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    Predefinito Rif: L'Oracolo pontificio: il Magistero dei Papi

    Centro studi Giuseppe Federici - Per una nuova insorgenza

    Comunicato n. 69/10 del 3 settembre 2010, San Pio X



    San Pio X e i 100 anni del giuramento antimodernista



    Festeggiamo San Pio X, patrono dell’antimodernismo, ricordando i cent’anni del giuramento antimodernista promulgato dal santo pontefice e soppresso da Paolo VI.



    Dall’editoriale di Sodalitium - Il Buon Consiglio, n. 23 (calendario 2010)

    (…) Caratteristica e forza del pontificato di San Pio X fu di unire alla ortodossia dottrinale, una grande, salutare fermezza pratica, al fine di impedire agli erranti (e ai loro complici o simpatizzanti) di nuocere ancora alla Chiesa.

    Tra le misure pratiche che San Pio X mise in opera per “stanare” i modernisti, costringerli a smascherarsi o a spergiurare, tutti ricordano, a ragione, il giuramento antimodernista, che univa appunto purezza di dottrina e fermezza nella pratica. Esso doveva essere pronunciato a partire dal suddiaconato, e poi ogni qual volta che il chierico riceveva gli Ordini maggiori, l’autorizzazione a confessare o predicare, come pure nel diventare parroco, superiore religioso, insegnante ecc. Parliamo al passato, perché questa prescrizione di San Pio X (che era solo una delle norme antimoderniste imposte dal Motu Proprio Sarorum Antistitum del 1 settembre 1910) è osservata ancora – com’è doveroso – solo tra quei chierici che si oppongono alla riforma conciliare.

    Giuramento antimodernista e Sant’Uffizio erano le “bestie nere” che ogni modernista si proponeva di sopprimere nel suo programma riformista; giuramento antimodernista e Sant’Uffizio furono, in effetti, spazzati via dalle prime riforme operate da Paolo VI, “papa” materialiter, ma non formaliter. Il S.Uffizio fu soppresso con il M.P. Integrae servandae del 7 dicembre 1965; il giuramento antimodernista e la professione di fede tridentina furono cancellati da un atto della Congregazione per la dottrina della fede, pubblicato senza data e senza firma negli Acta Apostolicae Sedis 59 (1967)1058 (del 20 dicembre 1967), atto che prescriveva, senza dare alcuna spiegazione, una nuova professione di fede (sostanzialmente ridotta al “Credo” di Nicea) al posto delle due professioni di fede fino ad allora obbligatorie.

    Il Motu Proprio di San Pio X era rivolto ai Vescovi Cattolici. A loro San Pio X affidava l’attuazione delle sue prescrizioni come un grave dovere che pesava sulle loro coscienze; il loro dovere era “impegnarsi nella difesa della fede cattolica e vigilare con la massima diligenza perché l’integrità del deposito divino non subisca alcun danno”. Se tutti i prelati avessero compiuto il loro dovere! Se tutti avessero ascoltato le parole del Papa lottando non solo contro i modernisti ma anche là dove vi era anche solo “un sospetto di modernismo”! Che molti abbiano mancato al loro dovere, lo testimonia la situazione attuale della Chiesa… (…)



    Testo del Giuramento Antimodernsita (Motu proprio Sacrorum Antistitum di Papa Pio X, 1 settembre 1910)

    Io N. fermamente accetto e credo in tutte e in ciascuna delle verità definite, affermate e dichiarate dal magistero infallibile della Chiesa, soprattutto quei principi dottrinali che contraddicono direttamente gli errori del tempo presente.

    Primo: credo che Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza e può anche essere dimostrato con i lumi della ragione naturale nelle opere da lui compiute (cf Rm 1,20), cioè nelle creature visibili, come causa dai suoi effetti. Secondo: ammetto e riconosco le prove esteriori della rivelazione, cioè gli interventi divini, e soprattutto i miracoli e le profezie, come segni certissimi dell'origine soprannaturale della religione cristiana, e li ritengo perfettamente adatti a tutti gli uomini di tutti i tempi, compreso quello in cui viviamo.

    Terzo: con la stessa fede incrollabile credo che la Chiesa, custode e maestra del verbo rivelato, è stata istituita immediatamente e direttamente da Cristo stesso vero e storico mentre viveva fra noi, e che è stata edificata su Pietro, capo della gerarchia ecclesiastica, e sui suoi successori attraverso i secoli.

    Quarto: accolgo sinceramente la dottrina della fede trasmessa a noi dagli apostoli tramite i padri ortodossi, sempre con lo stesso senso e uguale contenuto, e respingo del tutto la fantasiosa eresia dell'evoluzione dei dogmi da un significato all'altro, diverso da quello che prima la Chiesa professava; condanno similmente ogni errore che pretende sostituire il deposito divino, affidato da Cristo alla Chiesa perché lo custodisse fedelmente, con una ipotesi filosofica o una creazione della coscienza che si è andata lentamente formando mediante sforzi umani e continua a perfezionarsi con un progresso indefinito.

    Quinto: sono assolutamente convinto e sinceramente dichiaro che la fede non è un cieco sentimento religioso che emerge dall'oscurità del subcosciente per impulso del cuore e inclinazione della volontà moralmente educata, ma un vero assenso dell'intelletto a una verità ricevuta dal di fuori con la predicazione, per il quale, fiduciosi nella sua autorità supremamente verace, noi crediamo tutto quello che il Dio personale, creatore e signore nostro, ha detto, attestato e rivelato.

    Mi sottometto anche con il dovuto rispetto e di tutto cuore aderisco a tutte le condanne, dichiarazioni e prescrizioni dell'enciclica Pascendi e del decreto Lamentabili, particolarmente circa la cosiddetta storia dei dogmi.

    Riprovo altresì l'errore di chi sostiene che la fede proposta dalla Chiesa può essere contraria alla storia, e che i dogmi cattolici, nel senso che oggi viene loro attribuito, sono inconciliabili con le reali origini della religione cristiana.

    Disapprovo pure e respingo l'opinione di chi pensa che l'uomo cristiano più istruito si riveste della doppia personalità del credente e dello storico, come se allo storico fosse lecito difendere tesi che contraddicono alla fede del credente o fissare delle premesse dalle quali si conclude che i dogmi sono falsi o dubbi, purché non siano positivamente negati.

    Condanno parimenti quel sistema di giudicare e di interpretare la sacra Scrittura che, disdegnando la tradizione della Chiesa, l'analogia della fede e le norme della Sede apostolica, ricorre al metodo dei razionalisti e con non minore disinvoltura che audacia applica la critica testuale come regola unica e suprema.

    Rifiuto inoltre la sentenza di chi ritiene che l'insegnamento di discipline storico-teologiche o chi ne tratta per iscritto deve inizialmente prescindere da ogni idea preconcetta sia sull'origine soprannaturale della tradizione cattolica sia dell'aiuto promesso da Dio per la perenne salvaguardia delle singole verità rivelate, e poi interpretare i testi patristici solo su basi scientifiche, estromettendo ogni autorità religiosa e con la stessa autonomia critica ammessa per l'esame di qualsiasi altro documento profano.

    Mi dichiaro infine del tutto estraneo ad ogni errore dei modernisti, secondo cui nella sacra tradizione non c'è niente di divino o peggio ancora lo ammettono ma in senso panteistico, riducendolo ad un evento puro e semplice analogo a quelli ricorrenti nella storia, per cui gli uomini con il proprio impegno, l'abilità e l'ingegno prolungano nelle età posteriori la scuola inaugurata da Cristo e dagli apostoli.

    Mantengo pertanto e fino all'ultimo respiro manterrò la fede dei padri nel carisma certo della verità, che è stato, è e sempre sarà nella successione dell'episcopato agli apostoli (1), non perché si assuma quel che sembra migliore e più consono alla cultura propria e particolare di ogni epoca, ma perché la verità assoluta e immutabile predicata in principio dagli apostoli non sia mai creduta in modo diverso né in altro modo intesa (2).

    Mi impegno ad osservare tutto questo fedelmente, integralmente e sinceramente e di custodirlo inviolabilmente senza mai discostarmene né nell'insegnamento né in nessun genere di discorsi o di scritti. Così prometto, così giuro, così mi aiutino Dio e questi santi Vangeli di Dio.



    Il materiale da noi pubblicato è liberamente diffondibile, è gradita la citazione della fonte: Centro Studi Giuseppe Federici



    Archivio dei comunicati: Centro Studi Giuseppe Federici

  2. #22
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    Predefinito Rif: L'Oracolo pontificio: il Magistero dei Papi

    La Civiltà Cattolica serie XVI, vol. VIII, fasc. 1113, 26 ottobre 1896.
    LA CONDANNA DELLE ORDINAZIONI ANGLICANE
    I.

    Nel nostro primo quaderno dello scorso mese d'ottobre pubblicammo il testo della Bolla pontificia in cui Sua Santità Leone XIII, dopo un lungo e maturo esame [1], confermando i decreti de' suoi Antecessori, riguardanti il medesimo soggetto, motu proprio, certa scientia, pronunziava e dichiarava che « le Ordinazioni fatte col rito anglicano sono state e sono del tutto invalide e assolutamente nulle »: Pronuntiamus et declaramus ordinationes rito anglicano actas, irritas prorsus frisse et esse, omninoque nullas.

    Questa solenne e definitiva sentenza, desiderata da molti e temuta da pochi, ha destato, com'era da aspettarsi, in Inghilterra svariati commenti. Da parte de' cattolici inglesi essa è stata accolta con unanime plauso e con sincera espressione di soddisfazione e di gratitudine. Grande è stata la consolazione provata da tutti, ma specialmente dagli anglicani convertiti; i quali, abbandonato l'errore, ritornarono, durante gli ultimi anni, all'obbedienza piena e perfetta del Romano Pontefice nell'unico e vero ovile di Cristo [2]. La condizione falsa e dolorosa loro creata dalle recenti polemiche è oramai terminata; la Bolla di Leone XIII, mentre giustifica pienamente la loro passata condotta, aggiunge loro nuova lena, e gli sprona ad altre e più nobili imprese in pro de' loro connazionali tuttora separati dal centro dell'unità cattolica. Il Tablet di Londra, autorevole interprete de' cattolici inglesi, così parla della Bolla pontificia: «Innanzi a questo documento della Santa Sede, il nostro primo dovere è di manifestare l'espressione della filiale nostra gratitudine al Vicario di Cristo per lo zelo paterno col quale si è degnato di porre termine alla grave e importante questione delle Ordinazioni anglicane; per l'ampia e scrupolosa cura che ha messo nell'esaminarla; per la carità ed equità che ha mantenuto nelle diverse fasi in cui essa si è svolta ; infine per la rettitudine veramente apostolica delle sue intenzioni e per la mirabile chiarezza, con la quale ha pronunziato su di essa il suo giudizio supremo e definitivo. Noi siamo certi che la gratitudine da noi espressa sarà partecipata, non pure da' cattolici d'Inghilterra e di tutti quelli di lingua inglese, ma eziandio, nella debita misura, da' cattolici dell'intero mondo [3]. » Al Tablet ha fatto eco il Congresso cattolico di Hanley, il quale nella sua prima tornata del 28 settembre, presieduta dall'Em.o Cardinale Vaughan, tra le acclamazioni di tutti i congressisti votò, per le medesime ragioni, una nobile azione di grazie al Santo Padre.

    Anche la stampa quotidiana del gran mondo inglese, quella che noi diremmo secolare, ha, in generale, fatto rispettosa e ottima accoglienza al documento papale, pubblicandolo per intero, commentandolo e anche schiettamente confessando che chi crede e accetta le dottrine cattoliche, non può non accettare la conclusione del Papa. Il Times poi, in modo particolare, ringrazia e loda il Santo Padre per la sua lealtà e moderazione, e per la chiarezza e precisione del linguaggio da lui adoperato. «Oramai, scriv'esso, apparisce evidente che chi vuol essere cattolico e avere i Sacramenti, come gl'intendono i cattolici con tutti i poteri soprannaturali del sacerdozio, deve unirsi e sottomettersi a Roma. La via media inventata da alcuni e l'unione sognata da altri, senza la sottomissione alla giurisdizione di Roma, sono cose sfatate. Meglio cosi! Noi inglesi non abbiamo mai preteso di avere ordini validi nel senso del Papa, cioè tali che conferiscano i poteri misteriosi del sacerdozio cattolico. Rimaniamo dunque ciò che eravamo.»
    II.

    Nel medesimo senso hanno parlato e scritto gl'Inglesi protestanti della scuola erastiana, i quali costituiscono purtroppo la maggioranza de' membri della Chiesa anglicana. Anzi costoro, pur ostentando una certa indifferenza pel nuovo documento papale, si dicono contenti della sua pubblicazione, e sì rallegrano di trovarsi d'accordo col Papa nel mantenere una verità indubitatamente attestata dalla storia, vale a dire, «essere stata sempre ferma ed esplicita l'intenzione de' Riformatori inglesi del secolo XVI, di escludere assolutamente e interamente dalle loro chiese il sacerdozio e il sacrificio cattolico. » Si ascolti, ad esempio,, quanto dice su questo soggetto il Rock [4], portavoce della loro scuola: « Il Papa ha parlato sulla questione delle Ordinazioni anglicane con una prontezza e determinazione che molti non aspettavano... Siamo pienamente d'accordo col Papa in questa materia e possiamo sottoscrivere a quasi tutti i suoi argomenti. È precisamente quel che noi abbiamo sempre sostenuto, cioè che con la Riforma i capi della Chiesa d'Inghilterra si separarono deliberatamente e effettivamente dalla Chiesa di Roma, ripudiarono il suo insegnamento sul Sacerdozio e sull'Episcopato, e perciò non ebbero mai nell'ordinare alcuna intenzione di conferire un Sacerdotium, considerando essi il Sacerdotalismo come un'ingiuria al Sacerdozio di Cristo, senza fondamento nella Scrittura e ripugnante a tutte le dottrine cardinali dell'Evangelo.» Il Western Times [5] della città di Exeter, dopo d'aver censurato acremente, in un notevole articolo, le innovazioni di certi Anglicani «i quali vogliono ad ogni costo scimmiottare la Chiesa di Roma», osserva che il Papa, nella sua Bolla, ha detto ciò che doveva dire, che mostra di conoscere benissimo l'indole della Riforma inglese, e come, in forza de' principii da lei professati, non esiste, nè può esistere nella Chiesa anglicana un sacerdozio sacrificante; conchiude infine con queste gravi parole: «Se una conseguenza disastrosa dovrà seguire la pubblicazione della Bolla pontificia, il disastro non sarà per la Chiesa Romana, ma piuttosto per quelli che si sono allontanati da' principii della Riforma.»

