Perché l'unità dei laici

Nino Martinazzoli, ex ed ultimo segretario della Democrazia cristiana, dissoltasi sotto l'urto della cosiddetta "rivoluzione referendaria", per diventare senza successo Partito popolare italiano, oggi scheggia della Margherita, dice dell'attuale sistema bipolare che "lungi dall'essere democrazia dell'alternanza, sa tanto di guerra civile".

Certo, dinanzi alle due coalizioni competitive segnate da lacerazioni profonde al loro interno e che non riescono a darsi un progetto politico coerente, e dove l'Ulivo, o quel che fu, con i suoi "girotondini" e i suoi "no global", continua ad offrire l'immagine di una Babilonia permanente, il disagio di un cattolico democratico che si ispira alla lezione, di Sturzo, De Gasperi e Moro è più che giustificato.

Nasce da constatazioni evidenti e innegabili. Un cattolico che fu vicino a papa Montini e a quel mondo che la "Moricelliana" di Brescia coltivò attraverso le letture di un cattolicesimo francese che coniugava il messaggio evangelico con i valori della Repubblica, sente come incompatibile stare insieme con i Di Pietro, i Rutelli, i Bertinotti, i Cossutta e quant'altri. Né si può chiedere a un guelfo che concepisce il regionalismo e le autonomie locali tasselli del grande mosaico dell'unità nazionale di avere indulgenza per quelle derive scissionistiche e localistiche che la Lega di Bossi getta come oscure ombre sulla coalizione di centro-destra.

Bipolarismo anomalo, dunque, da correggere, secondo Martinazzoli, con il ritorno alla "democrazia del confronto e non dello scontro". Confronto che considera l'avversario mai nemico da schiacciare, ma interlocutore da convincere. È l'ethos dei laici, figli di quel "dubbio metodico" lontano dalle verità precostituite, che specie in politica, rifuggono dalle chiese e dai partiti totalizzanti.

Per il ritorno alla democrazia del confronto, Martinazzoli ritiene indispensabile il rilancio dell'unità e del ruolo dei cattolici in politica. Noi, da laici, riteniamo altrettanto indispensabile l'unità dei laici, più che mai oggi sullo sfondo di quella globalizzazione dell'economia e della scienza, dove la ricerca, in bioetica, come nell'istruzione, non può essere ostacolata dai riflessi condizionati della teologia.

In politica, l'unità dei laici deve costituire quell'emergenza che proprio l'attuale bipolarismo nasconde fra le pieghe di quelle convenienze elettoralistiche volte a gratificarsi il voto cattolico, a sinistra non meno che a destra. Tant'è che nell'Ulivo, come nella Casa delle libertà, i laici, maggioranza nel paese, sono soggetti sconosciuti. Di qui la necessità di quella sveglia che ci ricorda la vittoria sul divorzio e sulla legge che disciplina l'interruzione della gravidanza per sanare la grande piaga degli aborti clandestini.

Ecco perché l'unità dei laici deve costituire per quella diaspora che in gran parte alimenta anche il non voto, un obiettivo primario, nel senso di recuperare attorno ad un nuovo soggetto politico forze oggi disperse fra sigle e sottosigle. In questa chiave va letta la battaglia solitaria di resistenza del PRI a conservare la propria identità e la propria storia senza sciogliersi e annullarsi in confuse e indistinte aggregazioni tese soltanto a soddisfare personali ambizioni o salvataggi di collegi.

La resistenza ha salvato il PRI dalla catastrofe dell'estinzione, e questo gli permette oggi di porsi come punto di riferimento di quel disegno strategico che è l'unità dei laici in nuovo scenario da democrazia maggioritaria.

Roma, 20 settembre 2002


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tratto dal sito web del

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