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  1. #1
    Hanno assassinato Calipari
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    Predefinito Manifestazione per la Pace il 28 Settembre a Roma

    Saremo a Roma il 28 settembre

    Le altre presenze Continuano ad arrivare le adesioni alla manifestazione del 28 settembre. Eccone un elenco ancora parziale:
    Socialismo 2000
    Associazione per il rinnovamento della sinistra
    Forum Ambientalista
    Altragricoltura
    Unione Inquilini
    Associazione Culturale Punto Rosso - Forum mondiale dell'alternativa
    Medicina Democratica
    Movimento per l'unità della sinistra alternativa
    Circolo anarchico Ponte della Ghisolfa
    Luca Casarini, Francesco Caruso, Guido Lutrario e Daniele Farina del Movimento dei Disobbedienti
    Vittorio Agnoletto (Social Forum)
    Una rappresentanza della delegazione palestinese in Italia (Nemer Hammad e Ali Rashid)
    Paolo Cagna (Presidente del comitato per i referendum sull'estensione dell'art. 18 e 35)
    Maurizio Zipponi (FIOM Lombardia)
    Lucio Manisco - parlamentare europeo
    Prof. Gianni Ferrara
    Lucio Magri, Direttore della Rivista del Manifesto
    Prof. Edoardo Bruno (Direttore di Filmcritica)
    Fabrizio Giovenale (ambientalista)
    Emilio Molinari (Vice Presidente del Comitato Italiano per il contratto mondiale per l'acqua)
    Basilio Rizzo (Consigliere Comunale - lista Miracolo a Milano)
    José Luis Del Rojo (Comitato Internazionale Forum Sociale dell'Acqua)
    Mario Agostinelli Forum Mondiale dell'Alternativa)
    Tom Benettollo (Presidente dell'ARCI)
    Luigi Sullo (Direttore di Carta)
    Gianni Caminato (Associazione Consumatori Utenti)
    Saranno presenti, inoltre:
    Una delegazione del Sin Cobas
    Aurelio Speranza della Cln
    Vincenzo Siniscalchi, Sulta
    Paolo Leonardi, RdB


    ---

    La Cgil sarà presente alla manifestazione di ... La Cgil sarà presente alla manifestazione di Rifondazione comunista con una sua delegazione. La presenza della più grande delle confederazioni sindacali è motivata dal comune no alla guerra e dalla comune convinzione ella necessità di lottare per i diritti.

    «La Cgil - ha dichiarato Titti Di Salvo della segreteria confederale - con la sua presenza vuole lanciare un segnale di attenzione alla manifestazione del 28 settembre in un momento in cui forti e assordanti spirano i venti di guerra mettendo duramente a rischio la pace».

    ---

    Intervista ad Alì Rashid, primo segretario della delegazione palestinese in Italia: «Sarò a Roma il 28 settembre» «In piazza per difendere quel che resta del diritto internazionale» Ang. N.


    «Sarò in piazza a Roma il 28 settembre, sarò alla manifestazione promossa da Rifondazione comunista». Alì Rashid, primo segretario della delegazione palestinese in Italia, conferma la sua adesione al corteo di sabato con il tono di chi dà un appuntamento.


    Perché hai deciso di partecipare?

    Perché sono contro la guerra. Contro tutte le guerre. Non risolvono le controversie internazionali. In questo caso, poi, far partire un attacco armato significherebbe finire di stracciare quel poco che resta del diritto internazionale. Manifesterò perché quella è un'occasione per mostrare la propria avversione nei confronti dell'intervento contro l'Iraq e per dare visibilità all'indignazione per il disprezzo che l'attuale Amministrazione statunitense riserva ai principi cardine della legalità internazionale.


    L'Europa è tutt'altro che compatta rispetto agli ordini di guerra di Bush. Consideri probabile una dimostrazione di dignità del vecchio continente di fronte alla chiamata alle armi di Washington?

    Non sarà facile per i Paesi europei dire di no. Eppure è l'unica possibiltà che hanno. A meno di non rinnegare quella stessa nozione di Occidente democratico che tanto hanno tentato di propagandare. Questa guerra è la guerra di Bush. Se l'Europa si piega all'arroganza statunitense seppellisce definitivamente le norme fondamentali della convivenza tra Stati che ha dato a se stessa subito dopo il secondo conflitto mondiale.