    Gli Anglicani che professano le dottrine di questa scuola sono per lo più gente onesta, benché piena di vecchi pregiudizii contro il Papa e la Chiesa di Roma. In loro lode può dirsi questo almeno che, nella esclusione del Sacerdozio e del Sacrificio, sono coerenti coi principii su' quali è fondata la loro Chiesa. Questa infatti, nell'articolo XXXI de' suoi Trentanove articoli di Religione, crede e insegna a' suoi membri di tenere fermamente che «Missarum Sacrificia, quibus vulgo dicebatur Sacerdotem offerre Christum in remissionem poenae aut culpae pro vivis et defunctis, blasphema figmenta sunt et perniciosae imposturae [6]. »
    III.

    Non sapremmo dire se per buona o mala ventura, non tutti gli Anglicani appartengono a questa scuola. Il fatto é che ve ne sono alcuni fra loro, i quali, senza essere protestanti come i loro confratelli, neppure sono cattolici come noi. Un Prelato inglese gli ha ben definiti, chiamandoli Protestanti camuffati da cattolici. Costoro, sorti in Inghilterra una sessantina di anni fa, dal così detto movimento di Oxford e de' Trattariani, sono oggi conosciuti sotto il nome di Ritualisti. Questi adunque pretendono di credere in qualche modo al Sacerdozio, al Sacrificio della Messa e alla presenza reale di Gesù Cristo nell'Eucaristia. Diciamo in qualche modo, poiché essi non intendono questi dommi nel senso in cui gli ha sempre intesi e intende la Chiesa Cattolica. Il Sacrificio della Messa è da loro riconosciuto soltanto nel senso di un sacrificio commemorativo; insegnano bensì la presenza di Cristo nell'Eucaristia, ma la spiegano nel senso luterano e di una presenza spirituale indefinibile; tutti poi rigettano le dottrine cattoliche della transustanziazione, della costituzione della Chiesa, del Primato di giurisdizione del Romano Pontefice ed altre molte. Professano nondimeno di credere che la vita soprannaturale dell'anima viene creata, nutrita e perfezionata da' Sacramenti, e che i sacerdoti che ne sono i ministri posseggono il potere di consecrare, di sacrificare e di rimettere i peccati. Un tal potere, dipendendo essenzialmente dalla valida successione nel Sacerdozio cattolico, s'intende perchè sia stato sempre tanto a cuore de' Ritualisti l'accertarsi della validità delle Ordinazioni da loro ricevute nella Chiesa anglicana [7]. A questo scopo essi sollecitarono più volte un riconoscimento qualsivoglia de' loro ordini da' Greci, da' Giansenisti d'Olanda e recentemente da' Vecchi-cattolici di Germania [8]; ma tutti i loro sforzi andarono sempre falliti. Si pensò pertanto di tentare la Santa Sede, col pretesto specioso (svolto con mirabile arte da Lord Halifax, capo di un minuscolo gruppo del già piccolo gruppo de' Ritualisti [9], che se il Romano Pontefice riconoscesse, fosse anche condizionatamente, la validità di quegli Ordini, si spianerebbe la via ad una possibile unione in massa della Chiesa Anglicana con la Chiesa Romana !
    IV.

    A costoro dunque la solenne e definitiva condanna pronunziata da Leone XIII, non poteva riuscire se non molto ingrata e di non piccolo aggravio. Con un sol colpo il Papa ha fatto svanire il loro sogno, che la «sezione romana» della Chiesa Cattolica riconoscesse i sacramenti della «sezione anglicana» come uguali in valore ed efficacia a' suoi. Con quel sogno essi hanno veduto svanire altresì la loro prediletta teorica (detta in inglese Branch theory) della Chiesa, la quale sarebbe una, non già per la sua unità di fede e di governo, come insegna Leone XIII nell'Enciclica Satis cognitum; ma soltanto per l'unità de' suoi sacramenti, comuni alle diverse e indipendenti «sezioni» o chiese nazionali, in cui ella si trova divisa. Il loro disinganno poi è stato tanto più doloroso, quanto più grandi erano le speranze di una soluzione diversa fatte loro concepire, durante gli ultimi due anni, non solo dall'opera de' caporioni della Church Union, ma altresì dallo zelo non sempre discreto di alcuni scrittori cattolici [10].

    Tutto ciò, se può spiegare il dispetto e l'irritazione, onde i loro giornali [11], dopo la pubblicazione della Bolla, hanno dato deplorevole prova, non potrà mai scusare e molto meno giustificare le offensive insinuazioni o le invereconde accuse, con le quali alcuni di loro, e nominatamente Lord Halifax, si sono affrettati a screditare il documento pontificio [12].

    A tutte queste insinuazioni ed accuse risponderemo come si conviene nel seguito di questo nostro studio; ci preme intanto di rassicurare i nostri fratelli dissidenti, come già fece l'Em.o Card. Vaughan nel suo discorso di Hanley, che nulla può avere indotto Leone XIII a pronunziare il suo definitivo giudizio sulla invalidità delle loro Ordinazioni, fuorchè l'incontrastabile evidenza, l'urgente carità e l'imperioso dovere. Egli, posto da Dio a governare la sua Chiesa in terra, è il supremo Capo della medesima, l'infallibile Maestro, il principale custode de' Sacramenti, la sola guida sicura pe' sentieri, sovente incerti, della verità e della giustizia. Debitore a Dio ed alle anime dell'adempimento di questo suo ufficio, egli non poteva lasciare in un errore pernicioso tanti suoi figli, i quali, sebbene sieno ora da lui separati, pure sinceramente cercano il Regno di Cristo nell'unità della fede. Egli in ogni caso, ma singolarmente in questo di che qui trattiamo, si è lasciato muovere soltanto da quella sollecitudine e carità apostolica, nella quale, come egli stesso dice nell'esordio della sua Bolla, Pastorem magnum ovium, Dominum nostrum Iesum Christum referre pro munere et imitari, aspirante eius gratia, studemus.
    V.

    A ben intendere tutto il valore e il significato delle Lettere apostoliche di Leone XIII sulle Ordinazioni anglicane, è necessario anzitutto ricordare brevemente a' nostri lettori italiani la storia dello scisma in cui esse ebbero la loro origine. Il re Enrico VIII fu il primo de' monarchi inglesi, il, quale costringesse il clero ed il popolo di una chiesa, fino allora giustamente altera del titolo di nobilissimum Sedis Apostolicae membrum [13], a separarsi dalla Cattedra di Pietro. Ribellatosi nel 1534 al Papa Clemente VII, perchè questi non aveva potuto permettergli il divorzio dalla sua legittima consorte, Enrico VIII si proclamò da sé Capo della Chiesa d'Inghilterra, obbligando i suoi sudditi a giurare sottomissione allo strano suo domma [14]. Così ebbe principio lo scisma anglicano, e l'anarchia religiosa in Inghilterra. A un semplice laico di nome Cromwell, quale Vicario generale della Corona per le cose spirituali, fu affidato il governo ecclesiastico; le principali sedì furono occupate da Vescovi notoriamente eretici e fautori accaniti del protestantesimo, mentre i predicatori della Riforma si lasciavano impunemente andare da per tutto propagando le loro eresie. Nel resto, sebbene sia incontrastabile, e lo hanno confessato di recente a Roma anche due Ministri anglicani [15], che sotto lo scismatico Enrico, morto i128 gennaio 1547, «quaedam (multa?) facinorosa, quaedam adhuc ploranda evenerunt [16]»: nondimeno è certo che, durante tutto questo primo periodo dello .scisma anglicano (1534-1547), fu mantenuta intatta la Liturgia cattolica, e osservata la forma Ecclesiae consueta nelle sacre Ordinazioni. Sulla validità dunque di queste Ordinazioni, non cade dubbio, nè ad esse si riferisce la recente Bolla di Leone XIII.
    VI.

    Se non che Tommaso Cranmer, l'indegno Arcivescovo di Canterbury, prescelto da Enrico a strumento nel consumare lo scisma, ardeva della brama di abolire in Inghilterra la Liturgia cattolica e di trasformare le formule e le pratiche religiose sulla foggia delle sètte protestanti di Germania, coi fondatori delle quali tenevasi in regolare e intima corrispondenza. Con la morte di Enrico, scoccò l'ora da lui tanto desiderata. Trovandosi per volontà del defunto Sovrano al secondo posto nel consiglio della Reggenza di Eduardo VI, succeduto al trono di suo padre nella tenera età di appena nove anni, Cranmer si affrettò a compiere i suoi malvagi disegni. Tra le novità di maggior peso che egli fece allora approvare dal Parlamento [17], gravissime furono quelle della soppressione del Messale, per dar luogo ad un ufficio di Comunione protestante, e della istituzione di un nuovo rito, detto Ordinale da seguirsi nelle sacre Ordinazioni invece dell'antico Pontificale cattolico per tanti secoli usato nella Chiesa d'Inghilterra.

    Abbiamo chiamato l'Ordinale un NUOVO rito (e così esso è chiamato altresì nella Bolla: novus plane ritus), poichè in realtà, abbandonando il rito del Pontificale romano, i compilatori dell'Ordinale non vollero, nè poterono accettare alcuno degli antichi riti riconosciuti validi dalla Chiesa Cattolica. La ragione poi di questo fatto appare evidente dallo scopo che si voleva conseguire, di escludere cioè dalla Liturgia anglicana ogni sacerdotalismo e qualsiasi traccia della dottrina cattolica sulla presenza reale e sul sacrificio eucaristico. Ora se si rigettava deliberatamente il rito prescritto nel Pontificale, appunto perchè era pieno zeppo di formule e di cerimonie, le quali asserivano, supponevano o significavano il sacerdozio, la presenza reale e il sacrificio, come mai si potevano accettare i riti, per esempio de' Greci, de' Maroniti, de' Nestoriani, dei Giacobiti d'Alessandria, degli Armeni o d'altri [18], i quali, non meno del rito romano antico e moderno, sono informati da' medesimi concetti?

    Ecco alcune delle note caratteristiche dell'Ordinale anglicano pel conferimento degli Ordini in esso riconosciuti del Diaconato, del Presbiterato e dell'Episcopato [19]. Nell'Ordinale, come già notammo, non v' é parola che accenni a' poteri sacerdotali di consecrare e offerire in sacrificio a Dio il corpo ed il sangue di Gesù Cristo realmente presente sotto le specie del pane e del vino; si tralascia ogni consecrazione del candidato coi sacri olii ; si omettono parimente, con le forme che l'accompagnano, tutte le cerimonie usate dalla Chiesa per significare quei poteri, come sarebbe la «consegna (traditio) degli istrumenti » e. g. del Calice e della Patena con l'Ostia nel Presbiterato. La stessa preghiera eucaristica detta consecratoria, antichissima e comune a tutti i riti, è nell'Ordinale, non solo mutilata e adulterata, ma altresì separata dalla imposizione delle mani, e si recita come una qualsiasi altra preghiera di preparazione. Nessuna poi delle nuove forme usate nell'Ordinale [20] esprime la potestà o l'ordine che si vuol conferire.

    Quanta parte di questo Ordinale, conosciuto sotto il nome di Ordinale di Eduardo VI, uscisse dalla penna stessa del Cranmer non puossi ben determinare ; ma è fuor di dubbio che egli ne ordinò la composizione, vi introdusse le nuove forme e volle, insieme a'suoi complici, che fosse sostituito al Pontificale con la esplicita, deliberata, eretica intenzione di escludere dalla Chiesa anglicana il sacerdozio e il sacrificio cattolico [21].

    Quando trattasi degli Ordini anglicani, trattasi sempre e solo di quegli Ordini, i quali furono e sono conferiti con siffatto Ordinale. Parimente di questi Ordini soltanto sì parla nella Bolla, dove di essi è detto: «Ordinationes ritu anglicano actas irritas prorsus fuisse et esse, omninoque nullas.»

    Un altro fatto che giova qui ricordare, e su cui dovremo ritornare più volte ne' seguenti paragrafi, si è che durante il breve regno di Eduardo VI (1547-1553) si compierono in Inghilterra col nuovo suo Ordinale le consecrazioni episcopali di Poynet, di Hooper, di Coverdale, di Scory, di Taylor e di Harley. Questo fatto, che da qualcuno si é voluto negare, è pienamente accertato dalla storia. I documenti e i manoscritti autentici che ne dimostrano la verità sono riferiti dal Burnet, dal Fox, dall' Estcourt e da altri scrittori inglesi non meno autorevoli.
    VII.

    Alla morte di Eduardo, il 6 luglio 1553, fu proclamata Regina d'Inghilterra la sua legittima sorella Maria. Questa era rimasta sempre cattolica e fedele alla Sede apostolica dì Roma. Ascendendo dunque il trono, e finchè visse, ella si adoperò con ogni fervore a riparare le ruine religiose accumulate da suo padre e da suo fratello, e a ricondurre l'Inghilterra all'avita comunione con la Chiesa Romana. In questa opera Maria ebbe l'efficace e illuminata cooperazione del Cardinale Polo, inviatole espressamente dal Pontefice Giulio III in qualità di Legato pontificio con le più ampie e opportune facoltà. Uno de' primi atti del regno di Maria fu di rimuovere, per l'autorità del Legato, i sei summentovati «vescovi» dalle sedi da loro occupate, di abrogare la nuova Liturgia e con essa l'Ordinale eduardino, rimettendo in pieno vigore per tutte le sacre Ordinazioni l'antico Pontificale cattolico.

    A' primi tre anni del Regno di Maria appartengono i quattro importantissimi documenti pontificii citati da S. S. Leone XIII nella sua Bolla. Di questi, due sono di Giulio III e due di Paolo IV, e portano rispettivamente la data del 5 agosto 1553, dell' 8. marzo 1554, del 20 giugno e del 30 ottobre 1555. Da tutti e quattro poi, come dimostreremo in appresso, appare evidente che la questione della validità delle Ordinazioni anglicane fu fin d'allora seriamente studiata e risoluta dalla Santa Sede. sotto il rispetto non solo pratico, ma altresì dottrinale.

