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    Predefinito L'Oracolo pontificio: il Magistero dei Papi

    Papa Clemente XIII Della Torre Rezzonico

    "Christianae Reipublicae"

    1. La salvezza del popolo cristiano, della quale ricevemmo il mandato dal Principe dei Pastori e Vescovo della anime, Ci spinge a prestare attenzione perché la sfacciata e pessima licenziosità dei libri, emersa da segreti nascondigli e giunta a recare grave danno e di notevole ampiezza, non diventi tanto più dannosa quanto più si espande di giorno in giorno. L’esecrabile perversità dell’errore e l’audacia di uomini nemici, che in mezzo al frumento seminano zizzania in gran quantità con lo scritto e con la parola, soprattutto in questi giorni si sono estese a tal punto, che se non poniamo la falce alla radice e non stringiamo in fasci i cattivi germogli per gettarli nel fuoco, poco manca che le spine della malvagità, sviluppatesi, tentino di soffocare la piantagione del Signore degli eserciti celesti. Infatti, certi uomini scellerati convertitisi alle fandonie e non aderenti alla sana dottrina, da ogni parte invadono la rocca di Sion, e per mezzo del pestifero contagio dei libri, dai quali siamo quasi sommersi, vomitano dai loro petti veleno di aspidi a rovina del popolo cristiano; infangano le pure sorgenti della fede; sradicano le fondamenta della Religione. Resisi detestabili nei loro intenti, sedendo fra le insidie, di nascosto lanciano dalla faretra dardi con i quali dolosamente colpiscono i retti di cuore. Cosa vi è di talmente Divino, Santo e consacrato dall’antichissima pietà di tutti i tempi, da cui abbiano tenuto lontano le loro menti empie, e su cui non abbiano esercitato bellicosamente le loro lingue, taglienti come spade? Si lanciarono fin dall’inizio con alterigia contro Dio, e armati di doviziosa menzogna si sono irrobustiti contro l’Onnipotente. Suscitando dalle ceneri le follie degli empi tante volte demolite, non per ottusa incapacità d’ingegno, ma per sola decisione della loro volontà depravata, negano l’esistenza di Dio che parla di sé ovunque e appare ogni giorno davanti agli occhi; oppure descrivono Dio incapace ed ozioso, del quale non onorano la provvidenza e non temono la giustizia.

    2. Con ripugnante licenza di pensiero, assolutamente pazza, sostengono mortale, o per lo meno minorata rispetto agli Angeli, l’origine e la natura dell’anima nostra, creata ad immagine del supremo Fondatore. Nell’universo delle cose create ritengono che non esista nessuna cosa all’infuori della materia, sia che la giudichino creata, sia eterna e non sottoposta a causa alcuna; oppure, costretti ad ammettere la coesistenza dello spirito con la materia, declassano tuttavia l’anima da questa celeste condizione, non volendo ammettere, in questa debolezza nella quale siamo immersi, alcunché di spirituale e d’incorrotto in forza del quale intendiamo, agiamo, vogliamo e con il quale prevediamo anche il futuro, contempliamo il presente e ricordiamo il passato.

    3. Altri invece, benché capiscano molto bene che la debolezza dei ragionamenti umani deve essere ripudiata e che il fumo della sapienza umana deve essere respinto dall’occhio di una Fede illuminata, tuttavia osano giudicare con pesi umani i reconditi Misteri della Fede che superano ogni umana percezione: creatisi giudici della maestà, non temono di venire oppressi dalla gloria. Viene derisa la Fede dei semplici; sono sventrati gli arcani di Dio; le questioni sulle altissime verità sono discusse temerariamente; l’audace ingegno del ricercatore usurpa per sé ogni cosa; tutto indaga, nulla riservando alla fede, della quale nega il valore, mentre cerca la controprova nella ragione umana. Forse non ci si deve sdegnare anche con coloro che, con turpissima oscenità di fatti e di parole, con somma scelleratezza corrompono costumi severi e pudichi, suggeriscono detestabile leggerezza del vivere alle menti inesperte ed arrecano i massimi danni alla pietà? Che di più? Cospargono i loro scritti di una certa ricercata nitidezza e scorrevole fioritura di discorso e civetteria, in modo che quanto più facilmente saranno penetrati negli animi tanto più profondamente li potranno inquinare col veleno dell’errore. Così agli sprovveduti propinano il fiele del drago nel calice di Babilonia: questi, attratti ed accecati dalla soavità del discorso, non avvertono il veleno a causa del quale periscono. Chi infine non sarà colpito da acerbissima tristezza nel vedere che i terribili nemici, dopo aver superato qualsiasi limite di modestia e di rispettoso ossequio, stampando libri offensivi ora in modo aperto, ora in modo ambiguo, si lanciano contro la stessa Sede di Pietro, che il Redentore del forte Giacobbe pose come colonna ferrea e muraglia di bronzo contro i principi delle tenebre? I nemici forse sono spinti dal malvagio pensiero che, una volta stroncato il capo, più facilmente potranno far strage delle membra della Chiesa.

    1. Pertanto, Venerabili Fratelli, che lo Spirito Santo pose quali Vescovi a reggere la Chiesa di Dio ed ammaestrò circa il singolare sacramento dell’umana salvezza, non possiamo, in così grande corruzione di libri, che eccitare, secondo quanto è il Nostro compito, lo zelo della vostra fedeltà, affinché – chiamati a partecipare della cura pastorale – applichiate in questa il vostro maggior sforzo possibile. Si deve lottare accanitamente, come richiede la circostanza stessa, con tutte le forze, al fine di estirpare la mortifera peste dei libri; non potrà infatti essere eliminata la materia dell’errore fino a quando gli elementi facinorosi di pravità non periscano bruciati. Fatti dispensatori dei Misteri di Dio ed armati della sua potenza per distruggere i luoghi fortificati, fate in modo che il gregge a voi affidato, redento dal sangue di Cristo, sia allontanato dai pascoli avvelenati. Se infatti è necessario tenersi lontano dalla compagnia degli uomini perversi, perché le loro parole spingono all’empietà ed il loro discorso si insinua come cancro, quale distruzione opererà la pestilenza di libri che, preparati in maniera acconcia e pieni di astuzia, durano perpetuamente, rimangono sempre con noi, con noi passeggiano, con noi restano in casa e penetrano nelle stanze, dove non è vietato l’ingresso ad alcun cattivo ed occulto autore?

    2. Costituiti Ministri di Cristo fra le genti, per santificare il suo Vangelo, datevi da fare, lavorate e, per quanto è nelle vostre possibilità, con l’opera e con le parole tagliate le radici dell’inganno, ostruite le corrotte fonti dei vizi, suonate la tromba, perché le anime che passano non siano strappate dalla mano del custode. Lavorate in virtù del posto che avete, in virtù della dignità di cui siete insigniti, in forza della potestà che avete ricevuto dal Signore. Inoltre, poiché nessuno può e deve essere segregato dal partecipare a simile tristezza e, in così grande pericolo di fede e di religione, unica e comune è la motivazione di angustiarsi e di portare aiuto, dove sia il caso implorate l’avita pietà dei Principi cattolici; esponete la causa della Chiesa che geme, e spingete i suoi amorosi figli, per tanti motivi sempre egregiamente benemeriti verso di lei, a portare aiuto; e siccome non senza motivo portano la spada, dopo aver congiunte l’autorità del Sacerdozio e quella dell’Impero, frenino e distruggano energicamente gli uomini malvagi che combattono contro le falangi d’Israele. Conviene soprattutto, Venerabili Fratelli, che rimaniate fermi come muro, perché non sia posto fondamento diverso da quello costituito, e difendiate il santissimo deposito della Fede, a custodia della quale dedicaste con giuramento voi stessi durante la solenne iniziazione. Siano fatte conoscere al popolo fedele le volpi che demoliscono la vigna del Signore; si avvisi il popolo in modo che non si lasci trascinare dai nomi splendidi di certi autori, perché non sia abbindolato dalla cattiveria e dall’astuzia degli uomini verso l’inganno dell’errore; in una parola, detesti i libri nei quali si trovi qualcosa che offenda il lettore, o contrasti con la Fede, la Religione, i buoni costumi e non rispecchi l’onestà cristiana. In questo veramente ci congratuliamo gioiosamente con molti di voi che, aderendo alle istituzioni Apostoliche, quali valorosi vindici delle leggi ecclesiastiche, forti e vigilanti posero ogni zelo per allontanare tale peste, impedendo che gl’ingenui dormissero con i serpenti.

    3. Certamente Noi, che abbiamo la cura di tutte le Chiese e della salvezza del popolo cristiano, non risparmiandoci fatica alcuna, Ci ripromettiamo in così grande pericolo di essere aiutati da voi. Frattanto, nell’umiltà del Nostro cuore non cesseremo d’invocare Dio perché aiuti voi dal suo santuario ad evitare l’astuzia degli uomini insidiosi, e perché possiate adempiere tutte le mansioni del vostro ministero.

    In auspicio di tale desiderato evento, molto volentieri impartiamo a voi ed al vostro gregge l’Apostolica Benedizione.

    Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, il 25 novembre 1766, nell’anno nono del Nostro Pontificato.

    Fonte: www.intratext.com


  2. #2
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    Predefinito Riferimento: L'Oracolo pontificio: il Magistero dei Papi

    Clemente XIII Della Torre Rezzonico

    "Summa quae"

    1. L’altissimo dovere che incombe su di Noi di provvedere a tutto il gregge cristiano e di aiutare il governo dei Nostri Fratelli che ne amministrano le varie parti, Ci invita ad istruire, esortare o ammonire gli stessi, secondo i diversi tempi della Chiesa. Abbiamo certamente adempiuto spesso con voi, Venerabili Fratelli, i doveri di tale Nostro apostolato, soprattutto da quando abbiamo previsto nell’animo quei pericoli che già prima sentivamo esistenti con il proposito di danneggiare la Religione di codesto Regno; per conservarla ben protetta e difesa, sono state compiute egregie iniziative dalla vostra gente. Tuttavia quella calamità che temevano è già venuta ed è giunta anche più grave di quanto fosse nella Nostra previsione; per questa ragione ora siamo mossi da zelo più forte verso codesta Nazione. L’ardore di cui Ci infiammiamo particolarmente per la salvezza di Voi, che siete guide degli altri, richiede adesso voce più robusta e più veemente, affinché siano suscitati nelle vostre anime quei moti della grazia celeste, la quale avete ricevuta infusa da Dio all’inizio dell’Episcopato, poiché certamente questo è il tempo nel quale il supremo Padre della famiglia aspetta e chiede insistentemente da Voi i dovuti e necessari frutti dei suoi doni.

    2. Abbiamo percepito con incredibile dolore il fatto che in codesto Regno si fanno patti, la perversità dei quali consiste nel comporre la verità con l’errore, lo splendore della luce con lo squallore e le tenebre. La composizione di queste cose totalmente opposte spinge facilmente alla rovina il popolo fedele, e introduce nel luogo santo l’abominio della desolazione!

    Veramente l’angoscia del nostro cuore giungerebbe al massimo se in questa confusione divenissero mute le voci dei Vescovi, se non vedessimo nessuno di loro pronto a richiamare gli spiriti dei popoli dal contagio e a confermarli nella verità della dottrina; e soprattutto se qualcuno, o per paura, o perché indotto dalla malvagia volontà di piacere più agli uomini che a Dio, volgesse la dignità e l’autorità che a tutti Voi sono state affidate per la difesa e l’ornamento della Chiesa, nell’oppressione di essa. Ma in nessun modo Ci lasceremo convincere che possa mai succedere che sulle labbra una volta consacrate alla predicazione della parola divina vengano a mancare la forza e la virtù per respingere la menzogna, mentre nello stesso tempio di Dio osa chiedere per sé un seggio ed un trionfo; che le mani, nobilitate dal contatto con il corpo di Cristo, possano essere usate per scrivere a sostegno dell’impudenza e della dissolutezza dell’errore; infine che le orecchie, abituate solamente alle dolcissime voci della Chiesa, debbano ascoltare le frodi e le insidie di Satana. Nondimeno vediamo che le distruzioni compiute dall’avversario del genere umano avanzano in misura tanto rilevante, che non c’è quasi nulla che non si debba temere. Voglia il cielo che alcuni non si lascino catturare talmente dall’errore e dagli inganni, al punto che, vedendosi incapaci a domare l’impeto dal quale sono oppressi, perciò si considerino liberi dalle leggi del dovere pastorale: e, rigettato l’ufficio imposto loro dalla Chiesa stessa, e conservato l’altro di magistrato e di governo, essi stessi favoriscano i danni che vengono loro inferti, come se queste parti gemelle dei compiti possano essere separate e divise, né debbano assolutamente pensare che quella sia da preferire a questa.

    3. Perciò nel nome di Dio onnipotente, del quale, anche se indegni, portiamo la vicaria autorità, Vi dichiariamo che chi si lascia condurre verso questo inganno e questo errore è completamente cieco, ed offre sé come guida ai ciechi, e non può essere scusato da nessun pretesto fra quelli addotti, e a causa della stessa ignoranza del compito episcopale sarà condannato da Dio, come dice Osea: "Poiché hai rigettato la scienza, ti respingerò da me, in modo che tu non sia mio sacerdote: hai dimenticato la legge del tuo Dio; anch’io mi dimenticherò dei tuoi figli" (Os 4,6.10). Perciò, Venerabili Fratelli, nessuna ragione né di ignoranza, né di errore, né di paura, né di cose umane, Vi allontani del seguire diligentemente l’ufficio episcopale. Sebbene le forze e le milizie di questo secolo portino danno al potere della Chiesa, tuttavia tutte le opere ed i consigli dei sacri Pastori devono essere unicamente diretti in conformità della norma prescritta dai comandi evangelici, dalla tradizione e dalla disciplina Ecclesiastica.

    4. Sappiano perciò che la più importante parte del loro ministero è che essi stessi si mettano innanzi fermamente, come un muro per la casa di Israele, contro l’impeto di tutti gli avversari. Dovranno considerarsi disertori dal gregge della Chiesa di Dio, se asseconderanno le frodi dei nemici o in qualche modo connivendo o tollerando favoriranno le loro macchinazioni. Persistano pure le più grandi calamità e l’esilio; vengano appresso le privazioni degli onori, dei beni e della vita stessa. Sopportino con pazienza, purché le stesse mani sacerdotali non siano macchiate dal consenso alla malvagità altrui, o per colpa loro diminuisca l’integrità della Religione o si contamini lo stesso Santuario. Certamente dovrà essere considerato più beato colui che possa, in questa costanza di comportamento, commutare la breve e passeggera condizione di questa vita con l’infinita ed eterna ricompensa; sia ritenuto degno di ricevere quella immarcescibile corona che riteniamo sia stata preparata dall’ottimo Principe dei Pastori per coloro che offrono la propria vita per le pecore affidate alle loro cure.

    Venerabili Fratelli, avevamo queste cose di gravissima materia sulle quali ammonirvi per l’indispensabile salvezza vostra e del vostro gregge.

    Il nostro Signore Gesù Cristo, con l’aiuto della sua grazia, confermi e rinforzi in Voi sentimenti che siano coerenti con la Vostra vocazione e portino a Voi una pari alacrità e grandezza d’animo per compierla.

    Mentre imploriamo per Voi l’abbondanza dei doni divini, Vi impartiamo con amore, in auspicio dei medesimi, la Benedizione Apostolica.

    Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, sotto l’anello del Pescatore, il 6 gennaio 1768, nell’anno decimo del Nostro Pontificato.


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    Predefinito Riferimento: L'Oracolo pontificio: il Magistero dei Papi

    Papa Pio VI Braschi

    "Super soliditate"

    1. Che sopra la solidità della pietra sia stata fondata da Cristo la Chiesa, e che Pietro, per singolare dono di Cristo, sia stato a preferenza di tutti gli altri eletto ad essere Principe del Coro Apostolico con potestà di fare le sue veci, e che in conseguenza prendesse la cura e l’autorità suprema di pascere tutto il gregge, di confermare i fratelli e di sciogliere e legare per tutto il mondo, è un dogma cattolico che, ricevuto dalla bocca di Cristo, insegnato e difeso con la continua predicazione dei Padri, è stato ritenuto santissimamente in ogni età dalla Chiesa universale, e sovente confermato contro gli errori dei novatori con i decreti dei Sommi Pontefici e dei Concilii.

    In questo Principato della Cattedra Apostolica, Cristo colle che si tenesse fermo e stretto il vincolo dell’unità, in modo che la Chiesa, che si doveva propagare per tutto il mondo, risultasse unita da componenti, per quanto si voglia distanti fra loro, con una mutua consociazione di tutti in un solo capo, e in seguito avvenisse che la forza di questa potestà valesse non solo per l’ampiezza della prima Sede, ma soprattutto per l’integrità e la salvezza di tutto il corpo. Perciò non è da meravigliarsi se coloro che in tutti i secoli passati, quando l’antico nemico del genere umano riversò il suo odio contro la Chiesa, si scagliarono prima di tutto contro questa Sede, nella quale si contiene la saldezza dell’unità, affinché, disintegrato – se possibile – il fondamento, e distrutto il collegamento delle Chiese con il Capo, sul quale soprattutto esse si sostengono, vigoreggiano e fioriscono, spogliassero la stessa Chiesa, miseramente afflitta e lacerata per le forze infrante, di quella libertà che Cristo le ha donato, e l’assoggettassero ad un’indegna schiavitù.

    2. Pochi anni fa un uomo di vivo ingegno, già troppo noto per opuscoli condannati da tempo, Eybel, diede una nuova testimonianza del suo animo aggressivo contro Noi e questa Sede Apostolica: avendo avuto notizia del viaggio intrapreso da Noi per motivi religiosi, si affrettò a diffondere fra i compatrioti un libello con questo inverecondo titolo: Che cos’è il papa? Con esso intendeva ridurre quell’impegno ricco di pietà che l’arrivo di Noi aveva creato, e rendere il decoro della dignità pontificia odioso all’ordine sacerdotale, e spregevole al ceto popolare. Ma il misericordioso Iddio non consentì che egli realizzasse il suo spregevole voto, poiché fummo accolti con tanta solennità e partecipazione dei suoi connazionali, che egli aveva tentato di alienare da Noi, e con tanta considerazione e con tanti applausi di tutte le categorie che si rese manifesto che – quantunque senza alcun merito Nostro siamo stati innalzati per volontà della divina provvidenza al seggio di Pietro – tuttavia per divina decisione dello stesso Signore era stato provveduto a che l’indegnità del successore non pregiudicasse l’onore che è dovuto a Pietro.

    3. Allora però ritenemmo opportuno astenerci dal censurare quel libello con la meritata condanna, innanzi tutto per non sembrare ai più sospettosi, che non mancano mai, di avere piuttosto accondisceso al Nostro dolore che soddisfatto al dovere; in secondo luogo perché si poteva ritenere che tale opuscolo sarebbe presto caduto nell’oblio in quanto, per se stesso, era di nessun valore e nulla aggiungeva al di là di una certa, più che sfrontata, licenza nel ritessere le antiche calunnie. Però recentemente abbiamo appreso che taluni nemici – sempre pronti a seminare abbondante zizzania – si impegnavano a che l’opera, di modesta consistenza, venisse ristampata ripetutamente non soltanto nella lingua originale, ma tradotta in diverse altre, persino nel greco volgare, e diffusa largamente. Essi erano animati dal proposito e dalla speranza che la licenza del ridicolo scritto allettasse non pochi a leggerlo, e che l’audacia dello scrittore nelle proprie affermazioni potesse ingannare gl’incauti, che non sono pochi. Ci rendemmo conto che da parte Nostra non si doveva frapporre alcun indugio al fine di contrastare, per quanto è in Noi, al male che va di giorno in giorno crescendo; Ci dovevamo sforzare con ogni impegno e con ogni mezzo affinché fossero richiamati a più sani propositi coloro che cercano (voglia Dio che non siano nemici domestici) di colpire la pace e l’unità della Chiesa, in modo che i buoni fedeli, irretiti dalle falsità di costoro, non vengano miseramente allontanati dalla sicurezza della Fede Ortodossa verso le profane novità degli errori insorgenti.

