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Discussione: Più Ulivo, meno pace

  1. #1
    Hanno assassinato Calipari
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    Predefinito Più Ulivo, meno pace

    Piero Fassino vira al centro: in nome del "leader Maximo" toglie valore al voto sull'Afghanistan. E rilancia la coalizione di centrosinistra Più Ulivo, meno pace Angela Azzaro Attese deluse per chi pensava e sperava che la Direzione nazionale della Quercia spostasse a sinistra l'asse del partito e dell'Ulivo. Durante la riunione di ieri il segretario Piero Fassino ha stretto nuovamente (e decisamente) la mano a Massimo D'Alema, lasciandosi alle spalle gli ultimi mesi. Dall'attenzione nei confronti dei movimenti e dell'opposizione espressa dalla società civile, al voto sull'Afghanistan erano diversi i segnali che facevano intuire un segretario dei Ds più attento alle questioni poste dal Correntone. Invece, subito dopo la lettura delle prime righe della relazione introduttiva, è stato chiaro che la strada scelta è stata un'altra, talmente spostata al centro da spingere la sinistra ds a presentare un ordine del giorno critico e da far battere le mani senza indugio ai liberal di Enrico Morando, schierati a spada tratta con Giorgio Napolitano e Umberto Ranieri a favore della guerra.

    Alla fine di una direzione molto sofferta i numeri parlano chiaro: l'ordine del giorno che appoggiava la relazione del segretario prende 178 sì, 59 no e una astensione. Proporzioni che si ribaltano nei confronti del documento della minoranza che viene respinto da 178 no e 60 sì. «Un quadro complessivo che riconferma gli equilibri di Pesaro», si consola il Correntone.

    Accanto a un D'Alema evidentemente soddisfatto, Fassino ha riproposto le condizioni per superamento della crisi dell'Ulivo in chiave centrista, a partire dalla questione della guerra. Il ragionamento che aveva portato al voto contrario sull'invio degli alpini in Afghanistan è stato infatti subordinato alla questione dell'unità della coalizione. «Non dobbiamo nasconderci - attacca il segretario dei Ds a questo proposito - che le molte divisioni dell'Ulivo al di là del merito, hanno sferrato un colpo alla credibilità della coalizione e trasmesso all'esterno, perfino al di là del giusto, un'immagine di dissoluzione del centrosinistra». Per sciogliere il nodo, Fassino lancia una proposta molto precisa da discutere nell'Assemblea dei parlamentari dell'Ulivo fissata per il prossimo 23 ottobre: l'individuazione di due coordinatori o portavoce unici e voto di maggioranza. Pochissime parole sulle questioni sociali, poche sullo sciopero generale, molte (troppe) sull'unità sindacale, quasi nessun accenno alla Fiat e un sì netto al sistema presidenziale. Ma soprattutto un vulnus nella dialettica interna al partito con un richiamo, anche in questo caso, al voto di maggioranza che ha fatto sobbalzare il Correntone che intravede in questa mossa un ritorno «al centralismo democratico». Il principio di maggioranza era già stato deciso al Congresso di Pesaro e oggi viene interpretato come un tentativo di stigmatizzare le posizioni espresse dalla minoranza. Quali motivi - si è infatti chiesto Marco Fumagalli - hanno portato il segretario alla "accelerazione" nell'introduzione delle regole, posizione che di fatto «indica la minoranza come problema del partito?». «Non si può tenere insieme con le regole - ribadisce Fulvia Bandoli - quello che non si è risolto con la politica». In gioco c'è la prospettiva dei rapporti a sinistra. Se il Correntone come recita l'ordine del giorno e come è stato ribadito da più interventi, in primis quello di Pietro Folena e Vincenzo Vita, spinge «per una rifondazione del centrosinistra aperto a nuove forze politiche sociali, della cultura», dall'altra cresce la preoccupazione che il duo D'Alema-Fassino si adoperi per un indebolimento dei Ds in nome di un Ulivo «riformista» e più «piccolo». Lo dice a chiare lettere un Fabio Mussi molto duro, che su questo punto incalza: «Sta forse avvenendo qualcosa che mette in discussione l'autonomia del nostro partito? Ho conosciuto - incalza - un Fassino che nell'89 era contrario al centralismo democratico, non vorrei conoscere ora un Fassino che nel 2000 lo ripropone».

    D'Alema, nel suo intervento, parte con un giudizio più che positivo della relazione del segretario che giudica «forte, importante, convincente». E subito dopo spiega perché, non prima di aver sparato a zero sul governo: «Questa classe dirigente - attacca - è la caricatura di una borghesia italiana, drammaticamente al di sotto delle esigenze del paese». Ma l'intervento di D'Alema va dritto al cuore di rapporti interni (secondo lui senza problemi) e della coalizione. «Noi dobbiamo prendere uniti la bandiera dell'Ulivo. Non è un messaggio di scissione ma di necessaria accelerazione perché ce lo chiede il paese», rassicura per poi attaccare la minoranza soprattutto sulla questione della guerra. «Il tema vero della sfida, anche per la sinistra, non è opporre alla guerra preventiva il rilancio di un'etica di pace, ma indicare la strada su cui costruire un nuovo ordine del mondo». Poi il richiamo all'unità: «Nel quadro di un rilancio del progetto dell'Ulivo, le differenze sono una ricchezza. Se paralizzano quel progetto, sono un disastro». In un clima gelido, tocca a Fassino concludere rassicurando di non lavorare per un Ulivo «piccolo» ed escludendo la possibilità di elezioni anticipate posta da Giovanna Melandri e Folena: «E comunque - chiude lasciando poco spazio alla dialettica interna - anche se così fosse, non si potrebbero affrontare senza un Ulivo unito».