    Il movimento no global ha mostrato di saper realizzare azioni concrete contro le strategie di guerra totale in Palestina. Ti aspetti una mobilitazione simile di tutti i pacifisti in difesa del popolo irakeno?

    Me la auguro. La guerra di Bush in l'Iraq è la stessa di Sharon in Palestina. Come obiettivo ha il dominio degli Usa sulla regione e sulle sue risorse. Serve a perpetuare la politica di rapina in Medio oriente. La Palestina rimane il nucleo fondamentale del conflitto mediorientale, di qualsiasi conflitto in quell'area. Questa è una verità semplice, innegabile ma tenuta nascosta, abilmente celata sotto le menzogne spudorata e le definizioni sbagliate con cui i mezzi di informazioni raccontano il nostro conflitto.


    Quali sono le definizioni che definisci sbagliate?

    Un esempio per tutti: si dice conflitto araboisraeliano, invece è il conflitto israelopalestinese. Perché c'è un aggressore e una vittima. Un occupante e un occupato. Perché dal'48 ad oggi è stata messa in atto con intensità differenti una stessa politica di distruzione sistematica del nostro popolo e della nostra storia.


    Il 5 ottobre si svolgeranno manifestazioni contro la guerra in cento città italiane. Aderirai anche a quelle?

    Certo, aderirò e sarò presente. Quel giorno si svolgerà un congresso ad Orvieto in nome della democrazia e della cultura contro la guerra. Lo hanno organizzato intellettuali non solo palestinesi, provenienti da tutto il mondo arabo. Sarò anche lì.

    ----

    Intervista a don Luigi Ciotti, presidente di "Libera" «Boicottare la guerra è possibile: non dividiamoci» Angela Nocioni «Boicottare la guerra si deve, siamo d'accordo in tanti su questo. Ora dobbiamo individuare le pratiche concrete per farlo, ma con un impegno serio a cercare modalità comuni. Non ha senso dividerci su queste questioni. E' urgente, doveroso e necessario restare uniti, intrecciare gli sforzi e opporsi alla logica delle divisioni con uno sforzo teso ala concretezza del risultato di pace. Mi rivolgo a tutti, associazioni, gruppi, cooperative, chiese, sindacati, libere aggregazioni, lavoratori, mondo dello sport, scuole, operatori dell'informazione, amministratori politici: donne e uomini di buona volontà, dobbiamo fare tutto il possibile perché dall'intreccio delle nostre diverse iniziative possa nascere quel mondo possibile dove la pace nasca, sempre e solo, dalla giustizia».

    Questo l'appello di don Luigi Ciotti, prete di strada, presidente di "Libera" e del Gruppo Abele.


    Quali concrete modalità di boicottaggio proponi rispetto a una campagna propagandistica che martella con lo slogan della «guerra preventiva»?

    Informazione, verità contro la propaganda. Questa guerra serve a controllare alcune ricchezze naturali. Lo dobbiamo spiegare, dobbiamo spiegare che i veri motivi di quasi tutti i conflitti internazionali sono e restano interessi economici così prepotenti da inquinare la stessa vita politica chiamata a decidere sull'entrata in guerra di interi popoli.

    Il nostro fermo e deciso "no" alla guerra non esprime solo il desiderio dell'Italia di restare estranea al conflitto. Non vogliamo solo restare fuori dalla guerra. Non vogliamo che esistano conflitti armati. Mai più. Ed anche per questo non vogliamo che il nostro paese si spenda, con responsabilità politiche, militari e strategiche, per costruire un sistema che inevitabilmente costruirà morte e disperazione. Gli odi e le diseguaglianze escono rafforzati e radicalizzati dai conflitti armati. L'abbandono della strada politica condanna a spirali di violenza che inevitabilmente alimentano il bisogno di ostilità insanabili.


    I guerrafondai rispondono: così si sostengono i dittatori e i terroristi.

    Nessuno vuole fare o proporre sconti a dittatori e terroristi o alla violenza, da qualunque parte questa arrivi. Ciò di cui siamo convinti è che non sono indifferenti la natura e la modalità della risposta alla violenza. Anche di fronte all'orrore e alla follia della violenza occorre il coraggio del ragionare, dell'evitare la tentazione delle scorciatoie.

