vero collante anche con i nazionalisti non fascisti) si aggiunse la slavofobia dei nazisti. Perciò essi fecero il «lavoro sporco» con le proprie truppe speciali supportate dagli antisemiti locali. Il Drang nach Osten, l'attacco a Est, era infatti la vera ossessione del Führer. La Francia, pur nemico storico, era secondaria nei suoi piani. E i francesi, pur non considerati veri ariani, non erano disprezzati come i polacchi. Pétain fu utilissimo, perché aiutò Hitler a «chiudere la porta posteriore dell'Europa». La mentalità del vecchio generale lo portava, infatti, a pensare che, stringendo un patto con la svastica, la guerra (per lui franco-tedesca e non mondiale) sarebbe finita e si sarebbero potute fermare le ambizioni inglesi. L'abbraccio fu mortale. E Vichy sprofondò nel baratro con tutte le tragiche vicende di quel regime, che le recenti polemiche sulla scarcerazione del capo della polizia Papon dimostrano essere tuttora una ferita aperta in Francia. Fu il destino di molti altri regimi satellite, alcuni creati con l'aiuto di Hitler, altri preesistenti. Tra i primi la Slovacchia di monsignor Jozef Tiso, la Croazia di Ante Pavelic (più vicina però al fascismo italiano), la Serbia del generale Milan Nedic. Tra i secondi l'Ungheria dell'ammiraglio Miklos Horty, la Romania di Ion Antonescu, la Bulgaria di re Boris (che, comunque, per i tradizionali legami con Mosca, non si avventurò nella campagna russa). Alcuni si sfilarono all'ultimo, altri (oltre a Pétain, Tiso, Antonescu) seguirono il Führer nell'abisso. Un ruolo importante lo giocarono anche Stati neutrali come la Spagna di Francisco Franco. Davanti a Hitler, in molti casi neutralità era solo l'altro nome di collaborazione.
Il nuovo ordine europeo
La collaborazione nell'Europa tedesca
Il Mulino. Pagine 270. Euro 17,50