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Risultati da 11 a 15 di 15

Discussione: Venti di Guerra

  1. #11
    l'Edera del Cugino è sempre...
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    24 Jul 2002
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    Le praterie del dubbio - Una delle poche cose, anzi forse la sola ch'io sapessi di certo era questa: che mi chiamavo Mattia Pascal E me ne approfittavo. Ogni qual volta qualcuno de' miei amici o conoscenti dimostrava d'aver perduto il senno
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    Predefinito

    Ø Parigi, 09:11
    > Iraq, Francia-Germania: priorità a Consiglio Onu
    >
    > Il presidente francese, Jacques Chirac, e il cancelliere tedesco, Gerhard Schroeder, hanno ribadito in serata la loro "convergenza di vedute" sull'Iraq, insistendo di nuovo sulla priorità del Consiglio di sicurezza dell'Onu.
    > "Abbiamo rilevato - ha detto Chirac - un'ampia convergenza fra la posizione della Germania e quella della Francia. In poche parole, riteniamo che spetti al Consiglio di sicurezza, e soltanto ad esso, di fissare una posizione sulle modalità di ispezione degli armamenti in Iraq".
    >
    > "In realtà siamo molto vicini - ha confermato Schroeder - le nostre posizioni sono ampiamente convergenti". Il cancelliere ha ribadito che la posizione della Germania - ostile a qualsiasi azione militare contro Baghdad, anche se ci fosse un via libera dell'Onu - "non è cambiata". (red)

  2. #12
    l'Edera del Cugino è sempre...
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    24 Jul 2002
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    Le praterie del dubbio - Una delle poche cose, anzi forse la sola ch'io sapessi di certo era questa: che mi chiamavo Mattia Pascal E me ne approfittavo. Ogni qual volta qualcuno de' miei amici o conoscenti dimostrava d'aver perduto il senno
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    Predefinito Harold Pinter: «Giù le armi, Bush»

    (La Stampa Del 28/11/2002 Sezione: Cultura Pag. 19
    INVETTIVA POLITICA DEL GRANDE DRAMMATURGO INGLESE ALLA CONSEGNA DELLA LAUREA HONORIS CAUSA CONFERITAGLI DALL´UNIVERSITÀ DI TORINO

    Harold Pinter: «Giù le armi, Bush»

    TORINO «HA detto il presidente Bush: non permetteremo che le peggiori armi rimangano nelle mani dei peggiori capi di Stato del mondo. Giusto. Guardati allo specchio, bello. Quello sei tu». È stata breve, tutta politica, monotematica e durissima la lezione magistrale del drammaturgo Harold Pinter, ieri, nell´Aula Magna dell´Università di Torino. A lui la laurea honoris causa in Lingue e Letterature Straniere. In Medicina e Chirurgia allo svizzero Walter Ghering per i suoi studi di genetica, in Fisica al giapponese Toshimitsu Yamazaky per le scoperte sull´atomo e sulla materia.

    L´entrata in scena di Pinter si era aperta con lunghi applausi all´esordio della laudatio del professor Paolo Bertinetti, preside della facoltà di Lingue e Letterature straniere, il quale ricordava la trasmissione del dramma più noto di Pinter, Il custode, in prima serata nel `77, «quando la televisione era ancora la Rai, prudente, bigotta, magari retriva, ma con un minimo senso di dignità, prima che venisse concesso alle televisioni dell´attuale presidente del Consiglio di invadere le case degli italiani con la loro miseria culturale, facendo appello a ciò che di peggio alberga nell´animo degli spettatori».