    Non mancano certo quanti tentano di giustificare la necessità di un intervento militare con l'arma del linguaggio, inventandosi espressioni tipo "guerra giusta", "umanitaria", per "legittima difesa", "preventiva". Nessuna acrobazia linguistica può trasformare uno strumento al servizio della morte in un'operazione di pace e di vita. Solo nella politica esistono i reali strumenti perché la gestione di un conflitto non debba essere affidata alla logica del più forte.


    Quale politica, allora, contro il terrorismo?

    Il terrorismo non è figlio della povertà e dell'ingiustizia, ma si alimenta della disperazione da esse prodotta. Intervenire politicamente su tali situazioni intervenire sulle condizioni di sfruttamento. Non contribuisce solo a realizzare maggior equità, ma si rivela anche strumento efficace per vincere qualsiasi forma di terrorismo. Una pace stabile esige un approccio politico realistico, dialogico e capace di aggredire le cause sociali di sfruttamento. Due passi sono necessari. Innanzitutto spostare il baricentro del diritto internazionale dagli Stati alle persone, creare le condizioni perché si realizzi una vera tutela dei diritti fondamentali di ogni cittadino del mondo. E poi dare agli strumenti internazionali di verifica e di controllo, penso al Tribunale penale internazionale, le reali possibilità di sanzionare ogni tipo di abuso senza timidezze verso quei potenti che più di altri sono in grado di condizionare organismi internazionali in virtù del loro potere economico.

    ---

    Sabato la manifestazione contro la guerra in Italia e nella capitale britannica.

    «La maggiore protesta in Europa in decenni» promettono gli organizzatori Londra chiama Roma Ivan Bonfanti

    Per gli organizzatori sarà «la più grande manifestazione contro la guerra mai vista in Europa da decenni», per il premier Tony Blair un mal di pancia in più. Indipendentemente dai numeri della piazza l'anti-war rally atteso a Londra sabato prossimo è già diventato l'evento della settimana politica inglese, sette giorni all'insegna dell'intervento armato in Iraq e di profonde divisioni all'interno dello schieramento laburista, lacerazioni fotografate fedelmente proprio dall'appuntamento di piazza.

    Già, perché mentre il premier della cool Britain fa la sponda a George Bush e spedisce in Parlamento un curioso dossier dove si sostiene che Saddam Hussein è sul punto di costruire ordigni atomici, decine di deputati del suo stesso partito hanno aderito alla "Stop the war Coalition", e ieri presentando il corteo di sabato la parola d'ordine era: «dimostrare a Blair che l'opposizione alla guerra cresce». Persino il pulpito della cattedrale di Canterbury ha tuonato contro Blair, con l'arcivescovo uscente di Canterbury che definito «benzina per il terrorismo destinata a fallimento certo» un eventuale intervento militare di Usa e Gb contro l'Iraq senza l'egida dell'Onu. Tuttavia se le critiche della massima autorità religiosa per settanta milioni di fedeli pesano, ma in fondo erano ampiamente previste, le vere preoccupazioni di Downing street guardano alla marcia di sabato, cartina di tornasole di un'Inghilterra per nulla convinta dell'avventura bellica sponsorizzata dall'asse Washington-Londra.

    Ieri il cartello "Stop the war Coalition" e la "Muslim Association of Britain" hanno presentato in grande stile la giornata pacifista che sabato vedrà sfilate contro la guerra in tutta Europa. Oltre al corteo di Londra e alla manifestazione organizzata da Rifondazione a Roma, simili proteste avranno luogo infatti a Parigi, a Dublino, in Germania e nel nord Europa. Una concomitanza temporale non casuale e nemmeno limitata alla giornata per la pace, piuttosto il primo appuntamento di un lavoro politico che sta gettando le basi per il progetto di unità della sinistra alternativa europea, e già sabato una sorta di gemellaggio porterà esponenti della Socialist Alliance inglese a Roma, rappresentanti di Rifondazione a Londra, e via dicendo. Spiega Gennaro Migliore, responsabile esteri del Prc che sabato interverrà alla manifestazione della capitale inglese: «siamo impegnati da tempo nell'idea di costruire la sinistra alternativa europea, e questa non può definirsi finché non si moltiplicano i punti di convengenza comune. L'opposizione alla guerra e al liberismo è sicuramente una delle coordinate in cui si trovano quei soggetti politici che guardano all'alternativa europea, e se per adesso intendiamo ancora una latitudine generale è proprio su questi appuntamenti che si costruisce un percorso comune».

