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  1. #51
    brescianofobo
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    Originally posted by Ago
    Ed il governo alla fine mette le mani nelle tasche della Banca d'Italia ...

    Sole
    http://www.ilsole24ore.com/art.jhtml?artid=174177

    ....

    Il soccorso di Bankitalia
    Un temporaneo sollievo alla tendenza di nuovo in aumento nel rapporto fra debito e Pil è, peraltro, rappresentato dall'annunciata operazione di conversione, a tassi d'interesse di mercato, di un cospicuo stock di titoli di Stato (Btp) in possesso della Banca d'Italia, derivanti dall'estinzione del conto corrente di tesoreria (effettuata dieci anni fa). Il risultato sui conti pubblici 2002-2003 - così come viene indicato nell'aggiornamento annuale di novembre del Programma di stabilità 2002-2006, reso noto negli scorsi giorni dal ministero dell'Economia e inviato a Bruxelles per l'approvazione - è il taglio di quasi due punti percentuali di tale rapporto, in modo da bloccarne l'ulteriore ascesa verso il 110% e oltre.
    Ma si tratta, nella sostanza, di una partita di giro contabile nell'ambito del sistema pubblico, che avrà per corrispettivo di bilancio un'equivalente diminuzione delle attività patrimoniali della nostra Banca centrale; e non rappresenta certo una virtuosa inversione di tendenza sulla via del risanamento finanziario. Un deficit di cassa che stenta a scendere sotto i 30 miliardi di euro (pari a circa il 2,5% del Pil) è, infatti, incompatibile con l'obiettivo programmatico 2003 di un debito pubblico in calo al 105% del Pil e, per di più, fermo nei suoi valori monetari assoluti.
    Figata! I berluscomunisti svaligiano le banche per finanziarsi.

    Come i Nuclei Armati Proletari.

    Tremonti è il nuovo ideologo creativo, altro che Toni Negri. Qua si fanno le cose in grande, eh?

  2. #52
    brescianofobo
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    E figuriamoci se i berluscomunisti non pensano di approfittare della crisi Fiat per metterci le mani pelose addosso.

    Fattibile? Non fattibile? Hanno fatto lo studio di fattibilità. Si può fare, si può fare.

    Mi raccomando: non dimentichiamoci il Corriere. Bisogna salvarlo dalla faziosità e darlo a Berlusca.

    Dai, Agnelli, la vogliamo salvare questa Fiat o no? E che ti frega del Corriere, dai, mollalo a noi che siamo esperti di mass-media, gli cambiamo il logo, lo chiamiamo "Berlusca Times" e vedi quante vendite ci facciamo.

    Venerdì 13 Dicembre 2002, 12:21


    Fiat, studi fattibilità governo su ingresso in azionariato-Udc


    Clicca per ingrandire
    ROMA (Reuters) - Il vicecapogruppo Udc al Senato, Ivo Tarolli, sostiene che il governo ha già fatto studi di fattibilità per un eventuale suo ingresso nell'azionariato di Fiat (Milano: FIA.MI - notizie - bacheca) .


    "Il governo attraverso i suoi ministeri competenti, ha già preparato gli studi di fattibilità per un suo ingresso nell'azionariato della Fiat, con una quota minoritaria" ha detto Tarolli ai giornalisti.


    Il senatore sostiene anche di augurarsi che il governo passi "dagli studi di fattibilità ad un ingresso vero e proprio anche se per un periodo transitorio".


    Finora il governo ha smentito la possibilità di un intervento diretto nell'azionariato dell'azienda torinese.



    le nuove Fiat 600 Zigulì disegnate direttamente da Tremonti per il rilancio dell'azienda torinese

  3. #53
    brescianofobo
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    Originally posted by leo
    Diciamo la verità, Brunik, sei ingiusto nel paragonare Tremonti a Bertinotti perché quest’ultimo non arriva alle punte massimalistiche del ministro, visto che Prodi le privatizzazioni le ha fatte, bene o male, con l’appoggio di Rifondazione… Credevamo che la privatizzazioni segnassero il passo per la cattiva congiuntura ma il nostro ministro della Pianificazione Economica e per il Piano Quinquennale ci spiega che sono un male di per sé e i nostri guai derivano da esse. Può darsi, se lo spiegava meglio in campagna elettorale poteva darsi anche che mi convinceva e lo votavo. Invece leggevo di queste cose:

    e
    Bello il programma dell'Imprenditore d'Italia svelato agli altri imprenditori un anno e mezzo fa: non ha combinato ancora un cazzo di tutto quello che aveva promesso.

