L’avv. Lusardi: una svolta culturale contro la violenza verso i minori

di Gianluca Savoini

I fatti di criminalità minorile che in questi giorni occupano le pagine della nostra cronaca rappresentano un campanello d’allarme da non sottovalutare. Ne parliamo con Aurora Lusardi, avvocato esperta di diritto di famiglia e consulente del Ministero del Lavoro al dipartimento Affari sociali.
«Non è facile individuare le cause di queste tragedie - racconta Lusardi -, capirne le ragioni profonde e trovare una soluzione. Siamo tutti senza parole, ma credo che la società abbia l’obbligo morale di interrogarsi e dare una risposta. Per tutelare l’infanzia dal “mostro”, perché solo così può definirsi chi uccide a sangue freddo un bambino, un adolescente. Purtroppo siamo di fronte ad una malattia grave e io credo che un intervento chirurgico sia necessario».
Quale, per esempio?
«Ognuno deve fare la sua parte: i genitori, gli educatori, i magistrati, lo Stato. L’attenzione ai minori, all’adolescenza e alla famiglia, è il punto di partenza di qualsiasi progetto anche politico; il cosiddetto “sociale” deve far fronte ai mutamenti culturali e del costume, deve orientarli, individuare le cause del malessere, riportare in primo piano i valori fondamentali della vita e le aspirazioni dei giovani. In una società che proietta quotidianamente messaggi di violenza e di morte e che non consente all’infanzia di vivere i sogni, non c’è da meravigliarsi di fatti esterni come quelli drammaticamente all’ordine del giorno».
Quali potrebbero essere i rimedi, avvocato Lusardi?
«Una svolta culturale, un ripensamento sulle regole educative, chiarezza sugli interventi, ripartire dalla famiglia e dalla sua centralità. Il pianeta famiglia, nella sua essenza, ha sofferto in passato di un disinteresse penalizzante da parte del mondo politico, che ha subito l’influenza di una cultura individualista in grado di mettere in crisi i valori tradizionali, quali appunto la famiglia, il lavoro, l’attaccamento alla propria terra. I principi fondamentali dell’etica e della morale sono stati ribaltati con estemporanee ricette di comportamento. Spesso i genitori si sono trovati spiazzati nel ruolo di educatori e un malinteso concetto di libertà e di reciproco rispetto, ha portato all’anarchia dei rapporti all’interno del gruppo familiare, alla confusione tra diritti e doveri, all’esaltazione di una cultura edonistica che doveva rappresentare l’unico modello vincente. Non credo sia banale concludere che la politica distruttiva del modello familiare tradizionale, ne sia stata al tempo stesso causa ed effetto. Causa per non aver saputo prevedere la crisi ed affrontarla con determinazione; effetto per aver subito, esaltandoli, gli effetti nefasti».
In un piano strategico di interventi per la tutela dell’infanzia, quali potrebbero essere linee guida, atte al superamento di questa crisi?
«Si deve a mio parere fronteggiare l’emergenza, quindi l’intervento punitivo è d’obbligo. Non è più il tempo della comprensione, del perdono, perché certi meccanismi hanno facilitato il consolidamento di modelli che da criminali si trasformavano in divi. Sono concetti forti, ma tutti quei ragazzi che hanno scritto: “Erika sei un mito!” - e sono tanti -, ci devono far riflettere. L’intervento punitivo si impone a tutela delle vittime, che vengono spesso dimenticate dopo pochi giorni dai fatti. Vorrei inoltre citare la frase agghiacciante e saggia al tempo stesso riportata in un libro che è uscito in questi giorni, dal titolo “Cuore di mostro”. Un ragazzo che ha ucciso quattro bambini grida: “Voi dovete condannarmi, dovete farmi restare per sempre in carcere e curarmi. Perché, se esco, lo rifarò. Ucciderò di nuovo. Con il piacere di vedere, negli occhi dei ragazzini che implorano, la paura di chi non può difendersi dalla violenza’’. La tolleranza, la mancanza delle necessarie riforme, non hanno certo facilitato il consolidamento di certi valori come baluardo di progresso e di difesa dei più deboli».
Dobbiamo guardare con preoccupazione al futuro?
«No, dobbiamo guardare con fiducia alle riforme. Dei due progetti di legge, a firma del ministro Castelli, approvati dal Consiglio dei Ministri e che saranno presto discussi in Parlamento, uno affronta proprio il tema della criminalità minorile: una risposta a quegli interrogativi che la società civile si sta ponendo. Al Ministero del Welfare, il ministro Maroni sta impostando le politiche sociali, mettendo la famiglia al primo posto. La famiglia è la nuova questione sociale del terzo millennio e tutti siamo convinti che accompagnerà la politica attraverso una rivoluzione silenziosa che rafforzerà la popolazione italiana, nel superamento della crisi e dei modelli artificiali. Il Ministero delle Politiche Sociali sta predisponendo un piano strategico di interventi per la tutela della famiglia e dell’infanzia, tutela che passa attraverso agevolazioni economiche per incentivare la nascita della famiglia e attraverso la creazione di servizi nuovi e sperimentali, per consentire alla famiglia il benessere quotidiano. Tutela infine che ribalta i ruoli dei rapporti tra le istituzioni e la famiglia, eliminando intermediari inutili e attuando fino in fondo il principio di “sussidiarietà orizzontale”».
Che cosa ostacola principalmente il rapporto tra la famiglia e le istituzioni?
«Prima di tutto l’informazione, che deve essere puntuale e coperta, la burocrazia e la rete - ragnatela di servizi che sono solo di facciata. Sul territorio, gli enti locali dovrebbero poter colloquiare con l’utente “famiglia”, ascoltarne le esigenze e le necessità. Lo stesso rapporto dovrebbe esistere con i mezzi di informazione e di comunicazione. Oggi i genitori, per esempio, non sono in grado di difendere i loro figli da certe immagini di violenza, di pornografia, di false rappresentazioni della realtà».
Lei è contraria alla pubblicizzazione di certi eventi, come i fatti di questi giorni?
«Assolutamente sì. Un conto è tenere accesi i riflettori sui problemi, altro è lo spettacolo, altro ancora il dibattito culturale. Quest’ultimo va affrontato con competenza e con amore».