    Dopo la bordata nazionale, ecco Pinter con una requisitoria, più che lezione, contro le grandi potenze: «Gli Stati Uniti stanno costruendo armi molto sofisticate, atte a distruggere le masse, e sono pronti a usarle là dove lo ritengono necessario. Ne hanno più loro di quante ce ne siano in tutto il resto del mondo e non permettono a nessuno di ispezionare le loro fabbriche di armamenti». E addirittura: «Gli Stati Uniti pensano che i tremila morti di New York siano gli unici morti che contano. Sono morti americani. Gli altri morti sono irreali, astratti, senza importanza». A questo punto parte una sorta di rappresentazione del mondo, in qualche modo di un mondo altro, separato, che diventa l´unico centro di attenzione pietosa. Tremila vittime in Afghanistan. Centinaia di bambini iracheni deceduti perché le sanzioni di Usa e Regno Unito li hanno privati di farmaci. E poi - la ferocia delle descrizioni - gli effetti dell´uranio impoverito: «In Iraq nascono bambini senza cervello, senza occhi, senza genitali. E dagli orifizi delle orecchie, delle bocche e dei retti esce soltanto sangue». Prosegue l´orrendo «spettacolo» con i duecentomila cadaveri di Timor Est, i cinquecentomila di Guatemala, Cile, El Salvador, Nicaragua, Uruguay, Argentina e Haiti, i milioni di Vietnam, Laos e Cambogia. E poi quelli di Palestina, «fonte principale dell´inquietudine del mondo». Incalza Pinter, nel silenzio austero dell´Aula Magna, fino all´avvertimento, al vento delle vendette: «Le persone non dimenticano. Non dimenticano la morte dei loro concittadini, le torture e le mutilazioni, le ingiustizie, l´oppressione, non dimenticano il terrorismo delle grandi potenze. Non solo non dimenticano, ma reagiscono attaccando». Non risparmia il suo paese e il suo governo: «In Inghilterra, da un po´ di tempo, si dice alla gente di vigilare in vista di probabili atti terroristici. In che modo la gente potrebbe vigilare? Mettendosi una sciarpa sul naso e sulla bocca per non respirare i gas letali?». Perché - si avvicina il culmine della requisitoria - il rischio è reale, «grazie alla spregevole e vergognosa sottomissione del primo ministro inglese agli Stati Uniti». Da questa nasce, secondo Pinter, il rischio reale di attentati, tanto che uno sarebbe stato sventato per un soffio in metropolitana: «A Londra migliaia di bambini prendono la metropolitana tutti i giorni per andare a scuola. E se ci sarà un attentato e moriranno avvelenati dai gas la colpa sarà unicamente del primo ministro. Il quale, inutile dirlo, non va mai in metropolitana». E lo scenario si chiude con un futuro che vede il governo americano proteso al controllo del petrolio e «assetato di sangue». Il sipario scende dopo una citazione di Alexander Herzen: «Noi non siamo il medico, siamo il morbo».
    Marco Neirotti

  3. #13
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    Predefinito D'Alema e la base ds

    ieri sono stato al teatro di Rieti a sentire D'Alema. e' stato interessante; non tanto per lui, pur sempre intelligente (e poi a me quel suo fare antipatichino, piace) ma perché parlava di fronte a quadri e base di periferia, non davanti a Bruno Vespa.

    Ebbè, le sue posizioni sul terrorismo sempre da condannare sono state accolte con freddezza dalla platea (e palchi), anche se ammorbidite dall'accenno alla esistenza di un terrorismo di stato ("quello dei carrarmati che sparano su bambini armati di sassi", il che in realtà non mi risulta, io mi sarei limitato a citare la Russia in Cecenia, ma, sai, un certo vincolo sentimentale è duro a morire).

    Freddezza anche per la sua posizione sull'appoggio all'ONU, anche se decidesse di intervenire in Irak, benché lui personalmente pensi che un'intervento sia inutile e dannoso (vivi applausi).

    E comunque, dice, la posizione di tenere fuori l'italia sempre e comunque, la "pace sempre", a tutti i costi, è una cosa veramente "piccola"!
    Ho provato io a fare partire un applauso, e mi sono venuti dietro, ma in una decina...

    Applausissimi a scena aperta quando si è poi passati alla politica interna.