    4. Certamente, come insegna Agostino, mentre Dio pose la dottrina della verità nella cattedra dell’unità, al contrario codesto infelice scrittore nulla trascura per tormentare e contrastare in tutti i modi questa Sede di Pietro, nella quale i Padri, con unanime consenso, onorarono quella Cattedra "nella quale, unica si deve conservare l’unità da parte di tutti; dalla quale derivano in tutte le altre i diritti della veneranda comunione; alla quale ogni Chiesa e tutti i fedeli, ovunque si trovino, devono unirsi". Quell’infelice non ha avuto timore di chiamare fanatica la folla che, come prevedeva, alla vista del Pontefice sarebbe esplosa in queste espressioni: Egli è l’uomo che ha ricevuto da Dio le chiavi del regno dei cieli, con il potere di legare e di sciogliere; nessun altro vescovo può essere a lui eguagliato; gli stessi vescovi ricevono da lui la loro autorità, nello stesso modo in cui egli ricevette da Dio la propria, suprema, di essere il vicario di Cristo, il capo della Chiesa visibile, il giudice supremo dei fedeli.

    Dunque, orribile a dirsi, sarebbe stata fanatica la stessa voce di Cristo che promette a Pietro le chiavi del regno dei cieli con il potere di legare e di sciogliere: quelle chiavi da trasmettere ad altri e che, dopo Tertulliano, Ottato di Milevi non esitò ad affermare che erano state ricevuto solo da Pietro?

    Fanatici dovranno qualificarsi tanti solenni decreti, tante volte ripetuti, dei Pontefici e dei Concilii, con i quali sono stati condannati coloro che negavano che a successore del beato Pietro, Principe degli Apostoli, era stato costituito da Dio il Romano Pontefice, capo visibile della Chiesa e vicario di Gesù Cristo; che a lui era stata affidata la piena potestà di governare la Chiesa e che a lui è dovuta la vera obbedienza di coloro che si ritengono cristiani; e che tale è il valore del primato di cui egli dispone per diritto divino, che egli sovrasta gli altri vescovi non soltanto per grado onorifico ma anche per l’ampiezza del suo supremo potere?

    Pertanto è maggiormente deplorevole la precipitosa e cieca temerarietà di quest’uomo, il quale si è impegnato a riproporre con il suo infausto libello gli errori condannati da tanti decreti, e che ha detto ed insinuato qua e là, attraverso molte tortuosità, che: qualsiasi vescovo chiamato da Dio al governo della Chiesa non è inferiore al Papa e non è fornito di minore potere; Cristo, per se stesso, diede a tutti gli Apostoli la medesima potestà; alcuni credono che possano essere ottenute e concesse soltanto dal Pontefice talune cose che nello stesso modo, sia in materia di consacrazione, sia di giurisdizione ecclesiastica, possono essere ottenute da qualsiasi vescovo; Cristo avrebbe voluto che la Chiesa fosse amministrata come una repubblica e che a tale regime occorresse un presidente per il bene dell’unità, ma che questi non osi intervenire negli affari degli altri che contemporaneamente governano; tuttavia abbia il diritto di esortare i negligenti a compiere i propri doveri; la forza del primato sia contenuta nella sola prerogativa di supplire alla negligenza altrui e nel provvedere alla conservazione dell’unità con le esortazioni e con l’esempio; i pontefici nulla possono nelle altre diocesi se non in qualche caso straordinario; il pontefice è un capo che riceve la sua forza e la fermezza dalla Chiesa; i pontefici si sono fatti lecito violare i diritti dei vescovi, riservando a sé le assoluzioni, le dispense, le decisioni, gli appelli, i conferimenti dei benefici, in una parola: tutte le incombenze che ad una ad una va enumerando, presentandole come riserve indebite e ingiuriose per i vescovi.

    5. Allo scopo non tanto di assicurare credibilità alle proprie affermazioni, quanto piuttosto di trafugarla in qualche modo, egli presenta in una lunga serie i nomi di santissimi Padri, dei quali, con notevole inganno, usa arbitrariamente le sentenze malamente carpite qua e là; fra le citazioni, ne raccoglie due che suonano a valorizzazione della dignità episcopale, e passa sotto silenzio altre con le quali i Padri esaltarono la pertinente superiorità del potere pontificio.

    Se i Padri fossero presenti, rigetterebbero l’impudente calunnia di quest’uomo con quelle parole con le quali non solo predicarono il primato della Sede Apostolica e il loro ossequio nei suoi confronti, ma lasciarono testimonianza con scritti immortali a futura memoria. Lo stesso Cipriano, del quale sono queste parole: "Dio è uno solo, Cristo uno solo, la Chiesa una sola, e la Cattedra una sola fondata sopra Pietro con la parola del Signore", dichiara apertamente che la Cattedra di Pietro è la Chiesa principale, dalla quale ha avuto origine l’unità sacerdotale, nella quale la perfidia non può avere accesso.

    6. Crisostomo apertamente dichiara che Pietro per proprio diritto poté eleggere il successore in luogo del traditore. Di tale diritto, derivato dal primato, lo stesso Pietro e i primi successori di Pietro si servirono quando fondarono Chiese per tutto l’occidente, ed a queste, prima di qualsiasi sinodo, misero a capo dei vescovi, ai quali assegnarono il gregge da curare; a precise regioni designarono una sola Sede, il vescovo della quale presiedesse anche ad altre con autorità apostolica. Dell’istituzione di tali Chiese Innocenzo I fornisce un’amplissima testimonianza, della quale ciascuno può valersi per comprendere che l’autorità pontificia non comparve a seguito della disciplina stabilita in precedenza dai sinodi, ma brillò prima della disciplina fissata dai decreti sinodali. È pure noto che lo stesso Pontefice ordinò con propr" decreti la Chiesa Antiochena, capo della diocesi orientale.

    7. Epifanio attesta che Ursacio e Valente, indotti a penitenza, portarono al papa Giulio Romano gli opuscoli con i quali supplicavano perdono per il proprio errore e chiedevano di essere ammessi alla comunione e alla penitenza.

    8. Girolamo, per il quale era profano chiunque non fosse in comunione con la Cattedra di Pietro – pietra sulla quale egli ben sapeva che era stata edificata la Chiesa – in occasione di dispute molto importanti chiedeva soltanto a Damaso che gli fosse concessa l’autorità di parlare e di comunicare.

    9. Agostino attesta d’aver appreso dalle sante scritture che il primato degli Apostoli s’innalza in Pietro per una grazia straordinaria; quel principato dell’apostolato è da anteporre a qualunque episcopato; la Chiesa Romana, sede di Pietro, è essa stessa pietra che le superbe porte degl’inferi non possono vincere. Con ciò viene confutata un’altra calunnia dello scrittore, secondo il quale con il nome di pietra sulla quale Cristo edificò la sua Chiesa non si deve intendere la persona, ma piuttosto la fede o la confessione di Pietro, come se quei Padri – utilizzando la mirabile fecondità della Scrittura – avessero attribuito il vocabolo della pietra a ciò; avessero abbandonato il senso letterale con il quale ci si riferisce direttamente a Pietro e non l’avessero esplicitamente mantenuto.

    Così anche Ambrogio, maestro di Agostino: "È a Pietro che egli disse: "Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa"; pertanto dove è Pietro, ivi è la Chiesa". Questa è la voce unanime dei Padri, questa è la consolidata tradizione dei dottori; Bernardo la raccolse dai maggiori e la riassunse con le seguenti poche parole parlando ad Eugenio: "Tu sei colui al quale sono state consegnate le chiavi, colui al quale sono state affidate le pecore... Ad altri sono stati affidati dei greggi, un gregge ad ognuno: a te sono stati affidati tutti; un unico gregge ed uno solo. Tu non sei soltanto il pastore delle pecore, ma anche l’unico pastore di tutti i pastori". Con il latte di questa dottrina sono stati nutriti quanti crebbero nella Chiesa di Cristo; se vorranno ricordarsene, di esso sono stati imbevuti fin dall’adolescenza coloro che ora si lasciano trasportare in giro da ogni vento dottrinale. Sempre dal Vangelo fu reso noto che a Pietro furono affidate da Cristo le pecore da pascere, non già alle pecore Pietro da pascere.

    10. In verità, non è mai accaduto che i sinodi ecumenici si siano distaccati dalla tradizione dei Padri. I Padri Calcedonesi si disposero ad ascoltare Pietro che parlava per bocca di Leone; né ritennero che la saldezza delle loro azioni potesse derivare, con l’implorata conferma, da qualunque vescovo, ma da Leone in quanto capo.

    11. L’ottavo sinodo generale come prima azione approvò un memoriale esaminato attentamente, ossia una norma con la quale, dopo molte ragguardevoli cose relative all’autorità del Romano Pontefice, veniva prescritto che "fossero separati dalla comunione della Chiesa cattolica i non consenzienti con la Sede apostolica e che i loro nomi non si dovessero leggere durante i sacri Misteri". Inoltre, rimanendo da decidere su alcune dispense che l’interesse della Chiesa grandemente richiedeva, i Padri non osarono attribuirsi la facoltà di concedere tale licenza: in verità ritennero che questa dovesse essere implorata dalla Sede apostolica tramite il patriarca Ignazio; riconobbero in tal modo che nemmeno gli stessi patriarchi hanno il potere di dispensare dai canoni.

    12. Il gran Sinodo Lateranense quarto, cap. 5, insegna che la Chiesa Romana, per disposizione del Signore, ha il principato della potestà ordinaria su tutte le altre, come madre e maestra di tutti i Cristiani.

    13. Nel secondo Sinodo di Lione fu pubblicata la professione di fede dei Greci, con la quale essi attestano di riconoscere che la Chiesa Romana ha il sommo e pieno primato e principato su tutta la Chiesa cattolica; essa li ricevette con pienezza di potere conferito dallo stesso Signore al beato Pietro, principe degli Apostoli e supremo vertice, del quale il Pontefice Romano è successore. Il Sinodo Fiorentino , seguendo precedenti Sinodi, sancì poi con un celebre decreto il dogma cattolico del primato.

    14. Ispirati dal medesimo spirito Divino, i Padri del Concilio Tridentino dichiararono che "i Pontefici massimi, in forza della suprema potestà conferita loro sulla Chiesa universale, poterono riservare al proprio particolare giudizio alcune più gravi cause criminali" (Conc. Trid., sessione XIV, cap. 7). Conseguentemente, tale potestà, che si diffonde su tutte le Chiese e per altri simili uffici – e che l’autore del libello si sforza malamente di respingere – appartiene parimenti ai Pontefici, non acquisita in altro modo né conferita dagli inferiori, ma connessa al primato per diritto ordinario: a ciò deve rimettersi colui che non dubita che la celeste sapienza dei Sinodi è da anteporre di gran lunga alle dispute dell’umana ignoranza.

    15. Eybel si richiama al Concilio di Costanza . Ma era necessario che egli si ricordasse che in esso furono condannati sia gli errori di Wicleff, che affermava non essere necessario alla salvezza credere che la Chiesa Romana è la più alta fra le altre Chiese e che il Papa è il prossimo ed immediato vicario di Cristo, sia gli errori di Giovanni Huss secondo il quale Pietro non è né fu il capo della santa Chiesa Cattolica. Opponendo a tali errori una serie di parole assennate, Martino V prescrisse che si interrogassero coloro che erano sospettati: se credevano che il beato Pietro è il vicario di Cristo ed è dotato del potere di legare e di sciogliere sulla terra. Parimenti, che il Papa canonicamente eletto è il successore del beato Pietro ed ha la suprema autorità nella Chiesa di Dio. Parimenti, che il Papa può concedere indulgenza a tutti i Cristiani e altresì i singoli vescovi ai propri sottoposti secondo i limiti dei sacri canoni. Con ciò viene chiaramente confutato l’errore di costui il quale, dissertando sconsideratamente di indulgenze, ha osato scrivere che qualsiasi vescovo, nello stesso modo del Papa, può concedere le indulgenze. Chiunque vorrà considerare con maggiore attenzione, con animo equilibrato e sereno, i documenti dei Padri e dei Sinodi, avvertirà certamente che essi prevedono un’autorità di gran lunga più eminente di quella contenuta nei limiti di un mero direttorio – come dicono – dotato del compito di esortare, ammonire, riparare.

    16. Anzi, gli stessi Basileesi nella risposta sinodale al vescovo di Taranto dichiarano apertamente che essi confessano e credono che il Romano Pontefice è capo e primate della Chiesa, vicario di Cristo e scelto da Cristo, non dagli uomini o da altri Sinodi, quale pastore dei Cristiani: a lui sono state date le chiavi dal Signore; a lui solo è stato detto "Tu sei Pietro"; egli soltanto è stato chiamato alla pienezza del potere; altri furono chiamati a partecipare del dovere. Pertanto egli dovrebbe vergognarsi della propria audacia impotente, con la quale s’appresta a colpire quella pienezza di potere che i Basileesi espongono fra i fondamenti della dottrina, tanto noti e divulgati che non sarebbe necessario enumerarli.

    Per la verità, quanto sopra riferito è stato detto da Agostino: nella Sede Romana è sempre stato in pieno vigore il primato della Cattedra apostolica, e questo primato dell’apostolato è da anteporre a qualsiasi episcopato, come si vede – con molti altri – dallo straordinario segno in forza del quale il successore di Pietro, per il fatto che succede al posto di Pietro, trova assegnato a se stesso, per diritto divino, il gregge universale di Cristo, e contemporaneamente all’episcopato, riceve il potere del governo universale. In seguito, è necessario che agli altri vescovi sia assegnata la propria peculiare parte di gregge, non per diritto divino, ma per diritto ecclesiastico, non per bocca di Cristo, ma attraverso l’ordinazione gerarchica, in modo che attraverso questa ciascuno possa esplicare l’ordinaria potestà di governo. Chiunque vorrà togliere al Romano Pontefice la suprema autorità di tale assegnazione, necessariamente colpirà in tutto il mondo la legittima successione dei vescovi, i quali governano le Chiese fondate integralmente dall’autorità apostolica: essi ricevettero dal Romano Pontefice la missione di governarle, siano queste separate da altre o siano vicendevolmente unite. Pertanto, non si può attentare a questo mirabile consorzio di potenza attribuito alla Cattedra di Pietro per divina degnazione, senza recare grave turbamento alla Chiesa e senza pericolo dello stesso governo episcopale, così come fu detto da Leone Magno, cioè che Pietro governa esattamente coloro che anche Cristo fondamentalmente governa. E se Cristo volle che qualcosa di comune ci fosse fra Pietro e gli altri Principi, giammai diede alcunché agli altri se non per mezzo di lui.

    17. loda i presuli e i dottori Gallicani, del tutto inutilmente. Pensa dunque che da essi possano derivare sostenitori per lui? Forse i più antichi, o coloro che nel medio evo o in tempi più recenti risplendettero in quella illustre Chiesa con lodi di pietà o di dottrina? Ma fra quei vecchi, per ricordarne alcuni fra molti, non gli rincresca di ascoltare un Cesario Arelatense, un Avito Viennese, il primo dei quali s’indirizza al papa Simmaco con un supplichevole scritto: "Come l’episcopato ebbe inizio dalla persona del beato Pietro, così è necessario che la Vostra Santità esponga con chiarezza alle singole Chiese che cosa debbono osservare".

    Avito poi ad Ormisda: "Chiediamo che mi istruiate come debbo rispondere ai vostri figli e miei fratelli, cioè ai Galli, se mi consultano, perché io, già sicuro, non dica soltanto della devozione dei Viennesi ma di tutta la Gallia, e possa promettere che tutti accetteranno la vostra sentenza sullo stato della fede".

    I Padri Aureliani ripetono che le modalità canoniche da osservare per l’elezione dei metropolitani sono fissate dai decreti della Sede apostolica.

    18. Ascolti dal medio evo Incmaro da Reims quando attesta che egli è sempre stato fedele e soggetto in tutte le cose alla Sede apostolica, madre e maestra di tutte le Chiese, e ai suoi reggitori: con ciò stesso volle si vedesse quanto si deve alla Sede apostolica e dichiara apertamente quanto egli senta che questo è dovuto.

    Ascolti anche Ivone Carnotense che severamente condanna l’ardire di coloro che alzano il capo contro la Sede apostolica: "Opporsi ai suoi giudizi e alle sue costituzioni significa chiaramente incorrere in una manifestazione di perversità eretica; ad essa principalmente e fondamentalmente compete confermare o riprovare la consacrazione tanto dei metropolitani quanto degli altri vescovi, correggere le costituzioni e i giudizi altrui, mantenere salde le proprie decisioni e non permettere che nessun inferiore le rimaneggi o corregga". Ciò egli prova anche con l’autorità di Gelasio.

    19. Se da quell’antichità procediamo verso tempi più vicini, non dovrebbero essergli sconosciute le gravissime censure contro il famoso apostata Spalatese emesse dall’insigne facoltà teologica di Parigi: in esse avrebbe potuto agevolmente ravvisare la condanna anticipata del suo libello.

    Questi furono gli errori dello Spalatese ai quali la facoltà non dubitò doversi imprimere il marchio della pravità eretica e scismatica. "La disparità di potere fra gli apostoli è un’invenzione umana, che non figura minimamente nei sacri vangeli e nelle divine scritture del nuovo testamento". (Dichiara tale affermazione eretica e scismatica secondo la giurisdizione apostolica ordinaria che sussisteva solo in San Pietro). "Nella Chiesa non si può ammettere un solo capo supremo e monarca all’infuori di Cristo. Tutti i vescovi insieme, solidalmente, e i singoli governano la medesima Chiesa con piena potestà. La Chiesa Romana è stata ed è la principale per nobiltà, stima, fama ed autorevole dignità, non per primato di governo e di giurisdizione". (Dichiara eretica e scismatica tale affermazione, in quanto insinua apertamente che la Chiesa Romana non ha potere sulle altre Chiese per diritto divino). "Ogni vescovo per diritto divino è universale. La forma monarchica non fu immediatamente istituita nella Chiesa da Cristo; è falso che l’unione della Chiesa cattolica consiste nell’unità di un reggitore visibile". Poiché lo Spalatese aveva soggiunto che la dottrina dei Parigini, correttamente intesa, per nulla differiva dalla sua, essi subito respinsero l’urtante calunnia "come una chiara impostura contro la facoltà di Parigi".

    20. Un’egregia testimonianza, in linea con la suddetta sentenza dei dottori Parigini e con la costante tradizione dei propr" maggiori a proposito del primato del Romano Pontefice, resero i Prelati Gallicani nelle assemblee del 1681. Essi dicono: "Egli è il capo della Chiesa, il centro dell’unità; egli ha sopra di noi il primato dell’autorità e della giurisdizione, a lui conferito da Gesù Cristo nella persona di San Pietro; chi dissentisse da questa verità, sarebbe scismatico, anzi persino eretico".

