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Discussione: La Disfatta

  1. #1
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    Predefinito La Disfatta

    CRISI FIAT: LA DISFATTA DEL MODELLO ITALO-EUROPEO DI MERCATO DEL LAVORO.

    CRISI FIAT: LA DISFATTA DEL MODELLO ITALO-EUROPEO DI MERCATO DEL LAVORO. CHE ALTRO OCCORRE PER GUARDARE AL MODELLO AMERICANO COME ALL’UNICO CHE FUNZIONA E PRODUCE SENZA CONSUMARE RISORSE E SVILUPPO?

    Dichiarazione di Antonello Marzano, Membro della Direzione di Radicali Italiani

    Con la crisi della Fiat è il “modello italiano” (lo stato sociale, il mercato del lavoro, il ruolo dello Stato) a dimostrare il proprio definitivo fallimento.
    Per questo non ha molto senso limitarsi a denunciare le magagne del protezionismo, del capitalismo assistito, dell'interventismo statale, che di volta in volta sono serviti a riempire col denaro dei cittadini (sottratto ad altri investimenti meno emergenziali) i crescenti vuoti di competitività causati dalla rigidità del mercato del lavoro italiano. Essi sono figli naturali di un sistema che produce - per sua natura - fallimenti, emergenze, disoccupazione di lunghissima durata, diseconomie e squilibri nella dislocazione delle risorse; che non “produce” occupazione, ma “consuma” risorse e sviluppo, e che quindi non funziona, se non nelle astratte, ciniche visioni solidaristiche di alcuni.

    Se Agnelli e la Fiat avessero potuto “licenziare ed assumere” - più o meno come accade nel modello americano di mercato del lavoro - in funzione dell'andamento dei cicli economici e sulla base di una programmazione aziendale libera, e non ingessata dai ricatti e dalle demagogie politico-sindacali, oggi la Fiat non rischierebbe la chiusura, e nemmeno l’elemosina dell'assorbimento da parte di altre grandi aziende (guarda caso: americane) che stanno nel mercato in ottima salute proprio in virtù del modello economico-sociale di cui sono il prodotto.
    In Italia ed in Europa, invece, da un lato si denunciano i "soprusi" delle multinazionali americane, e dall'altro se ne invoca l'intervento in soccorso delle nostre aziende cotte a fuoco lento dalle anacronistiche rigidità di un sistema fatto apposta per generare e difendere sacche di privilegi in conflitto coi diritti dei più deboli.

    L'immagine di General Motors che corre in soccorso della Fiat per assumersi la responsabilità di gestirne la rinascita è esattamente l'immagine del trionfo del modello americano su quello italo-europeo, boccheggiante e trafelato come le sue istituzioni nell’improbabile rincorsa allo strapotere americano.
    E' un'immagine che andrebbe fotografata e stampata a grande tiratura per essere schiaffata in faccia a tutti coloro che hanno ridotto la Fiat ed il nostro paese nell'attuale condizione di impotenza: a sindacati, sinistre, centri, destre e chiese; a tutti coloro che insistono con miopia criminale nel denunciare il modello americano come nemico della "pace", della "solidarietà", della "giustizia sociale"…
    A tutti costoro chiediamo: che altro occorre (dopo lo sciogliersi come neve al sole dell’unica grande azienda italiana, dopo lo stato comatoso in cui versano economie e borse del vecchio continente, dopo l’ennesima dimostrazione di codardia in politica estera) per ammettere il fallimento di un modello che ha fatto - da tempo - il proprio tempo e per guardare al di là dell’Atlantico come all’unico esempio al mondo di un sistema davvero libero, democratico e civile?


    Roma, 15 ottobre 2002

    Wolare
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  2. #2
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    Si, infatti la Opel (della GM in Europa) ha perso 2 miliardi di dollari e 15.000 dipendenti in 3 anni.

    La GM ha licenziato e perso tantissimo negli USA, Detroit è passata da 2.000.000 di abitanti a 800.000

    Bel modello...