    E non saranno solo i 56 parlamentari laburisti "ribelli", che lunedì hanno votato una mozione tecnica contro il dossier Blair, a gridare slogan contro il progetto di azione armata nel Golfo. Certo, i vertici laburisti cercano di minimizzare e si preoccupano più per la vicinanza con l'apertura della conferenza annuale del Labour prevista a fine mese a Blackpool, ma è la natura composita dell'intero cartello pacifista che fa paura ad un governo che in piazza vedrà sfilare una bella fetta di elettorato. Sindacalisti, laburisti, militanti della Socialist Alliance, della sinistra alternativa e trotzkisti, quindi ambientalisti, giovani degli squat a braccetto con vescovi e esponenti delle diverse confessioni: sarà la cartina di tornasole della sinistra inglese che non si riconosce nel bellicismo del premier.

    «La nostra manifestazione sarà di massa e il messaggio che vogliamo mandare al mondo è che Tony Blair non parla a nome della gente di questo Paese» diceva ieri uno dei parlamentari ribelli, quel Jeremy Corbyn che aveva già definito «un misto tra immondizia riciclata e congetture di varia natura» il dossier presentato dal premier contro Baghdad. La marcia passerà accanto al Parlamento e attraverserà tutta la zona centrale, per finire nel concentramento ad Hyde Park dove, tra gli altri, parleranno il sindaco di Londra Ken Livingstone e gli ex ispettori dell'Onu sugli armamenti Scott Ritter e Peter Price. «Sarà la più grande manifestazione contro la guerra dopo decenni di silenzio» prediceva ieri uno degli organizzatori, Mike Maquesee, che ha ricordato come già contro il conflitto in Afghanistan a Londra erano scesi in piazza in 100mila.

    ---

    Crescono i dissensi verso il premier. Sono già 56 i deputati contro la guerra, ma il no cresce anche nei sondaggi. Sabato la grande manifestazione di "Stop the war" Blair non convince gli inglesi Guy Fawkes Londra - nostro servizio
    L'avvocato Tony Blair ha da poco finito la sua arringa ai Comuni contro l'imputato Saddam Hussein. Adesso la parola passa alla giuria. E' stato un discorso - quello pronunciato martedì in Parlamento - in classico stile blairiano: esperto equilibrista dell'arena politica, ha inviato messaggi diversi ad interlocutori diversi nel tentativo di accontentare tutti e posticipare la decisione cruciale all'ultimo momento.

    E' stato un messaggio diretto per lo più ai parlamentari laburisti - e ai delegati che voteranno al congresso del New Labour la prossima settimana - piuttosto che ai suoi amichetti di Washington. Blair ha parlato poco di "cambio di regime" in Iraq. L'obiettivo - ha detto il premier - resta disarmare Saddam sotto l'egida dell'Onu. Tuttavia, Blair ha lasciato molte domande senza risposte, tra cui quella del cosa accadrà se l'opzione Nazioni Uniti dovesse fallire. La sua visione di un Iraq post-Saddam è apparsa quanto meno offuscata.


    Lo scontro interno
    Può Blair convincere il suo partito e l'opinione pubblica britannica che un intervento militare in Iraq è necessario? Ieri - a sorpresa - 56 parlamentari laburisti si sono schierati contro il governo su una mozione "tecnica", 26 in più rispetto ai "soliti recidivi" che formano il cosiddetto gruppo "Labour Against the War". Tam Dalyell - lo speaker dei Comuni - ha impedito che i parlamentari votassero contro l'intervento militare in Iraq. Se così fosse stato non è da escludere che i ribelli sarebbero stati molti di più. Il punto chiave - come ammette in privato lo stesso Blair - sta nel "reclutare" le figure politiche "serie", ovvero gli alti ufficiali del partito laburista che si collocano in quella zona cruciale della battaglia politica che sta a metà tra i "soliti recidivi" e le "guardie di ferro" blairiane. Ieri, davanti alle telecamere di "Bbc Breakfast" (l'equivalente del nostro Uno Mattina, ndr) il Ministro degli Esteri, Jack Straw, ha detto che «Tony Blair ed i suoi ministri condividono le stesse preoccupazioni dei ribelli laburisti contrari ad un intervento armato in Iraq, ma - ha aggiunto Straw - minacciare l'uso della forza è la strada migliore per ottenere una risoluzione pacifica alla crisi irachena». E dopo le dichiarazioni di Blair ai Comuni tocca a Straw ripetere che «l'Inghilterra vuole disarmare l'Iraq e non estromettere Saddam», segnale - questo - che dalle parti di Washington non è passato certo inosservato.