    Se non che, per mala sorte, il regno di Maria fu ancor più breve di quello del suo fratello Eduardo; ella morì nel novembre dell'anno 1558, avendo regnato cinque anni e quattro mesi.

    A Maria succedette Elisabetta, figlia illegittima di Enrico VIII e della famigerata Anna Bolena. A lei si deve il ritorno de' sinistri giorni dello scisma e dell'eresia in Inghilterra che da indi innanzi non se ne sono più dipartiti! Tre mesi erano appena decorsi dal giorno della morte di sua sorella quando, nel febbraio del 1559, con un atto del Parlamento da lei appositamente convocato, fu soppresso di nuovo il Pontificale romano e ripristinato l'uso della Liturgia e dell'Ordinale di Eduardo VI.

    I Vescovi cattolici legittimamente nominati e consecrati sotto il regno di Maria, furono allora richiesti di apostatare, prestando quel medesimo perverso giuramento che era stato ingiunto da Enrico e da Eduardo; essi dovevano separarsi dal centro dell'Unità cattolica, stabilito da Cristo nella Chiesa di Roma, rinnegare perciò la giurisdizione della Santa Sede e riconoscere Elisabetta quale suprema reggitrice della Chiesa d'Inghilterra! Però, se con dolore si riflette alla codardia di tanti Vescovi che si piegarono alla tirannide di Enrico, consola il sapere che tra tutti i Vescovi cattolici superstiti all'assidersi di Elisabetta sul trono, non fuvvi che un solo Giuda; mentre gli altri incontrarono piuttosto con fermezza la perdita delle sedi, la prigionia ed infinite altre vessazioni [22].
    VIII.

    Per Elisabetta cominciavano allora le difficoltà. Per la vaghezza di veder fondata la sua Chiesa scismatica su principii aristocratici, si ritenne dal manomettere i gerarchici ordinamenti, quantunque non curasse gran fatto se i suoi ministri fossero o no insigniti del carattere sacramentale. Or con siffatti criterii ella nominò i candidati che desiderava intrudere nelle sedi spogliate de' legittimi loro Pastori. Fra questi candidati era Matteo Parker, già cappellano di Anna Bolena, destinato alla sede primaziale di Canterbury. Ma come farlo consecrare? Tutti i Vescovi cattolici ricusavano di prestare la loro opera, non escluso il Vescovo Kitchen, quel solo, cioè, che si era sacrilegamente sottomesso al giuramento. In tale perplessità, dopo avere aspettato qualche tempo, Elisabetta mise fuori il suo mandato di consecrazione, che fu accettato da Coverdale e da tre frati apostati, Barlow, Scory e Hodgkins. Barlow era stato nominato da Enrico VIII al Vescovado di St. David nel 1536, vale a dire ne' primordii dello scisma. È incerto però se egli ricevesse mai la consecrazione episcopale, non trovandosi alcuna prova positiva di un tal fatto [23]: Scory e Coverdale, erano stati consecrati, come vedemmo nel paragrafo VI, col nuovo Ordinale di Eduardo VI. Quanto a Hodgkins é fuor di dubbio che egli fosse consecrato Vescovo col Pontificale cattolico sotto il regno di Enrico VIII.

    Questi dunque furono i consecratori di Parker e, se dobbiamo prestar fede all'Atto che si conserva nel Registro arcivescovile di Parker al «Lambeth Palace», dobbiamo ritenere storicamente certo, che il 17 decembre 1559, Parker fu consecrato coll'Ordinale di Eduardo VI da Barlow, assistito dagli altri tre mentovati «Prelati», i quali a lui si associarono, non soltanto nell'imporre le mani sul consecrando, ma altresì nel proferire le parole della forma anglicana: Accipe Spiritum Sanctum ac memento ut exsuscites gratiam Dei quae in te est per manuum impositionem. Non enim dedit nobis Deus spiritum timoris, sed virtutis et caritatis et sobrietatis.

    Essendo così consecrato, l'«Arcivescovo» Parker a sua volta consecrò gli altri candidati nominati da Elisabetta, e questi i loro successori e così di seguito, conformandosi tutti al nuovo Ordinale, il quale, da quel tempo sino a' giorni nostri, è stato, con una sola modificazione, costantemente e fedelmente seguito in tutte le Ordinazioni compiutesi nella Chiesa anglicana.

    La modificazione, pur ora accennata, consiste nell'avere aggiunte alla forma di Eduardo VI alcune parole, le quali esprimono la potestà che s'intende conferire. Così, in quella usata nella consecrazione episcopale, alle parole Accipe Spiritum Sanctum, si è aggiunto in officium et opus episcopi in Ecclesia Dei. Se non che tale cambiamento, essendosi introdotto centotrè anni dopo la consecrazione di Parker, quando, cioè, posta la invalidità della forma originale di Eduardo, non v'era alcun Vescovo validamente ordinato, non poteva allora, nè può adesso avere alcun peso nella trattazione di questo soggetto, se non forse quale indizio che gli stessi Anglicani si erano a quel tempo convinti del difetto della forma da loro usata per più di un secolo. In altri termini, come sapientemente osserva il Santo Padre nella sua Bolla, «eadem adiectio, si forte quidem legitimam significationem apponere formae posset, serius est inducta, elapso iam saeculo post receptum Ordinale eduardianum; quum propterea, Hìerarchia extincta, potestas ordinandi iam nulla esset.»
    IX.

    Prima di porre fine a questi brevi cenni storici, utili certo, se non necessarii, alla piena intelligenza e difesa del documento pontificio, non sarà fuori di proposito toccare un altro punto, al quale pure ivi si allude, e che riguarda la già accennata consecrazione di Parker.

    Secondo un'antica tradizione, al principio del Regno di Elisabetta i suoi candidati all'Episcopato si sarebbero riuniti in una locanda di Londra, che aveva per insegna una testa di cavallo (in inglese Nag's head tavern); ivi si sarebbe compiuta la loro ordinazione in questo modo. Stando in ginocchio il Parker con gli altri candidati, il vescovo Scory, nel mettere la Bibbia aperta sulla testa di ciascuno, avrebbe pronunziata la forma seguente: Ricevi l'autorità di predicare sinceramente la parola di Dio. Poscia, prendendo la mano a Parker, gli avrebbe detto: Alzati Vescovo di Canterbury! Che siffatto racconto venisse da' cattolici inglesi creduto in buona fede, è cosa indubitabile; ed il mistero, onde gli Anglicani di quei giorni circondarono la storia della consecrazione de' primi loro «Prelati», spiega abbastanza l'origine di tale leggenda e il credito che essa acquistò. Si aggiunga che il Registro della consecrazione di Parker, da noi mentovato alla pagina 270, e giudicato apocrifo dal Cardinale Pitra [24], sembra essere stato ignorato dagli stessi Anglicani, i quali non lo trovarono, nè lo pubblicarono se non cinquant'anni dopo il fatto di cui si dubitava.

    Ma checché sia di ciò, ammettiamo la falsità della detta leggenda, e deploriamo che qualche scrittore cattolico moderno, estraneo all'Inghilterra e poco perito delle cose inglesi, l'abbia citata ne' suoi scritti [25] come un'argomento per rivocare in dubbio le Ordinazioni anglicane. Andrebbe però gravemente ingannato chi dall'opinione di uno o due scrittori volesse trarre argomento per discreditare tutto «l'insegnamento romano» opposto per altre ragioni alla validità di quelle Ordinazioni.

    Quale sia stato fin dal primo nascere di questa controversia il genuino «insegnamento romano» avremo occasione di spiegarlo nel progresso del presente lavoro. Ci basti per ora accennare, sulla fede di documenti preziosi, che abbiamo la fortuna di avere sott'occhio, che la così detta favola tavernaria era conosciuta e screditata a Roma fin dall'anno 1684-1685, quando per la prima volta la questione degli Ordini anglicani fu sottoposta all'autorevole giudizio della Suprema sacra Congregazione romana del Sant' Ufficio [26].

    Vedremo parimente come l'apodittica ragione del defectus formae et intentionis, su cui S. S. Leone XIII, dopo un nuovo e profondo esame di tutta la questione, fonda il suo definitivo giudizio contro la validità di quelle Ordinazioni, sia stata altresì la sola ragione, la quale determinò sempre le decisioni in tale materia de' Romani Pontefici suoi antecessori e della predetta Sacra Congregazione. Dal che apparirà manifesto con quanta verità gli Eminentissimi Porporati, giudici nella «Suprema», in una loro speciale Adunanza, tenuta coram Sanctissimo il giovedì 16 dello scorso mese di luglio, poterono asserire, come riferisce lo stesso Santo Padre nella sua Bolla: «Propositam causam iampridem ab Apostolica Sede plene fuisse et cognitam et iudicatam; eius denuo instituta actaque quaestione, emersisse illustrius, quanto illa iustitiae sapientiaeque pondere totam rem absolvisset.»

    Parte seconda

    NOTE:

    [1] I principali particolari di questo esame, descritti dal Santo Padre nell'esordio della sua Bolla, furono da noi riferiti nelle « Cose Romane » del precedente quaderno, pag. 227.

    [2] Dal tempo della conversione del Dr. Newmann (1845), poi Cardinale di S. R. Chiesa, sino ai giorni nostri, si contano tra i soli ministri anglicani più di 500 convertiti alla Chiesa cattolica.

    [3] Num. del 26 settembre, pag. 484. Vedi anche il Month nel quaderno d'ottobre, pag. 153.

    [4] Num. del 25 settembre, nell'articolo Poor Lord Halifax!

    [5] Num. del 26 settembre.

    [6] Vedi The Book of Common Prayer etc. Ed. di Oxford 1880, pag. 533. La traduzione latina del testo inglese di questo libro fu fatta da Wm. Bright e P. Goldsmith Meed. Una sua recente edizione, pubblicata a Londra, porta la data del 1890. Il Cardwell (Annals, 1, 241) attesta che, fin dal nascere della Chiesa anglicana, i suoi Vescovi obbligarono il clero ad insegnare al popolo che «la Messa non è un sacrificio propiziatorio peri vivi e pe' defunti.»

    [7] Il Benedettino D. Bède Camm, già Ministro anglicano convertito alla Chiesa Cattolica, in un suo articolo (Vedi Revue Bénédictine, Num. 12, Decembre 1894, pag. 536) asserisce del Dr. Lee, scrittore anglicano moderno, che «cet auteur après avoir écrit un livre fort savant en faveur de ces ordres, en conçut un tel doute qu'il se fit donner en secret les ordres valides par un prélat janséniste, et fonda au sein de l'Église Anglicane une société secrète qui administre à ses membres sous condition le baptême, la confirmation et l'ordre.»

    [8] La risposta negativa data agli Anglicani dal Congresso de' Vecchi Cattolici, tenuto a Rotterdam nel settembre 1894, è riferita dal medesimo Camm (l. c. pag. 539).

    [9] L'arcidiacono di Londra, W. Sinclair attesta che il numero de' Ritualisti in Inghilterra non supera i 35 mila. Il che, se esatto, sarebbe ben poca cosa quando si consideri che vi sono in Inghilterra 16 milioni di Anglicani.

    [10] Di questi scrittori è detto nella Bolla che sono praesertim non angli, e che, documentis Apostolicae Sedis haud satis quam oportuerat cognitis, disputationem de ea (della validità delle Ordinazioni anglicane) libere habere non dubitarint.

    [11] Si vegga, per esempio, The Guardian ne' numeri del 23 e del 30 dello scorso mese di settembre. Questo giornale è tra quelli che ne' primi mesi del corrente anno, facendo eco al Dr. Lacey, al «Padre» Puller e ad altri Ritualisti o fautori di Ritualisti ben conosciuti a Roma, lodavano tanto il Santo Padre per la sua sapienza, imparzialità, larghezza di vedute ecc.!

    [12] Abbiamo sott'occhio il testo della sua Lettera del 28 settembre diretta al Guardian (num. del 30 sett.) e del suo Discorso di Shrewsbury pubblicato dal Tablet (num. del 10 ottobre, pp. 574-575.

    [13] Epist Gregorii IX ad Episcopos sufraganeos Eccles. Cantuar. Cf. Matthew Paris, Historia Major, 1246, Ed. Parigi 1694, pag. 245.

    [14] Cf. Act of Supremacy 26 Henry VIII, cc. 1, 2, 3.

    [15] Alludiamo al D.r Lacey e al « Padre » Puller. Questi, dopo d'essersi tanto affaticati nell'illuminare «la Curia» sulla questione delle Ordinazioni anglicane, pubblicarono secretamente a Roma nello scorso mese di maggio e distribuirono largamente fra i Cardinali e Prelati romani un loro Opuscolo intitolato De Re Anglicana. Trovandosi in esso numerosi errori che potevano facilmente ingannare chi non era perito delle cose inglesi, fu creduto necessario, per la sola difesa della verità, smascherarli. Ciò fu fatto magistralmente dal R.mo Can. J. Moyes e da Dom. F. A. Gasquet O. S. B. in una loro Risposta data alla luce con la data di «Roma, Festa di S. Guglielmo Arciv. di York, 8 giugno 1896». Di questa Risposta scritta in italiano è stata pubblicata in Inghilterra dal Church Times e dal Guardian una traduzione inglese disonestamente manipolata. In essa si omette il titolo di Risposta che spiega l'occasione e la sola ragione per cui fu scritta, si omettono parimente nel testo tutte le numerose citazioni dell'Opuscolo De re anglicana, dando ad intendere a' lettori inglesi che essa sia un Pro-memoria scritto da' nemici dell'Unione per ingannare il Papa e strappargli la condanna degli Ordini anglicani! E dire che Lord Halifax e l'«Arcivescovo» di York, i quali hanno certamente avuti sott'occhio i due documenti, non hanno esitato di corroborare con la loro autorità l'inganno, ripetendo l'assurda frottola!

    [16] Nell'Opuscolo citato pag. I.

    [17] Il Messale fu soppresso con un Atto del Parlamento del 15 gennaio 1549. L'Ordinale che doveva sostituirsi al Pontificale fu approvato un anno dopo nel 1550. La revisione infine della nuova Liturgia fu eseguita nel 1552. Vedasi Dom Gasquet, Edward VI. and the Book of Common Prayer, pagina 261 e seg.