    21. Certamente, all’autore del libello non furono affatto ignoti i luminosi documenti sul Romano Pontefice ricavati da ogni memoria dell’antichità. Pertanto si manifesta maggiormente ostinato il suo accanimento contro la Sede Romana: non potendo oscurare e distruggere le splendide testimonianze dei Padri, con somma impudenza non si peritò di spacciarle per allegorie malamente intese; conseguentemente, in parte avvenne che per una lunga serie di secoli si credette che il Papa sia quello che non è, come se i santissimi Padri, che Dio diede alla sua Chiesa quali pastori e dottori in una materia di gravissima importanza che per comune consenso appartiene alla costituzione della Chiesa, o avrebbero errato essi stessi o avrebbero dato ai fedeli motivo di errare. Piuttosto è tenuto a convincersi del nefando errore colui che stabilisce che sul Romano Pontefice si deve credere diversamente da come si è creduto per una continua successione di secoli.

    22. Seguendo in eguali cause gli esempi dei Nostri predecessori, abbiamo ritenuto opportuno esporre queste cose un po’ più diffusamente, come richiede la ragione del Nostro dovere, cercando non i Nostri vantaggi, ma quelli delle anime, tenendoci impegnati a conservare l’unità nel vincolo della pace, intenti a far sì che – svelate le frodi di coloro che abusano del nome dei Padri per sconvolgerne le sentenze – tutti capiscano che agli stessi antichi Padri nulla stette più a cuore che da parte di tutti si conservasse l’unità in quella Cattedra che da Cristo è stata costituita madre e maestra di tutte le altre.

    23. Per certo un solo ovile è la Chiesa di Cristo, della quale l’unico supremo pastore è lo stesso Cristo che regna nei cieli; Egli lasciò sulla terra un solo supremo vicario, pastore visibile, nella cui voce le pecore udissero la voce di Cristo, affinché, sedotte da voci straniere, non si disperdessero in pascoli avvelenati e mortiferi.

    Pertanto, affinché i fedeli affidati alla Nostra cura possano con maggior cautela evitare le cose profane e i vaniloqui che servono all’empietà, e possano restare costantemente legati a questa Cattedra d’unità, nella quale Pietro tuttora vive come in una propria Sede, e presiede e assicura la verità della fede a coloro che la cercano, e affinché non consentano di essere attirati in questa frode, pensando che sia stato estorto per ambizione, affidato per ignoranza o adulazione, o procacciato con male arti ciò che è stato stabilito per ordine di Cristo. Noi abbiamo disposto che il citato opuscolo, tradotto dalla lingua germanica in quella latina, venisse sottoposto all’esame di molti maestri in sacra teologia; in possesso delle loro consultazioni, uditi i voti dei Venerabili Nostri Fratelli, i Cardinali di Santa Romana Chiesa inquisitori generali in tutta la repubblica cristiana contro la pravità eretica espressi alla Nostra presenza, motu proprio e per certa scienza, con la pienezza della potestà apostolica riproviamo e condanniamo il predetto libello il cui titolo latino è "Quid est papa? Con dispensa della Cesarea commissione regale delle censure dall’apposizione del nome dell’autore. Vienna, presso Giuseppe Edlen de Kurzbeck, 1782", e in Greco un titolo equivalente, in quanto contiene proposizioni rispettivamente false, scandalose, temerarie, ingiuriose, inducenti allo scisma, erronee, inducenti all’eresia, eretiche ed altre già condannate dalla Chiesa; vogliamo e decretiamo che tale libello sia riprovato e condannato per sempre.

    24. Concediamo inoltre che nessun fedele di Cristo, di qualunque grado e dignità, ancorché degno di specialissima menzione, osi o presuma leggere o trattenere il predetto libello già stampato o manoscritto, sia nel suo testo originale, sia in qualunque altra versione, oppure osi ristamparlo o farlo stampare, sotto pena di sospensione a Divinis se si tratta di persone ecclesiastiche, e sotto pena di scomunica maggiore se si tratta di persone secolari: pene da incorrersi ipso facto senz’altra dichiarazione. Riserviamo a Noi e ai Pontefici Romani Nostri successori l’assoluzione e la remissione di tali pene, eccettuato soltanto – quanto alla scomunica predetta – che qualsiasi confessore possa assolvere da tale censura in articulo mortis.

    25. Ordiniamo inoltre ai librai, ai tipografi, a tutti e ai singoli di qualunque grado, condizione e dignità, alle persone ecclesiastiche e ai secolari, anche se hanno bisogno di speciale e personale menzione, che se mai il predetto libello, stampato nella lingua originale o in qualunque lingua, o anche manoscritto, capitasse nelle loro mani, immediatamente lo portino agli Ordinari dei luoghi, sotto le medesime pene rispettivamente comminate di sospensione a Divinis e di scomunica.

    26. Affinché poi la presente lettera venga più facilmente a conoscenza di tutti, né qualcuno possa addurre a pretesto che non la conosce, vogliamo e comandiamo che, come al solito, per mezzo di qualche Nostro cursore sia pubblicata alle porte della basilica del Principe degli Apostoli, della cancelleria apostolica, della curia generale in Montecitorio e nella piazza del campo di Flora di Roma, e che le copie vi rimangano affisse. Così pubblicata, s’intende che obbliga tutti e i singoli interessati, come se fosse stata personalmente notificata e intimata. Ai transunti della presente lettera, cioè alle copie, anche stampate, sottoscritte di mano di qualche pubblico notaio e munite del sigillo di persona costituita in dignità ecclesiastica si presti la medesima fede – tanto in giudizio quanto altrove, in qualsivoglia luogo – che si presterebbe alla presente se fosse esibita e mostrata.

    Dato a Roma, presso San Pietro, sotto l’anello del Pescatore, il 28 novembre 1786, dodicesimo anno del Nostro Pontificato.



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    Predefinito Riferimento: L'Oracolo pontificio: il Magistero dei Papi

    ENCICLICA
    «RESPICIENTES EA OMNIA»

    LETTERA ENCICLICA
    AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI
    PRIMATI ARCIVESCOVI VESCOVI
    E AGLI ALTRI ORDINARI
    AVENTI CON L’APOSTOLICA SEDE
    PACE E COMUNIONE.

    «Protesta energicamente contro la presa di Roma e la dichiarazione
    di considerare la Santa Sede Apostolica
    come prigioniera di fatto.
    Commina la scomunica maggiore ai fautori e cooperatori
    delle invasioni dello Stato della Chiesa»

    PIO PP. IX

    VENERABILI FRATELLI
    SALUTE E APOSTOLICA BENEDIZIONE


    Considerando tutto ciò che il governo subalpino da molti anni va senza interruzione perpetrando per rovesciare il Principato civile concesso a questa Sede Apostolica per particolare volontà di Dio, affinché i successori del beato Pietro potessero nell’esercizio della loro giurisdizione spirituale godere la necessaria e sicura pienezza di libertà; per forza, o Venerabili Fratelli, siamo turbati da grande intimo dolore per così audace cospirazione contro la Chiesa di Dio e questa Santa Sede: e in questi tempi così funesti nei quali quel governo, seguendo i consigli rovinosi delle sette, ha compiuto contro ogni diritto, con la forza delle armi, la sacrilega invasione già da gran tempo premeditata di questa Nostra alma Città e delle altre città che Ci erano rimaste dopo la precedente usurpazione; mentre Noi rispettiamo i misteriosi voleri di Dio umilmente prostrati dinanzi a Lui, siamo costretti a servirCi delle parole del profeta: "Io piango e il mio occhio versa lacrime, perché molto si è allontanato da me il Consolatore abbattendo l’anima mia; i miei figli sono perduti poiché il nemico ha vinto" (Jer. thr. I, 16).

    Già da gran tempo, Venerabili Fratelli, fu da Noi assai chiaramente esposta e palesata al mondo cattolico la storia di questa nefasta guerra, il che abbiamo fatto con parecchie Allocuzioni, Encicliche, Brevi, mandati, intenti diversi; e cioè il 1° Gennaio 1850, il 22 Gennaio e il 26 Luglio 1855, il 18 e 26 Giugno e il 26 Settembre 1859, il 19 Gennaio 1860; con Lettera Apostolica del 26 Marzo 1860; nonché con Allocuzioni del 28 Settembre 1860, del 18 Marzo e del 30 Settembre 1861, del 20 Settembre, del 17 Ottobre e del 16 Novembre 1867. La serie di questi documenti fa conoscere e conferma le gravissime ingiurie arrecate dal governo subalpino alla suprema autorità Nostra di questa Santa Sede, anche prima dell’occupazione del dominio ecclesiastico incominciata negli scorsi anni; ingiurie arrecate sia emanando leggi contro il diritto naturale divino ed ecclesiastico, sia assoggettando i sacerdoti, le Compagnie religiose e i Vescovi stessi a indegni maltrattamenti; sia venendo meno alla fede che implicavano le solenni convenzioni strette con la Sede Apostolica e negando risolutamente la loro inviolabilità persino nel tempo in cui quel governo dichiarava di voler iniziare nuove trattative con Noi. Dai medesimi documenti appare chiaro, Venerabili Fratelli, e apparirà chiaro a tutta la posterità, con quali artifici e con quante astute e indegne macchinazioni quel governo sia giunto a opprimere i giusti e santi diritti di questa Apostolica Sede e nello stesso tempo si conoscerà quanta premura Ci siamo data per reprimere per quanto era in Noi la sua audacia che aumentava di giorno in giorno e per difendere la causa della Chiesa. Sapete bene che nell’anno 1859 molte città importanti dell’Emilia, a mezzo di scritti clandestini, cospiratori, armi e denaro furono spinte dal potere subalpino alla ribellione; e che non molto tempo dopo, indetti i comizi popolari e captati i voti, si finse un plebiscito e con questo inganno le Nostre province di quella regione furono strappate al Nostro paterno dominio, mentre i buoni si opponevano invano. È anche risaputo che nell’anno seguente il medesimo governo, per fare sua preda le altre province di questa Santa Sede poste nel Piceno, nell’Umbria e nel patrimonio di San Pietro, adducendo falsi pretesti circondò con improvviso impeto e con grande esercito i Nostri soldati e la schiera volontaria della Gioventù Cattolica, che spinta da sentimento religioso e da pietà verso il Padre comune era volata da tutto il mondo a Nostra difesa; e che con sanguinosa battaglia schiacciò queste milizie che non sospettavano così improvvisa eruzione e che tuttavia lottarono intrepidamente per la Religione. Tutti conoscono la sfacciata ipocrisia e l’impudenza di quel governo che per diminuire la brutta impressione di questa sacrilega usurpazione non esitò a proclamare di aver invaso quelle province per ristabilirvi i principi dell’ordine morale; mentre invece in realtà promosse ovunque la diffusione e il culto di tutte le false dottrine ovunque allentò le briglie ai desideri e all’empietà, castigando inoltre ingiustamente i sacri Vescovi e gli Ecclesiastici di ogni grado che imprigionò e lasciò pubblicamente insultare, mentre permetteva che andassero impuniti i persecutori e coloro che non rispettavano neppure la dignità del Pontificato nella Nostra persona. Inoltre è noto che Noi, come era Nostro dovere, non solo Ci siamo sempre opposti ai ripetuti consigli e suggerimenti che Ci venivano dati perché tradissimo vergognosamente il Nostro dovere, sia abbandonando e consegnando ad altri i diritti e i possessi della Chiesa, sia concludendo una infame conciliazione con gli usurpatori; ma che anche abbiamo contrapposto a queste inique, temerarie e delittuose azioni, perpetrate contro ogni diritto umano e divino, solenni proteste di fronte a Dio e agli uomini; che abbiamo dichiarato i loro autori e fautori soggetti alle censure ecclesiastiche e che ove ce n’è stato bisogno li abbiamo con tali censure ripetutamente puniti. Infine è risaputo che quel governo, nonostante tutto, ha persistito nella sua ribelle attività e ha cercato continuamente di provocare l’insurrezione nelle altre Nostre province e soprattutto in Roma, con l’introdurvi dei sobillatori e con artifici di ogni genere.

    Ma poiché questi tentativi non riuscivano secondo l’aspettativa, per l’incrollabile fede dei Nostri soldati e l’amore e la devozione dei Nostri popoli che Ci venivano manifestati in modo splendido e costante, finalmente si scatenò contro di Noi quella violenta tempesta dell’anno 1867 quando nell’autunno furono mandate contro i Nostri territori e contro questa città coorti di sciagurati ardenti di delittuoso furore e aiutate da quel governo (e parecchi di questi già da prima stavano nascosti in Roma) e dalla loro violenza, dalle loro armi feroci ci sarebbe stato da temere ogni atroce crudeltà per Noi e per i Nostri direttissimi sudditi, come appariva chiaramente, se Dio misericordioso, con il valore delle Nostre milizie e il valido aiuto delle legioni mandateCi dalla nobile Nazione Francese, non avesse reso vani i loro assalti (1).

    In tante battaglie, in così grande susseguirsi di pericoli e di crudeli tribolazioni, la Divina Provvidenza Ci apportava grandissimo conforto con la vostra grande, affettuosa pietà, Venerabili Fratelli, e con quella dei Vostri fedeli, verso Noi e questa Apostolica Sede; pietà che avete dimostrata sempre con grandi opere e prove di cattolica carità. E benché la gravissima crisi nella quale Ci troviamo Ci abbia appena lasciato un po’ di tregua, tuttavia con l’aiuto di Dio non abbiamo mai differita nessuna delle cure dirette a proteggere la prosperità temporale dei Nostri sudditi; e quale tranquillità e sicurezza pubblica vi fossero presso di Noi, quale fosse la condizione di tutte le attività intellettuali e artistiche, quali fossero la fede in Noi e la volontà dei Nostri popoli, hanno potuto sapere molto bene tutte le Nazioni dalle quali affluirono a gara in ogni tempo innumerevoli forestieri in questa città, specialmente in occasione delle numerose celebrazioni e delle solenni manifestazioni sacre che abbiamo compiuto.

    Stando così le cose e godendo il Nostro popolo una tranquilla pace, il re subalpino e il suo governo, colta l’occasione di una grande guerra scoppiata fra due potentissime Nazioni d’Europa, con una delle quali avevano pattuito che avrebbero mantenuto inviolato lo stato presente del dominio ecclesiastico e che non lo avrebbero lasciato turbare da uomini di partito, decretarono immediatamente di invadere le altre terre del Nostro dominio e persino la Nostra Sede e di assoggettarle al loro potere. E quali cause si accampavano per questa invasione nemica? Certamente tutti conoscono le cose che sono trattate in una lettera del re dell’8 Settembre scorso diretta a Noi e trasmessaCi dal suo ambasciatore presso di Noi, lettera nella quale con lungo e subdolo giro di parole e di pensieri, ostentandosi figlio rispettoso e buon cattolico e sostenendo la causa dell’ordine pubblico e della salvezza del Pontificato stesso e della Nostra persona, Ci domandava di non prendere il rovesciamento del Nostro potere temporale come un atto di ostilità e di ritirarsi spontaneamente da tale potere fidandoCi delle futili garanzie che egli Ci faceva con le quali, diceva, i desideri dei popoli italiani verrebbero conciliati con il supremo diritto e la libertà dell’autorità spirituale del Romano Pontefice. Noi, naturalmente, Ci siamo molto meravigliati vedendo come la violenza che stavamo per subire di momento in momento si volesse coprire e dissimulare, e Ci addolorammo intimamente della triste sorte del re che, spinto da cattivi consigli, ogni giorno infligge nuove ferite alla Chiesa e, avendo più rispetto per gli uomini che per Dio, non pensa che vi è in Cielo il Re dei Re e il Signore dei Signori, il quale "non escluderà nessuno, non temerà la grandezza di nessuno, poiché egli fece il piccolo e il grande e tormenti più forti sovrastano ai più forti" (Sap. VI, 8-9). Per quel che riguarda poi le richieste che Ci sono state rivolte, crediamo di non dover esitare, obbedendo alle leggi del dovere e della coscienza, a seguire gli esempi dei Nostri Predecessori, e soprattutto di Pio VII di felice memoria, del quale bisogna qui che esprimiamo e facciamo Nostri i sentimenti d’animo invitto da lui dimostrati in una circostanza assolutamente simile a questa: "Ricordammo, con Sant’Ambrogio, che il Santo uomo Naboth possessore della sua vigna, avendogli il Re domandato di cedergli la sua vigna dove sradicate le viti avrebbe seminato dei volgari ortaggi, rispose: non cederò mai ad altri l’eredità dei miei padri. Di conseguenza giudicammo che a Noi fosse assai meno lecito cedere tanto antica e sacra eredità (cioè il dominio temporale di questa Santa Sede posseduto per tanta serie di secoli dai Romani Pontefici Nostri Predecessori per palese volere della Divina Provvidenza), o tacitamente acconsentire che chiunque si impadronisse della capitale del Mondo cattolico, dove sconvolta e distrutta la santissima forma di governo che fu da Gesù Cristo lasciata alla sua Santa Chiesa e regolata dai sacri canoni fondati sullo spirito di Dio, sostituirebbe a questa un codice contrario assolutamente, non solo ai sacri canoni, ma anche ai precetti evangelici e introdurrebbe, secondo il solito, quel nuovo ordine di cose che tende apertamente ad associare ed a confondere con la Chiesa cattolica tutte le superstizioni e le sette. Naboth difese le sue viti anche col suo sangue. Potevamo Noi, qualunque cosa stesse per accaderCi, esimersi dal difendere i diritti e possessi della Santa Romana Chiesa, dal momento che per mantenerli secondo tutte le Nostre possibilità fummo vincolati da un sacro solenne giuramento? O dal difendere la libertà della Sede Apostolica, che è così legata alla libertà e utilità di tutta la Chiesa? Ancorché mancassero altri argomenti, le cose che ora accadono dimostrano fin troppo efficacemente quanta realmente sia la convenienza e la necessità di questo Principato temporale che garantisce al capo supremo della Chiesa il sicuro e libero esercizio di quel potere spirituale che per volontà divina gli fu dato su tutto il mondo" (Lett. Apost. 10 Giugno 1809).

    Seguendo dunque questo modo di sentire, che abbiamo costantemente manifestato in parecchie Nostre allocuzioni, rispondendo al re, disapprovammo le sue ingiuste pretese in modo tuttavia da mostrare il Nostro acerbo dolore insieme al Nostro paterno affetto che non può fare a meno di preoccuparsi neppure per i figli che imitano il ribelle Assalonne. Questa lettera non era ancora stata portata al re, quando nel frattempo dal suo esercito furono occupate le città finora intatte e tranquille del Nostro Stato Pontificio, mentre venivano facilmente sconfitte le milizie ausiliarie dove tentavano di opporre resistenza; e poco dopo sorse quel funesto giorno che fu il 20 Settembre scorso; giorno nel quale vedemmo questa Città, sede principale degli Apostoli, centro della Religione Cattolica e rifugio di molte genti, assediata da molte migliaia di armati; e mentre si faceva breccia nelle sue mura e si spargeva il terrore con continuo getto di proiettili, fummo addolorati di vederla espugnata per comando di colui che poco prima tanto nobilmente aveva dichiarato di essere animato da affetto filiale per Noi e da fedele sentimento religioso.

