Sotto accusa le famigerate celle d'isolamento. Riprendono gli scioperi della fame fuori dal carcere: storie di una lotta fino alla morte
Turchia, urla nel silenzio
Zelal - Istanbul - nostro servizio
Il 3 settembre Feride Horman è uscita dal carcere di Malatya, vicino ad Ankara. Le sue gravissime condizioni di salute dopo quattrocento giorni di sciopero della fame hanno convinto la commissione di Istanbul a chiedere per lei l'articolo 399, in base al quale vengono concessi sei mesi di interruzione della pena ai detenuti gravemente ammalati. Da casa sua ad Aksaray, scrive una lettera, e in questa lettera dice: «Non posso fermarmi, lo faremo solo quando il governo chiuderà le carceri di tipo F (il regime speciale di isolamento, ndr). Contro la violenza, abbiamo solo un'arma, resistere. L'isolamento è una cosa disumana, è come la tortura. Per questo a tutti coloro che sono contro l'oppressione chiedo di combattere al mio fianco».
Feride sta lottando con il suo corpo contro il carcere di isolamento e contro il silenzio dell'Europa. Un silenzio, che dopo l'11 settembre ha trovato la sua giustificazione nella lotta al terrorismo.
E' difficile immaginare cosa si provi dopo 400 giorni di digiuno. Nessuno prima di loro l'ha mai sperimentato, non c'è letteratura scientifica che lo possa raccontare. I muscoli si riducono, e i dolori alle ossa sono fortissimi, la vista e l'udito sono ormai quasi inesistenti, le emorragie interne continue.
E' difficile capire come si possa scegliere una lotta simile. Forse la risposta va cercata nella difficoltà di vivere in un regime che in venti anni ha trucidato circa 25.000 persone comprese le vittime nei villaggi e sulle montagne del Kurdistan e che in nome della difesa della democrazia ha permesso alle forze di sicurezza, con la legge contro il terrorismo del 1991, di vietare quasi tutte le attività politiche e democratiche. Negli ultimi 10 anni, 28 giornalisti sono stati uccisi e secondo i dati dello Ihd (associazione turca per i diritti umani) un milione di cittadini fermati dalla polizia o dall'esercito sono stati torturati.
Feride non è sola nel ricominciare la lotta fuori delle carceri. Anche la Tayad (associazione delle famiglie dei detenuti politici) ha riniziato l'hunger strike. Teatro della morte Alibekoy, destinato a diventare una seconda Harmutlu dove lo scorso anno hanno perso la vita tra detenuti e parenti 16 persone.
Alibekoy, nuovo quartiere della resistenza è un gecekondù (quartiere fatto di case costruite in un giorno dagli stessi abitanti spesso profughi curdi) cresciuto in questi ultimi 20 anni intorno alla periferia di Istanbul. E' abitato da povera gente, la stessa che sta subendo la politica repressiva dello stato turco e che è pronta a stringersi intorno a chi per lottare ha solo il proprio corpo.
In una di queste misere case tre persone si sono riunite: Meleke, Kemal e Niyasi.
Meleke è la madre di uno dei 28 detenuti che stanno continuando il death fast nelle celle di tipo F.
Kemal è il padre di Irfan, ucciso dalla polizia a soli sedici anni mentre distribuiva un giornale di sinistra nelle vie di Gazi.
Niyasi è il padre di Volkan, suicidatosi in una cella nel carcere di Kandra dopo un anno e mezzo di completo isolamento. La quarta vittima del suicidio in isolamento nel mese di Agosto.
Quando hanno indetto una conferenza stampa per comunicare l'inizio della protesta sono stati arrestati insieme ad 11 amici e trattenuti per 4 giorni, periodo massimo del fermo di polizia.
Per tre notti hanno dormito sul pavimento della stazione di polizia di Beyoglu, (famosa in Turchia per la ferocia dei suoi torturatori), per quattro giorni sono stati minacciati e picchiati. «Mi hanno detto che se non ci fermiamo uccideranno mia figlia», dice Meleke abbracciando una ragazzina di tredici anni con gli occhi sbarrati, anche lei fermata insieme alla madre.
Dopo il loro arresto, i giornalisti di 12 testate si sono riuniti in una piazza ad Aksaray, quartiere di Istanbul, per manifestare il loro sostegno alla Tayad. La piazza è stata immediatamente circondata dai blindati della polizia, 20 persone sono state portate al distretto, due dei fermi si sono trasformati in arresto. Lo stesso giorno tutte le sedi dei giornali che avevano aderito alla protesta sono state perquisite e numerosi documenti sono stati sequestrati.
Alla domanda quanto durerà il vostro sciopero della fame, Niyasi risponde «Chiedetelo a Sami Turk, continueremo sino a quando qualcosa cambierà. Probabilmente è destinato a diventare un "death fast" (uno sciopero della fame fino alla morte, ndr)».
Intanto altre madri sono pronte a morire. Sono le madri di 57 detenuti gravemente ammalati, rinchiusi nelle celle di isolamento F ai quali non è concesso di curarsi. Uno di loro si chiama Erkan Tepeli, la sua storia è uguale a quella di tanti altri. Erkan è stato arrestato a 17 anni nel 1996 ed è ancora in attesa di sentenza. Ha iniziato lo sciopero della fame il tre ottobre dello stesso anno e dopo 365 giorni lo ha interrotto volontariamente. Oggi è gravemente ammalato ma non gli viene concesso l'articolo 399. Infatti, dal gennaio 2002 non sono rilasciati i detenuti in attesa di condanna. Da quando è tornato in cella dopo un periodo trascorso all'ospedale la madre ha potuto vederlo solo 3 volte. Nel parlatorio non ci sono sedie e Erkan, ha grosse difficoltà a stare in piedi.
Inoltre Kandra è distante da Istanbul e la famiglia non può affrontare le spese del viaggio. Anche questa è una tattica del Governo. «Se Erkan non esce dal carcere morirà presto - dice la madre piangendo - deve nutrirsi col cibo che mangiano gli altri detenuti e il carcere non accettata alimenti portati dai familiari. Questo gli causa allergie, intolleranze. Ora è di nuovo ricoverato nell'infermeria della prigione. Quando è stato portato all'ospedale pesava 38 chili, Erkan è alto un metro e 85».
Quando sono tornata in Italia uno di loro mi ha regalato una pianta di basilico turco. E' una pianta bella, con foglie piccole e fiori bianchi. Il suo profumo è più forte di quello del nostro basilico. E' sopravvissuta ai controlli dell'aereoporto e all'aria condizionata dell'aereo. L'ho messa in giardino e ha fatto nuove radici. Quando Fickret me l'ha data piangendo, mi ha detto non ti preoccupare se tra un mese la vedrai morire, dai fiori escono i semi ed ogni anno rinasce. Per il momento sta ancora bene e in due settimane è addirittura cresciuta. Eppure la terra di casa mia è diversa dalla terra di Gazi.
Liberazione 9 settembre 2002
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