In una convention dell’Islamic Group parteciparono oltre trenta delegazioni
di Paesi e movimenti islamici radicali di tutto il mondo

Il delegato kosovaro spiegò alla platea l’importanza geopolitica
della conquista musulmana del Kosovo
di Mauro Bottarelli

Ogni qualvolta riemerge sul quadro della politica internazionale la questione del Kosovo, la Lega torna nel mirino da parte della sinistra e di certi centristi, pronti a ricordare come nel 1999 il Carroccio «era amico di Milosevic». Nessuna amicizia, prima di tutto: essere per la pace, in difesa di un popolo e del diritto internazionale non significa essere amici del potente di turno. A parte la faccia tosta di chi rinfaccia infamie alla Lega salvo poi aver finanziato carri armati e cannoni di Milosevic con l’acquisizione di Telekom Serbia, è un’altra la notizia che ci preme comunicare in questo periodo di lotta al terrorismo islamico e al radicalismo. Dal 1998, ovvero un anno prima dello scoppio della crisi serba, le principali organizzazioni fondamentaliste del mondo avevano dichiarato il jihad (guerra santa) contro la Serbia definendo il Kosovo «centro della penisola balcanica musulmana». Già, sembra incredibile per i profeti del pensiero unico, ma il mondo musulmano radicale ha formalmente e pubblicamente giurato lotta eterna a un Paese occidentale e strategico come la Serbia ben prima dell’11 settembre e senza che nessuno muovesse un dito. Anzi, per quanto riguarda la Cia e qualche altro servizio segreto occidentale (tra cui quello svizzero), armando e addestrando i guerriglieri dell’Uck. Le prove stanno nero su bianco su Internet e prima ancora erano consultabili sulla pubblicazione edita dal gruppo integralista palestinese Hamas, “Filastin al-Muslimah”, del dicembre 1998. Nessun servizio di intelligence l’aveva mai vista? Dubitiamo fortemente. Ma veniamo ai contenuti e ai fatti. Dal 23 al 25 ottobre 1998 a Islamabad (guarda caso nel Pakistan del golpista Musharraf, divenuto in fretta e furia alleato degli Usa) si tenne la 18ma convention dell’Islamic Group del Pakistan (Al-Jamà ah al-Islamiyyah). Alla riunione parteciparono oltre trenta delegazioni di Paesi e movimenti islamici radicali di tutto il mondo. Per Hamas era presente Ibrahim Ghoshes, uomo che da anni intratteneva stretti rapporti con il Gruppo Islamico pachistano e con il suo leader, Qadi Hussein. Di più, i due furono membri della delegazioni islamica di mediazione tra Iraq e Kuwait nel settembre 1990. Nei tre giorni di discussione ogni delegato pose all’attenzione dell’assemblea le priorità sul tappeto in fatto di difesa ed espansione dell’Islam nel mondo. Particolare attenzione fu posta al problema del jihad islamico in Kashmir, regione storicamente contesta tra Pakistan e India. Furono trasmessi video di azioni kamikaze che strapparono applausi e commozione all’assemblea.
Fu poi il turno della Palestina, della Turchia (già, lo stesso Paese che qualcuno vorrebbe fare entrare nell’Unione Europea), dell’Egitto, della Giordania, della Siria, della Cecenia e dello Yemen. Penultimo intervento fu quello del delegato del Fis algerino (il Fronte di Salvezza Islamica) che, dopo aver descritto la situazione nel Paese, si lanciò in un lungo sermone d’accusa contro le «operazioni terroristiche» messe in atto da forze di polizia sponsorizzate dalla Francia.
Nemmeno una parola, chiaramente, per le centinaia di donne e bambini sgozzate nel nome di Allah. Alla fine di alzò in piedi, tra applausi scroscianti, il delegato dell’Uck, l’Esercito di liberazione del Kosovo che da mesi aveva cominciato la propria campagna terroristica contro la popolazione serbo-ortodossa e le forze di polizia di Belgrado.
Il delegato kosovaro spiegò alla platea l’importanza geopolitica della conquista musulmana del Kosovo, soprattutto alla luce della creazione di uno Stato islamico in Bosnia e delle connessioni con movimenti integralisti in Macedonia e Albania. Quando furono messe al voto le mozioni, in platea non vi furono dubbi.
Questi i tre punti principali del documento programmatico licenziato all’unanimità.
1) La liberazione della Palestina è un dovere per tutti i musulmani del mondo e la guerra deve durare fino a quando sarà necessario.
2) L’autodeterminazione dei musulmani del Kashmir attraverso un movimento di resistenza armata è un obiettivo primario.
3) Libertà per i musulmani del Kosovo. Trenta delegazioni presenti, solo tre popoli tra le priorità in agenda: uno dei quali un outsider, quello kosovaro.
Alla fine giunse il momento della dichiarazione di conclusione dei lavori. Questo il testo: «La riunione ha deciso che la guerra contro India, Israele, Serbia, Russia ed Eritrea e da considerarsi jihad».
Quindi, guerra dichiarata e condivisa - per obbligo religioso - da tutti i musulmani (questo spiega la quantità di mercenari presenti in Kosovo tra le file dell’Uck, compresi uomini di Bin Laden). Ecco la verità, disponibile a tutti ma oscurata senza troppi complimenti. Ben prima che iniziasse la repressione militare e paramilitare serba e la crisi con la missione dell’Osce, Belgrado si vide dichiarare ufficialmente guerra santa da tutte le trenta nazioni musulmane presenti al meeting di Islamabad.
Non sta a noi riscrivere né tanto meno giudicare la Storia, ma è chiaro che in base alla dottrina Usa di guerra infinita (e ora addirittura attacco preventivo) al terrorismo, lo strappo col diritto internazionale consumato con la nascita del concetto di «ingerenza umanitaria» assume una luce diversa. Ma questa è una storia che è meglio dimenticare, una storia che è già stata scritta.