    Che cosa può essere più funesto di quel giorno per Noi e per tutte le anime buone? Di quel giorno nel quale, entrate le milizie in Roma che era piena di una moltitudine di stranieri sediziosi, vedemmo immediatamente sconvolto e rovesciato l’ordine pubblico, vedemmo insultata empiamente nella Nostra umile persona la dignità e santità del Sommo Pontificato, vedemmo le fedelissime coorti dei Nostri soldati insultate in tutti i modi, vedemmo dominare dappertutto sfrenata insolente libertà, là dove poco prima splendeva l’affetto dei figli desiderosi di confortare la tristezza del Padre comune? Da quel giorno poi si susseguirono sotto i Nostri occhi tali cose, che non si possono ricordare senza la giusta indignazione di tutti i buoni: perfidi libri zeppi di menzogne e di empie malvagità cominciarono a essere proposti come acquisto conveniente e a poco a poco ad essere divulgati; moltissimi giornali furono sparsi di giorno in giorno, miranti a corrompere le menti e i buoni costumi, a disprezzare e calunniare la Religione e infiammare l’opinione pubblica contro di Noi e questa Apostolica Sede; si pubblicarono illustrazioni vergognose e indegne e altre opere del genere con le quali le cose e le persone sacre erano derise e esposte al pubblico scherno; furono decretate onoranze e monumenti a coloro che avevano pagato per legittima condanna il fio dei più gravi delitti (2) i ministri della Chiesa contro i quali è più ardente l’odio erano insultati e alcuni anche feriti a tradimento; alcune case religiose furono sottoposte a ingiuste perquisizioni; fu violato il Nostro Palazzo Quirinale e da questo, dove aveva sede, uno fra i Cardinali di Santa Romana Chiesa fu costretto a forza ad andarsene immediatamente e agli altri ecclesiastici Nostri familiari fu proibito di frequentare il Quirinale e furono molestati in tutti i modi; si fecero leggi e decreti che offendono manifestamente e calpestano la libertà, l’immunità, le proprietà e i diritti della Chiesa di Dio; e questi gravissimi mali dobbiamo dire con grande dolore che aumenteranno ancora se Dio benigno non lo impedirà, mentre Noi, impossibilitati dalla Nostra condizione a portare alcun rimedio, ogni giorno più dolorosamente dobbiamo renderCi conto della prigionia nella quale Ci troviamo e della mancanza di quella piena libertà che con la menzogna si fa credere al mondo che Ci è stata lasciata per esercitare il Nostro Apostolico Ministero e che il governo invasore va raccontando di aver voluto convalidare con le cosiddette necessarie guarentigie.

    E non possiamo qui passare sotto silenzio quell’enorme delitto che certamente vi è noto, o Venerabili Fratelli. Infatti, come se i possessi e i diritti della Sede Apostolica, sacri e inviolabili per tanti titoli e sempre riconosciuti per tanti secoli, potessero essere contestati e rimessi in discussione; e come se le censure gravissime, nelle quali immediatamente e senza nessuna nuova dichiarazione incorrono i violatori di tali diritti e possessi, potessero perdere la loro efficacia per la ribellione e la tracotanza popolare; per abbellire la sacrilega spoliazione che abbiamo sofferta con ogni disprezzo del diritto naturale e umano, si escogitò quell’apparato e quella finzione di plebiscito (3) usata nelle province strappate a Noi; e coloro che di solito si rallegrano delle perfidie non arrossiscono in questa occasione di ostentare per tutte le città d’Italia come per una manifestazione trionfale la ribellione e il disprezzo delle censure ecclesiastiche, andando contro i fraterni sentimenti della maggior parte degli italiani, la devozione, la pietà e la fede dei quali verso Noi e la Santa Chiesa vengono oppresse in tutti i modi perché non possano liberamente espandersi.

    Noi frattanto, che da Dio siamo stati posti a guidare e a governare tutta la Casa d’Israele e siamo stati creati supremi protettori della Religione, della giustizia e difensori dei diritti della Chiesa, per non essere rimproverati di fronte a Dio e alla Chiesa di essere stati zitti e di avere così tacitamente assentito a tanto sciagurato sconvolgimento, rinnoviamo e riconfermiamo quanto abbiamo altrove solennemente dichiarato nelle Allocuzioni, nelle Encicliche e nei Brevi qui sopra citati e nella recente protesta che per comando Nostro e in Nostro nome il Cardinale incaricato degli affari pubblici ha mandato proprio il 20 Settembre agli ambasciatori, ministri e incaricati di affari delle Nazioni estere costituite presso di Noi; e di nuovo con la massima solennità dichiariamo a voi, Venerabili Fratelli, che la Nostra idea, la Nostra intenzione e la Nostra volontà è di conservare integri e inviolabili tutti i domini e i diritti di questa Santa Sede e di trasmetterli ai Nostri successori; che qualunque usurpazione, compiuta sia ora che prima, è ingiusta, violenta, vana e nulla e che tutte le azioni dei ribelli e degli invasori, sia quelle compiete finora, sia quelle che eventualmente si compiranno in futuro per consolidare tale usurpazione, fin da ora sono da Noi condannate, annullate, cassate e abrogate.

    Dichiariamo inoltre, protestando innanzi a Dio e a tutto il mondo cattolico, che siamo tenuti in una prigionia tale che non possiamo esercitare sicuramente, tranquillamente e liberamente la Nostra suprema Autorità pastorale. Finalmente, uniformandosi al motto di San Paolo: "Che cosa ha a che fare la giustizia con l’ingiustizia? Qual società vi può essere tra la luce e le tenebre? Quale accordo tra Cristo e Belial? " (II Cor. VI, 14-15), apertamente dichiariamo che Noi, memori del Nostro dovere e del solenne giuramento che Ci vincola, non acconsentiamo e non acconsentiremo mai a nessuna conciliazione che distrugga o diminuisca in qualche modo i diritti Nostri, e quindi di Dio e della Santa Sede; come pure Ci dichiariamo pronti, con l’aiuto della Grazia Divina, vecchi come siamo, a bere fino al fondo, per la Chiesa di Cristo, il calice che egli stesso si degnò di bere per lei, a non aderire mai alle inique richieste che Ci si propongono e a non assecondarle mai. Diceva infatti il Nostro Predecessore Pio VII: "Far violenza a questo Supremo Impero della Sede Apostolica, separarne il potere temporale da quello spirituale, dissociare le funzioni di pastore e di principe, staccarle, distruggerle, non è altro che voler calpestare e rovinare l’opera di Dio, che danneggiare il più possibile la religione, che privarla della più efficace difesa, così che il suo sommo rettore pastore e Vicario di Dio non possa portare ai cattolici sparsi per tutta la terra e invocanti da lui aiuto e forza quei soccorsi che si esigono dalla sua spirituale potestà, la quale non deve essere intralciata da nessuno".

    Ma poiché i Nostri ammonimenti, domande e proteste, sono riusciti vani, Noi con l’autorità di Dio Onnipotente, dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e Nostra, dichiariamo a voi, Venerabili Fratelli, e per mezzo vostro a tutta la Chiesa, che tutti coloro che si distinguono per qualche dignità, anche degna di particolare menzione, che abbiano perpetrato l’invasione, l’usurpazione o l’occupazione di qualunque provincia del Nostro dominio e di quest’alma Città, e così pure i loro mandanti, fautori, collaboratori, consiglieri, seguaci o chiunque altro procuri con qualunque pretesto, in qualsiasi modo, o operi per se stesso l’esecuzione delle suddette scelleratezze, incorrono nella scomunica maggiore e nelle altre censure e pene ecclesiastiche inflitte dai Sacri Canoni, dalle Costituzioni Apostoliche e dai decreti dei Concili generali, soprattutto di quello di Trento, nella forma e nel tenore espressi nella sotto ricordata Nostra Lettera Apostolica del 26 Marzo 1860.

    Poiché non dimentichiamo che occupiamo in terra il posto di Colui che venne a ricuperare e a salvare ciò che era perduto, niente desideriamo più che accogliere con paterno affetto i figli che avevano deviato e che ritornano a Noi; perciò, levando le mani al Cielo con umile cuore, mentre rimettiamo a Dio e gli raccomandiamo la giusta causa che è sua piuttosto che Nostra, lo preghiamo e lo supplichiamo per la sua profonda misericordia di assistere e di aiutare efficacemente Noi e la Sua Chiesa e pietoso e benevolo di fare in modo che i nemici della Chiesa pensino all’eterno danno che si vanno preparando, cerchino di placare prima del giorno della vendetta la sua formidabile giustizia e cambiando idea confortino il pianto della Santa Madre Chiesa e la Nostra tristezza.

    Per poter conseguire dalla Divina Clemenza tanto notevole beneficio, vi esortiamo molto insistentemente, o Venerabili Fratelli, a congiungere unitamente ai fedeli a voi affidati le vostre fervide preghiere ai Nostri voti; e rivolgendoci tutti insieme al trono di Grazia e di misericordia facciamo intercedere l’Immacolata Vergine Maria Madre di Dio e i Beati Apostoli Pietro e Paolo. "La Chiesa di Dio dall’origine fino a questi tempi più volte fu torturata e pia volte salvata. Sua è questa voce: spesso mi assalirono fin dalla giovinezza; non poterono nulla su di me. I peccatori fabbricarono sul mio dorso e prolungarono le loro malvagità. E neppure ora il Signore trascurerà lo sforzo dei peccatori più che la sorte dei giusti. Non è indebolita la mano di Dio e non è divenuta impotente a salvare. Anche in questa circostanza senza dubbio libererà la Sua sposa, Egli che la riscattò col Suo sangue, la dotò col Suo Spirito, la ornò di doni celesti e nello stesso tempo la arricchì di doni terreni".

    Frattanto, invocando i più abbondanti benefizi delle Celesti Grazie per voi, Venerabili Fratelli, e per tutti i fedeli ecclesiastici e laici affidati alla vostra vigilanza, come pegno del Nostro particolare affetto per voi, caldamente impartiamo dal più profondo del cuore l’Apostolica Benedizione a voi e ai Nostri diletti figli.

    Dato a Roma, presso San Pietro, il 1° novembre 1870, anno XXV del Nostro Pontificato.

    PIO PP. IX.

    NOTE
    (1) Si allude alla brigantesca impresa garibaldina per la liberazione di Roma, finita tragicamente (il dito di Dio) nella giornata di Mentana, il 3 Novembre 1867.

    (2) L’allusione alle "onoranze" rese a coloro che avevano pagato per legittima condanna "il fio dei più gravi delitti" si riferisce al ricordo marmoreo decretato ai terroristi Giuseppe Monti e Gaetano Tognetti, autori di un attentato dinamitardo avvenuto il 22 Ottobre 1867 nella caserma Serristori.

    (3) Il plebiscito romano diede questi risultati: votanti 167.548; votarono SI, per l’annessione di Roma all’Italia: 133.681; votarono NO: 1507. Dalla sproporzione dei suffragi, è evidente la falsificazione ad opera del governo occupante subalpino.


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    Predefinito Riferimento: L'Oracolo pontificio: il Magistero dei Papi

    Pio VIII Castiglioni

    "Traditi humilitati"

    Accingendoci ad andare in questo giorno alla Basilica Lateranense, secondo l’usanza introdotta dai Nostri Predecessori, per prendere possesso del Pontificato concesso alla Nostra umiltà, allarghiamo con gioia il Nostro cuore su di voi, Venerabili Fratelli, che a Noi foste assegnati, come coadiutori nell’adempimento di tanto grande incarico, da Colui che possiede ogni grado di dignità e domina ogni vicenda temporale. Non solo Ci riesce dolce e gradito esprimervi i Nostri intimi sentimenti di benevolenza, ma soprattutto, per il sommo bene della vita cristiana, Ci giova entrare in comunione spirituale con voi, e insieme conoscere quali maggiori vantaggi, giorno per giorno, si possano procurare alla Chiesa. È questo un impegno del Nostro ministero, a Noi affidato nella persona di San Pietro per divino incarico dello stesso Fondatore della Chiesa; per esso, a Noi compete pascere, guidare, governare non solamente gli agnelli, ossia il popolo cristiano, ma anche le pecore, ossia i Vescovi.

    Esultiamo con tutto il cuore e ringraziamo il Principe dei pastori per aver preposto a guardia del suo gregge siffatti pastori, animati unicamente dalla sollecitudine e dal pensiero di condurlo sulle vie della giustizia, di allontanare da esso ogni pericolo, di non perdere alcuno di coloro che il Padre ha loro affidato. Infatti, Venerabili Fratelli, Noi ben conosciamo la vostra salda fede, l’assiduo zelo per la Religione, l’ammirevole santità della vita, la singolare prudenza. Ci aspettiamo pertanto molti motivi di letizia per Noi, per la Chiesa, per questa Santa Sede da tale corona di irreprensibili operai; questa lieta speranza Ci ispira coraggio, timorosi come siamo sotto il peso di un tale incarico, e Ci ristora e Ci ricrea, anche se sopraffatti da tante inquietudini.

    Ma per non sollecitare senza motivo chi già s’affretta, ometteremo volentieri di intrattenervi a lungo circa i doveri che devono essere tenuti presenti nell’esercizio del vostro ministero, secondo quanto prescrivono i sacri canoni; non occorre ricordarvi che nessuno deve abbandonare il luogo e la custodia del gregge a lui affidato e con che cura e diligenza si deve affrontare la scelta dei ministri sacri. Rivolgiamo piuttosto le Nostre preghiere a Dio Salvatore perché vi protegga con la potenza della sua grazia e conduca a felice esito le vostre azioni e i vostri sforzi.

    Malgrado ciò, anche se il Signore Ci conforta per il vostro coraggio, Venerabili Fratelli, Noi siamo costretti ad essere ancora tristi, avvertendo le crudeli amarezze che, pur in una situazione di pace, i figli di questo secolo Ci infliggono. Parliamo, o Fratelli, di quei mali noti, manifesti che deploriamo con comuni lacrime, e che con solidale impegno dobbiamo correggere, estirpare, sconfiggere. Parliamo degli innumerevoli errori, delle dottrine perverse che combattono la fede cattolica, non più in segreto e di nascosto ma con palese accanimento.

    Voi sapete in che modo uomini scellerati abbiano alzato insegne di guerra contro la Religione, ricorrendo alla filosofia, di cui si proclamano dottori, e a fatui sofismi tratti da idee mondane. Questa Romana Santa Sede del beatissimo Pietro, su cui Cristo pose le fondamenta della sua Chiesa, è soprattutto perseguitata; a poco a poco si spezzano i vincoli della sua unità. Si incrina l’autorità della Chiesa, i sacri ministri vengono isolati e disprezzati. Sono rifiutati i più virtuosi precetti, derisi i riti divini, il culto di Dio è esecrato dal peccatore (Sir 1,32); tutto ciò che riguarda la Religione è considerato come una vecchia favola e come vana superstizione. Diciamo tra le lacrime: "Davvero ruggirono i leoni sopra Israele (Ger 2,25); davvero si riunirono contro Dio e contro Cristo; davvero gli empi hanno gridato: distruggete Gerusalemme, distruggetela sino alle fondamenta" (Sal 137,7).

    A questo fine mira la turpe congiura dei sofisti di questo secolo, che non ammettono alcun discrimine tra le diverse professioni di fede; che ritengono sia aperto a tutti il porto dell’eterna salute, qualunque sia la loro confessione religiosa, e che tacciano di fatuità e di stoltezza coloro che abbandonano la religione in cui erano stati educati per abbracciarne un’altra, fosse pure la Religione Cattolica. Certamente è un orrendo prodigio d’empietà attribuire la stessa lode alla verità e all’errore, alla virtù e al vizio, alla onestà e alla turpitudine.

    È davvero letale questa forma d’indifferenza religiosa ed è respinta dal lume stesso della ragione naturale, la quale ci avverte chiaramente che tra religioni discordanti se l’una è vera, l’altra è necessariamente falsa, e che non può esistere alcun rapporto tra luce e tenebre. Occorre, Venerabili Fratelli, premunire i popoli contro questi ingannatori, insegnare che la Cattolica è la sola vera religione, secondo le parole dell’Apostolo: "Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo" (Ef 4,5). Perciò sarà un profano, come diceva Girolamo , colui che mangerà l’agnello fuori da questa casa, e perirà colui che durante il diluvio non si rifugerà nell’arca di Noè. E infatti, oltre il nome di Gesù, nessun altro nome è concesso agli uomini che possa salvarli (At 4,12); chi avrà creduto sarà salvo, chi non avrà creduto sarà condannato (Mc 16,16).

    Bisogna inoltre vigilare sulle società di coloro che pubblicano nuove traduzioni della Bibbia in ogni lingua volgare, contro le salutari regole della Chiesa, per cui i testi vengono astutamente travisati in significati aberranti, a seconda degli umori di ciascun traduttore. Tali versioni vengono distribuite gratuitamente dappertutto, con spese esorbitanti, anche ai più ignoranti, e spesso vi sono inseriti perversi scritti in modo che i lettori bevano un letale veleno, là dove credevano di attingere le acque della salutare sapienza. Già da tempo la Sede Apostolica ha messo in guardia il popolo cristiano contro questo attentato alla fede, e ha condannato gli autori di così grande iattura. A tale scopo furono nuovamente richiamate alla memoria di tutti le regole statuite per decisione del Concilio di Trento e quanto fu disposto dalla stessa Congregazione dell’Indice per cui non devono essere consentite le versioni in lingua volgare dei sacri testi, salvo non siano approvate dalla Santa Sede e accompagnate da commenti tratti dalle opere dei Santi Padri della Chiesa . Allo stesso scopo il sacro Concilio Tridentino, per infrenare gl’ingegni più irrequieti, emise il seguente decreto: "In materia di fede e di costumi che riguardino la dottrina cristiana, nessuno osi confidare nel proprio senno e tradurre la sacra scrittura deformandola a proprio talento, ossia interpretarla in un senso diverso da quello che la Santa Madre Chiesa ha sempre seguito o contro l’unanime concordanza dei Padri" . Sebbene appaia evidente da questi decreti canonici che tali insidie contro la Religione Cattolica sono state da molto tempo respinte, tuttavia gli ultimi Nostri Predecessori di felice memoria, pieni di sollecitudine per l’incolumità del popolo cristiano, ebbero cura di reprimere quei nefasti ardimenti che essi vedevano rinnovarsi ovunque, e sull’argomento pubblicarono severe lettere apostoliche (Si leggano, fra le altre, la lettera apostolica di Pio VII all’Arcivescovo di Gniezno dell’1 giugno 1816, e all’Arcivescovo di Mohilew, del 3 settembre 1816). Usate le stesse armi, Venerabili Fratelli, per combattere le battaglie del Signore, mentre corre così grande pericolo la sacra dottrina, in modo che il letale veleno non si diffonda nel vostro gregge, portando a rovina gli stessi Sovrani.