    Il primo ministro inglese sta cercando dolorosamente di evidenziare le differenze tra la "dottrina Bush" e la "dottrina Blair". Mentre la dottrina Bush contempla l'unilateralismo americano, il diritto di attaccare preventivamente una nazione ostile, e l'impossibilità per chiunque di rivaleggiare con la potente America, quella di Blair - leader di una mini-potenza a cui manca la forza - prevede l'intervento delle nazioni "democratiche" per detroneggiare i tiranni e liberare vittime innocenti. Ma l'Iraq non è né il Kosovo né la Sierra Leone e né tanto meno l'Afghanistan. Se un eventuale intervento militare in Iraq si rivelasse un errore sarebbe la fine non solo della dottrina Blair ma soprattutto sarebbe la fine della sua carriera politica. Si prevedono momenti difficili per Blair anche al congresso del partito a Blackpool. Sono centinaia le mozioni contro la guerra in Iraq che verranno presentate dai delegati durante i lavori congressuali, tuttavia, il premier laburista ne dovrebbe uscire illeso. Le Trade Unions - almeno le maggiori - difficilmente appoggeranno mozioni contro la guerra giudicate troppo "estremiste", pertanto è probabile che si arriverà ad una soluzione di compromesso che prevederà l'avallo delle Nazioni Unite per qualsiasi iniziativa - compreso l'intervento armato - nei confronti di Saddam, lasciando così il prestigio di Blair sostanzialmente intatto.


    "Don't attack Iraq"
    Il governo starà molto attento ai risultati dei sondaggi d'opinione che sono stati commissionati per tastare il polso alla gente dopo la pubblicazione del dossier di 55 pagine che - secondo gli 007 di Sua Maestà - fornirebbe le "prove" certe della pericolosità del leader iracheno. La maggior parte dell'opinione pubblica britannica è ancora nettamente schierata contro la guerra in Iraq. Decisamente scettici sulla consistenza delle accuse contenute nel dossier anti-Saddam i visitatori del sito internet della Bbc dove - alle 5 del pomeriggio di ieri - il 63,83% (su 33.031 voti espressi) si diceva poco convinto della colpevolezza di Saddam.

    Tutti ancora molto scettici al di qua della Manica, compresi i Lords che - in contemporanea al dibattito ai Comuni - hanno esortato i ministri «a fare di più se vogliono convincere un'opinione pubblica poco convinta della necessità di un'azione militare contro Saddam». Alan Simpson - parlamentare laburista e tra i principali oppositori a Blair - ha accusato Bush in aula «di volere la guerra solo per il petrolio e non per disarmare Saddam», ed ha aggiunto che «il vero reato di Saddam è stata la sua minaccia di sottoscrivere accordi per l'estrazione del petrolio con la Russia e la Francia e non con l'America».

    Un altro segnale molto indicativo dell'opposizione ad un intervento militare in Iraq è dato dal costante aumento delle adesioni alla marcia contro la guerra che si terrà sabato 28 settembre a Londra e che vede tra gli oratori dal palco Gennaro Migliore, responsabile esteri di Rifondazione Comunista. I promotori fanno sapere che il numero dei partecipanti potrebbe essere il più alto dal dopoguerra ad oggi per manifestazioni di questo tipo.

    ---

  2. #2
    Hanno assassinato Calipari
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    volevo segnalare che si puo' sottoscrivere l'appello on line di emergency contro la guerra a www.emergency.it

  3. #3
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    viva il Presidente George W. Bush, viva la guerra contro Saddam Hussein, il maledetto terrorista musulmano

  4. #4
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    Per fortuna che l'Inghilterra era smaniosa di entrare in guerra!!
    Sono quasi più contrari di noi europei !

    Alla faccia delle bugie di Cicciopotamo-Coen...

  5. #5
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    Originally posted by marcellodeatti
    viva il Presidente George W. Bush, viva la guerra contro Saddam Hussein, il maledetto terrorista musulmano
    viva marcellodeatti

 

 

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