    PENSIONI Estendere il contributivo, alzare l' età pensionabile LAVORO Ridurre i vincoli in entrata e in uscita, liberalizzare i contratti a ter mine, no al reintegro giudiziario, più mobilità interna
    FISCO Abolizione dell' Irap, Irpeg al 35%, aliquota al 19% sulle plusvalenze da cessioni
    SALARI Collegati alla produttività
    SOMMERSO Per chi esce «dal nero» prelievo sostitutivo delle imposte pa ri all' 1% il primo anno, poi il 15% e il 25%
    OPERE Più rapidità nelle opere pubbliche, uso del project financing, potenziamento dei trasporti
    SUD Meno imposizione sui redditi di impresa da estendere poi al resto d' Italia
    BUROCRAZIA Meno ministeri, più decentramento
    DISMISSIONI Sul mercato Enel, Eni, Poste, Fs, Alitalia, Rai, Finmeccanica, ex municipalizzate
    FORMAZIONE Concorrenza, tasse universitarie libere, inglese e Internet a scuola

  4. #54
    brescianofobo
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    Discorsi berluscomunisti di un dipendente di Berlusconi.


    Parlamento

    senato EMIDDIO NOVI, FI

    Atti nn. 1826 e 1827
    Signor Presidente, su questo emendamento mi asterrò. Vorrei ricordare all'Aula che gli unici incapienti di cui si è occupato il centro-sinistra nella fase dei suoi Governi sono stati i primi 20 contribuenti Irpeg del Paese, che hanno risparmiato 10.000 miliardi di tasse di vecchie lire. Vorrei altresì ricordare ai colleghi del centro-sinistra che nel periodo del loro Governo in Italia il numero dei poveri è aumentato di oltre un milione di unità. Vorrei anche ricordare ai colleghi del centro-sinistra che nel periodo del loro Governo, tra il 1996 e il 2001, la Fiat ha licenziato oltre 50.000 operai. Vorrei ricordare ancora ai colleghi del centro-sinistra che il declino italiano è cominciato a partire dal 1996, tant'è vero che il declino è cominciato nel 1996: tra il 1996 e il 2001 l'Italia ha perso sul mercato globale quote che si aggirano sul 18 per cento. Signor Presidente, nel momento in cui la sinistra pone certe questioni, dopo che negli anni dei Governi Prodi, D'Alema e Amato ci sono stati quei risultati, penso sia giusto da parte mia astenermi. I presentatori dell'emendamento sono portatori di una giusta esigenza, ma sono i meno quotati a portare avanti questa rivendicazione, perché sono lo schieramento di Superciuk, il famoso personaggio dei fumetti che toglieva ai poveri per dare ai ricchi.

    (11-12-2002)

    Maledetti ricconi. E' tutta colpa loro. Hanno fatto i soldi con l'Ulivo, ora paghino. Morte al capitalismo e ai padroni sfruttatori.

    Prima del 96 sì che si stava bene. Andava tutto a meraviglia. PIRLA.

  5. #55
    brescianofobo
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    Sìsìsìsìsì

    Cantiamo tutti insieme con Berlusconi:

    PUBBLICO E' BELLO - MORTE AI PADRONI - BANDIERA AZZURRA LA TRIONFERA' - EWWIWA IL BERLUSCOMUNISMO

    Guardate quante palle si inventano gli ex-economisti di destra per giustificare il nuovo interventismo.

    La nuova grande idea che circola tra i remontisti: approfittare della crisi della borsa per fare comprare allo stato le aziende private. Pensa te che geni. E intanto ci aumentano sigarette e fanno i condoni, i creativi. Esattamente come i tangentisti di 20 anni fa.

    Ve la dico io la verità: PIU' INDUSTRIE STATALI = PIU' POTERE = PIU' CLIENTELE = PIU' TANGENTI.

    Cose già straviste prima del governo Prodi, il Governo del Cambiamento.

    Ora siamo al Governo della Restaurazione.