    Così, dopo aver evitato lo stravolgimento delle sacre scritture, è vostro dovere, Venerabili Fratelli, indirizzare gli sforzi contro quelle società segrete di uomini faziosi che, nemici di Dio e dei Principi, sono tutti dediti a procurare la rovina della Chiesa, a minare gli Stati, a sovvertire l’ordine universale e, infranto il freno della vera fede, si sono aperti la via ad ogni sorta di scelleratezze. Costoro si sforzano di nascondere nelle tenebre di riti arcani la iniquità dei loro conciliaboli e le decisioni che vi assumono, e per questo motivo hanno suscitato gravi sospetti circa quelle imprese infami che per la tristezza dei tempi, come da spiraglio di un abisso, eruppero a suprema offesa del consorzio religioso e civile. Perciò i sommi Pontefici Clemente XII, Benedetto XIV, Pio VII e Leone XII (Clemente XII, con la costituzione In eminenti; Benedetto XIV con la costituzione Providas; Pio VII, con la costituzione Ecclesiam a Jesu Christo; Leone XII con la costituzione Quo graviora), dei quali siamo successori anche se di granl unga inferiori per meriti, scomunicarono quelle società segrete (qualunque fosse il loro nome)con pubbliche lettere apostoliche, le cui disposizioni Noi confermiamo nella pienezza del Nostro potere apostolico ordinando la scrupolosa osservanza di esse. Noi, con tutto il Nostro zelo, vigileremo perché la Chiesa e la società civile non ricevano alcun danno dalla cospirazione di tali sette e invochiamo la vostra quotidiana assiduità in tale impresa, in modo che, indossando l’armatura della costanza e rinsaldando validamente l’unità degli spiriti, Noi possiamo sostenere la nostra causa comune, o, meglio dire, la causa di Dio, al fine di distruggerei baluardi eretti dalla fetida empietà di uomini scellerati.

    Tra tutte queste società segrete, abbiamo deciso di descriverne una in particolare, costituita di recente con lo scopo di corrompere l’animo degli adolescenti che frequentano i ginnasi e i licei. Tale setta si adopera, con scaltrezza, di assumere maestri corrotti che conducano i discepoli sui sentieri di Baal, con dottrine contrarie a Dio, ben sapendo che le menti e i costumi degli alunni sono plasmati dai precetti degli insegnanti.

    Siamo perciò indotti a deplorare, gemendo, che la licenza dei giovani sia giunta al punto di rimuovere il timore della Religione, di rifiutar la disciplina dei costumi, di opporsi alla santità della più pura dottrina, di calpestare i diritti del potere religioso e civile, di non vergognarsi più di alcun delitto, di alcun errore, di alcuna audacia, per cui possiamo dire di essi, con Leone Magno: "La loro legge è la menzogna, il demonio la loro religione, la turpitudine il loro culto" . Allontanate tutti questi mali dalle vostre Diocesi, o Fratelli, e, per quanto vale la vostra autorità e il vostro ascendente, fate in modo che siano incaricati della educazione dei giovani uomini eminenti non solo per la loro cultura letteraria, ma soprattutto per purezza di vita e di pietà.

    In tal senso vigilate con la più assidua sollecitudine nei seminari sui quali a voi in modo particolare è stata affidata la sorveglianza dai Padri del Concilio Tridentino . Dai seminari infatti devono provenire coloro che, compiutamente educati alla disciplina cristiana ed ecclesiastica, e ai princìpi della più sana dottrina, dimostreranno tale devozione nell’adempimento del loro divino ministero, tale dottrina nella educazione del popolo, tale severità di costumi che il ministero a loro affidato sarà apprezzato anche dai profani, ed essi potranno, con virtuose parole, rimproverare coloro che si allontanano dal sentiero della giustizia. Noi chiediamo alla vostra sollecitudine, per il bene della Chiesa, di dedicare tutto il vostro zelo nella scelta di coloro ai quali dovrà essere affidata la cura delle anime, in quanto dalla oculata scelta dei parroci deriva soprattutto la salute del popolo, e nulla contribuisce di più alla rovina delle anime quanto essere guidati da coloro che cercano il proprio bene e non quello di Gesù Cristo, o da coloro che, scarsamente imbevuti di vero sapere, si fanno volgere in giro da ogni vento e non sanno condurre il loro gregge ai salutari pascoli che non conoscono o che disprezzano.

    Dal momento che proliferano ovunque smisuratamente libri funesti, mediante i quali l’insegnamento degli empi si diffonde come un tumore in tutto il corpo della Chiesa (2Tm 2,17), vigilate sul gregge e non sottraetevi a nessuna fatica pur di scongiurare la peste di quei libri, dei quali nulla è più pernicioso; ammonite le pecore di Cristo a voi affidate con le parole di Pio VII, Nostro santissimo Predecessore e benefattore (In litt. encyclicis ad universos episcopos datis Venetiis), secondo le quali il gregge deve considerare come pascoli salutari (e di essi nutrirsi) solo quelli a cui li abbiano invitati la voce e l’autorità di Pietro; qualora quella voce lo diffidi e lo richiami indietro da altre pasture, le si consideri nocive e pestifere, ci si allontani da esse con orrore, non ci si lasci ingannare da nessuna apparenza o perversa lusinga.

    Ma, dati i tempi in cui viviamo, abbiamo deciso di raccomandare vivamente al vostro amore per la salute delle anime, di inculcare nel vostro gregge la venerazione per la santità del matrimonio, in modo che non accada mai nulla che diminuisca la dignità di questo grande sacramento, che offenda la purezza del letto nuziale, che possa insinuare alcun dubbio sulla indissolubilità del vincolo matrimoniale; si potrà raggiungere questo intento se il popolo cristiano sarà pienamente convinto che il matrimonio non è soltanto soggetto alle leggi umane ma anche alla legge divina; che bisogna considerarlo un bene sacro e non solo una realtà terrena, e che perciò è totalmente soggetto alla Chiesa. Infatti il vincolo coniugale che un tempo non aveva altro scopo che di procreare e di continuare la specie, ora è stato innalzato da Cristo Signore alla dignità di sacramento e arricchito di doni celesti, in quanto la Grazia ne perfeziona la natura; pertanto quel vincolo non è allietato tanto dalla prole, quanto piuttosto dall’educarla a Dio e alla sua divina Religione: così tende ad accrescere il numero degli adoratori del vero Dio. Risulta infatti che questa unione matrimoniale, di cui Dio è autore, raffigura la perpetua e sublime unione di Cristo Signore con la Chiesa, e che questa strettissima unione tra marito e moglie è un sacramento, ossia un sacro simbolo dell’amore immortale di Cristo per la Sua Sposa. In tal modo è necessario istruire i popoli (Legatur catechism. Rom. ad parochos de matrimon.) e spiegare ad essi ciò che è stato sancito e ciò che è stato condannato dalle regole della Chiesa e dai decreti dei Concilii, affinché i popoli operino in modo di conseguire la virtù del sacramento e non osino compiere ciò che la Chiesa ha condannato; e, per quanto possiamo, chiediamo al vostro zelo di prestarvi in questo con tutta la pietà, la dottrina e la diligenza di cui siete dotati.

    Avete appreso, Fratelli, ciò che ora più di ogni altra cosa suscita dolore in Noi che, posti sul soglio del Principe degli Apostoli, dobbiamo essere presi dall’amore per tutta la casa di Dio. Si aggiungono anche altri argomenti, non meno gravi, che qui sarebbe lungo enumerare e che voi sicuramente conoscete. Ma potremmo Noi trattenere la Nostra voce in una congiuntura così difficile per la cristianità? Forse che, impediti da motivi umani, o torpidi nell’indolenza, sopporteremo in silenzio che sia lacerata la tunica di Cristo Salvatore, che neppure i soldati che lo crocifissero osarono dividere? . Non accada, carissimi, che al gregge disperso venga a mancare la protezione del pastore amoroso e sollecito! Noi non dubitiamo che voi farete anche più di quanto vi chiede questo scritto e che vi adoprerete con i precetti, i consigli, le opere, lo zelo, a favorire la Religione avita, a diffonderla e a proteggerla.

    Per la verità, ora, nella crudezza della situazione, dobbiamo in particolar modo pregare in ispirito e con maggior fervore; dobbiamo supplicare Dio affinché, come risanale piaghe d’Israele, faccia sì che la sua santa Religione fiorisca ovunque, e permanga incrollabile la vera felicità dei popoli; affinché il Padre della misericordia, volgendo lo sguardo propizio sui giorni del Nostro ministero, si degni di custodire e illuminare il pastore del suo gregge. Vogliano i potentissimi Principi, con il loro animo nobile ed elevato, favorire lo zelo e gli sforzi Nostri; quel Dio che loro ha donato un cuore docile all’adempimento delle sue prescrizioni, li rassicuri con un supplemento di sacri carismi, in modo che con tenacia compiano quelle azioni che riescano utili e salutari alla Chiesa afflitta da tante calamità.

    Questo chiediamo supplichevoli a Maria Santissima Madre di Dio, che sappiamo, Lei sola, aver annientato tutte le eresie e che in questo giorno Noi salutiamo con riconoscenza col titolo di "Ausilio dei cristiani", ricordando il ritorno del Nostro beatissimo Predecessore Pio VII in questa città di Roma, dopo tribolazioni di ogni genere.

    Chiediamo al Principe degli Apostoli Pietro e al suo co-Apostolo Paolo di non permettere che alcun sconvolgimento Ci minacci, saldi come siamo sulla pietra della Chiesa per merito del Principe dei Pastori Gesù Cristo Nostro Signore, dal quale invochiamo di riservare sulle Fraternità Vostre e sui greggi a voi affidati i più abbondanti doni di grazia, di pace e di gaudio, mentre, quale segno del Nostro affetto, con tutto il cuore vi impartiamo l’Apostolica Benedizione.

    Dato a Roma, presso San Pietro, il 24 maggio 1829, anno primo del Nostro Pontificato.


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    Predefinito Riferimento: L'Oracolo pontificio: il Magistero dei Papi

    Gregorio XVI Cappellari

    "Inter praecipuas"

    Fra le più sottili scaltrezze con le quali ai nostri giorni gli acattolici di diverse denominazioni tendono insidie ai cultori della verità cattolica, cercando di allontanare gli animi dalla purezza della Fede, non occupano l’ultimo posto le Società Bibliche le quali, istituite in Inghilterra e poi ampiamente diffuse ovunque, vediamo concordemente impegnate a tradurre in tutte le lingue volgari i libri delle divine Scritture, diffondendone un gran numero di esemplari, senza alcun discernimento, fra i Cristiani e gl’Infedeli, invitandoli alla lettura senza alcuna guida. In questo modo, come già ai suoi tempi lamentava Girolamo , vogliono rendere accessibile agli uomini di qualsiasi condizione, anche "alla garrula vecchietta, al vecchio ormai delirante, al verboso sofista e a tutti", purché sappiano leggere, l’arte di comprendere le Scritture, senza la guida di un maestro: anzi (quello che è addirittura assurdo, anzi inaudito) non escludono da questa comprensione neppure le popolazioni degli Infedeli.

    Certamente non vi sfugge, Venerabili Fratelli, dove vogliono arrivare gli sforzi di quelle Società. Infatti, ben conoscete l’ammonimento di Pietro, Principe degli Apostoli, il quale, dopo aver lodato le epistole di San Paolo, afferma che "in esse ci sono alcune cose difficili da comprendere; gli ignoranti e gli instabili le travisano, al pari di altre Scritture, procurandosi la rovina". Ma subito aggiunge: "Fratelli, essendo stati preavvertiti, state in guardia per non venire meno nella vostra fermezza, travolti anche voi dagli errori degli empi" (2Pt 3,16.17). Voi conoscete pure l’arte che fin dalla prima epoca del nome cristiano fu propria degli eretici: ripudiata la parola di Dio, quale risuona nella Tradizione, e, respinta l’autorità della Chiesa Cattolica, cercare di manomettere il testo delle Scritture o di travisarne il senso nell’esposizione . Neppure ignorate quanta diligenza e quanta sapienza siano necessarie nel tradurre fedelmente in altra lingua le parole del Signore; onde nulla di più facile che, o per ignoranza, o per frode di tanti interpreti, s’insinuino gravissimi errori nelle innumerevoli versioni delle Società Bibliche: errori che per la loro moltitudine e varietà restano nascosti a lungo, a danno di molti. A queste Società Bibliche non importa un gran che se coloro che leggono la Bibbia nelle diverse traduzioni cadono in diversi errori, purché a poco a poco acquistino l’abitudine d’interpretare il senso delle Scritture secondo il proprio giudizio, disprezzando le divine tradizioni custodite nella Chiesa Cattolica secondo l’insegnamento dei Padri, anzi rigettando lo stesso magistero ecclesiastico.

    Per raggiungere tale scopo, questi diffusori della Bibbia non cessano di calunniare la Santa Chiesa e questa Sede di Pietro accusandole, nel corso di tanti secoli, di essersi adoperate per tenere il popolo fedele lontano dalla conoscenza delle sacre Scritture, quando, anzi, esistono tanti chiarissimi documenti di un’impegnativa sollecitudine con la quale, anche nei tempi a noi più vicini, i Sommi Pontefici (e sotto la loro guida altri Vescovi cattolici) si sono sforzati affinché le loro popolazioni cattoliche fossero accuratamente istruite nella Parola di Dio, sia scritta, sia viva nella tradizione. A questo si riferiscono in primo luogo i decreti del Concilio di Trento nei quali non solo fu prescritto che i Vescovi curino che nelle loro diocesi si illustrino con maggior frequenza "le Sacre Scritture e la Legge divina" , ma, ampliando le istituzioni del Concilio Lateranense , fu inoltre provveduto che in tutte le Chiese cattedrali e in quelle Collegiate delle città e dei più insigni paesi non mancasse la Prebenda Teologale e questa venisse conferita esclusivamente a persone capaci di spiegare ed esporre la Sacra Scrittura . Di questa Prebenda Teologale, da istituirsi secondo le norme espresse dal Tridentino e da svolgersi secondo pubbliche lezioni che il Canonico Teologo deve leggere pubblicamente al Clero e anche al Popolo, hanno trattato diversi Sinodi Provinciali , nonché il Concilio Romano del 1725 , nel quale Benedetto XIII di felice memoria, Nostro Predecessore, aveva convocato non solo i Prelati della Provincia di Roma, ma anche molti Arcivescovi, Vescovi e altri Ordinarii immediatamente soggetti a questa Santa Sede . A tal fine quel Sommo Pontefice indirizzò Lettere Apostoliche nominative per l’Italia e per le Isole adiacenti . Infine, voi, Venerabili Fratelli, che siete soliti ragguagliare la Sede Apostolica, nei tempi stabiliti, su quanto concerne la situazione delle vostre Diocesi , dalle risposte date ripetutamente ai vostri Predecessori o a voi stessi da parte della Nostra Congregazione del Concilio, conoscete bene in qual modo questa Santa Sede sia solita congratularsi con i Vescovi quando i loro Teologi Prebendati adempiono con lode l’ufficio di leggere pubblicamente le Sacre Scritture, né mai cessa di sollecitare e aiutare le loro cure pastorali, anche se talvolta l’iniziativa non ebbe il successo auspicato.

    Del resto, per quanto riguarda la Bibbia tradotta in diverse lingue volgari, già da secoli i sacri Prelati di vari paesi furono talvolta costretti a più attenta vigilanza o perché quelle versioni si leggevano in segrete adunanze, oppure venivano dispendiosamente diffuse dagli eretici. A questo si riferivano gli ammonimenti e le cautele di Innocenzo III, Nostro Predecessore di gloriosa memoria, a proposito delle adunanze miste di uomini e di donne che si svolgevano in segreto nella Diocesi di Metz , sotto il velo della pietà, con il pretesto di leggere le Sacre Scritture; si aggiungano poi le proibizioni delle Bibbie in lingua volgare che non molto tempo dopo si ebbero in Francia e, prima del secolo XVI, anche in Spagna . Ma fu necessario un più ampio provvedimento quando gli acattolici Luterani e Calvinisti osarono contestare la dottrina immutabile della Fede con un’incredibile varietà di errori; quando nulla lasciarono d’intentato per ingannare le menti dei fedeli con perverse interpretazioni delle Sacre Scritture pubblicate per i loro seguaci nella lingua del popolo. Per moltiplicare gli esemplari e diffonderli rapidamente, si avvalsero dell’arte tipografica da poco inventata. Pertanto, nelle regole scritte dai Padri del Concilio Tridentino a ciò delegati, approvate da Pio IV di felice memoria, Nostro Predecessore e premesse all’Indice dei libri proibiti, con disposizione generale fu stabilito che la Bibbia nella lingua volgare non venisse permessa se non a coloro ai quali la lettura potesse recare qualche "profitto della fede e della pietà" . A questa regola, temperata poi di nuove cautele per il perseverare degli attacchi degli eretici, l’autorità di Benedetto XIV aggiunse una dichiarazione che permette la lettura nelle versioni popolari soltanto nelle "edizioni approvate dalla Sede Apostolica" o recanti "annotazioni desunte dai Santi Padri della Chiesa o da dotti uomini cattolici" .

    Frattanto non mancarono nuovi settari della scuola di Giansenio che, secondo lo stile dei Luterani e dei Calvinisti, osarono condannare questa prudentissima disposizione della Chiesa e della Sede Apostolica, come se la lettura delle Scritture fosse utile e necessaria in tutti i luoghi e in tutti i tempi a qualsiasi categoria di fedeli: quindi non poteva essere proibita da nessuna autorità. Ma due Sommi Pontefici di recente memoria, Clemente XI nella Costituzione Unigenitus del 1713 e Pio VI nella Costituzione Auctorem Fidei del 1794 con solenne censura condannarono l’audacia dei Giansenisti, con il plauso di tutto l’Orbe cattolico.

    Così dunque, prima che sorgessero le Società Bibliche i fedeli della Chiesa venivano da tempo ammoniti con i sopraddetti Decreti contro le frodi degli eretici, nascoste nello specioso pretesto di voler diffondere le Lettere divine ad uso comune. Anche Pio VII, Nostro Predecessore di recente gloria, che vide crescere con grande vigore quelle Società, non si astenne dall’opporsi ai loro sforzi sia tramite i suoi Nunzi Apostolici, sia per mezzo di Lettere e di Decreti emanati da varie Congregazioni di Cardinali della Santa Romana Chiesa, sia con due proprie Lettere Pontificie spedite agli Arcivescovi di Gnesna e di Mohilow . Successivamente Leone XII di felice memoria, Nostro Predecessore, condannò i propositi delle Società Bibliche con l’Enciclica indirizzata a tutti i Vescovi del mondo cattolico il 5 maggio 1824, e lo stesso fece l’ultimo Nostro Predecessore di felice memoria, Pio VIII, con l’Enciclica 24 maggio 1829. Noi poi, che siamo succeduti nel seggio di quest’ultimo con meriti molto impari, non abbiamo omesso di volgere la Nostra Apostolica sollecitudine al medesimo scopo, e fra le altre cose Ci siamo preoccupati che si ravvivassero nella mente dei fedeli le regole già stabilite intorno alle traduzioni delle Scritture .

    Dobbiamo quindi congratularci vivamente con voi, Venerabili Fratelli, che, spinti dalla pietà e dalla prudenza e rassicurati dalle suddette Lettere dei Nostri Predecessori, quando è stato necessario non avete mai trascurato di ammonire le pecore cattoliche contro le insidie che venivano tramate dalle Società Bibliche. Per la diligenza dei Vescovi uniti con l’impegno di questa Sede di Pietro, con la benedizione del Signore è avvenuto che alcuni uomini cattolici, che favorivano imprudentemente le Società Bibliche, conosciuta la frode se ne ritrassero, e così rimase salvo il rimanente popolo dei fedeli dal contagio che lo sovrastava.