    [18] Per i Riti citati nel testo si consulti l'Assemani, Codex Liturgicus Eccles. Universae, Tomi VIII, IX, XI; Bibliotheca Orientalis, Tom. III; Morinus, De Sacris Ecclesiae Ordinationibus; Denzinger, Ritus Orientalium; Duchesne, Origines du Culte Chrétien; Maskell, Monumenta Ritualia ecc. ecc.

    [19] Gli Anglicani rigettano il Suddiaconato e i quattro Ordini minori.

    [20] Parliamo dell'ordinale quale usci dalle mani de' suoi primi compilatori. Della modificazione introdottavi nel 1662 discorreremo più tardi.

    [21] Che Cranmer, non meno degli altri compilatori dell'Ordinale, rigettasse formalmente questa credenza cattolica, è cosa indisputabile. Ecco, ad esempio, quanto egli scrive nella sua opera De Oblatione (lib. V, cap. I): «Gravissima contumelia et iniuria quae inferri Christo potest, et per omne regnum Papisticum latissime patet, ea est quod Sacerdotes Missam hostiam propitiantem esse asseverant, ad remittenda non modo peccata sua, verum etiam aliorum tum viventium tum mortuorum, quibus illam voluerint applicare. Ita, simulatione pietatis, papistici sacerdotes hoc sibi sumpserant, ut Christi successores essent, ut huiusmodi sacrificium facerent, quale nullum umquam a quoquam, praeterquam a Christo ipso, factum est, idque eo solum tempore, cum morte sua poenas peccatorum nostrorum in cruce lueret.»

    [22] Nel Registrum diversarum scripturarum Angliae, Scotiae, Hiberniae etc., conservato negli Archivii secreti del Vaticano, si trova una lettera scritta al Cardinale Morone che si riferisce a questi tempi. In essa si legge: «Nel regno d'Inghilterra al presente sono venti sette Chiese cattedrali, delle quali quindici sono vacanti per morte delli vescovi Cattolici, li quali erano stati posseduti legitimamente dalla Sede Apostolica. Altri dodici hanno li vescovi vivi, delli quali dieci ne sono prigioni nella Torre di Londra meramente per la fede Cattolica, e per l'autorità della Sede Apostolica, alla quale sono risoluti di voler obedire e più tosto patire ogni martirio che riconoscere altro capo nella Chiesa di Dio che il Papa. Dui altri vescovi sono pure vivi, cio il Assafense, il quale si trova al Concilio de Trento per ordine di N. S. e l'altro è Ladavense, il quale si lascio sedurre dalla Regina d'Inghilterra et obedisce a Lei.» Cf. W. Maziere Brady, Annals of the Catholic Hierarchy etc. Rome 1877, pag. 4.

    [23] L'Ill.mo Mgr Gasparri, nel suo opuscolo De la valeur des Ordinations anglicanes (Paris 1895, pag. 22), tiene come storicamente certa la consecrazione di Barlow, e ci assicura che, avendo letta la Dissertazione Apologetica de Hierarchia anglicana pubblicata da' Ritualisti E. Denny e T. A. Lacey, aucun doute n'est resté dans mon ésprit. Anche noi abbiamo letta questa dissertazione, ma confessiamo che, avendo letto altresi quanto è stato scritto su questo soggetto dall'Estcourt, (The question of Anglican orders discussed, London 1873) e dal P. Sydney Smith (Reasons for rejecting Anglican orders, London 1895) e recentemente, in risposta all'anzidetta «Dissertazione», dal Month e dal Tablet di Londra, ci siamo fortemente confermati nei nostro dubbio. Nel resto importa poco o niente al nostro presente proposito se si tenga l'una o l'altra opinione. La condanna finale degli Ordini anglicani in nessun modo poggia su tale controversia.

    [24] Nella Vita del Cardinale Pitra, scritta in francese dal R. P. Dom Fernand Gabrol (Parigi 1893, pag. 155), trattandosi delle ricerche fatte dall'eruditissimo Benedettino negli Archivii dell'Inghilterra e nominatamente in quello di «Lambeth Palace», si asserisce che « Dom Pitra put mettre la main sur l'acte de consécration de Mathieu Parker et avoir le dernier mot de cette controverse... Cet argument qui tranchait, à son avis, définitivement la question, il se crut obligé par la discrétion de le réserver; il en confia dans une note manuscrite le secret aux Archives de l'abbaye de Solesmes.» La nota manoscrittaCet acte porte toutes les traces d'un document apocryphe (Archives des missions scientifiques, t. IV, p. 159).
    è del tenore seguente:

    [25] Vedi Perrone, De Ordine, n. 137, not. 4; Gasparri, De sacra ordinatione, num. IIII. Questi, nel suo opuscolo francese già citato, ritratta il suo precedente insegnamento, dichiarando che «cette légende, dépourvue de toute probabilité, est et doit être absolument abandonnée». In quanto al P. Perrone, la giustizia richinde che si osservi, che, sebbene egli in una nota storica citi ad eruditionem la leggenda, aggiunge nondimeno essere essa rigettata dallo storico cattolico Dr. Lingard. Nel testo poi dottrinale così scrive : «Quod si invalidae censentur Ordinationes anglicanae, non ideo est, quia ab Episcopis haereticis et schismaticis conferuntur; sed tum ob defectum successionis episcoporum, tum ob vitiatam essentialiter formam.»

    [26] Negli Atti autentici di quel tempo è detto espressamente che la sentenza concorde de' teologi consultori contro la validità di quegli Ordini fu pronunziata, senza tener alcun conto del dubbio riguardante il fatto dell'Ordinazione di Parker, fondato su testimonianze storiche sat confusa et implexa. Lo stesso appare ancor più evidente dagli Atti del 1704, riguardanti il caso di Giovanni C. Gordon, di cui discorreremo in un altro articolo.

    Fonte: LA CONDANNA DELLE ORDINAZIONI ANGLICANE (I)

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    Predefinito Rif: L'Oracolo pontificio: il Magistero dei Papi



    Clemente V
    Vox in excelso
    Sulla soppressione dell’Ordine del Tempio

    Clemente vescovo, servo dei servi di Dio, a perpetuo ricordo dell'avvenimento. Si è udita, nell'alto, una voce di' lamento, di pianto e di lutto. Poiché è venuto il tempo nel quale il Signore si lamenta per bocca del profeta: Questa casa si è trasformata per me in causa di furore e di indignazione, e sarà tolta via dal mio cospetto per la malvagità dei suoi figli, perché essi mi provocarono all'ira, rivolgendomi le spalle, non la faccia, e collocando i loro idoli nella (mia) casa, nella quale è stato invocato il mio nome, per contaminarla. Costruirono alture in nome di Baal, per iniziare e consacrare i loro figli agli idoli e ai demoni. Hanno Peccato gravemente come nei giorni di Gabaa.

    All'udire questa voce orrenda, e per l'orrore di tanta ignominia, - chi intese mai, infatti, una tale cosa? chi vide mai una cosa simile? - Caddi nell'udirla, mi rattristai nel vederla, il mio cuore si amareggiò, e le tenebre uni fecero rimanere stupefatto. Infatti la voce del popolo (sale) dalla città, la voce (esce) dal tempio, (è) la voce del Signore che rende la mercede ai suoi nemici. E il profeta è costretto ad esclamare: Da ad essi, Signore, un seno senza figli, e mammelle senza latte. La loro malizia si è resa manifesta per la loro perdizione. Scacciali dalla tua casa, e si secchi la loro radice; non portino frutto; non sia più, questa casa, causa di amarezza, e spina di dolore. Non è poca, infatti, la sua infedeltà: essa che immola i suoi figli e li dà e li consacra ai demoni e non a Dio, a dèi che essi ignoravano. Quindi questa casa sarà abbandonata e oggetto di vergogna, maledetta e deserta, sconvolta, ridotta in polvere, ultimo deserto, senza vie, arido per l'ira di Dio, che ha disprezzato. Non sia abitata, ma venga ridotta in solitudine; tutti si meraviglino di essa e fischino con disprezzo sulle sue piaghe. Dio, infatti non ha scelto la gente per il luogo, ma il luogo per la gente. Quindi il luogo stesso del tempio partecipa dei mali del popolo: cosa che il Signore disse chiaramente a Salomone, quando questi gli edificò il tempio, e fu riempito dalla sapienza come da un fiume: Se i vostri figli si allontaneranno da me, non seguendomi e non onorandomi, ma andando dietro e onorando gli dèi degli altri, e adorandoli, li scaccerò dalla mia faccia, e li allontanerò dalla terra che diedi loro, rigetterò dal mio cospetto il tempio che resi santo col mio nome, e sarà portato di bocca in bocca, e diventerà l'esempio e la favola dei popoli. Tutti i passanti, vedendolo, si meraviglieranno, e fischieranno, e diranno: "Perché il Signore ha trattato cosi questo tempio e questa casa?" E risponderanno: "Perché si sono allontanati dal Signore, loro Dio, che li ha comprati e riscattati, ed hanno seguito Baal ed altri dèi e li hanno onorati e adorati. Per questo il Signore ha fatto si che accadesse loro questa grande disgrazia".

    Già dalla nostra elevazione al sommo pontificato, anche prima che ci recassimo a Lione dove abbiamo ricevuto la nostra incoronazione; e poi dopo, sia lì che altrove, qualche relazione fattaci in segreto ci informava che il maestro, i priori, ed altri frati dell'ordine della milizia del Tempio di Gerusalemme, ed anche l'ordine stesso - essi che erano stati posti nelle terre d'oltremare proprio a difesa del patrimonio di Nostro Signore Gesù Cristo, e come speciali e principali difensori della fede cattolica e della Terra Santa, sembravano curare più d'ogni altro tutto ciò che riguarda la stessa Terra Santa, per cui la sacrosanta chiesa Romana, trattando gli stessi frati e l'ordine con una particolare benevolenza, li ha armati col segno della croce contro i nemici di Cristo, li ha esaltati con molti onori e li ha muniti di diverse esenzioni e privilegi; e che in molti modi erano, proprio per questo, aiutati da essa e da tutti i buoni fedeli di Cristo con moltiplicate elargizioni di beni - essi dunque contro lo stesso Signore Gesù Cristo erano caduti in una innominabile apostasia, nella scelleratezza di una vergognosa idolatria, nel peccato esecrabile dei Sodomiti e in varie altre eresie.

    E poiché non era verosimile e sembrava incredibile che uomini tanto religiosi, i quali avevano sparso spesso il loro sangue per il nome di Cristo, e che esponevano frequentemente le loro persone ai pericoli mortali e che mostravano grandi segni di devozione sia nei divini uffici, quanto nei digiuni e in altre pratiche di devozione, fossero poi cosi incuranti della propria salvezza, da perpetrare tali enormità specie se si considera che quest'ordine ha avuto un inizio buono e santo e il favore dell'approvazione dalla sede apostolica, e che la sua regola, perché santa, degna e giusta, ha meritato di essere approvata dalla stessa sede - non volevamo prestare orecchio a queste insinuazioni e delazioni, ammaestrati dagli esempi del Signore stesso e dalle dottrine della sacra scrittura.

    Ma poi il nostro carissimo figlio in Cristo Filippo, illustre re dei Francesi, cui erano stati rivelati gli stessi delitti, non per febbre di avarizia - non aveva, infatti, alcuna intenzione di rivendicare o di appropriarsi dei beni dei Templari; nel suo regno, anzi, li trascurò tenendosi del tutto lontano da questo affare - ma acceso dallo zelo della vera fede, seguendo le orme illustri dei suoi progenitori, volendo istruirci ed informarci a questo riguardo, ci ha fatto pervenire per mezzo di ambasciatori o di lettere, molte e gravi informazioni.

    Le voci infamanti contro i Templari ed il loro ordine si facevano sempre più consistenti e persino un soldato dello stesso ordine, appartenente all'alta nobiltà, che godeva nell'ordine di non poca stima, depose dinanzi a noi, segretamente e sotto giuramento, che egli, quando fu ammesso nell'ordine, per suggerimento di chi lo ammetteva, e alla presenza di alcuni altri Templari, aveva negato Cristo ed aveva sputato sulla Croce che gli veniva mostrata da colui che lo riceveva nell'ordine. Egli disse anche di aver visto il maestro dei Templari (che ancora vive) ricevere nello stesso ordine d'oltremare un soldato allo stesso modo, cioè col rinnegamento di Cristo e con lo sputare sulla Croce, alla presenza di ben duecento frati dello stesso ordine, e di aver sentito che si diceva esser quello il modo normale osservato nell'ammettere i frati dello stesso ordine: cioè che, dietro suggerimento di chi riceveva o di un suo delegato a questa cerimonia, colui che veniva ammesso doveva negare Gesù Cristo, e sputare sulla Croce che gli veniva mostrata, come segno di disprezzo a Cristo crocifisso, e che sia chi ammetteva, sia chi veniva ammesso compiva altre azioni illecite e sconvenienti all'onestà cristiana, come egli stesso allora confessò dinanzi a noi.

    Poiché, dunque, il dovere ci spingeva a questo nostro ufficio, non abbiamo potuto fare a meno di porgere ascolto a tanti e cosi grandi clamori.

    Finalmente, la voce pubblica e la clamorosa denunzia del suddetto re, di duchi, conti, baroni ed altri nobili, del clero e del popolo del regno francese, che vengono alla nostra presenza proprio a questo scopo, sia personalmente che per mezzo di procuratori o di rappresentanti, ha fatto giungere alle nostre orecchie - lo diciamo con dolore - che il maestro, i priori ed altri frati di quest'ordine, e l'ordine stesso, in sé, erano coinvolti in questi ed in altri crimini, e che ciò è provato da molte confessioni, attestazioni e deposizioni dello stesso maestro, del visitatore di Francia e di molti priori e frati dell'ordine davanti a molti prelati e all'inquisitore per l'eresia - deposizioni fatte e ricevute nel regno di Francia previo interessamento dell'autorità apostolica, redatte in pubblici documenti, e mostrate a noi e ai nostri fratelli. Inoltre, questa fama e queste voci clamorose erano divenute cosi insistenti, ed avevano lasciato chiaramente capire, contro l'ordine stesso e contro i singoli membri, che la cosa non poteva ormai esser più oltre trascurata senza grave scandalo e tollerata senza imminente pericolo per la fede, noi, seguendo le orme di colui, di cui, benché indegni, facciamo le veci, qui in terra, abbiamo creduto bene dover procedere ad una inchiesta. Abbiamo, quindi, fatto venire alla nostra presenza molti priori, sacerdoti, soldati, ed altri frati di quest'ordine di non poca fama; abbiamo fatto prestar loro giuramento, li abbiamo scongiurati pressantemente per il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, invocando il divino giudizio, che in virtù di santa obbedienza - dato che si trovavano ora in luogo sicuro ed adatto, dove non c'era assolutamente nulla da temere, nonostante le confessioni fatte da essi dinanzi ad altri, per le quali noi non volevamo che ne derivasse qualche danno a coloro che le avevano fatte - dicessero sulla questione accennata la pura e semplice verità. Li abbiamo quindi interrogati su questo argomento e ne abbiamo esaminati settantadue. Ci assistevano con attenzione molti dei nostri fratelli cardinali; abbiamo fatto redigere in documento autentico le loro confessioni per mano di un notaio alla presenza nostra e dei nostri fratelli, e poi, dopo qualche giorno, le abbiamo fatte leggere alla loro presenza in Concistoro, e le abbiamo fatte esporre nella lingua volgare, a ciascuno di essi, che confermandole espressamente e spontaneamente le approvarono cosi come erano state recitate.