    CORRIERE DELLA SERA, 16.12.2002

    Torna l’irresistibile voglia di pubblico


    L a regola dice che ogni crisi industriale italiana ha uno sconfitto certo, il mercato. Silvio Berlusconi, arrivato a Palazzo Chigi con promesse di liberalizzazione, nei giorni scorsi ha capito che il caso della Fiat non fa eccezione: persino i sondaggi di opinione gli raccontano che gli italiani vedono con piacere un intervento dello Stato nell’industria automobilistica nazionale. È un mutamento di clima evidente. Gli Anni Novanta delle privatizzazioni sono finiti, la crisi della Fiat non è solo un punto di svolta negli assetti di potere del capitalismo, è anche il momento del cambio di stagione: nel confronto tra Stato e mercato, torna a prevalere il primo. Politici, economisti, consulenti e soprattutto top manager stanno realizzando che c’è un nuovo (si fa per dire) spirito dei tempi che avanza. Il modello che oggi raccoglie gli applausi di tutti è l’Eni di Vittorio Mincato: privatizzazione ma parziale, con lo Stato che mantiene una quota fortissima del capitale. È il «pubblico» che torna a essere attraente la novità del 2002: un manager privato come Paolo Scaroni salta la siepe e passa all’Enel; Roberto Testore rompe con la Fiat e va in Finmeccanica; uno dei top manager più ammirati in Italia è Pasquale Pistorio, di Stm, gruppo controllato (indirettamente) dai governi di Parigi e Roma.
    Segni non da poco che rivelano un movimento tellurico nell’economia italiana. La «mano pubblica» in qualche modo sta intervenendo con una certa pesantezza per orientare i destini della Fiat, e non è chiaro dove si fermerà. Ma la crisi del gruppo di Torino è diventata anche l’occasione per discutere del «declino industriale del Paese», come la chiama il Governatore Antonio Fazio, e per far circolare ricette neo-stataliste.
    La «politica industriale», concetto che fino a poco tempo fa faceva rizzare i capelli in testa a ogni liberale, è idea che ormai circola apertamente al ministero dell’Economia. Il ministro Giulio Tremonti parla di neo-colbertismo e di neo-protezionismo, in contrapposizione al libero mercato, che sarebbero necessari dopo l’11 settembre 2001 che ha rovesciato le priorità globali e reso il pianeta un luogo meno aperto.
    «Non ha senso - dice James Heckman, Premio Nobel per l’Economia, liberista della scuola di Chicago -. L’11 settembre non ha fermato il commercio internazionale ed è vero tanto quanto lo era prima che i Paesi a economie aperte si sviluppano e si arricchiscono più degli altri». Anche Renato Brunetta, economista e deputato di Forza Italia, pur non essendo un liberista puro, vede pericoli in queste posizioni: «Un’ottica autarchica è risibile. Gli italiani che pensano di far rivivere attraverso lo Stato i campioni nazionali non capiscono dove siamo. Chi crede di avere una sponda europea, in questa strategia, perché Francia e Germania vivono tentazioni stataliste è miope e provinciale. La realtà è che Parigi e Berlino cercano egemonie europee per i loro gruppi pubblici: guardiamo il caso della francese Edf. Tutto, oggi, si gioca su scala europea, non ha senso un nazionalismo economico».
    Fatto sta che, nonostante lo scetticismo di alcuni, una serie di protagonisti dell’economia propone apertamente un intervento dello Stato per fermare il declino industriale e per impedire che l’industria e il mercato italiani vengano colonizzati. Per esempio, Franco Masera, amministratore delegato di Kpmg Consulting (società che sta lavorando a fianco del governo su una serie di progetti di modernizzazione della Pubblica amministrazione), detta un titolo provocatorio per riassumere un orientamento che sta conquistando ogni giorno adepti: «Serve un Iri due». Il suo ragionamento corre così: l’Italia