    Questi Settari Biblici erano affascinati dalla speranza di poter conseguire altissima lode nell’indurre gl’Infedeli a professare il nome Cristiano attraverso la lettura dei Sacri Codici editi nella loro lingua; si preoccupavano che i libri venissero distribuiti in grande quantità di esemplari dai loro missionari, o piuttosto emissari, in tutte le regioni, anche a coloro che non li volevano. Ma a questi uomini che si adoperavano di propagare il nome Cristiano al di fuori delle regole stabilite dallo stesso Cristo, non derivò alcun frutto, se non che poterono creare talvolta nuovi impedimenti ai Sacerdoti Cattolici i quali, recatisi a quelle popolazioni dopo averne ricevuto il mandato da questa Santa Sede, non risparmiavano fatiche predicando la parola di Dio, amministrando i Sacramenti, rigenerando nuovi figli alla Chiesa, pronti anche per la salvezza di questi e per testimoniare la Fede a versare perfino il sangue fra i più efferati tormenti.

    Frattanto fra questi Settari, delusi nelle loro aspettative e dolenti nel dover riconoscere di aver erogato tanto denaro nello stampare le loro Bibbie e di averle diffuse senza alcun frutto, recentemente si trovarono alcuni che con nuovo orientamento si disposero ad aggredire gli animi degli Italiani e persino dei cittadini della Nostra stessa Roma. Infatti, da notizie e documenti ricevuti ora, abbiamo saputo che nello scorso anno molti uomini di diverse Sette sono convenuti a New York, in America, e il 12 giugno hanno fondato una nuova Società denominata Alleanza Cristiana con l’intento di ampliarla e di accrescerla con membri di ogni nazione, costituendo Sodalizi a suo sostegno, con il comune proposito d’infondere nel cuore dei Romani e degli Italiani la libertà religiosa o, meglio, una stolta indifferenza in fatto di religione. Confessano che le istituzioni di Roma e d’Italia nel lungo corso dei secoli hanno acquistato ovunque tanto prestigio, che nulla si è realizzato di grande in tutto il mondo che non abbia avuto principio da questa Alma Urbe. Tutto questo non sarebbe derivato dal supremo seggio di Pietro, qui stabilito per disposizione divina, ma da alcuni resti dell’antico dominio dei Romani usurpato, come dicono, dal potere dei Nostri Predecessori. Risoluti quindi a voler donare a tutti i popoli la libertà di coscienza (o piuttosto dell’errore), fonte, come essi proclamano, di libertà politica ed incremento di pubblica prosperità, sembra loro di non poter far nulla se prima non riescono ad affermarsi presso gli Italiani e i Romani, per poi usare della loro autorità e del loro prestigio presso gli altri popoli. Essi confidano di raggiungere facilmente l’intento. Essendo molti gli Italiani sparsi nelle varie terre, e molti anche quelli che ritornano in patria, essi sperano di allettarne tanti che, già inclinati ad accettare le novità, possono essere indotti dalla miseria o dai loro inquinati costumi ad iscriversi a questa Società o a vendere la propria opera per denaro. Essi rivolsero dunque le loro cure a diffondere a mezzo di tali operai le Bibbie in volgare e corrotte, mettendole di soppiatto nelle mani dei fedeli; inoltre, cercano di propagare assieme ad esse altri pessimi libri, onde alienare le menti dei lettori dall’ossequio alla Chiesa ed a questa Santa Sede: opere composte anche da Italiani o tradotte nella patria lingua, fra le quali la Storia della Riforma scritta da Merle d’Aubigné e Le memorie sopra la Riforma presso gl’Italiani di Giovanni Cric. D’altra parte, per quanto si riferisce al genere di libri, lo si comprende dal fatto che a norma dello Statuto della Società è prescritto che alle particolari assemblee deputate alla scelta dei libri non possano partecipare due membri di una medesima setta religiosa.

    Appena giunsero a Nostra conoscenza queste cose, non potemmo non rattristarci profondamente in considerazione del pericolo che sovrasta l’integrità della Nostra santissima Religione da parte di questi Settari non soltanto in luoghi lontani dall’Urbe, ma presso lo stesso centro dell’unità cattolica. E sebbene non sia da temere che venga meno la Cattedra di Pietro, nella quale da Cristo Signore fu piantato l’inespugnabile fondamento della Sua Chiesa, tuttavia non Ci è permesso desistere dal difenderne l’autorità; l’ufficio stesso del supremo Apostolato Ci ammonisce che dovremo rendere strettissimo conto al divino Principe dei Pastori della zizzania che cresce nel campo del Signore se il nemico la seminerà quando il sonno Ci coglieva, o per il sangue delle pecore affidate alla Nostra sollecitudine che dovessero perire per colpa Nostra.

    Pertanto, radunati a consiglio alcuni Cardinali di Santa Romana Chiesa, dopo aver esaminato la cosa nella sua gravità, siamo arrivati alla decisione, anche con il loro consenso, d’inviare a tutti voi, Venerabili Fratelli, questa Lettera con la quale condanniamo nuovamente con la Nostra Apostolica autorità le sopraddette Società Bibliche, già proscritte dai Nostri Predecessori, e con sentenza particolare del Nostro Supremo Apostolato riproviamo e condanniamo nominativamente la suddetta nuova Società dell’Alleanza Cristiana, istituita lo scorso anno a New York, e altre associazioni dello stesso genere se mai fossero già unite ad essa o stessero per unirsi. Quindi sia noto ad ognuno che tutti coloro che osassero aderire a qualcuna di tali Società, o prestare ad esse la propria opera e favorirle in qualsiasi maniera, si renderebbero colpevoli di un gravissimo crimine davanti a Dio e alla Chiesa. Confermiamo inoltre e rinnoviamo con l’Autorità Apostolica le sopraddette prescrizioni già promulgate circa il produrre, divulgare, leggere e trattenere i libri della Sacra Scrittura tradotti in lingua volgare. Quanto alle altre opere di qualunque scrittore, richiamiamo alla mente che si debbono osservare le regole generali e i decreti dei Nostri Predecessori premessi all’Indice dei libri proibiti; inoltre ci si deve guardare non solo dai libri registrati nell’Indice stesso, ma anche da tutti gli altri dei quali si tratta nelle ricordate prescrizioni generali.

    E a voi, Venerabili Fratelli, che siete chiamati a condividere la Nostra sollecitudine, caldamente raccomandiamo nel Signore che, secondo l’opportunità dei luoghi e dei tempi, annunziate e spieghiate alle popolazioni soggette alle vostre cure pastorali questo giudizio Apostolico e queste Nostre prescrizioni, e che vi adoperiate per allontanare i fedeli della predetta società dell’Alleanza Cristiana e dalle altre che la sostengono, nonché da tutte le Società Bibliche e da qualsiasi rapporto con esse. A norma di questa Lettera sarà pure vostro dovere togliere dalle mani dei fedeli sia le Bibbie tradotte in lingua volgare che furono pubblicate contro i decreti dei Pontefici Romani, sia pure tutti gli altri libri proibiti o perniciosi; dovrete provvedere a che i fedeli, attraverso i vostri ammonimenti e la vostra autorità, "imparino a distinguere i pascoli salutari da quelli nocivi e mortiferi" . Frattanto insistete ogni giorno di più, Venerabili Fratelli, nel predicare la parola di Dio direttamente voi stessi e per mezzo di coloro che hanno cura d’anime nelle vostre Diocesi, come pure per mezzo di altri Ecclesiastici idonei a questo ministero; controllate con molta attenzione specialmente quelli che sono destinati a tenere pubbliche lezioni di Sacra Scrittura affinché adempiano con diligenza il loro ufficio secondo la capacità d’intendere degli uditori; né ardiscano mai, sotto qualsiasi pretesto, d’interpretare e di spiegare le Sacre Scritture contro la tradizione dei Padri o diversamente dal pensiero della Chiesa Cattolica.

    Infine, come è del buon Pastore non solo nutrire e difendere le pecore che gli sono vicine, ma anche rintracciare e ricondurre all’ovile quelle che si dispersero lontano, così sarà Vostro e Nostro dovere mettere in atto tutta la forza dello zelo pastorale, affinché tutti coloro che si lasciarono sedurre dai Settari e dai propagatori di libri cattivi giungano a conoscere la gravità del loro peccato e studino di espiarlo con una salutare penitenza; e neppure avvenga che la vostra sacerdotale sollecitudine respinga quei seduttori e maestri di empietà, poiché sebbene la loro responsabilità sia maggiore, non dobbiamo astenerci dal promuovere con tutti i mezzi e in tutti i modi la loro salvezza.

    Quanto al resto, Venerabili Fratelli, contro gli agguati e i raggiri degli associati all’Alleanza Cristiana chiediamo una particolare e più attiva vigilanza da parte di coloro, fra voi, che reggono le Chiese situate in Italia o nei luoghi dove gl’Italiani si trovano più spesso, specialmente ai confini d’Italia e dovunque esistono mercati e porti dove c’è maggior movimento verso l’Italia. Poiché i Settari sono decisi a mandare ad effetto i loro disegni, è necessario che con indefessa e costante premura i Vescovi di quelle località lavorino per dissipare con l’aiuto di Dio le loro macchinazioni.

    Non dubitiamo che queste Nostre e Vostre preoccupazioni troveranno aiuto nel Potere civile e specialmente presso i Principi più potenti d’Italia, sia per il loro grande desiderio di conservare la Religione Cattolica, sia perché non sfugge alla loro prudenza quanto importi, nell’interesse dello Stato, che questi tentativi dei Settari vadano a vuoto. È infatti comprovato dall’esperienza dei tempi passati che nulla spiana meglio la via alla rivolta del popoli contro l’autorità dei Principi, quanto quella indifferenza in fatto di Religione che i Settari vanno propagando sotto il nome di libertà religiosa. Ciò non nascondono quei nuovi membri del sodalizio Fraternità Cristiana i quali, pur dichiarandosi alieni dal suscitare rivoluzioni civili, tuttavia confessano che dal rivendicato arbitrio popolare di interpretare le Scritture e dalla libertà di coscienza diffusa in tal modo fra gl’Italiani parimenti sorgerà spontaneamente in Italia la libertà politica.

    Ma prima di tutto e sopra tutto leviamo insieme le mani a Dio, Venerabili Fratelli, e a Lui raccomandiamo con tutta l’umiltà possibile delle nostre fervide preghiere la causa Nostra, di tutto il gregge e della Sua Chiesa, interponendo anche la devotissima preghiera di Pietro, Principe degli Apostoli, degli altri Santi e specialmente della Beatissima Vergine Maria, a cui fu dato di estirpare tutte le eresie nel mondo intero.

    Infine, come pegno della Nostra ardentissima carità, a voi tutti, Venerabili Fratelli, agli Ecclesiastici ed ai Laici fedeli affidati alla vostra cura, con tutta l’effusione del Nostro cuore impartiamo l’Apostolica Benedizione.

    Dato a Roma, presso San Pietro, il giorno 8 maggio 1844, nell’anno decimoquarto del Nostro Pontificato.


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    Predefinito Riferimento: L'Oracolo pontificio: il Magistero dei Papi

    Pio IX Pontefice Massimo

    Bolla "Ineffabilis Deus"

    Dio ineffabile, le vie del quale sono la misericordia e la verità; Dio, la cui volontà è onnipotente e la cui sapienza abbraccia con forza il primo e l'ultimo confine dell'universo e regge ogni cosa con dolcezza, previde fin da tutta l'eternità la tristissima rovina dell'intero genere umano, che sarebbe derivata dal peccato di Adamo. Avendo quindi deciso, in un disegno misterioso nascosto dai secoli, di portare a compimento l'opera primitiva della sua bontà, con un mistero ancora più profondo – l'incarnazione del Verbo – affinché l'uomo (indotto al peccato dalla perfida malizia del diavolo) non andasse perduto, in contrasto con il suo proposito d'amore, e affinché venisse recuperato felicemente ciò che sarebbe caduto con il primo Adamo, fin dall'inizio e prima dei secoli scelse e dispose che al Figlio suo Unigenito fosse assicurata una Madre dalla quale Egli, fatto carne, sarebbe nato nella felice pienezza dei tempi. E tale Madre circondò di tanto amore, preferendola a tutte le creature, da compiacersi in Lei sola con un atto di esclusiva benevolenza. Per questo, attingendo dal tesoro della divinità, la ricolmò – assai più di tutti gli spiriti angelici e di tutti i santi – dell'abbondanza di tutti i doni celesti in modo tanto straordinario, perché Ella, sempre libera da ogni macchia di peccato, tutta bella e perfetta, mostrasse quella perfezione di innocenza e di santità da non poterne concepire una maggiore dopo Dio, e che nessuno, all'infuori di Dio, può abbracciare con la propria mente.

    Era certo sommamente opportuno che una Madre degna di tanto onore rilucesse perennemente adorna degli splendori della più perfetta santità e, completamente immune anche dalla stessa macchia del peccato originale, riportasse il pieno trionfo sull'antico serpente. Dio Padre dispose di dare a Lei il suo unico Figlio, generato dal suo seno uguale a sé, e che ama come se stesso, in modo tale che fosse, per natura, Figlio unico e comune di Dio Padre e della Vergine; lo stesso Figlio scelse di farne la sua vera Madre, e lo Spirito Santo volle e operò perché da Lei fosse concepito e generato Colui dal quale egli stesso procede.

    La Chiesa Cattolica che – da sempre ammaestrata dallo Spirito Santo – è il basilare fondamento della verità, considerando come dottrina rivelata da Dio, compresa nel deposito della celeste rivelazione, questa innocenza originale dell'augusta Vergine unitamente alla sua mirabile santità, in perfetta armonia con l'eccelsa dignità di Madre di Dio, non ha mai cessato di presentarla, proporla e sostenerla con molteplici argomentazioni e con atti solenni sempre più frequenti. Proprio la Chiesa, non avendo esitato a proporre la Concezione della stessa Vergine al pubblico culto e alla venerazione dei fedeli, ha offerto un'inequivocabile conferma che questa dottrina, presente fin dai tempi più antichi, era intimamente radicata nel cuore dei fedeli e veniva mirabilmente diffusa dall'impegno e dallo zelo dei Vescovi nel mondo cattolico. Con questo atto significativo mise in evidenza che la Concezione della Vergine doveva essere venerata in modo singolare, straordinario e di gran lunga superiore a quello degli altri uomini: pienamente santo, dal momento che la Chiesa celebra solamente le feste dei Santi.

    Per questo essa era solita inserire negli uffici ecclesiastici e nella sacra Liturgia, riferendole anche alle origini della Vergine, le stesse identiche parole impiegate dalla Sacra Scrittura per parlare della Sapienza increata e per descriverne le origini eterne, perché entrambe erano state preordinate nell'unico e identico decreto dell'Incarnazione della Divina Sapienza.

    Sebbene tutte queste cose, condivise quasi ovunque dai fedeli, dimostrino con quanta cura la stessa Chiesa Romana, madre e maestra di tutte le Chiese, abbia seguito la dottrina dell'Immacolata Concezione della Vergine, tuttavia meritano di essere elencati, uno per uno, gli atti più importanti della Chiesa in questa materia, perché assai grandi sono la sua dignità e la sua autorità, quali si addicono ad una simile Chiesa: è lei il centro della verità cattolica e dell'unità; in lei sola fu custodita fedelmente la religione; da lei tutte le altre Chiese devono attingere la tradizione della fede.

    Dunque, questa stessa Chiesa Romana ritenne che non potesse esserci niente di più meritevole che affermare, tutelare, propagandare e difendere, con ogni più eloquente mezzo, l'Immacolata Concezione della Vergine, il suo culto e la sua dottrina. Tutto questo è testimoniato e messo in evidenza, in modo assolutamente inequivocabile, da innumerevoli e straordinari, atti dei Romani Pontefici Nostri Predecessori, ai quali, nella persona del Principe degli Apostoli, fu affidato, per volere divino, dallo stesso Cristo Signore il supremo compito e il potere di pascere gli agnelli e le pecore, di confermare nella fede i fratelli, di reggere e governare tutta la Chiesa.

    I Nostri Predecessori infatti si vantarono grandemente, avvalendosi della loro autorità Apostolica, di avere istituito nella Chiesa Romana la festa della Concezione con Ufficio e Messa proprii, per mezzo dei quali veniva affermato, con la massima chiarezza, il privilegio dell'immunità dalla macchia originale; di aver rafforzato, circondato di ogni onore, promosso e accresciuto con ogni mezzo il culto già stabilito, sia con la concessione di Indulgenze, sia accordando alle città, alle province e ai regni la facoltà di scegliere come Patrona la Madre di Dio sotto il titolo dell'Immacolata Concezione, sia con l'approvazione di Confraternite, di Congregazioni e di Famiglie religiose, costituite per onorare l'Immacolata Concezione, sia con il tributare lodi alla pietà di coloro che avevano eretto monasteri, ospizi, altari e templi dedicati all'Immacolata Concezione, oppure si erano impegnati, con un solenne giuramento, a difendere strenuamente l'Immacolata Concezione della Madre di Dio.

    Provarono anche l'immensa gioia di decretare che la festa della Concezione dovesse essere considerata da tutta la Chiesa, con la stessa dignità e importanza della Natività; inoltre, che fosse celebrata ovunque come solennità insignita di ottava e da tutti santificata come festa di precetto, e che ogni anno si tenesse nella Nostra Patriarcale Basilica Liberiana una Cappella Papale nel giorno santo dell'Immacolata Concezione.

    Spinti dal desiderio di rafforzare, ogni giorno di più, nell'animo dei fedeli questa dottrina dell'Immacolata Concezione della Madre di Dio e di stimolare la loro pietà al culto e alla venerazione della Vergine concepita senza peccato originale, furono lietissimi di concedere la facoltà che venisse pronunciata ad alta voce la Concezione Immacolata della Vergine nelle Litanie Lauretane e nello stesso Prefazio della Messa, affinché i dettami della fede trovassero conferma nelle norme della preghiera.

    Noi quindi, seguendo le orme di Predecessori così illustri, non solo abbiamo approvato e accolto tutto ciò che è stato da loro deciso con tanta devozione e con tanta saggezza, ma, memori di ciò che aveva disposto Sisto IV, abbiamo confermato, con la Nostra autorità, l'Ufficio proprio dell'Immacolata Concezione e, con sensi di profonda gioia, ne abbiamo concesso l'uso a tutta la Chiesa.

    Ma poiché tutto ciò che si riferisce al culto è strettamente connesso con il suo oggetto e non può rimanere stabile e duraturo se questo oggetto è incerto e non ben definito, i Romani Pontefici Nostri Predecessori, mentre impiegavano tutta la loro sollecitudine per accrescere il culto della Concezione, si preoccuparono anche di chiarirne e di inculcarne con ogni mezzo l'oggetto e la dottrina. Insegnarono infatti, in modo chiaro ed inequivocabile, che si celebrasse la festa della Concezione della Vergine e respinsero quindi, come falsa e assolutamente contraria al pensiero della Chiesa, l'opinione di coloro che ritenevano ed affermavano che da parte della Chiesa non si onorava la Concezione ma la santificazione di Maria. Né ritennero che si potesse procedere con minore decisione contro coloro che, al fine di sminuire la dottrina sull'Immacolata Concezione della Vergine, avendo escogitato una distinzione fra il primo istante e il secondo momento della Concezione, affermavano che si celebrava sì la Concezione, ma non quella del primo iniziale momento.