    Dopo ciò, volendo indagare personalmente su questa questione col maestro generale, con il visitatore di Francia e con i principali priori dell'ordine, ordinammo allo stesso maestro generale e al visitatore d'oltremare, e ai priori maggiori di Normandia, d'Aquitania e della provincia di Poitiers di presentarsi a noi che eravamo a Poitiers. Molti, però, erano infermi, in quel tempo, e non potevano cavalcare, né esser condotti agevolmente alla nostra presenza. Noi, allora, volendo conoscere la verità su tutto quanto e se fossero vere le loro confessioni e deposizioni, rese all'inquisitore per l'eresia nel suddetto regno di Francia, alla presenza di alcuni pubblici notai e di molte altre oneste persone, e presentate a noi e ai cardinali dallo stesso inquisitore, demmo l'incarico e ordinammo ai nostri diletti figli Berengario, allora cardinale del titolo dei SS. Nereo ed Achilleo, ora vescovo di Frascati, Stefano, cardinale del titolo di S. Ciriaco alle Terme, e Landulfo cardinale del titolo di Sant'Angelo, della cui prudenza, esperienza e fedeltà, abbiamo illimitata fiducia, perché essi col suddetto maestro generale, col visitatore e coi priori, sia contro di essi e le singole persone dell'ordine, sia contro l'ordine in quanto tale, cercassero di scoprire la verità e di farci sapere quanto avessero trovato a questo riguardo e ci riferissero e presentassero le loro confessioni e deposizioni, messe per iscritto, per mezzo di pubblico notaio, pronti a concedere allo stesso maestro, al visitatore e ai priori il beneficio dell'assoluzione dalla sentenza di scomunica, in cui avrebbero dovuto incorrere per i suddetti delitti se fossero risultati veri, qualora l'avessero chiesta umilmente e devotamente, come avrebbero dovuto. I cardinali, recandosi personalmente dal maestro generale, dal visitatore e dai priori, esposero il motivo della loro venuta. E poiché le persone di questi e degli altri Templari che si trovavano nel regno di Francia ci erano state presentate come persone che liberamente e senza timore di nessuno avrebbero manifestato pienamente e sinceramente la verità agli stessi cardinali, questi ingiunsero loro di far ciò in nome dell'autorità apostolica. Allora il maestro generale, il visitatore e i priori della Normandia, d'oltremare, d'Aquitania, della provincia di Poitiers, alla presenza dei tre cardinali, di quattro pubblici notai, e di molte altre persone degne di rispetto, prestato giuramento sui santi Evangeli, che, sull'argomento in questione avrebbero detto la pura e completa verità, alla loro presenza, uno per uno, liberamente, spontaneamente, senza alcuna costrizione o terrore, fecero la loro deposizione, e fra le altre cose confessarono di aver negato Cristo e di aver sputato sulla croce, quando furono ricevuti nell'ordine di Templari; e alcuni di essi confessarono anche di aver ricevuto molti frati nella stessa forma, esigendo, cioè, che si negasse Cristo e si sputasse sulla Croce. Alcuni di essi hanno confessato anche altri fatti orribili e vergognosi, che al presente taciamo. Dissero anche e confessarono che quanto era contenuto nelle confessioni e deposizioni da loro fatte dinanzi all'inquisitore suddetto, era vero.

    Queste confessioni e deposizioni del maestro generale, del visitatore e dei priori, redatte in pubblico documento da quattro notai pubblici, alla presenza dello stesso maestro, visitatore e priori e di altre persone degne di fede, e solo dopo aver lasciato trascorrere lo spazio di alcuni giorni, furono lette agli stessi, per ordine e alla presenza dei cardinali, ed inoltre tradotte a ciascuno di essi nella propria lingua. Essi le riconobbero per proprie ed espressamente e spontaneamente le approvarono, cosi com'erano state recitate.

    Da queste confessioni e deposizioni, essi, in ginocchio e con le mani congiunte, umilmente, devotamente e con abbondante effusione di lacrime, chiesero ai cardinali l'assoluzione dalla scomunica, nella quale erano incorsi per i delitti predetti. I cardinali, poiché la chiesa non chiude mai il suo grembo a chi ritorna, appena il maestro, il visitatore e i priori ebbero abiurato l'eresia concessero ad essi per nostra autorità, e nella forma consueta della chiesa, il beneficio dell'assoluzione; quindi, tornando alla nostra presenza, ci presentarono le confessioni e le deposizioni del maestro, del visitatore e dei priori, redatte in pubblico documento, da persone pubbliche, com'è stato detto, e ci riferirono quello che avevano fatto coi suddetti maestro, visitatore e priori.

    Da queste confessioni e deposizioni trovammo che spesso il maestro, il visitatore della Terra d'oltremare e questi priori della Normandia, dell'Aquitania e della regione di Poitiers, anche se alcuni maggiormente ed altri meno, avevano mancato gravemente. E considerando che delitti cosi orrendi non avrebbero potuto né dovuto esser lasciati impuniti, senza far ingiuria a Dio onnipotente e a tutti i cattolici, chiesto consiglio ai nostri fratelli cardinali, pensammo che si dovesse fare un'inchiesta per mezzo degli ordinari locali e di altre persone fedeli e sagge, da deputarsi a ciò, sui singoli membri dello stesso ordine, e sull'ordine come tale, per mezzo di inquisitori appositamente deputati.

    Dopo di ciò, sia gli ordinari che quelli da noi deputati contro i singoli membri dell'ordine e gli inquisitori per l'ordine nel suo insieme hanno svolto indagini in ogni parte del mondo e le hanno infine rimesse al nostro esame. Di esse, parte furono lette con ogni diligenza ed esaminate con cura da noi in persona e dai nostri fratelli cardinali di santa romana chiesa, le altre, da molti uomini coltissimi, prudenti, fedeli, col santo timore di Dio nel cuore, zelanti della fede cattolica, e pratici, sia prelati che non prelati, presso Malaucène, nella diocesi di Vaison.

    Dopo ciò, giunti a Vienne, essendo già presenti moltissimi patriarchi, arcivescovi, vescovi eletti, abati, esenti e non esenti, ed altri prelati, ed inoltre procuratori di prelati assenti e di capitoli, ivi radunati per il concilio da noi convocato, Noi, dopo la prima sessione tenuta con i predetti cardinali, prelati, procuratori, in cui credemmo bene esporre loro le cause della convocazione del concilio, - poiché era difficile, anzi impossibile che i cardinali e tutti i prelati e procuratori, convenuti nel presente concilio, potessero raccogliersi alla nostra presenza per trattare sul modo di procedere riguardo al problema dei frati del predetto ordine - per nostro ordine dal numero complessivo dei prelati e dei procuratori presenti al concilio, furono scelti concordemente alcuni patriarchi, arcivescovi, vescovi, abati, esenti e non esenti, ed altri prelati e procuratori di ogni parte della cristianità, di qualsiasi lingua, nazione, regione, tra i più esperti, discreti, adatti a dare un consiglio in tale e cosi importante questione e a trattare con noi e con i suddetti cardinali un fatto cosi importante.

    Quindi abbiamo fatto leggere attentamente, dinanzi ai prelati e ai procuratori, per più giorni, finché essi vollero ascoltare, le attestazioni raccolte di cui abbiamo parlato, riguardanti l'inchiesta sull'ordine predetto, nella sede del concilio, cioè nella chiesa cattedrale; e in seguito queste stesse attestazioni e i riassunti che ne sono stati fatti sono state viste, lette attentamente ed esaminate da molti venerabili cardinali, dal patriarca di Aquileia, da arcivescovi e vescovi presenti al concilio, scelti e destinati a ciò da quelli che erano stati eletti del concilio con grande diligenza e sollecitudine.

    A questi cardinali, pertanto, patriarchi, arcivescovi, vescovi, abati, esenti e non esenti, agli altri prelati e procuratori, eletti proprio per questa questione, quando furono alla nostra presenza fu da noi rivolto il quesito in segreto, come si dovesse procedere in tale problema, tanto più che alcuni Templari si offrivano a difendere il loro ordine. Alla maggior parte dei cardinali e quasi a tutto il concilio, a quelli cioè che, come abbiamo detto, erano stati eletti dal concilio, e per questa questione rappresentano il concilio intero, insomma alla grande maggioranza, circa quattro quinti di quelli che si trovavano al concilio da ciascuna nazione, sembrò indubitato - e i prelati in questione e i procuratori diedero in tal senso il loro parere - che si dovesse concedere a quell'ordine il diritto di difesa, e che esso, sulla base di ciò che era stato provato fino a quel momento, non potesse esser condannato per quelle eresie a proposito delle quali erano state fatte le indagini contro di esso, senza offesa di Dio e oltraggio del diritto. Alcuni, invece, dicevano che quei frati non dovevano essere ammessi a difendere l'ordine, e che noi non dovevamo concedere ad essi (tale) facoltà. Se, infatti, dicevano, si permettesse e si concedesse la difesa dell'ordine, ne seguirebbe un pericolo per la questione stessa e non poco danno per l'aiuto alla Terra Santa. E aggiungevano molte altre ragioni.

    Ora, è vero che dai processi svolti contro quest'ordine, esso non può canonicamente esser dichiarato eretico con sentenza definitiva; ma lo stesso ordine, a causa di quelle eresie che gli vengono attribuite ha conseguito una pessima fama. Moltissimi suoi membri, tra cui il maestro generale, il visitatore di Francia e i priori più in vista, attraverso le loro confessioni spontanee fatte a riguardo di queste eresie sono state convinti di errori e delitti e, inoltre, le confessioni predette rendono questo ordine molto sospetto, e questa infamia e questa diffidenza lo rendono addirittura abominevole e odioso alla chiesa santa di Dio, ai suoi prelati, ai suoi re, ai principi cristiani e agli altri cattolici. Inoltre, si può verisimilmente credere che da ora in poi non si troverebbe persona disposta ad entrare in quest'ordine, e che quindi esso diverrebbe inutile alla chiesa di Dio e al proseguimento dell'impresa della Terra Santa, al cui servizio era stato destinato.

    Poiché dal rinvio della decisione, cioè dalla sistemazione di questa faccenda - alla cui definizione e promulgazione era stato da noi assegnato per i frati di quest'ordine un termine nel presente concilio - seguirebbe la totale perdita, distruzione e dilapidazione dei beni del Tempio, che da tempo sono stati offerti, legati, concessi dai fedeli di Cristo in aiuto della Terra Santa e per combattere i nemici della fede cristiana; considerato che secondo alcuni si deve promulgare subito la sentenza di condanna contro l'ordine dei Templari per i loro delitti, e secondo altri invece non si potrebbe sulla base dei processi già fatti contro lo stesso ordine, emettere sentenza di condanna, noi, dopo lunga e matura riflessione, avendo dinanzi agli occhi unicamente Dio e guardando solo all'utilità della Terra Santa, senza inclinare né a destra né a sinistra, abbiamo pensato bene doversi scegliere la via della decisione e della sistemazione, attraverso la quale saranno tolti gli scandali, saranno evitati i pericoli, e saranno conservati i beni in sussidio della Terra Santa.

    L'infamia, il sospetto, le clamorose relazioni e le altre cose già dette, tutte a sfavore dell'ordine, ed inoltre l'ammissione nascosta e clandestina dei frati dello stesso ordine, la differenza di molti di quei frati dal comune comportamento, dal modo di vivere e dai costumi degli altri cristiani, specie poi per il fatto che ammettendo nuovi membri li obbligavano a non rivelare il modo della loro ammissione, e a non uscire dall'ordine, inducono a presumere contro di loro. Riflettendo, inoltre, che da tutto ciò è nato contro quest'ordine un grave scandalo, che difficilmente potrebbe esser messo a tacere se l'ordine continuasse ad esistere e considerando i pericoli per la fede e per le anime, e gli orribili numerosi misfatti della maggior parte dei frati dello stesso ordine e molte altre giuste ragioni e cause ci siamo dovuti risolvere alle decisioni che seguono. La maggior parte dei cardinali, e almeno quattro quinti di quelli che sono stati eletti da tutto il concilio ha ritenuto più conveniente, vantaggioso e utile per l'onore di Dio, per la conservazione della fede cristiana, per l'aiuto alla Terra Santa e per molte altre giuste ragioni che si seguisse piuttosto la via di un provvedimento della sede apostolica, sopprimendo l'ordine e assegnando i beni all'uso cui erano destinati, provvedendo anche salutarmente alle persone dello stesso ordine, che non quella del rispetto del diritto alla difesa, e della proroga di questa questione. Anche in altri casi, pur senza colpa dei frati, la chiesa romana qualche volta ha soppresso ordini di importanza assai maggiore per motivi senza paragone più modesti di quelli accennati, pertanto con amarezza e dolore, non con sentenza definitiva, ma con provvedimento apostolico, noi, con l'approvazione del santo concilio, sopprimiamo l'ordine dei Templari, la sua regola, il suo abito e il suo nome, con decreto assoluto, perenne, proibendolo per sempre, e vietando severamente che qualcuno, in seguito, entri in esso, ne assuma l'abito, lo porti, e intenda comportarsi da Templare.

    Se poi qualcuno facesse diversamente, incorra la sentenza di scomunica ipso facto.