non ha una struttura finanziaria capace di creare public companies , un po’ perché ne mancano i presupposti storici (i fondi pensione non sono mai nati), un po’ perché ne mancano quelli culturali (la Borsa è vista più come casinò che come luogo di investimenti di lungo periodo); conseguenza, il Paese è destinato a non avere grandi imprese. Il fatto, aggiunge Masera, «è che nelle economie avanzate le grandi imprese sono essenziali, perché il loro vero indotto è il terziario avanzato»: se perdiamo quelle, cioè, perdiamo la parte ricca delle economia moderne.
    L’amministratore delegato di Kpmg, dunque, pensa che la sola soluzione possibile sia la riproposizione del «modello Guarino», cioè l’idea di creare una superholding contenente tutte le partecipazioni dello Stato (banche escluse) che l’ex ministro dc avanzò ai tempi del primo governo Amato, quando cioè le privatizzazioni stavano per decollare. «L’operazione andrebbe però effettuata direttamente dal ministero dell’Economia, senza una holding separata, per questioni di efficienza - dice -. Si tratterebbe di impiegare alcune decine di miliardi di euro per ricreare l’infrastruttura produttiva del Paese». In sostanza, Tremonti e il direttore del Tesoro Domenico Siniscalco dovrebbero comprare sul mercato, anche approfittando dei prezzi bassi di oggi, interi pezzi di industria strategica. Modello Eni: grandi gruppi quotati in Borsa (che quindi si muovono rendendo conto al mercato) ma con una quota di controllo in mano allo Stato (il 30% nel caso dell’Eni) che ne assicuri l’indirizzo, la crescita e la difesa da eventuali attacchi esteri.
    Il declino industriale del Paese e il rischio che l’Italia finisca fuori dalla fotografia dei grandi sta insomma creando un fronte ampio che chiede un intervento diretto dello Stato e del governo nell’economia. «Si tratta di alzare una bandiera - dice Masera - dietro la quale raccogliere forze che sostengano un progetto per il Paese. E una bandiera industriale, un Iri due per usare uno slogan, può essere molto attraente».
    Tremonti e Siniscalco, secondo il nuovo spirito dei tempi, dovrebbero insomma riprendersi quello che Amato, Ciampi, Prodi e Mario Draghi hanno venduto negli Anni Novanta.
    E dovrebbero farne la pietra angolare della ricostruzione della grande impresa italiana. È il ritorno della politica industriale adattato al terzo millennio.
    «In uno scontro ipotetico per l’egemonia dei gruppi pubblici in Europa saremmo destinati a risultati ridicoli - dice Brunetta -. Non abbiamo la scala, la "governance" e la credibilità per fare un Iri due. Il caso Fiat è il chiaro esempio: i campioni nazionali non hanno più senso e non sono difendibili, si tratterebbe piuttosto di aprire tavoli europei per evitare che gli otto produttori di auto del Vecchio Continente facciano la triste fine delle compagnie aeree di bandiera, che da una per Paese si stanno riducendo a due o tre poli. Ma con una logica di specializzazione, in senso ricardiano: non è obbligatorio saper fare tutto. Non siamo stati bravi nell’informatica e nella chimica? Le faranno altri. Noi abbiamo delle eccellenze, dunque valorizziamole, che si tratti della Ferrari, degli occhiali, del cibo, dello stile, del benessere. L’Italia è piena di aziende piccole, medie e medio-grandi ad alta tecnologia: sosteniamole. Il dibattito sul declino industriale mi pare uno di quei dibattiti spesso fuorvianti che tanto piacciono a questo Paese».
    Resta però il fatto che - tra privatizzazioni e liberalizzazioni viste come il fumo negli occhi, top manager che apprezzano di nuovo la casacca del boiardo di Stato e sondaggi d’opinione che invocano la «mano pubblica» - la bandiera dell’interventismo, per un decennio nella polvere, è tornata a sventolare.