    Gli stessi Nostri Predecessori stimarono loro preciso dovere difendere e sostenere, con tutto l'impegno, sia la festa della Concezione della Beatissima Vergine, sia la Concezione dal suo primo istante come vero oggetto del culto. Di qui le parole assolutamente decisive, con le quali Alessandro VII, Nostro Predecessore, mise in evidenza il vero pensiero della Chiesa. Egli si espresse in questi termini: "È sicuramente di antica data la particolare devozione verso la Beatissima Madre, la Vergine Maria, da parte dei fedeli: infatti erano convinti che la sua anima – fin dal primo istante della sua creazione e della sua infusione nel corpo – fosse stata preservata immune dalla macchia del peccato originale per una speciale grazia e per un singolare privilegio di Dio, in previsione dei meriti di Gesù Cristo, Figlio suo e Redentore del genere umano. Animati da tale persuasione, circondavano di onore e celebravano la festa della Concezione con un rito solenne" .

    E fu proprio impegno primario dei Nostri Predecessori custodire con ogni cura, zelo e sforzo, perfettamente integra la dottrina dell'Immacolata Concezione della Madre di Dio. Infatti non solo non tollerarono mai che la stessa dottrina venisse in qualche modo biasimata e travisata da chicchessia, ma, spingendosi ben oltre, asserirono, con chiare e reiterate dichiarazioni, che la dottrina, con la quale professiamo l'Immacolata Concezione della Vergine, era e doveva essere considerata a pieno titolo assolutamente conforme al culto della Chiesa; era antica e quasi universalmente riconosciuta, tale da essere fatta propria dalla Chiesa Romana, con l'intento di assecondarla e custodirla, e del tutto degna di aver parte nella stessa Sacra Liturgia e nelle preghiere più solenni.

    Non contenti di ciò, affinché la dottrina dell'Immacolato Concepimento della Vergine si mantenesse integra, vietarono, con la più grande severità, che ogni opinione contraria a questa dottrina potesse essere sostenuta sia in pubblico che in privato e la vollero colpita a morte. A queste ripetute e chiarissime dichiarazioni, perché non risultassero vane, aggiunsero delle sanzioni. Tutto questo è stato riassunto dal Nostro venerato Predecessore Alessandro VII con le seguenti parole:

    "Considerando che la Santa Chiesa Romana celebra solennemente la festa della Concezione dell'Intemerata e sempre Vergine Maria, e che, al riguardo, ha un tempo composto un Ufficio proprio e specifico in ossequio alla pia, devota e lodevole disposizione emanata dal Nostro Predecessore Sisto IV; volendo Noi pure favorire, sull'esempio dei Romani Pontefici Nostri Predecessori, questa lodevole e pia devozione, questa festa e questo culto, prestato conformemente a quella direttiva e che dalla sua istituzione non ha subito, nella Chiesa Romana, alcun mutamento; volendo anche salvaguardare questa particolare forma di pietà e di devozione nel rendere onore e nel celebrare la Beatissima Vergine preservata dal peccato originale con un atto preventivo della grazia dello Spirito Santo; desiderando inoltre conservare nel gregge di Cristo l'unità dello spirito nel vincolo della pace, dopo aver placato i motivi di scontro e le dispute e aver rimosso gli scandali; accogliendo le istanze e le suppliche a Noi rivolte dai Vescovi sopra ricordati, unitamente ai Capitoli delle loro Chiese, dal Re Filippo e dai suoi Regni; rinnoviamo le Costituzioni e i Decreti emanati dai Romani Pontefici Nostri Predecessori, soprattutto da Sisto IV, da Paolo V e da Gregorio XV, per avvalorare l'affermazione intesa a sostenere che l'anima della Beata Vergine Maria, nella sua creazione e nell'infusione nel corpo, ebbe il dono della grazia dello Spirito Santo e fu preservata dal peccato originale; per favorire la festa e il culto della stessa Concezione della Vergine Madre di Dio, in linea con la pia proposizione suesposta, decretiamo che tali Costituzioni e Decreti siano osservati, sotto pena d'incorrere nelle censure e nelle altre sanzioni previste nelle Costituzioni stesse.

    "Decretiamo che quanti ardiranno interpretare le Costituzioni e i Decreti citati in modo da vanificare il favore reso, per mezzo loro, alla sunnominata affermazione, alla festa e al culto prestato nel rispetto della stessa; avranno osato mettere in discussione questa affermazione, questa festa e questo culto, o prendere posizione contro di essa in qualunque modo, direttamente o indirettamente, ricorrendo a qualsivoglia pretesto, sia pure con l'intento di esaminarne la sua definibilità e di spiegare e di interpretare, al riguardo, la Sacra Scrittura, i Santi Padri, e i Dottori; o ancora farsi forti di ogni altro possibile pretesto od occasione e poter quindi esprimere, dichiarare, trattare, disputare a voce e per iscritto, precisando, affermando e adducendo qualche argomentazione contro di essa, senza portarla a compimento; dissertare infine contro di essa in qualsiasi altro modo, addirittura fuori dell'immaginabile; che siano privati anche della facoltà di predicare, di leggere, di insegnare e di dissertare in pubblico; di aver voce attiva e passiva in ogni tipo di elezioni, senza bisogno di alcuna dichiarazione. Incorreranno dunque, ipso facto, nella pena della perpetua interdizione di predicare, di leggere, di insegnare e di dissertare in pubblico.

    "Da queste pene essi potranno essere assolti o dispensati solamente da Noi o dai Romani Pontefici Nostri Successori. Intendiamo anche sottoporli, ed effettivamente con la presente li sottoponiamo, ad altre pene da infliggere a Nostro insindacabile giudizio e dei Romani Pontefici Nostri Successori, mentre rinnoviamo le Costituzioni e i Decreti di Paolo V e di Gregorio XV sopra ricordati.

    "Dichiariamo inaccettabili, e le sottoponiamo alle pene e alle censure contenute nell'Indice dei libri proibiti, le pubblicazioni nelle quali vengono messi in dubbio quella affermazione, la festa e il culto approvato; viene scritto, o vi si possa leggere, alcunché di contrario a ciò che è stato sopra riportato; trovino spazio discorsi, prediche, trattati, dissertazioni che ne avversano il contenuto. Ordiniamo e decretiamo che siffatti libri siano, ipso facto, da considerare espressamente proibiti, senza attendere una specifica dichiarazione".

    D'altra parte tutti sanno con quanto zelo questa dottrina dell'Immacolata Concezione della Vergine Madre di Dio sia stata tramandata, sostenuta e difesa dalle più illustri Famiglie religiose, dalle più celebri Accademie teologiche e dai Dottori più versati nella scienza delle cose divine. Tutti parimenti conoscono quanto siano stati solleciti i Vescovi nel sostenere in pubblico, anche nelle assemblee ecclesiastiche, che la santissima Vergine Maria, Madre di Dio, in previsione dei meriti del Redentore Gesù Cristo, non fu mai soggetta al peccato ma, del tutto preservata dalla colpa originale, fu redenta in una maniera più sublime.

    A tutto ciò si aggiunge il fatto, decisamente assai rilevante e del massimo peso, che lo stesso concilio di Trento, quando promulgò il decreto dogmatico sul peccato originale, nel quale, sulla scorta delle testimonianze della Sacra Scrittura, dei Santi Padri e dei più autorevoli Concili, stabilì e definì che tutti gli uomini nascono affetti dal peccato originale, dichiarò tuttavia solennemente che non era sua intenzione comprendere in quel decreto, e nell'ambito di una definizione così generale, la Beata ed Immacolata Vergine Maria Madre di Dio.

    Con tale dichiarazione infatti i Padri Tridentini indicarono con sufficiente chiarezza, tenendo conto della situazione del tempo, che la Beatissima Vergine fu esente dalla colpa originale. Indicarono perciò apertamente che dalle divine Scritture, dalla tradizione, dall'autorità dei Padri, niente poteva essere desunto che fosse in contrasto con questa prerogativa della Vergine.

    Per la verità, illustri monumenti di veneranda antichità della Chiesa orientale ed occidentale testimoniano con assoluta certezza che questa dottrina dell'Immacolata Concezione della Beatissima Vergine, che, giorno dopo giorno, è stata magnificamente illustrata, proclamata e confermata dall'autorevolissimo sentimento, dal magistero, dallo zelo, dalla scienza e dalla saggezza della Chiesa e si è diffusa in modo tanto prodigioso presso tutti i popoli e le nazioni del mondo cattolico, è da sempre esistita nella Chiesa stessa come ricevuta dagli antenati e contraddistinta dalle caratteristiche della dottrina rivelata.

    Infatti la Chiesa di Cristo, fedele custode e garante dei dogmi a lei affidati, non ha mai apportato modifiche ad essi, non vi ha tolto o aggiunto alcunché, ma trattando con ogni cura, in modo accorto e sapiente, le dottrine del passato per scoprire quelle che si sono formate nei primi tempi e che la fede dei Padri ha seminato, si preoccupa di limare e di affinare quegli antichi dogmi della Divina Rivelazione, perché ne ricevano chiarezza, evidenza e precisione, ma conservino la loro pienezza, la loro integrità e la loro specificità e si sviluppino soltanto nella loro propria natura, cioè nell'ambito del dogma, mantenendo inalterati il concetto e il significato.

    In verità, i Padri e gli scrittori ecclesiastici, ammaestrati dalle parole divine – nei libri elaborati con cura per spiegare la Scrittura, per difendere i dogmi e per istruire i fedeli – non trovarono niente di più meritevole di attenzione del celebrare ed esaltare, nei modi più diversi ed ammirevoli, l'eccelsa santità, la dignità e l'immunità della Vergine da ogni macchia di peccato e la sua vittoria sul terribile nemico del genere umano. Per tale motivo, mentre commentavano le parole con le quali Dio, fin dalle origini del mondo, annunciando i rimedi della sua misericordia approntati per la rigenerazione degli uomini, rintuzzò l'audacia del serpente ingannatore e rialzò mirabilmente le speranze del genere umano: "Porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua e la sua stirpe", essi insegnarono che con questa divina profezia fu chiaramente e apertamente indicato il misericordioso Redentore del genere umano, cioè il Figliuolo Unigenito di Dio, Gesù Cristo; fu anche designata la sua beatissima Madre, la Vergine Maria, e, nello stesso tempo, fu nettamente espressa l'inimicizia dell'uno e dell'altra contro il demonio. Ne conseguì che, come Cristo, mediatore fra Dio e gli uomini, assunta la natura umana, annientò il decreto di condanna esistente contro di noi, inchiodandolo da trionfatore sulla Croce, così la santissima Vergine, unita con Lui da un legame strettissimo ed indissolubile, poté esprimere, con Lui e per mezzo di Lui, un'eterna inimicizia contro il velenoso serpente e, riportando nei suoi confronti una nettissima vittoria, gli schiacciò la testa con il suo piede immacolato.

    Di questo nobile e singolare trionfo della Vergine, della sua straordinaria innocenza, purezza e santità, della sua immunità da ogni macchia di peccato, della sua ineffabile abbondanza di tutte le grazie divine, di tutte le virtù e di tutti i privilegi a Lei donati, gli stessi Padri videro una figura sia nell'Arca di Noè che, voluta per ordine di Dio, scampò del tutto indenne al diluvio universale; sia in quella scala che Giacobbe vide ergersi da terra fino al cielo, e lungo la quale salivano e scendevano gli angeli di Dio e alla cui sommità stava il Signore stesso; sia in quel roveto che Mosè vide nel luogo santo avvolto completamente dalle fiamme e, pur immerso in un fuoco crepitante, non si consumava né pativa alcun danno ma continuava ad essere verde e fiorito; sia in quella torre inespugnabile, eretta di fronte al nemico, dalla quale pendono mille scudi e tutte le armature dei forti; sia in quell'orto chiuso che non può essere violato né devastato da alcun assalto insidioso; sia in quella splendente città di Dio che ha le sue fondamenta sui monti santi; sia in quell'eccelso tempio di Dio che, rifulgendo degli splendori divini, è ricolmo della gloria del Signore; sia in tutti gli altri innumerevoli segni dello stesso genere che, secondo il pensiero dei Padri, preannunciavano cose straordinarie sulla dignità della Madre di Dio, sulla sua illibata innocenza e sulla sua santità, mai soggetta ad alcuna macchia.

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    Predefinito Riferimento: L'Oracolo pontificio: il Magistero dei Papi

    Per descrivere debitamente quest'insieme di doni celesti e l'innocenza originale della Vergine dalla quale è nato Gesù, i Padri ricorsero alle parole dei Profeti ed esaltarono questa divina, santa Vergine, come una pura colomba, come una Santa Gerusalemme, come un eccelso trono di Dio, come un'arca della santificazione, come la casa che l'eterna Sapienza si è edificata, come quella Regina straordinaria che, ricolma di delizie e appoggiata al suo Diletto, uscì dalla bocca dell'Altissimo assolutamente perfetta e bella, carissima a Dio e mai contaminata da alcuna macchia di peccato.

    Siccome poi gli stessi Padri e gli scrittori ecclesiastici erano pienamente convinti che l'Angelo Gabriele, nel dare alla beatissima Vergine l'annuncio dell'altissima dignità di Madre di Dio, l'aveva chiamata, in nome e per comando di Dio stesso, piena di grazia, insegnarono che con questo singolare e solenne saluto, mai udito prima di allora, si proclamava che la Madre di Dio era la sede di tutte le grazie divine, era ornata di tutti i carismi dello Spirito Santo, anzi era un tesoro quasi infinito e un abisso inesauribile di quegli stessi doni divini, a tal punto che, non essendo mai stata soggetta a maledizione ma partecipe, insieme con il suo Figlio, di eterna benedizione, meritò di essere chiamata da Elisabetta, mossa dallo Spirito di Dio: "Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo seno".

    Da tutto ciò derivò il loro concorde e ben documentato pensiero che, in forza di tutti questi doni divini, la gloriosissima Vergine, per la quale "grandi cose ha fatto colui che è potente", rifulse di tale pienezza di grazia e di tale innocenza da diventare l'ineffabile miracolo di Dio, anzi il culmine di tutti i miracoli e quindi degna Madre di Dio, la più vicina a Dio, nella misura in cui ciò è possibile ad una creatura, superiore a tutte le lodi angeliche ed umane.

    Per questo motivo, con l'intento di dimostrare l'innocenza e la giustizia originale della Madre di Dio, i Padri non solo la paragonarono spessissimo ad Eva ancora vergine, innocente, non corrotta e non ancora caduta nei lacci delle mortali insidie del serpente ingannatore, ma la anteposero a lei con una meravigliosa varietà di parole e di espressioni. Eva infatti, avendo dato ascolto disgraziatamente al serpente, decadde dall'innocenza originale e divenne sua schiava, mentre la beatissima Vergine accrebbe continuamente il primitivo dono e, senza mai ascoltare il serpente, con la forza ricevuta da Dio ne annientò la violenza e il potere.

    Perciò non si stancarono mai di proclamarla giglio tra le spine; terra assolutamente inviolata, verginale, illibata, immacolata, sempre benedetta e libera da ogni contagio di peccato, dalla quale è stato formato il nuovo Adamo; giardino delle delizie piantato da Dio stesso, senza difetti, splendido, abbondantemente ornato di innocenza e di immortalità e protetto da tutte le insidie del velenoso serpente; legno immarcescibile che il tarlo del peccato mai poté intaccare; fonte sempre limpida e segnata dalla potenza dello Spirito Santo; tempio esclusivo di Dio; tesoro di immortalità; unica e sola figlia, non della morte, ma della vita; germoglio di grazia e non d'ira che, per uno speciale intervento della provvidenza divina, è spuntato, sempre verde e ammantato di fiori, da una radice corrotta e contaminata.

    Ma come se tutte queste espressioni non bastassero, pur essendo straordinarie, i Padri formularono specifiche e stringenti argomentazioni per affermare che, parlando del peccato, non poteva in alcun modo essere chiamata in causa la santa Vergine Maria, perché a Lei era stata elargita la grazia in misura superiore per vincere ogni specie di peccato. Asserirono quindi che la gloriosissima Vergine fu la riparatrice dei progenitori, la fonte della vita per i posteri. Scelta e preparata dall'Altissimo da tutta l'eternità e da Lui preannunciata quando disse al serpente: "Porrò inimicizia fra te e la donna", schiacciò veramente la testa di quel velenoso serpente.

    Sostennero dunque che la beatissima Vergine fu, per grazia, immune da ogni macchia di peccato ed esente da qualsivoglia contaminazione del corpo, dell'anima e della mente. Unita in un intimo rapporto e congiunta da un eterno patto di alleanza con Dio, non fu mai preda delle tenebre, ma fruì di una luce perenne e risultò degnissima dimora di Cristo, non per le qualità del corpo, ma per lo stato originale di grazia.

    Parlando della Concezione della Vergine, i Padri aggiunsero espressioni assai significative, con le quali attestarono che la natura cedette il passo alla grazia e si trovò incapace a svolgere il suo compito. Non poteva infatti accadere che la Vergine Madre di Dio potesse essere concepita da Anna, prima che la grazia sortisse il suo effetto. Così doveva essere concepita la primogenita, dalla quale doveva poi essere concepito il Primogenito di ogni creatura.

    Proclamarono che la carne della Vergine, derivata da Adamo, non ne contrasse le macchie, e che la beatissima Vergine fu quindi il tabernacolo creato da Dio stesso, formato dallo Spirito Santo, capolavoro di autentica porpora, al quale diede ornamento quel nuovo Beseleel ricamandolo variamente in oro. Fu a buon diritto esaltata come il primo vero capolavoro di Dio: sfuggita ai dardi infuocati del maligno, entrò nel mondo, bella per natura e assolutamente estranea al peccato nella sua Concezione Immacolata, come l'aurora che spande tutt'intorno la sua luce.

    Non era infatti conveniente che quel vaso di elezione fosse colpito dal comune disonore, perché assai diverso da tutti gli altri, di cui condivide la natura ma non la colpa. Al contrario era assolutamente conveniente che come l'Unigenito aveva in cielo un Padre, che i Cherubini esaltano tre volte santo, avesse sulla terra una Madre mai priva dello splendore della santità.

    Proprio questa dottrina era a tal punto radicata nella mente e nell'animo degli antenati, che divenne abituale l'uso di uno speciale e straordinario linguaggio. Lo impiegarono spessissimo per chiamare la Madre di Dio Immacolata, del tutto Immacolata; innocente, anzi innocentissima; illibata nel modo più eccelso; santa e assolutamente estranea al peccato; tutta pura, tutta intemerata, anzi l'esemplare della purezza e dell'innocenza; più bella della bellezza; più leggiadra della grazia; più santa della santità; la sola santa, purissima nell'anima e nel corpo, che si spinse oltre la purezza e la verginità; la sola che diventò, senza riserve, la dimora di tutte le grazie dello Spirito Santo, e che si innalzò al di sopra di tutti, con l'eccezione di Dio: per natura, più bella, più graziosa e più santa degli stessi Cherubini e Serafini e di tutte le schiere degli Angeli. Nessun linguaggio, né del cielo né della terra, può bastare per tesserne le lodi.

    Nessuno ignora che la celebrazione di Lei fu, con tutta naturalezza, introdotta nelle memorie della santa Liturgia e negli Uffici ecclesiastici. Tutti li pervade e li domina per larghi tratti. La Madre di Dio vi è invocata ed esaltata come incorrotta colomba di bellezza, rosa sempre fresca. Essendo purissima sotto ogni aspetto, eternamente immacolata e beata, viene celebrata come l'innocenza stessa, che non fu mai violata, e come la nuova Eva che ha generato l'Emmanuele.