    Quanto alle persone e agli stessi beni, li riserviamo a disposizione nostra e della sede apostolica. E ne disporremo, con la grazia divina, ad onore di Dio, ad esaltazione della fede cristiana e per il prospero stato della Terra Santa, prima della fine di questo concilio. E proibiamo assolutamente che chiunque, di qualsiasi condizione o stato esso

    sia, si intrometta in qualsiasi modo in ciò che riguarda tali persone o tali beni, faccia, innovi, tenti qualche cosa che porti pregiudizio, in ciò, a quanto noi, conforme a quanto abbiamo detto, ordineremo o disporremo, e stabiliamo fin da questo momento che sarà senza alcun valore e del tutto vano, se qualcuno diversamente - consapevolmente o senza saperlo - tenterà qualche cosa.

    Con ciò, tuttavia, non vogliamo che si deroghi ai processi fatti o da farsi circa le singole persone degli stessi Templari dai vescovi diocesani o dai concili provinciali, conforme a quanto noi abbiamo con altre disposizioni ordinato.

    Vienne, 22 marzo (1312), anno settimo del nostro pontificato.

    Fonte: Clemente V - Vox in excelso
    Ultima modifica di Luca; 15-08-11 alle 20:10

  4. #24
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    Predefinito Rif: L'Oracolo pontificio: il Magistero dei Papi

    “Esso [il Nemico] si trova dappertutto e in mezzo a tutti, sa essere violento e subdolo. In questi ultimi secoli ha tentato di operare la disgregazione intellettuale, morale, sociale dell'unità nell'organismo misterioso di Cristo. Non chiedeteci qual è il Nemico, né quali vesti indossi. […] Ha voluto la natura senza la grazia, la ragione senza la fede, la libertà senza l'autorità, talvolta l'autorità senza la libertà. È un "Nemico" divenuto sempre più concreto, con una spregiudicatezza che lascia ancora attoniti: Cristo si, Chiesa no. Poi Dio si, Cristo no. Finalmente il grido empio: Dio è morto, anzi non è mai esistito”

    Pio XII (agli Uomini dell'Azione Cattolica d'Italia, 12 ottobre 1952)

  5. #25
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    Predefinito Rif: L'Oracolo pontificio: il Magistero dei Papi

    N. Deschamps: I Templari, quarta sorgente della Massoneria.


    R.P. Nicolas Deschamps S.J. (1797-1873)
    Tratto da: Les sociétés secrètes et la société, 6a ediz., Avignone-Parigi 1882, tomo I., libro II., cap. I, § V, pag. 300-311.

    I Templari, quarta sorgente della Massoneria.

  6. #26
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  7. #27
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    Predefinito Rif: Riferimento: L'Oracolo pontificio: il Magistero dei Papi

    Citazione Originariamente Scritto da Luca Visualizza Messaggio
    LE TRE BIANCHEZZE DELLA CHIESA CATTOLICA

    PADRE GABRIELE MARIA ROSCHINI DEI SERVI DI MARIA NELLA SUA FAMOSA DISSERTAZIONE SU MARIA SANTISSIMA SIGNORA DEL SANTISSIMO SACRAMENTO (1953) AVEVA RACCONTATO CHE IL CARDINAL LEPICIER, RIFERENDO AL PAPA PIO XI DELLA VISITA DA LUI FATTA IN ABISSINIA, AVEVA DETTO: "HO RILEVATO TRA QUELLE POPOLAZIONI NERE UNA SPICCATA DEVOZIONE PER TRE COSE BIANCHE: L'OSTIA BIANCA, LA VERGINE BIANCA E IL PAPA BIANCO"
    IL PAPA FU MOLTO COMMOSSO DA QUESTA ASSERZIONE.
    PADRE ROSCHINI CONTINUAVA COSì: "EFFETTIVAMENTE TRE RADIOSI MISTERI, E TUTTI E TRE SOFFUSI DI UN MISTICO ARCANO CANDORE, DISTINGUONO NETTAMENTE-SECONDO UN RILIEVO ORMAI DIVENTATO COMUNE-LA VERA DALLE FALSE RELIGIONI "CRISTIANE": IL MISTERO DELL'OSTIA BIANCA, IL MISTERO DELLA VERGINE BIANCA E IL MISTERO DEL PAPA BIANCO.
    L'EUCARISTIA, LA MADONNA E IL PAPA! ECCO I TRE GRANDI CAPISALDI DELLA NOSTRA FEDE CATTOLICA, ECCO TRE POTENTI CALAMITE, LE TRE STELLE ORIENTATRICI DELLE MENTI E DEI CUORI SINCERAMENTE CATTOLICI.
    ECCO LE TRE GRANDI SORGENTI DI FORZA SOPRANNATURALE DELLA CHIESA CATTOLICA, LA CHIESA DI CUI CRISTO, NASCOSTO SOTTO I CANDIDI VELI EUCARISTICI, è IL CAPO INVISIBILE, DI CUI IL PAPA è IL CAPO VISIBILE, DI CUI MARIA SANTISSIMA è IL CUORE.
    L'EUCARISTIA, LA MADONNA E IL PAPA - QUESTE TRE MISTICHE BIANCHEZZE
    DELLA CHIESA CATTOLICA-COSTITUISCONO UN TRINOMIO LUMINOSO, COMPATTO, INSCINDIBILE".

    SI è PROPRIO VERO: UN TRINOMIO INSCINDIBILE E, ANCHE SE IL TERZO MEMBRO DEL TRINOMIO SEMBRA ESSERSI OGGI OFFUSCATO, IL PAPATO DI SEMPRE, LA SERIE COMPATTA DEI PAPI (DA SAN PIETRO A PIO XII) BRILLA SEMPRE E, SE POSSIBILE DI UNA BIANCHEZZA ANCORA MAGGIORE, A MAGGIOR RAGIONE IN QUESTI TEMPI UN PO' OSCURI.
    L'EUCARISTIA, LA MADONNA, IL PAPATO SONO LE BASI DEL NOSTRO INTEGRALISMO CHE POI è SOLAMENTE IL CATTOLICESIMO INTEGRALMENTE CREDUTO, INTEGRALMENTE DIFESO, INTEGRALMENTE PRATICATO.
    A QUESTE "TRE GRANDI BIANCHEZZE" QUESTO MODESTO FORUM CONSACRA OGNI SUO DIRE E OGNI SUO POSTARE.
    .

  8. #28
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    Predefinito Rif: L'Oracolo pontificio: il Magistero dei Papi

    Fonte: Il "non serviam" ed il dovere cattolico

    Civiltà Cattolica anno XLIII, serie XV, vol. I (fasc. 998, 5 gennaio 1892), Roma 1892, pag. 160-174.
    IL «NON SERVIAM» E IL DOVERE CATTOLICO

    Leone XIII qual maestro universale della Chiesa, e qual duce supremo della milizia di Cristo, fin dai primordii del suo pontificato, nella sua prima Enciclica diretta a tutt'i Vescovi del mondo cattolico, additava i mali gravissimi che per ogni parte affliggono la società moderna. Tali sono l'universale sovvertimento dei principii dai quali, come da fondamento, è sorretto l'ordine sociale; la pervicacia degli ingegni intolleranti di ogni legittima soggezione, il perenne fomento alle discordie; 1'insaziabile cupidigia dei beni caduchi e la non curanza degli eterni; la improvvida amministrazione e lo sperpero; come pure la impudenza di coloro che con perfido inganno vogliono essere creduti difensori della patria, della libertà e di ogni diritto; quel letale malessere infine che serpeggia per le più riposte fibre dell'umana società, la rende inquieta, e minaccia travolgerla in una spaventosa catastrofe.

    Ora qual è la funesta radice, o cagione precipua di questi e somiglianti mali? Essa è riposta dal Pontefice nel disprezzo, e nel rifiuto di quella santa ed augustissima autorita della Chiesa, che a nome di Dio presiede al genere umano ed è custode e vindice sulla terra degli eterni ed immutabili principii di verità e di giustizia. «Horum autem malorum causam in eo praecipue sitam esse Nobis persuasum est, quod despecta et rejecta sit sancta illa et augustissima Ecclesiae auctoritas, quae Dei nomine humano generi praeest [1] .»

    Quindi è che, come nota lo stesso Pontefice, i nemici della Chiesa e di ogni ordine pubblico non ravvisarono mezzo più acconcio all'esecuzione dei loro perfidi disegni, che quello di aggredire costantemente la Chiesa di Dio, di metterla in uggia quasi che colla sua immutabile dottrina alla vera civiltà si opponesse, e soprattutto di indebolirne l'autorità e la forza, sostenendo esser lecito a tutti discutere, combattere, accettare o rifiutare a proprio senno, quanto dalla Chiesa ed in essa dal Sommo Pontefice viene insegnato, deciso o dichiarato.

    Il vessillo del «Non Serviam» sotto il quale si schierano sempre quanti furono, dal principio del mondo ai giorni nostri, nemici di Dio e della Chiesa, non e un ritrovato del così detto progresso moderno; esso fu innalzato da Lucifero, quando insuperbito prevarico negando a Dio la riverenza e l'obbidienza che gli doveva.

    Coloro i quali con occhio diligente seguono quel che accade nel campo della Chiesa e fuori di essa, non hanno potuto non osservare e deplorare l'astuto lavorio del campo nemico, per sottrarre il maggior numero possibile di fedeli dalla pratica di quella vera e perfetta obbedienza al Papa ed alla Chiesa che è la pietra di paragone del sincero cattolico, e l'antitesi perfetta del «Non Serviam».

    Con tutto ciò noi siamo sicuri che, se non tutti i conati dei nemici della Chiesa, certamente la massima loro parte sarebbero stati, e sarebbero ancora irriti e vani, se tra coloro che portano nome di cattolici non si fossero trovati alcuni che porsero ai nemici una mano amichevole, schierandosi al grido orgoglioso del «Non Serviam» sotto lo stesso stendardo. Questi, come ne parla il Sommo Pontefice Pio IX sono pochi; ma possono veramente chiamarsi sediziosi. Essi sono molto più pericolosi che non gli aperti nemici della Chiesa, sia perchè secondano le arti dei primi senza farsi conoscere, sia perchè, rattenendosi apparentemente dentro i limiti delle opinioni non condannate, si danno lustro di certa rettitudine e di sana dottrina che alletta gl'ignoranti ed inganna i buoni. Quindi il Pontefice, in nome suo e della Chiesa, lamenta il tradimento di questa sorta di nemici, con ricordare le terribili parole: Filios enutrivi et exaltavi, ipsi autem spreverunt me [2]. Per buona ventura costoro possono agevolmente esser ravvisati: Ex fructibus eorum cognoscetis eos. Nel Breve testè citato, ecco come Pio IX li tratteggia maestrevolmente: «Uomini a cui sa male ogni cosa la quale indichi pronta, intiera ed assoluta obbedienza ai decreti ed alle ammonizioni della Santa Sede; che parlano di questa Sede con disdegno chiamandola «la curia romana», che applicano ai piu obbedienti figliuoli di Lei i nomi di «Ultramontani», e di «Gesuiti»; che infine colmi d'orgoglio reputano sè più sapienti della Chiesa, alla quale è stata promessa speciale ed eterna divina assistenza».

    Come appare dalle parole sottosegnate da noi, il primo e più pernicioso principio di questa scuola, che si chiama liberale e progressista, riguarda appunto l'obbedienza dovuta alla voce della Chiesa: obbedienza che è il primo dovere del vero cattolico. Questa scuola pretende: 1) che se una dottrina non è definita dall'autorità infallibile della Chiesa, essa può liberamente ammettersi o ripudiarsi: 2) che quand'anche una dottrina fosse definita dalla Chiesa, di essa puo farsi controversia; salvo che si tratti di una delle verità rivelate.

    Ora l'una e l'altra di tali proposizioni debbono dirsi erronee, ed in sommo grado vituperose alla fede della Chiesa ed alla sua divina autorità. Noi proveremo brevemente la nostra asserzione e dimostreremo che punto non esageriamo; poichè le parole da noi usate non sono nostre, ma prese alla lettera dai documenti della più sublime autorità che Dio abbia stabilito sulla terra.

    Non sappiamo se altri abbia descritto meglio i seguaci di questa scuola, di quel che facesse l'illustre barone d'Ondes Reggio, nel suo discorso al Congresso Cattolico di Firenze. «Cotesti cattolici liberali, così egli, sono quelli i quali muovono dal dire, che obbediscono al Sommo Pontefice che dottore infallibile definisce le dottrine della fede e della morale; ma possono non obbedirgli in tutte le altre materie su cui egli decide. Per quello in cui obbediscono sono cattolici, per quello in cui non obbediscono sono liberali. Sono l'uno e 1'altro bellamente insieme armonizzati, inappuntabili pe' dettati della fede, inappuntabili pe' dettati della ragione [3].»

    Poche parole di spiegazione sono necessarie ad evitare ogni errore nella presente questione. La prima proposizione della scuola moderna liberale limita il dovere cattolico di obbedienza alle sole dottrine infallibilmente definite dalla Chiesa. Ora è da distinguere due specie d'obbedienza all'insegnamento dottrinale della Chiesa, e lo stesso deve sempre intendersi del Papa. Una di fede (assensus fidei), l'altra di religione (assensus religiosus). L'assenso di fede può essere un assenso di fede divina e cattolica, se riguarda una verità rivelata definita come tale dalla Chiesa, o un assenso di fede ecclesiastica, (detto da alcuni teologi assensus fidei mediate divinae) se riguarda una verità, anch'essa definita dalla Chiesa, ma non rivelata quantunque in qualche modo connessa colla rivelazione. Il primo assenso di fede avrebbe per motivo l'autorità di Dio che rivela, il secondo l'autorità infallibile della Chiesa che definisce. L'assenso poi che è detto religioso, in quanto è distinto dall'assenso di fede divina cattolica ed ecclesiastica, riguarda quell'insegnamento della Chiesa, nel quale non si verificano tutte le condizioni richieste per 1'esercizio del magistero infallibile. Questo assenso avrebbe per motivo la sacra autorità da Cristo partecipata alla sua Chiesa per pascere, reggere e governare il suo gregge: autorità che potrebbe chiamarsi col Franzelin «autorità di provvidenza universale ecclesiastica», o anche più brevemente «autorità di provvidenza dottrinale [4].»