    Danilo Taino

  6. #56
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    Sentivate la mancanza di una nuove voce berluscomunista nell'informazione?

    Eccola. Torna L'Avanti. Berlusconi si offre di scriverci sopra.



    Torna in edicola L'Avanti


    Presentato il nuovo giornale "liberalsocialista" che strizza l'occhio a Forza Italia. Berlusconi si candida: "Se volete vi faccio da collaboratore".



    ROMA - La storica testata dei socialisti italiani "Avanti!" tornerà in edicola dal prossimo 16 gennaio in una nuova edizione: L'annuncio è stato dato oggi in una affollata conferenza stampa svoltasi a Montecitorio, dal direttore-editore Valter Lavitola (che con una cooperativa di giornalisti ha mantenuto viva la testata dopo la fine del PSI) e dai promotori dell'iniziativa, tra gli altri, l'economista Renato Brunetta e da Fabrizio Cicchitto.

    "Sarà un giornale di opinione - hanno sottolineato, in particolare, Lavitola e Brunetta - su 4 pagine, tipo Il Foglio dell'amico Ferrara, attento alla qualità e all'incisività degli interventi, anche attraverso un linguaggio semplice ed immediato, ricco di rubriche e di interviste a tutto campo".

    E su questa impostazione di apertura al dibattito si sono ritrovati in molti. Alla conferenza stampa erano presenti, tra gli altri: i parlamentari Biondi, Egidio Sterpa, Stefania Craxi. Messaggi augurali e di plauso sono giunti anche dal presidente del Consiglio Berlusconi ("Auguri - ha scritto il premier - da un vosto futuro lettore e, se vorrete, collaboratore").

    Critiche, invece, da parte di vari esponenti socialisti ed in particolare del Nuovo Psi primi tra tutti il portavoce Bobo Craxi e il parlamentare, Vincenzo Milioto che denuncia "l'operazione politica di Cicchitto ai danni dell'autonomia socialista". Alle critiche replica Fabrizio Cicchitto che nella conferenza stampa ha affermato: "Non vogliamo certo far nascere una nuova corrente all'intero di Forza Italia ma essere la voce libera ed anche critica, di tutta quell'area laico riformista largamente presente nella Cdl".

    (19 DICEMBRE 2002, ORE 160)

  7. #57
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    Il Discorso di D'Amato a Confindustria: TREMONTI E' UN COMUNISTA. ha aumentato le tasse alle imprese, le ha spremute un'altra volta con il condono (minacciando di mandargli la Finanza-KGB se non pagavano), gli ha bloccato tutti i rimborsi fiscali, non paga i fornitori. Un b0andito. Un nemico del padronato.

    Per nonparlare poi di questo Manzella, che doveva "riformare" la Pubblica Amministrazione (gh'è un laurà dela madonna", aveva detto Silvio), ma non ha combinato un cacchio. La modernizzazione si è bloccata e l'Italia perde i competitività per il calo di efficienza degli Uomini del Fare.




    LE TROPPE TASSE DI TREMONTI


    Duro il giudizio sull'operato di Tremonti: "Ancora una volta, in questi mesi, gli oneri del riaggiustamento della finanza pubblica si sono riversati sulle imprese. Ed è stato fatto in un modo brusco, da noi contestato, che ha modificato in corso d'anno la base imponibile delle imprese" ha detto D'Amato leggendo pagina 19 della sua relazione.


    Il presidente ha ricordato che "è stata una misura che ha dato molto gettito alle casse dello Stato e che ha risolto gran parte dei problemi di finanza pubblica di breve periodo: ha migliorato i conti del trimestre. Ma è stata una misura che non ha certo migliorato il clima di fiducia delle imprese, né dato certezze agli investitori esteri".


    L'accusa non si è però fermata qui: "Se a questo aggiungiamo il condono e il forte ritardo nei pagamenti dei crediti fiscali, il ritardo nei pagamenti delle forniture pubbliche, possiamo dire che sono soprattutto le imprese che stanno sostenendo l'impegno del Paese di mantenere basso il deficit".


    I VOTACCI DI MARONI E MAZZELLA


    L'accusa a Maroni si concretizza nell'opposizione che il ministro leghista ha sempre posto a qualsiasi riforma delle pensioni: "È in questo spirito che dobbiamo ripensare il nostro Welfare. Dobbiamo inquadrarlo in una visione più ampia che vada oltre gli interessi di coloro che stanno per andare in pensione e le necessità immediate della prossima Finanziaria" ha detto D'Amato subito dopo l'affondo sulla richiesta di una riforma pensionistica prima di settembre.


    A Mazzella e al pubblico impiego le parole più sferzanti: "Ora deve riprendere con forza la battaglia ormai abbandonata della riforma della Pa. In tutte le classifiche mondiali della competitività l'Italia è agli ultimi posti soprattutto a causa della gravissima inefficienza della Pa. Ci sono stati in Italia anni in cui sembrava essersi radicata la convinzione che occorreva un cambiamento. Tutto si è fermato. È tornata una cultura della conservazione, della salvaguardia delle caste dei dipendenti pubblici, di nuovo considerati un serbatoio di voti e non più i protagonisti, attivi e responsabili, della riforma".


    "Noi Padroni ci stiamo un po' incazzando. Quanto mai lo abbiamo aiutato a beccarsi il potere. Ora quello lì non lo molla più e ci porta tutti al fallimento."

  8. #58
    brescianofobo
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    In origine postato da brunik
    Le barricate sull'art. 18 le fa Berlusconi, non l'Ulivo.