  4. #14
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    Predefinito E comunque, dice, la posizione di tenere fuori l'italia sempre e comunque, la "pace

    Aspettiamo l'esito degli ispettori augurandoci che nel contempo non ci siano attentati da noi, nel qual caso sai la retorica esacrazione se scoprissimo che ci sia la mano di Gheddafi - Arafat e Saddam in "AL QAEDA".
    Saluti.
    Ciceruacchio

  5. #15
    l'Edera del Cugino è sempre...
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    Predefinito In America c'è un problema di presupponenza,

    ALBRIGHT «La guerra contro Al Qaeda più importante dell´Iraq»
    L´EX SEGRETARIO DI STATO DI CLINTON SCETTICA SULL´OPPORTUNITA´ DI UN NUOVO CONFLITTO NEL GOLFO NEW YORK

    L´AVEVANO soprannominata la dama di ferro della diplomazia americana, con quelle spille a forma di aquila piazzate sulle giacche dei tailleur. E nonostante il sorriso gentile, Madeleine Albright conserva il piglio dei giudizi decisi: attaccare Saddam adesso sarebbe un errore, perché prima c'è da sgominare al Qaeda, e se Bush ha davvero le prove del riarmo iracheno, deve tirarle fuori ora. La incontriamo al Council on Foreign Relations, dove l'ex segretario di Stato è venuta a presentare lo studio del Pew Research Center sul calo della popolarità degli Usa nel mondo.

    Il suo ex capo, Bill Clinton, dice che la guerra contro bin Laden è più urgente dell'Iraq. Lei è d'accordo?
    «La lotta contro il terrorismo è appena cominciata: c'è molto da fare e non possiamo distrarci. Sono convinta che l'Iraq è un pericolo e Saddam è terribile, l'ho ripetuto spesso. Ma abbiamo buone possibilità di contenerlo con altri mezzi. In questo momento, invece, dobbiamo preoccuparci di più di al Qaeda, considerando anche che bin Laden è ancora vivo».

    Oggi è atteso all'Onu il rapporto iracheno sugli armamenti. Come dovrebbe reagire il governo americano?
    «E' molto importante svolgere un'opera di diplomazia dettagliata e consultazioni, a cui l'amministrazione è arrivata in ritardo, discutendo i prossimi passi. Io prevedo alcune settimane burrascose, perché stiamo già sentendo differenze all'interno del governo sul fatto se gli ispettori sono utili, e se quello che hanno scritto è una bugia o no. Se l'amministrazione contesterà il rapporto iracheno, sostenendo che Baghdad possiede armi di distruzione di massa, sarebbe molto utile che spiegasse quali informazioni possiede, per favorire tanto la diplomazia pubblica quanto quella privata. B]Gli Stati Uniti sono una democrazia, e non è antipatriottico chiedere questo genere di trasparenza. Anzi, domandarla è un dovere patriottico, che aiuterebbe la nostra diplomazia all'interno e all'estero, chiarendo perché stiamo facendo quello che facciamo. Alcuni sostengono che la ragione è il petrolio: [/B] io non lo credo, ma per dimostrarlo, le nostre motivazioni e azioni devono essere più trasparenti».

    Il presidente Bush dice che la guerra dipende da Saddam. Secondo lei ci sarà lo scontro?
    «Io invece penso che tutto dipenda da Bush. Non sono incline a credere a Saddam o a Tareq Aziz, ma il modo in cui è stato costruito il confronto viene descritto bene dal detto americano secondo cui sei dannato tanto se fai una cosa, quanto se non la fai, visto che qualcuno è alla ricerca della violazione materiale della nuova risoluzione. Lo dico considerando la retorica utilizzata finora. Vorrei sperare che ci fosse una maniera per evitare la guerra, perché non abbiamo ancora riflettuto sulle sue conseguenze non volute. Ma non possiamo contare su Saddam per aiutarci a questo scopo, perché alla fine fa sempre qualcosa di stupido. Quindi temo che siamo avviati verso la guerra, e tocca a Bush decidere se vuole cedere o no ai membri della sua amministrazione, che sono entrati nel governo con un'agenda predeterminata per fare qualcosa in Iraq, prima ancora che l'intera questione del terrorismo cominciasse».