    Noi teniamo esser falso che l'assenso interno dell'intelletto sia solo dovuto all'autorità di Dio che rivela, o della Chiesa che infallibilmente definisce; e sosteniamo che il cattolico non può rifiutare all'insegnamento della Chiesa quell'assenso, sia di fede sia religioso, che a tale insegnamento risponde, senza una grave colpa che intaccherà più o meno la sua professione di cattolicismo. Questo doppio assenso deve essere sempre interno, pieno e sincero, con questa differenza che l'assenso di fede è necessariamente irreformabile, ed in questo senso assoluto, laddove non ripugna che l'assenso religioso si possa riformare, e di fatto si riformi, non certamente a proprio senno, ma solamente allora quando l'autorità ecclesiastica, che sola ne ha il potere, giudicasse necessario di riformare il suo insegnamento in una materia intorno alla quale, come si suppone, non ha esercitata la sua infallibile autorità. L'assenso religioso sarebbe di certo illusorio se si sottoponesse alle ragioni individuali che altri potesse avere in contrario.

    Il discepolo, invece, della scuola cattolico-liberale non ammette come necessario altro assenso da quello infuori che si dice assenso di fede, e che per giunta, come apparisce dalla seconda proposizione, egli limita all'assenso di fede divina e cattolica; poichè tal gente tiene per indubitatamente concesso che la Chiesa non è infallibile quando definisce una verità non rivelata, qualunque voglia essere l'attinenza di tale verità colla rivelazione.

    Che l'infallibilità della Chiesa, e quindi del Papa, si estenda anche alle verità non rivelate ma connesse colla rivelazione è, come insegna il Cardinale Mazzella, «la sentenza difesa dall'unanime magistero dei teologi, i quali condannano l'opinione contraria o come errore gravissimo o anche quale pretta eresia [5].»

    Dal fin qui detto dev'essere a tutti manifesto che nessun dubbio può dunque cadere intorno all'obbligo dell'assenso di fede divina e cattolica. Esso, tutti consenzienti, e dovuto dai cattolici ad ogni verità rivelata che sia dalla Chiesa definita, e a maggior distinzione aggiungiamo, che esso non può darsi che a tali verità. L'insegnamento del Concilio Vaticano sopra questo punto è conosciuto da tutti: «Fide divina et catholica ea omnia credenda sunt quae in verbo Dei scripto vel tradito continentur, et ab Ecclesia sive solemni judicio, sive ordinario et universali magisterio, tamquam divinitus revelata credenda proponuntur [6].»

    La questione, pertanto, si riferisce solo all'assenso di fede ecclesiastica e all'assenso religioso. In altre parole essa riguarda l'obbedienza dell'intelletto dovuta alla Chiesa quando insegna verità non rivelate, ma o connesse colla rivelazione, ovvero anche solo concernenti il bene generale della Chiesa, i suoi diritti e la sua disciplina, sia che insegni valendosi della sua infallibile autorità, sia solamente esercitando quella sacra autorità che abbiamo chiamata autorità di provvidenza dottrinale.

    Al nostro proposito basterà dimostrare che, oltre l'assenso di fede divina e cattolica, vi e un altro assenso che pur si deve prestare dai cattolici agli insegnamenti della Chiesa. Quale debba essere nei diversi casi questo assenso, potrà facilmente determinarsi applicando i principii che abbiamo già esposti di sopra.

    Nessuno può negare che se la Chiesa e stata da Cristo costituita infallibile depositaria della rivelazione, autentica maestra, testimone di essa e giudice in ogni materia che vi appartenga, alla Chiesa stessa deve assolutamente attribuirsi il diritto non solamente di definire il fatto della sua autorità, che è verità rivelata; ma anche di dichiararne la natura, l'oggetto, l'estensione e di determinare qual sia il dovere dalla parte dei fedeli di sottomettersi a quell'autorità. Un tal diritto non può rifiutarsi senza distruggere allo stesso tempo la missione confidata da Cristo alla Chiesa. Sarebbe davvero assurdo supporre che Cristo desse alla Chiesa una missione da compiere, senza che le desse parimente i mezzi necessarii per venirne a capo.

    Questa dottrina riceve lume e conferma dalle parole di Leone XIII nella sua Enciclica «Sapientiae Christianae» del 10 Gennaio 1890. «Questo doppio ordine di cose, cioè quanto si ha da credere e quanto si ha da operare, viene dalla Chiesa, e in essa dal Sommo Pontefice, per diritto divino decretato. Il perchè il Pontefice, in virtù della sua autorità, dee poter giudicare quali sieno le cose contenute nella parola di Dio, quali dottrine con essa consuonino, e quali no: e all'istesso modo additare ciò che è onesto e turpe, e quel che si ha da fare o fuggire per ottenere la salute eterna: altrimenti egli non sarebbe per l'uomo nè certo interprete della divina parola, nè duce al vivere sicuro [7].»

    Laonde se la Chiesa usa di tal diritto e definisce che i cattolici sono strettamente obbligati a sottomettersi al suo insegnamento anche quando l'obbietto non ne è rivelato, i cattolici saranno strettamente tenuti ad accettare questa decisione, e quindi a sottomettersi a quell'insegnamento. Di più, se la Chiesa per raffermare la sua decisione facesse di questa sottomissione l'oggetto d'uno speciale precetto, ai cattolici sarebbe allora anche interdetto sotto pena di anatema di tenere che non sono obbligati ad osservarlo, e quindi di difendere che sono liberi di accettare o rifiutare a proprio senno la dottrina non rivelata proposta dalla Chiesa [8]. «Se alcuno dice che coloro che sono battezzati non sono obbligati ad osservare tutti i precetti della Santa Chiesa qualunque essi siano scritti o non scritti, salvo che a loro piaccia di sottomettersi ad essi, sia anatema [9].»

    Ora ha ella mai la Chiesa definito che tutti i cattolici abbiano stretto dovere di sottomettersi al suo magistero anche in materie non rivelate? Ha ella mai con solenne e speciale precetto imposto l'obbligo d'assenso e d'obbedienza alle sue decisioni in simili materie?

    Per rispondere a tali punti noi, lasciati da banda parecchi documenti che avremmo in pronto sopra tal materia, alcuni pochi ne citeremo che per la loro perspicuità valgono da sè a mettere del tutto fuor di dubbio la suddetta obbligazione.

    Pio VI, nella Costituzione «Auctorem Fidei» nota ai teologi cattolici qual certissimo documento ex-cathedra, condanna la dottrina del Sinodo Pistoiese. Questa dottrina viene esposta in 85 proposizioni, poche delle quali sono dichiarate ereticali, e quindi direttamente opposte al domma rivelato; le altre sono semplicemente qualificate di erronee, false, temerarie, scandalose, prossime all'eresia ecc. e però direttamente opposte alla dottrina che non è rivelata, ma in qualche modo connessa colla rivelazione, e necessaria per la custodia e difesa della medesima. Il Sommo Pontefice, tuttavia, senza fare veruna distinzione tra le proposizioni eretiche, e le altre che meritano una censura inferiore, ingiunge ad ogni cattolico di ripudiarle tutte nel medesimo senso nel quale egli le ha condannate, e di giudicarle tutte degne di quella censura che egli stesso ha loro inflitta. «Mandamus omnibus utriusque sexus christifidelibus ne de dictis propositionibus et doctrinis sentire, docere, praedicare praesumant, contra quam in hac nostra constitutione declaratur.» Egli e chiaro che l'obbedienza qui imposta ai cattolici è assoluta. Si dà loro precetto di non pure pensare o giudicare (sentire) di quelle proposizioni altrimenti da quello che il Papa stesso fa nella suddetta Costituzione! Lo stesso precetto «Mandamus etc.» si legge nella Costituzione «Unigenitus» di Clemente XI contro gli errori di Quesnello.

    I fautori moderni del «Non Serviam» sanno, o certamente dovrebbero sapere, che quel che è chiamato dai teologi un fatto dommatico, a mo' d'esempio che alcune determinate proposizioni eretiche si trovino in un certo libro scritto da questo o da quell'autore, non è una verità rivelata. Pure la Chiesa ha sempre richiesto e richiede sotto le più severe pene, che i suoi figli sottopongano il giudizio all'insegnamento di lei intorno a fatti di tal natura.

    Così fece Clemente XI nella Costituzione «Vineam Domini», dove si tratta della famosa questione delle cinque proposizioni eretiche, contenute nel libro di Giansenio intitolato Augustinus. Questo «fatto dommatico» era stato già definito da Innocenzo X nel 1653, e piu chiaramente ancora da Alessandro VII nel 1665 in queste parole: Quinque illas propositiones [haereticas] ex libro praememorati Cornelii Episcopi Iprensis, cui titulus est «Augustinus» excerptas fuisse (ecco il fatto dommatico) declaramus et definimus. Parlando, dunque, di questo fatto il Pontefice Clemente si esprime cosi: «Perchè si eviti pienamente in futuro qualsiasi occasione di errore, e perchè tutti i figli della Chiesa cattolica imparino ad udire Lei non solamente col tacere (giacchè anche gli empii tacciono nelle tenebre) ma eziandio coll'interno assenso, che costituisce la vera obbedienza dell'uomo ortodosso, in virtù della nostra apostolica autorità decretiamo, dichiariamo, stabiliamo ed ordiniamo con questa Costituzione da valere in perpetuo, che con tale ossequioso silenzio non si soddisfà in alcun modo a quella obbedienza che è dovuta alle Costituzioni Apostoliche precitate [10].»

    Qui noi vorremmo che il lettore ponesse ben mente alla natura della obbedienza che deve prestarsi all'insegnamento della Chiesa intorno ad una verità non rivelata, e che il Papa dichiara essere «vera orthodoxi hominis obedientia.» Questa non deve essere solamente esterna (tacendo), ma interna altresì (interius obsequendo): il che importa naturalmente l'assenso dell'intelletto al magistero della Chiesa, quantunque l'oggetto di tal magistero sia anche solo «un fatto dommatico», che è quanto dire una verità non rivelata.

    E di vero, che l'obbedienza del vero cattolico, quanto alla rigorosa obbligazione, non debba essere ristretta dentro i limiti del domma rivelato è definito dalla Chiesa e altresì esplicito e solenne dettato del Concilio Vaticano. Ecco le sue autorevoli parole: «Giacchè non basta evitare l'eretica pravità, se non si fuggano ancora diligentemente quegli errori che ad essa più o meno si accostano, ammoniamo tutti del dovere di osservare altresì le Costituzioni e i Decreti, coi quali le prave opinioni di questo genere, che qui esplicitamente non sono enumerate, furono già proscritte e proibite da questa Santa Sede [11].» In altre parole il vero cattolico non deve rinserrare la sua obbedienza nei confini di quelle dottrine della Chiesa, la cui negazione sarebbe esplicita eresia, ma egli deve darla ancora a tutte le costituzioni e decreti pei quali dalla Santa Sede viene dannata e proscritta qualunque perniciosa dottrina.

    Quindi deriva il dovere per ogni cattolico di accettare il Sillabo del S. P. Pio IX, e di rigettare gli errori che vi sono riprovati. E qui, a fin di prevenire una difficoltà possibile a farsi da qualcuno che forse considera esser atto di alto amore di patria l'ignorare il Sillabo, e la obbligazione che ne viene, non sarà inutile osservare che tutt'i teologi cattolici, anche quelli non sospetti di oscurantismo, e che come il Cardinale Newman [12] ed il Vescovo Fessler [13], a torto [14], dubitano o negano il Sillabo avere il valore di un documento ex cathedra, convengono nell'insegnare «esser dovuto a tal documento piena sommissione da ogni cattolico», e ancora «essere imposto dall'obbedienza dovuta al capo della Chiesa di tenere per certo che tutte le proposizioni del Sillabo se non infallibilmente almeno giustamente furono condannate». Leone XIII nella sua Enciclica «Immortale Dei» parlando dei Romani Pontefici suoi predecessori che «ben comprendendo i doveri dell'Apostolico loro ministero» «con gravissime parole» avevano in varii tempi condannati diversi errori, allude al Sillabo di Pio IX che «similmente in varie circostanze, secondo l'opportunità, proscrisse molti degli errori più diffusi, i quali poscia ordinò che venissero raccolti tutti insieme, affinchè nel dilagamento di tante false opinioni non rimanessero i cattolici senza sicura guida [15]» .

    Nè questo è tutto. Abbiamo ancora un importantissimo documento di Pio IX, l'Enciclica «Quanta Cura», nella quale il Sommo Pontefice «in virtù dell'apostolica autorità ricevuta da Cristo» condanna solennemente la dottrina del «Non Serviam» di cui andiamo parlando, e «vuole e comanda che essa sia da tutti i figliuoli della Cattolica Chiesa tenuta per riprovata, proscritta e condannata.»

    «Non possiamo passare sotto silenzio, cosi il Pontefice, l'audacia di quelli, i quali intolleranti della sana dottrina, contendono che si possa, senza peccato e iattura della professione cattolica negare l'assenso e l'obbedienza a quei decreti e giudizii della Sede apostolica, l'obbietto del quali si dichiara che riguarda il bene generale della Chiesa e i suoi diritti e la sua disciplina, purchè essi non tocchino i dommi della fede e dei costumi. Il che quanto grandemente si opponga al domma cattolico della piena potestà del Romano Pontefice divinamente conferitagli dallo stesso Cristo Signore, in ordine a pascere, e reggere e governare la Chiesa universale, non e chi apertamente non vegga ed intenda [16].»

    Queste parole provano - 1) che la Chiesa ha piena autorità di insegnare non semplicemente i punti che toccano i dommi della fede e della morale, ma qualsiasi verità pertinente al bene generale della Chiesa, ai suoi diritti, e alla sua disciplina; - 2) che a tale insegnamento non può venir negato assenso ed obbedienza senza fallire alla coscienza, e senza venir meno alla professione di cattolicismo; - 3) che il cattolico liberale, limitando come fa l'assenso e l'obbedienza propria ai soli dettati che riguardano i dommi della fede e della morale, si oppone gravemente al domma della somma potestà del Romano Pontefice; e - 4) che questa opinione e esplicitamente dannata dalla Santa Sede come errore proprio di quelli che un'audacia orgogliosa rende incapaci di sana dottrina, la quale ogni devoto figlio della Chiesa è obbligato di tenere nell'animo suo come certa ed indubitata.