    Questa storia dell'art. 18 è una bufala: sono 5 anni che la disoccupazione continua a scendere nonostante l'art. 18, e ormai è poco sopra la media europea (9,2% contro 8,7%) non c'era alcun motivo, se non politico, di provocare i sindacati. Che, Berlusconi credeva che gli dicessero: "prego, si accomodi, faccia come fosse a casa sua" su una questione che per loro è di principio?

    No, lo sapeva benissimo. Solo che a lui piace che i sindacati scendano in piazza così quelli come voi possono dire: li vedete, non lo lasciano lavorare, sono massimalisti, noi stiamo con i moderati. E' tutto premeditato, lui vuole fare come la Thatcher a suo tempo.

    E infatti con l'art. 18 non fa mica come con la Cirami. Se veramente ci teneva lo aboliva nonostante l'opposizione. Che, per la Cirami non ci sono state proteste? Ma lui se ne fotteva, delle proteste e delle piazze.

    Non temete, non lo abolirà mai, l'art. 18. Gli fa comodo tenere sempre l'argomento al caldo, al "moderato". Stuzzicare e provocare i sindacati e l'opposizione, perchè è convinto che se i sindacati scioperano i "moderati" vanno dalla sua parte. Riprovi invece la politica della concertazione che aveva funzionato da Ciampi in poi, invece, l'estremista.
    Poco alla volta i pargoli vengono a Brunik.

    Belli, tutti questi dietro-front dei berluscomunisti, uno spettacolo come le poltrone dei nostri ministri resistano impavide a tutti i fallimenti.

    Mercoledì 30 Luglio 2003, 115


    Dpef: Risoluzione Cdl, Tornare a Concertazione. Serve Nota Aggiornamento
    (ASCA) - Roma, 30 lug - La risoluzione della maggioranza sul Dpef depositata oggi alla Camera sollecita il governo ad un ritorno alla concertazione, alla sigla di ''un nuovo patto'' tra esecutivo e parti sociali ''sulla scorta di quello firmato nel 1993'' al fine di assicurare ''la coesione sociale ed il rispetto degli obiettivi relativi ai saldi di finanza pubblica'', evitando ''effetti sperequativi indesiderati''. Per quanto riguarda gli obiettivi finanziari la risuluzione della Cdl indica invece il governo la necessita' di valutare ''l'opportunita' di integrare il Dpef prima della presentazione della Finanziaria con una nota di aggiornamento che fornisca ulteriori elementi sul quadro degli andamenti tendenziali e sulle conseguenti politiche delle entrate e della spesa''. La Finanziaria non deve infine fare concessioni ''ad interventi ordinamentali o d impatto limitato che non siano direttamente connessi e strumentali al perseguimento delle finalita''' proprie.

  9. #59
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  10. #60
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    Amici, qua c'abbiamo il liberale Vittorio Feltri (5 MILIONI DI EURO PUBBLICI L'ANNO INCASSATI SOSTENENDO DI ESSERE UNA COOPERATIVA ORGANO UFFICIALE DDEL MOVIMENTO MONARCHICO ITALIANO) che sostiene che per far del bene a benzinai dovremmo pagare di più la benzina e diminuire la concorrenza.

    E' questo che loro si aspettavano da un vero governo comunista.



    Non ci siamo. Le liberalizzazioni del governo sono tali soltanto sulla carta, nelle intenzioni. In pratica massacrano alcune categorie e ne agevolano altre. Se posso riempire il serbatoio della macchina anche davanti al supermercato oltre che lungo l'autostrada o nei quartieri di periferia, personalmente sono contento. Ma i benzinai, i proprietari di chioschi, già in difficoltà perché il prezzo del carburante è mostruoso (e i margini di guadagno del gestore sono minimi in quanto lo Stato si mangia sotto forma di tasse la fetta più grossa) saranno danneggiati, parecchio. Ovvio, più distributori, minor incasso. Una cosa poi è incomprensibile. Come fa un esecutivo di sinistra, in teoria votato alla difesa delle classi più deboli, a prendersela sempre con le categorie "povere"? Prima i tassisti e ora i benzinai e i barbieri: sono forse costoro a ingabbiare l'economia? Sembra tutto assurdo, fuori misura, improvvisato e abborracciato. Prendiamo gli edicolanti. A Milano negli ultimi tre anni hanno chiuso settanta rivendite.
    VITTORIO FELTRI

 

 
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