  2. #2
    Hanno assassinato Calipari
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    La battuta migliore l'ha detta, davanti ad una selva di giornalisti affaticati, un noto analista politico, alla fine dell'intervento di Massimo D'Alema: «E' proprio lui: il miglior uomo politico che sia stato prodotto, in questi anni, dalla destra europea». Peccato, si potrebbe aggiungere, che si sia rivelato, anche e soprattutto, un perdente: uno, cioè, che quasi mai ci ha azzeccato sul suo terreno d'elezione - la tattica, le regole, la politica pura, la politica-politica. Ma la storia, come ormai sappiamo per esperienza, tende purtroppo a ripetersi, sia pure nella forma di farsa.

    Il dato politico è che, a conclusione di una fase di intenso travaglio del suo partito e di diffuso dibattito nel "popolo della sinistra", D'Alema è più che mai D'Alema. Tensioni nella maggioranza di Pesaro? Dissapori tra segretario e Presidente? Resa dei conti quasi finale? Basta guardare le facce, e si capisce tutto: la pattuglia dei così detti liberal - gli epigoni del migliorismo, i vari Morando, Ranieri, Mancina, autorevolmente confortati da Giorgio Napolitano - sghignazza felice; quelli del «Correntone», invece, trasudano malessere da ogni poro. Anche fisicamente se ne stanno ormai in disparte, dicono battutacce, esprimono una voglia irresistibile, se non di andarsene, almeno di essere altrove. Altrove dove? L'Ulivo, così come è stato delineato qui, è una casa troppo piccola - o troppo grande, fa lo stesso - anche per loro. E i movimenti non bastano.

    Soprattutto in presenza di una vera e propria svolta moderata del maggior partito della sinistra «riformista», come quella che si va consumando alla vigilia di uno sciopero generale, e in presenza del dramma della Fiat - temi quasi mai citati, mai, comunque, oggetto di riflessione politica, strategica, culturale. D'Alema, appunto. Il presidente della Quercia si presenta con un'opzione organicamente neocentrista: tutta Ulivo e niente Pace. Molto Centro e poca Sinistra. Con una strizzata d'occhio a Bush («Chi ha detto che la guerra preventiva degli Usa sia il nostro nemico principale? Guardate la strage di Bali: lì sta l'avversario da battere, il terrorismo. La sicurezza dei nostri cittadini, ecco l'obiettivo vero da perseguire, per una sinistra moderna e di governo. Ecco il problema da affrontare con risposte che siano all'altezza, se non vogliamo consegnare tutto all'iniziativa americana»), una spruzzata di presidenzialismo («Prima che lo faccia Berlusconi, alla sudamericana»), e un tocco finale di sprezzante condiscendenza verso il Correntone, i pacifisti, la sinistra («Chi vi ha detto che per voi non c'è spazio nell'Ulivo? C'è, c'è, le differenze, lo sappiamo bene, sono una ricchezza. Meglio, certo, un po' più di dinamica....»).

    Sì, non è il D'Alema un po' spennacchiato degli ultimi mesi. Appare tranquillo, sicuro, saccente come sa essere solo lui, nei momenti topici. E' il leader vero del partito, colui che ha rimesso in riga un segretario - Piero Fassino - che in queste settimane si è mostrato un po' troppo aperto ai movimenti e alla sinistra interna, un po' velleitariamente autonomo. E' lo stratega che chiude alla società civile e al suo «disordine» - movimenti, proteste, sindacato, questa volta non hanno nemmeno l'onore di una citazione critica - e ripropone ai suoi l'illusione della Grande Politica, quella che alla fine sopravvive, impermeabile ad ogni crisi e ad ogni sussulto di sfiducia di massa. Ed è - anche e soprattutto - il tattico sopraffino che sente aria di sfaldamento degli equilibri berlusconiani: corre anche qui, nelle stanze ben restaurate della storica sede di via dei Frentani, un "profumo" particolare, che sa di cene "segrete" nel cuore di Roma, di menu a base di nuovi ribaltoni, di poteri forti che non ne possono più del ministro Tremonti. Di complotti e manovre, insomma, neocentriste neodemocristiane, neodorotee... Logico che, in un clima siffatto, D'Alema prepari adeguatamente le sue carte: si può forse correre il rischio di trovarsi, magari nel giro di qualche mese, col governo di centrodestra che non ce la fa più, con la prospettiva di un governo Fazio (che sarebbe poi quello che fu nel '95 Lamberto Dini), e con i Ds zeppi di "zavorra" pacifista, sinistrorsa, cigiellina, girotondese? Si può rischiare di ritrovarsi all'appuntamento impreparati, anzi "ritardati" da eccessi di dialettica interna?

    Detto e fatto: il tempo dell'evasione - o, se volete, della libertà vigilata - è finito. L'unico vero contenuto della politica, dice D'Alema, quello che davvero conta e pesa, è la P maiuscola: questo è il senso di fondo della improvvisa frenesia "leninista" che pervade la maggioranza ds (ma che promana, autorevolmente, dai vertici del Superulivo che starebbe per nascere, fondato sul rigido principio di maggioranza).

    Peccato, dicevamo, che tutto questo sia, nella sua sostanza, solo un episodio della eterna, grande illusione. Ieri, abbiamo assistito non ad una rinascita, ma ad un rituale un po' macabro. Sul palcoscenico, c'era in realtà il fantasma dell'Ulivo - la rimozione secca della sconfitta del 2001, la riproposizione di un "riformismo" assunto solo come passepartout buono per tutti gli usi, il rilancio di un sogno di vittoria andato a male, quello del '96. Voglia di rivincita, senza contenuti, contro una classe dirigente accusata soltanto di essere «poco seria». Voglia di Governo, senza lotta.

 

 

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