    Quale impatto avrebbe la guerra sulla Nato e su alleati come l'Italia?
    «La domanda centrale da porsi è quanto la Nato e gli alleati verrebbero utilizzati nel conflitto. Ma nel recente vertice di Praga uno dei fatti più interessanti è stato il sostegno offerto da tutti i paesi membri».

    La Turchia finora è stata molto prudente nell'appoggiare la politica Usa in Iraq. Dipende dalla questione curda?
    «In parte, perché teme che dopo la caduta del regime iracheno la sua popolazione curda cerchi di unirsi con quelle degli altri paesi, per costituire il mitico stato del Kurdistan. Ma la faccenda è più complicata. La Turchia si trova in una posizione critica tra Europa e Asia, è un paese islamico con istituzioni secolari, e dopo la caduta dell'Urss è stata investita anche da una serie di problemi nuovi riguardo la stabilità dell'Asia centrale. Una parte della questione riguarda l'incertezza della popolazione su come il fatto di essere musulmani e secolari si combini col resto del mondo islamico, e poi c'è il terribile trattamento che l'Unione Europea ha riservato alla Turchia, ad esempio con le recenti dichiarazioni di Giscard d'Estaing, da cui mi aspettavo di meglio. Il rifiuto che Ankara ha percepito dall'Europa è stato umiliante, e si collega ad un'altra questione scottante come l'immigrazione, con la grande forza lavoro turca di fronte alla popolazione europea che invece continua ad invecchiare. Sta diventando un problema razziale, e credo che ora Washington debba spingere ancora di più affinché la Turchia abbia qualche forma di accesso all'UE. Rispetto all'Iraq, però, l'elemento più complicato è che stiamo chiedendo ad Ankara di fare qualcosa per la possibile guerra, in termini di basi, accesso o spazio aereo, in contraddizione diretta con i desideri della popolazione. La domanda, quindi, è quante volte puoi spingerti su un terreno simile, e quali problemi di lungo termine ti procuri chiedendo ad altre nazioni di agire così. E' un interrogativo chiave perché il modello turco del paese islamico secolare è quello che vorremmo esportare in tutta la regione, e invece la guerra all'Iraq promette di far aumentare il già alto scontento della popolazione verso l'America».

    Lo studio del Pew dice che la popolarità degli Usa è in calo. E' colpa della retorica adottata negli ultimi mesi?
    «La cosa essenziale è tornare alla diplomazia pubblica, cioè trovare la maniera di diffondere un messaggio globale, quando devi rivolgerti ad un'audience mista. Uno degli elementi che ha provocato la dicotomia dipende dal fatto che quando il presidente Bush si rivolge al pubblico interno, per unificare e incoraggiare tutti, può dare l'impressione di un atteggiamento troppo macho all'estero, perché oggi non si può più isolare il messaggio domestico da quello internazionale. Quindi dobbiamo trovare nuovi strumenti non per fare pubblicità al nostro paese, ma per diffondere informazioni sulle nostre posizioni».

    La vostra gente sta perdendo contatto col resto del mondo?
    «Io credo nella bontà fondamentale dell'America e degli americani, e non penso che ci sia un altro popolo più generoso. Resto anche convinta del fatto che gli Stati Uniti sono la nazione indispensabile. Il problema in questa amministrazione non è tanto che il nostro potere viene usato in maniera unilaterale, ma unidimensionale, per cui la bontà dei nostri propositi nell'affrontare problemi come il divario tra ricchi e poveri, o le possibili cause del terrorismo che facilitano il reclutamento da parte di al Qaeda, sfuggono o vengono fraintese. Bisogna spiegare alla nostra gente perché la politica estera non è una cosa estranea, e perché ciò che accade alle altre 189 nazioni dell'Onu ha un effetto su di noi. In America c'è un problema di presupponenza, che si risolve chiarendo l'importanza del soft power e di usarlo in collaborazione con gli altri paesi. E questo è un compito che non riguarda solo le istituzioni governative».

 

 
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