    Non vi è dunque niente di straordinario se i Pastori della Chiesa e i popoli fedeli si sono compiaciuti, ogni giorno di più, di professare con tanta pietà, con tanta devozione e con tanto amore la dottrina dell'Immacolata Concezione della Vergine Madre di Dio, che, a giudizio dei Padri, è stata inserita nella Sacra Scrittura, è stata trasmessa dalle loro numerose e importantissime testimonianze, è stata manifestata e celebrata con tanti insigni monumenti del venerando tempo antico, è stata proposta e confermata dal più alto e autorevole magistero della Chiesa. Pastori e popolo niente ebbero di più dolce e di più caro che onorare, venerare, invocare ed esaltare ovunque, con tutto l'ardore del cuore, la Vergine Madre di Dio concepita senza peccato originale. Per questo già dai tempi antichi i Vescovi, gli uomini di chiesa, gli Ordini regolari, gli stessi Imperatori e Re chiesero, con insistenza, che questa Sede Apostolica definisse l'Immacolata Concezione della Madre di Dio come dogma della fede cattolica. Queste richieste sono state nuovamente ripetute nei tempi più recenti, specialmente al Nostro Predecessore Gregorio XVI di felice memoria, e sono state rivolte anche a Noi dai Vescovi, dal Clero secolare, da Famiglie religiose, da Sovrani e da popoli fedeli.

    Poiché dunque, con straordinaria gioia del Nostro cuore, avevamo piena conoscenza di tutto ciò e ne comprendevamo l'importanza, non appena siamo stati innalzati, sebbene immeritevoli, per un misterioso disegno della divina Provvidenza, a questa sublime Cattedra di Pietro, ed assumemmo il governo di tutta la Chiesa, abbiamo ritenuto che non ci fosse niente di più importante, sorretti anche dalla profonda devozione, pietà e amore nutriti fin dalla fanciullezza per la santissima Vergine Maria Madre di Dio, del portare a compimento tutto ciò che poteva ancora essere nelle aspettative della Chiesa, per accrescere il tributo di onore alla beatissima Vergine e per metterne ancora più in luce le prerogative.

    Volendo tuttavia procedere con grande prudenza, abbiamo costituito una speciale Congregazione di Nostri Venerabili Fratelli, Cardinali di Santa Romana Chiesa, illustri per la pietà, per la competenza e per la conoscenza delle cose divine; abbiamo pure scelto uomini del Clero secolare e regolare, particolarmente versati nelle discipline teologiche, perché esaminassero con ogni cura tutto ciò che riguarda l'Immacolata Concezione della Vergine e presentassero a Noi le loro conclusioni.

    Quantunque già dalle istanze, da Noi ricevute per patrocinare l'eventuale definizione dell'Immacolata Concezione della Vergine, risultasse chiaro il pensiero di molti Vescovi, tuttavia abbiamo inviato ai Venerabili Fratelli Vescovi di tutto il mondo cattolico una Lettera Enciclica, scritta a Gaeta il 2 febbraio 1849, perché, dopo aver rivolto preghiere a Dio, Ci comunicassero per iscritto quali fossero la pietà e la devozione dei loro fedeli nei confronti dell'Immacolata Concezione della Madre di Dio e, soprattutto, quale fosse il loro personale pensiero sulla proposta di questa definizione e quali fossero i loro auspici, al fine di poter esprimere il Nostro decisivo giudizio nel modo più autorevole possibile.

    Non è certo stata di poco peso la consolazione che abbiamo provato, quando Ci pervennero le risposte di quei Venerabili Fratelli. Infatti nelle loro lettere, pervase da incredibile compiacimento, gioia ed entusiasmo, Ci confermarono nuovamente, non solo la straordinaria pietà e i sentimenti che essi stessi, il loro Clero e il popolo fedele nutrivano verso l'Immacolata Concezione della Beatissima Vergine, ma Ci supplicarono anche, con voto pressoché unanime, che l'Immacolata Concezione della Vergine venisse definita con un atto decisivo del Nostro ufficio e della Nostra autorità.

    Nel frattempo abbiamo gustato una gioia non certo minore, quando i Nostri Venerabili Fratelli Cardinali di Santa Romana Chiesa, della speciale Congregazione sopra ricordata, e i citati teologi da Noi scelti come esperti, dopo aver proceduto con tutta l'attenzione ad un impegnativo e meticoloso esame della questione, Ci chiesero con insistenza la definizione dell'Immacolata Concezione della Madre di Dio.

    Dopo queste premesse, seguendo le prestigiose orme dei Nostri Predecessori, desiderando procedere nel rispetto delle norme canoniche, abbiamo tenuto un Concistoro, nel quale abbiamo parlato ai Nostri Venerabili Fratelli, Cardinali di Santa Romana Chiesa, e, con la più grande consolazione del Nostro animo, li abbiamo uditi rivolgerci l'insistente richiesta perché decidessimo di emanare la definizione dogmatica dell'Immacolata Concezione della Vergine Madre di Dio.

    Essendo quindi fermamente convinti nel Signore che fossero maturati i tempi per definire l'Immacolata Concezione della santissima Vergine Maria Madre di Dio, che la Sacra Scrittura, la veneranda Tradizione, il costante sentimento della Chiesa, il singolare consenso dei Vescovi e dei fedeli, gli atti memorabili e le Costituzioni dei Nostri Predecessori mirabilmente illustrano e spiegano; dopo aver soppesato con cura ogni cosa e aver innalzato a Dio incessanti e fervide preghiere; ritenemmo che non si potesse più in alcun modo indugiare a ratificare e a definire, con il Nostro supremo giudizio, l'Immacolata Concezione della Vergine, e così soddisfare le sacrosante richieste del mondo cattolico, appagare la Nostra devozione verso la santissima Vergine e, nello stesso tempo, glorificare sempre più in Lei il suo Figlio Unigenito, il Signore Nostro Gesù Cristo, perché ogni tributo di onore reso alla Madre ridonda sul Figlio.

    Perciò, dopo aver presentato senza interruzione, nell'umiltà e nel digiuno, le Nostre personali preghiere e quelle pubbliche della Chiesa, a Dio Padre per mezzo del suo Figlio, perché si degnasse di dirigere e di confermare la Nostra mente con la virtù dello Spirito Santo; dopo aver implorato l'assistenza dell'intera Corte celeste e dopo aver invocato con gemiti lo Spirito Paraclito; per sua divina ispirazione, ad onore della santa, ed indivisibile Trinità, a decoro e ornamento della Vergine Madre di Dio, ad esaltazione della Fede cattolica e ad incremento della Religione cristiana, con l'autorità di Nostro Signore Gesù Cristo, dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e Nostra, dichiariamo, affermiamo e definiamo rivelata da Dio la dottrina che sostiene che la beatissima Vergine Maria fu preservata, per particolare grazia e privilegio di Dio onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, immune da ogni macchia di peccato originale fin dal primo istante del suo concepimento, e ciò deve pertanto essere oggetto di fede certo ed immutabile per tutti i fedeli.

    Se qualcuno dunque avrà la presunzione di pensare diversamente da quanto è stato da Noi definito (Dio non voglia!), sappia con certezza di aver pronunciato la propria condanna, di aver subito il naufragio nella fede, di essersi separato dall'unità della Chiesa, e, se avrà osato rendere pubblico, a parole o per iscritto o in qualunque altro modo, ciò che pensa, sappia di essere incorso, ipso facto, nelle pene comminate dal Diritto.

    La Nostra bocca è veramente piena di gioia e la Nostra lingua di esultanza. Innalziamo dunque a Gesù Cristo Signore Nostro i più umili e sentiti ringraziamenti perché, pur non avendone i meriti, Ci ha concesso, per una grazia particolare, di offrire e di decretare questo onore e questo tributo di gloria alla sua santissima Madre.

    Fondiamo senz'altro le nostre attese su un fatto di sicura speranza e di pieno convincimento. La stessa beatissima Vergine che, tutta bella e immacolata, schiacciò la testa velenosa del crudelissimo serpente e recò al mondo la salvezza; la Vergine, che è gloria dei Profeti e degli Apostoli, onore dei Martiri, gioia e corona di tutti i Santi, sicurissimo rifugio e fedelissimo aiuto di chiunque è in pericolo, potentissima mediatrice e avvocata di tutto il mondo presso il suo Unigenito Figlio, fulgido e straordinario ornamento della santa Chiesa, incrollabile presidio che ha sempre schiacciato le eresie, ha liberato le genti e i popoli fedeli da ogni sorta di disgrazie e ha sottratto Noi stessi ai numerosi pericoli che Ci sovrastavano, voglia, con il suo efficacissimo patrocinio, portare aiuto alla santa Madre, la Chiesa Cattolica, perché, rimosse tutte le difficoltà, sconfitti tutti gli errori, essa possa, ogni giorno di più, prosperare e fiorire presso tutti i popoli e in tutti i luoghi, "dall'uno all'altro mare, e dal fiume fino agli estremi confini della terra", e possa godere pienamente della pace, della tranquillità e della libertà. Voglia inoltre intercedere perché i colpevoli ottengano il perdono, gli ammalati il rimedio, i pusillanimi la forza, gli afflitti la consolazione, i pericolanti l'aiuto, e tutti gli erranti, rimossa la caligine della mente, possano far ritorno alla via della verità e della giustizia, e si faccia un solo ovile e un solo pastore.

    Ascoltino queste Nostre parole tutti i carissimi figli della Chiesa Cattolica e, con un ancor più convinto desiderio di pietà, di devozione e di amore, continuino ad onorare, ad invocare e a supplicare la beatissima Vergine Maria, Madre di Dio, concepita senza peccato originale, e si rifugino, con piena fiducia, presso questa dolcissima Madre di misericordia e di grazia in ogni momento di pericolo, di difficoltà, di bisogno e di trepidazione. Sotto la sua guida, la sua protezione, la sua benevolenza, il suo patrocinio, non vi può essere motivo né di paura, né di disperazione, perché, nutrendo per noi un profondo sentimento materno e avendo a cuore la nostra salvezza, abbraccia con il suo amore tutto il genere umano. Essendo stata costituita dal Signore Regina del Cielo e della terra, e innalzata al di sopra di tutti i Cori degli Angeli e delle schiere dei Santi, sta alla destra del suo Figlio Unigenito, Signore Nostro Gesù Cristo e intercede con tutta l'efficacia delle sue materne preghiere: ottiene ciò che chiede e non può restare inascoltata.

    Da ultimo, perché questa Nostra definizione dell'Immacolata Concezione della beatissima Vergine Maria possa essere portata a conoscenza di tutta la Chiesa, decidiamo che la presente Nostra Lettera Apostolica resti a perenne ricordo, e ordiniamo che a tutte le trascrizioni, o copie, anche stampate, sottoscritte per mano di qualche pubblico notaio e munita del sigillo di persona costituita in dignità ecclesiastica, si presti la stessa fede che si presterebbe alla presente se fosse esibita o mostrata.

    Nessuno pertanto si permetta di violare il contenuto di questa Nostra dichiarazione, proclamazione e definizione, o abbia l'ardire temerario di avversarlo e di trasgredirlo. Se qualcuno, poi, osasse tentarlo, sappia che incorrerà nello sdegno di Dio onnipotente e dei suoi beati Apostoli Pietro e Paolo.

    Dato a Roma, presso San Pietro, nell'anno dell'Incarnazione del Signore 1854, il giorno 8 dicembre, nell'anno nono del Nostro Pontificato.


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    Predefinito Riferimento: L'Oracolo pontificio: il Magistero dei Papi

    DA UN DISCORSO DI PAPA PIO IX TENUTO NEL GENNAIO 1873:

    "COMBATTIAMO, COMBATTIAMO FIGLIUOLI MIEI, E NON ABBIAMO TIMORE DI NIENTE. RICORDATEVI CHE I NEMICI DI DIO SPARISCONO E LA CHIESA RESTA.
    GESù BAMBINO FUGGE IN EGITTO PER EVITARE LA RABBIA DI ERODE, MA POI è AVVERTITO DI NOTTE PER RITORNARE: DEFUNCTI SUNT ENIM QUI QUAEREBANT ANIMAM PUERI.
    OH QUANTI SONO I PERSECUTORI DELLA CHIESA CHE SONO DEFUNTI! E DOPO AVER SFOGATO LA LORO RABBIA, DOPO AVER DECIMATO LE ANIME DEI FEDELI CHE SERVIVANO A DIO, SON MORTI. E LA CHIESA? LA CHIESA RIMANE.
    SI, SONO MORTI MA VOI, DILETTA SPOSA DI GESù CRISTO, (IL SANTO PADRE NEL PRONUNCIARE QUESTE PAROLE SI COMMOSSE IN MODO CHE LE LACRIME ABBONDANTI SGORGAVANO DAI SUOI OCCHI E STRINGENDO INSIEME LE MANI IN ATTO PIETOSISSIMO, PER ALQUANTI SECONDI APPARVE ASSORTO IN UNA PROFONDA PREGHIERA: UN SILENZIO PROFONDO NELLA SALA ERA ROTTO SOLO DA QUALCHE SINGULTO...POI CONTINUò) VOI, CHIESA FORMATA DA DIO, VOI RIMANETE E RIMARRETE.
    "IPSI PERIBUNT, TU AUTEM PERMANEBIS".
    E RIMANETE GIOVANE, FORTE, COSTANTE A FRONTE DELLE PERSECUZIONI CHE VI PURGANO, VI LAVANO DA OGNI MACCHIA, VI RENDONO PIù FORTE E DIVENTATE SEMPRE QUELLA CHIESA CHE A GIUSTO TITOLO SI CHIAMA MILITANTE PER COMBATTERE COSTANTEMENTE FINO ALLA MORTE.
    RIMANETE CON L'INSEGNAMENTO DELLA VERITà, RIMANETE CON L'INSEGNAMENTO DELLA MORALE, RIMANETE CON L'INSEGNAMENTO DEI SACRAMENTI, RIMANETE IN TANTI MODI, RIMANETE IN TANTE GUISE; COSTORO PERIBUNT, SED TU PERMANEBIS"

    -------------------------------------------------

    SONO MORTI MOLTI PERSECUTORI ANCHE IERI E OGGI: I MURRI, I BONAIUTI, I RONCALLI, I RAHNER, GLI CHENU, I CONGAR, I VON BALTHASAR, I SUENENS, I DANIELOU, I MONTINI, I PELLEGRINO, I CASAROLI, I COLOMBO, I BENELLI, I KONIG, GLI ALFRINK, I LERCARO, I WOJTYLA MA LA CHIESA VIVE, MALGRADO TUTTO E TUTTI.

    SANTITà, NON PERMETTETE PIù CHE UNO SPURIO PERSONALISMO, UN MISERABILE ANTROPOCENTRISMO NEMICO DI DIO, UN VIETO LIBERALISMO TEOLOGICO, UN ECUMENISMO INGANNEVOLE, UN MEACULPISMO RIDICOLO, INSOZZI LA REGGIA CHE FU VOSTRA E DEI VOSTRI AUGUSTI PREDECESSORI.
    FOSTE RE SENZA PAURE E SENZA VERGOGNE, FOSTE SOVRANO PONTEFICE SENZA CEDERE ALLE LUSINGHE DI UN MONDO FALSO CHE VI COLPIVA E VI BLANDIVA: AIUTATECI VOI IN QUESTA LOTTA CONTRO NEMICI TANTO SCALTRI QUANTO POTENTI.
    PADRE SANTO, NOI, ANCHE SE MISERI NELLE NOSTRE TANTE DEBOLEZZE, NELLE NOSTRE VILTà, NELLE NOSTRE MANCANZE, MACILENTI E FERITI PER I MILLE SCONTRI CON IL MONDO ED I SUOI TRISTI INGANNI, PESSIMI SOLDATI DELLA CHIESA CATTOLICA, ABBIAMO ANCORA LA FORZA DI GRIDARVI, COME ALLORA E PIù DI ALLORA, CON LE LACRIME AGLI OCCHI:

    "VIVA IL PAPA, VIVA IL PAPA, VIVA IL PAPA RE!"

    GUELFO NERO

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    Predefinito Riferimento: L'Oracolo pontificio: il Magistero dei Papi

    LE TRE BIANCHEZZE DELLA CHIESA CATTOLICA

    PADRE GABRIELE MARIA ROSCHINI DEI SERVI DI MARIA NELLA SUA FAMOSA DISSERTAZIONE SU MARIA SANTISSIMA SIGNORA DEL SANTISSIMO SACRAMENTO (1953) AVEVA RACCONTATO CHE IL CARDINAL LEPICIER, RIFERENDO AL PAPA PIO XI DELLA VISITA DA LUI FATTA IN ABISSINIA, AVEVA DETTO: "HO RILEVATO TRA QUELLE POPOLAZIONI NERE UNA SPICCATA DEVOZIONE PER TRE COSE BIANCHE: L'OSTIA BIANCA, LA VERGINE BIANCA E IL PAPA BIANCO"
    IL PAPA FU MOLTO COMMOSSO DA QUESTA ASSERZIONE.
    PADRE ROSCHINI CONTINUAVA COSì: "EFFETTIVAMENTE TRE RADIOSI MISTERI, E TUTTI E TRE SOFFUSI DI UN MISTICO ARCANO CANDORE, DISTINGUONO NETTAMENTE-SECONDO UN RILIEVO ORMAI DIVENTATO COMUNE-LA VERA DALLE FALSE RELIGIONI "CRISTIANE": IL MISTERO DELL'OSTIA BIANCA, IL MISTERO DELLA VERGINE BIANCA E IL MISTERO DEL PAPA BIANCO.
    L'EUCARISTIA, LA MADONNA E IL PAPA! ECCO I TRE GRANDI CAPISALDI DELLA NOSTRA FEDE CATTOLICA, ECCO TRE POTENTI CALAMITE, LE TRE STELLE ORIENTATRICI DELLE MENTI E DEI CUORI SINCERAMENTE CATTOLICI.
    ECCO LE TRE GRANDI SORGENTI DI FORZA SOPRANNATURALE DELLA CHIESA CATTOLICA, LA CHIESA DI CUI CRISTO, NASCOSTO SOTTO I CANDIDI VELI EUCARISTICI, è IL CAPO INVISIBILE, DI CUI IL PAPA è IL CAPO VISIBILE, DI CUI MARIA SANTISSIMA è IL CUORE.
    L'EUCARISTIA, LA MADONNA E IL PAPA - QUESTE TRE MISTICHE BIANCHEZZE
    DELLA CHIESA CATTOLICA-COSTITUISCONO UN TRINOMIO LUMINOSO, COMPATTO, INSCINDIBILE".

    SI è PROPRIO VERO: UN TRINOMIO INSCINDIBILE E, ANCHE SE IL TERZO MEMBRO DEL TRINOMIO SEMBRA ESSERSI OGGI OFFUSCATO, IL PAPATO DI SEMPRE, LA SERIE COMPATTA DEI PAPI (DA SAN PIETRO A PIO XII) BRILLA SEMPRE E, SE POSSIBILE DI UNA BIANCHEZZA ANCORA MAGGIORE, A MAGGIOR RAGIONE IN QUESTI TEMPI UN PO' OSCURI.
    L'EUCARISTIA, LA MADONNA, IL PAPATO SONO LE BASI DEL NOSTRO INTEGRALISMO CHE POI è SOLAMENTE IL CATTOLICESIMO INTEGRALMENTE CREDUTO, INTEGRALMENTE DIFESO, INTEGRALMENTE PRATICATO.
    A QUESTE "TRE GRANDI BIANCHEZZE" QUESTO MODESTO FORUM CONSACRA OGNI SUO DIRE E OGNI SUO POSTARE.

 

 
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