    Può invero sembrare che nulla di più manifesto possa esser detto a condanna di questa opinione; pure se ci facciamo a leggere le Lettere «Gravissimis» del 12 Dec. 1862 dello stesso Pontefice vi troveremo parole se non piu chiare certo piu severe. Ecco il testo del Pontefice. «Ecclesia ea potestate sibi a Divino suo Auctore commissa, non solum jus sed officium praesertim habet non tolerandi, sed proscribendi ac damnandi omnes errores, si ita fidei integritas et animarum salus postulaverit; et omni philosopho qui Ecclesiae filius esse velit, ac etiam philosophiae officium incumbit nihil unquam dicere contra ea quae Ecclesia docet, et ea retractare, de quibus eos Ecclesia monuerit. Sententiam autem quae contrarium docet omnino erroneam, et ipsi fidei Ecclesiae ejusque auctoritati vel maxime iniuriosam esse edicimus et declaramus.»

    Il che in piano volgare val quanto dire che la dottrina da noi impugnata, viene dal supremo capo e dottore della Chiesa dichiarata «onninamente erronea, e sovranamente ingiuriosa alla fede della Chiesa e alla sua autorità.»

    La stessa erronea dottrina è condannata nella proposizione 22a del Sillabo. «L'obbligazione che al tutto vincola i maestri e gli scrittori cattolici, si riduce a quelle cose solamente, che dall'infallibile giudizio della Chiesa sono proposte a credersi da tutti siccome dommi di fede [17].»

    Leone XIII non e meno preciso de' suoi antecessori. Parlando nella sua Enciclica «Sapientiae Christianae» di questa obbedienza alla Chiesa, egli dice che essa deve essere «perfetta ed assoluta», e che «essa è il carattere distintivo dal quale i veri cattolici furono sempre e sono ancora riconosciuti.» E quali sono i limiti di una tale obbedienza? A questa domanda, così risponde Leone XIII: «Nel determinare i limiti dell'obbedienza niuno si dia a credere doversi obbedire all'autorità dei sacri Pastori, massime del romano Pontefice soltanto in ciò che spetta al domma, il cui pertinace ripudio non può sceverarsi dal peccato di eresia. Che anzi neppur basta l'accettare con sincero e fermo assenso quelle dottrine, le quali, avvegnacchè non difinite da un solenne giudizio della Chiesa, tuttavolta vengono dall'ordinario e universale magistero della medesima proposte alla credenza de' fedeli come divinamente rivelate; ed hannosi a credere, secondo il decreto del Concilio Vaticano, con fede cattolica e divina. Ma questo ancora dev'essere annoverato tra i doveri dei cristiani, che si lascino reggere e governare dalla potestà e direzione dei Vescovi e soprattutto dall'Apostolica Sede [18].»

    Ai precedenti aggiungeremo un altro solo documento che spiega, a parer nostro, il dovere dell'obbedienza di cui trattiamo nel più chiaro modo e più calzante che si possa desiderare. Lo togliamo dalla celebre Enciclica «Immortale Dei» dello stesso Pontefice. «Nell'ordine delle idee e necessario ritenere nell'animo con saldo convincimento, e, ogni qualvolta occorre, professare apertamente tutto quanto insegnarono o saranno per insegnare i romani Pontefici. E particolarmente, rispetto a quelle che si suol chiamare libertà moderne, è d'uopo che ognuno se ne rimetta al giudizio della Sede Apostolica, e non ne pensi diversamente da lei [19].»

    Il punto, dunque, che imprendemmo a dimostrare contro la scuola liberale è reso patente. Tutt'i documenti che abbiam citato asseverano il dovere che incombe ad ogni cattolico di sottoporre il suo giudizio al magistero della Chiesa non solo nelle materie che sono rivelate, ma in quelle altresì che nol sono, ma riguardano la custodia, difesa o spiegazione della rivelazione, il bene generale della Chiesa, i suoi diritti e la sua disciplina.

    Vorrà forse alcuno contendere alla Chiesa il diritto di asserire un tal dovere? Non è essa il solo supremo ed infallibile giudice de' diritti che essa ricevette dal suo Fondatore? Avrebbe dunque errato nell'asseverare questo dovere? Se così fosse, nonostante la divina assistenza promessale ogni giorno fino alla consumazione de' secoli, essa avrebbe dichiarato peccaminoso ciò che non è tale, essa avrebbe solennemente pronunziato esser necessario a conservare intera la cattolica professione ciò che invece poteva mettersi da parte senza veruna iattura di questa. In altre parole la Chiesa che fu costituita da Cristo nostro Signore per essere nostra guida certa e sicura sulla strada della verità e della virtù, ci avrebbe vergognosamente ingannati. Essa sarebbe venuta meno alla sua missione, e perciò non sarebbe più la Chiesa di Cristo.

    Noi siam certi che i nostri progressisti cattolici raccapricceranno d'orrore in faccia a tali eretiche conclusioni. Bisogna, dunque, che parimente inorridiscano dinnanzi ai loro «perniciosi principii» che logicamente li conducono a tali conclusioni. «Muta antecedentia» è l'aurea monizione di Sant'Agostino, «si vis vitare sequentia.»

    NOTE:

    [1] «Quod Apostolici muneris» 28 Dec. 1878.

    [2] Breve dato a Roma il 7 Marzo 1873. Vedi anche l'Osservatore Romano del 27 Decembre 1876.

    [3] Vedi la Civiltà Cattolica Serie 10, Vol. I, p. 254.

    [4] «Illa sacra auctoritas providentiae doctrinalis, vi muneris sui, sufficientissimum est motivum ex quo possit, et, si forma decreti id exigat, debeat pia voluntas imperare consensum religiosum seu theologicum intellectus.» De Divina Traditione et Scriptura. Thes. XII.

    [5] De Religione et Ecclesia. Disp. 4. art. 8.

    [6] Const. Dei Filius, cap. 3.

    [Trad.: «Con fede divina e cattolica deve credersi tutto ciò che è contenuto nella parola di Dio scritta o tramandata, e che è proposto dalla Chiesa come divinamente rivelato sia con giudizio solenne, sia con magistero ordinario universale.» Cfr. D.S. 3011. N.d.R.]

    [7] «De utroque genere, nimirum et quid credere oporteat et quid agere, ab Ecclesia jure divino praecipitur, atque in Ecclesia a Pontifice maximo. Quamobrem judicare posse Pontifex pro auctoritate debet quid eloquia divina contineant, quae cum eis doctrinae concordent, quae discrepent: eademque ratione ostendere quae honesta sint, quae turpia; quid agere, quid fugere, salutis adipiscendae causa, necesse sit : aliter enim nec eloquiorum Dei certus interpres nec dux ad vivendum tutus ille esse homini posset.»

    [8] «Si quis dixerit baptizatos liberos esse ab omnibus Sanctae Ecclesiae praeceptis, quae vel scripta vel tradita sunt, ita ut ea observare non teneantur, nisi se sua sponte illis submittere voluerint; A. S.»

    [9] Conc. Trid. can. 8 De Baptismo.

    [10] Ut quaevis imposterum erroris occasio penitus praecidatur, atque omnes catholicae Ecclesiae filii Ecclesiam ipsam audire, non tacendo solum, (nam et impii in tenebris conticescunt) sed, et interius obsequendo, quae vera est orthodoxi hominis obedientia, condiscant, hac nostra perpetuo valitura constitutione, obedientiae, quae praeinsertis Apostolicis Constitutionibus debetur obsequioso illo silentio minime satisfieri... auctoritate apostolica decernimus, declaramus, statuimus, et ordinamus».

    [11] «Quoniam vero satis non est, haereticam pravitatem devitare, nisi ii quoque errores diligenter fugiantur, qui ad illam plus minusve accedunt; omnes officii monemus, servandi etiam Constitutiones et Decreta, quibus pravae ejusmodi opiniones, quae istic diserte non enumerantur ab hac Sancta Sede proscriptae et prohibitae sunt.»

    [12] «Letter to the Duke of Norfolk.»

    [13] «La vera e la falsa infallibilità» pp. 43, 44.

    [14] Che il Sillabo abbia il valore di un documento ex cathedra, ed in qual senso debba ciò intendersi, fu dimostrato nei volumi 5 e 6 della nostra serie XIII. La stessa sentenza si troverà difesa dal Cardinale Mazzella. «De Religione et Ecclesia.» Disp. 5. art. 6.; Schrader. «De theologia generatim» p. 136 et seg. etc. etc.

    [15] «Non absimili modo Pius IX ut sese opportunitas dedit, ex opinionibus falsis quae maxime valere coepissent, plures notavit, easdemque postea in unum cogi jussit ut scilicet in tanta errorum colluvione haberent catholici homines quod sine offensione sequerentur.»

    [16] «Silentio praeterire non possumus eorum audaciam, qui sanam non sustinentes doctrinam contendunt illis Apostolicae Sedis judiciis et decretis, quorum obiectum ad bonum generale Ecclesiae, ejusdem jura ac disciplinam spectare declaratur, dummodo fidei morumque dogmata non attingant, posse assensum et obedientiam detrectari absque peccato, et absque ulla catholicae professionis jactura. Quod quidem quantopere adversetur catholico dogmati plenae potestatis Romano Pontifici ab ipso Christo Domino divinitus collatae universalem pascendi regendi et gubernandi Ecclesiam, nemo est qui non clare aperteque videat et intelligat.»

    [17] «Obligatio, qua catholici magistri et scriptores omnino adstringuntur, coarctatur in iis tantum, quae ab infallibili Ecclesiae iudicio veluti fidei dogmata ab omnibus credenda proponuntur.»

    [18] «In constituendis obedientiae finibus, nemo arbitretur sacrorum Pastorum maximeque romani Pontificis auctoritati parendum in eo dumtaxat esse, quod ad dogmata pertinet, quorum repudiatio pertinax disjungi ab haereseos flagitio non potest. Quin etiam neque satis est sincere et firmitus assentiri doctrinis, quae ab Ecclesia, etsi solemni non definitae judicio, ordinario tamen et universali magisterio tamquam divinitus revelatae credendae proponuntur: quas fide catholica et divina credendas Concilium Vaticanum decrevit. Sed hoc est praeterea in officiis christianorum ponendum, ut potestate, ductuque Episcoporum imprimisque Sedis apostolicae regi se gubernarique patiatur.»

    [19] «In opinando quaecumque Pontifices Romani tradiderunt vel tradituri sunt singula necesse est et tenere judicio stabili comprehensa, et palam, quoties res postulaverit, profiteri. Ac nominatim de iis quas libertates vocant novissimo tempore quaesitas oportet Apostolicae Sedis stare judicio, et quod ipsa senserit idem sentire singulos.»

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    Predefinito Re: Rif: L'Oracolo pontificio: il Magistero dei Papi

    CITAZIONE DA S.S. PAPA LEONE XIII (ENCICLICA QUOD APOSTOLICI MUNERIS DEL 28 DICEMBRE 1878):

    "SEBBENE I SOCIALISTI, ABUSANDO DELLO STESSO EVANGELO, ALLO SCOPO DI INGANNARE PIù FACILMENTE GLI SPIRITI PIù SPROVVEDUTI, SI SIANO ABITUATI A DISTORCERLO PER ADATTARLO ALLE LORO DOTTRINE. LA DIVERGENZA FRA I LORO DOGMI PERVERSI E LA PURISSIMA DOTTRINA DI CRISTO è TALE CHE NON POTREBBE ESSERE MAGGIORE.
    I SOCIALISTI NON CESSANO DI PROCLAMRE CHE TUTTI GLI UOMINI SONO EGUALI FRA LORO PER NATURA...
    AL CONTRARIO, SECONDO LE DOTTRINE DEL VANGELO, L'UGUAGLIANZA DEGLI UOMINI CONSISTE NEL FATTO CHE TUTTI, DOTATI DELLA STESSA NATURA, SONO CHIAMATI ALLA STESSA EMINENTE DIGNITà DI FIGLI DI DIO E CHE AVENDO TUTTI LO STESSO FINE, OGNUNO SARà GIUDICATO DALLA STESSA LEGGE E RICEVERà IL COMPENSO O IL CASTIGO CHE MERITERà.
    TUTTAVIA LA DISUGUAGLIANZA DEI DIRITTI TRA GLI UOMINI PROVIENE DALLO STESSO AUTORE DELLA NATURA, "DAL QUALE OGNI PATERNITà PRENDE NOME, IN CIELO COME IN TERRA" (EF 3, 15)"

  10. #30
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    Predefinito Re: L'Oracolo pontificio: il Magistero dei Papi

    PAPA PIO VI BRASCHI NEL SUO DISCORSO CONTRO L'ILLUMINISMO E LA RIVOLUZIONE AL CONCISTORO DEL 17 GIUGNO 1793, CITANDO LA SUA ENCICLICA "INSCRUTABILE DIVINAE SAPIENTIAE" DEL 25 DICEMBRE 1775, INSEGNò:

    "QUESTI PERFIDISSIMI FILOSOFI OSANO ANCORA DI PIù: DISSOLVONO TUTTI QUEI VINCOLI CON I QUALI GLI UOMINI SI UNISCONO TRA LORO E AI LORO SUPERIORI MANTENENDOSI NEL COMPIMENTO DEL DOVERE.
    E VANNO GRIDANDO E PROCLAMANDO FINO ALLA NAUSEA CHE L'UOMO NASCE LIBERO E NON è SOTTOMESSO ALL'IMPERIO DI NESSUNO E CHE DI CONSEGUENZA LA SOCIETà NON è ALTRO CHE UN INSIEME DI UOMINI STUPIDI, LA CUI IMBECILLITà SI PROSTERNA DAVANTI AI SACERDOTI DAI QUALI VENGONO INGANNATI, E DAVANTI AI RE DAI QUALI VENGONO OPPRESSI; SICCHè LA CONCORDIA TRA SACERDOZIO E IMPERO NON è ALTRO CHE UNA MOSTRUOSA COSPIRAZIONE CONTRO LA LIBERTà DELL'UOMO.
    A QUESTA FALSA ED INGANNEVOLE PAROLA LIBERTà, QUESTI TRACOTANTI PADRONI DEL GENERE UMANO NE AGGANCIARONO UN ALTRA EGUALMENTE FALLACE: L'UGUAGLIANZA."

    PIO VI, PONT. MAX. ACTA, TYPIS S. CONGREG. DE PROPAGANDA FIDE, ROMA, 1871, VOL. II, PP. 26-27

 

 
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