  3. #3
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    Io e quasi tutti quelli con cui ho discusso l'argomento concordano che la crisi fiat dimostra SOLO ED ESCLUSIVAMENTE un fallimento del MANAGEMENT, dalla gestione finanziaria e di contabilita' che ha lasciato salire l'indebitamento a livelli record, a quella di produzione, che non e' riuscita a creare una sola auto presentabile in quasi 10 anni. Si salvano solo la Ferrari e l'Alfa dove, notoriamente, il management fiat ha solo un'influenza limitata sulle scelte dirette.

  4. #4
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    Predefinito Re: La Disfatta

    Originally posted by Wolare
    L'immagine di General Motors che corre in soccorso della Fiat per assumersi la responsabilità di gestirne la rinascita è esattamente l'immagine del trionfo del modello americano su quello italo-europeo, boccheggiante e trafelato come le sue istituzioni nell’improbabile rincorsa allo strapotere americano.
    Ehi ignorantoni la GM ha venduto praticamente tutta la quota FIAT, altro che auito e responsabilita'...

    PS Certo che prendere come esempio gli USA in un momento come questo in cui le aziende sono in profonda crisi, il management e' corrotto, i bilanci nascondo buchi da tutte le parti, licenziamenti a palla. I radicali ci dimostrano ancora una volta, semmai ce ne fosse stato bisogno, che non ci capiscono un cazzo di economia.

  5. #5
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    La commissione Europea ha messo sotto inchiesta la Francia per gli aiuti alle imprese ( vedi EDF ) Ma non succederà niente .La Francia protegge le sue grandi industrie che sono spesso controllate dallo Stato . E le foraggia. Lo stesso fa la Germania Evidentemente chi fa il furbo non ha problemi .

  6. #6
    Claude
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    La Fiat e la globalizzazione
    Andrea Gavosto *
    L’attuale crisi della Fiat induce a una riflessione sul modello di internazionalizzazione adottato dal gruppo nel corso degli anni novanta. Si tratta di un modello che se da un lato ha presentato tratti innovativi e anche molto coraggiosi, dall’altro ha pagato lo scotto, oltre che delle turbolenze economiche dei paesi emergenti, dell’assenza di una forte base di mercato in Europa e di un’estrema complessità gestionale.

    All’inizio degli anni novanta, dopo aver deciso di concentrarsi sul core business automobilistico, la Fiat aveva impostato una strategia di sviluppo imperniata sui paesi emergenti: Argentina, Brasile, Polonia, Turchia, Cina, India e, in misura minore, Marocco, Egitto, Sud Africa e Russia. La logica della scelta era chiara. La Fiat si trovava di fronte a un mercato europeo dell’auto con scarse prospettive di crescita, e ormai prossimo alla saturazione, mentre la sua quota in Italia era comunque destinata a calare per motivi “strutturali” legati all’abbattimento delle barriere nazionali. Per contro i paesi emergenti, nella prima fase di motorizzazione, fornivano ottime prospettive di domanda per le vetture di piccola dimensione – tradizionale punto di forza della Fiat.

    Rispetto agli altri produttori, la strategia di globalizzazione della Fiat si caratterizzava per due aspetti innovativi. In primo luogo, la decisione di effettuare investimenti “pesanti”, riproducendo in ogni paese il modello di fabbrica integrata sperimentato a Melfi. Oltre alla costruzione di nuovi impianti da parte della Fiat, anche i principali fornitori del gruppo erano indotti a localizzarsi nei paesi emergenti. Questa scelta ha comportato un notevole esborso finanziario nell’arco di un decennio, valutabile in diversi miliardi di dollari.

    La seconda caratteristica pregnante del modello di internazionalizzazione era la decisione di produrre un unico modello di base di autovettura per tutti i paesi emergenti: la Palio, la cosiddetta world car. In questo modo gli ingenti costi di progettazione e sviluppo potevano essere ripartiti su un ampio numero di unità prodotte. Inoltre si puntava a creare un’unica piattaforma di produzione globale, che permettesse di riallocare immediatamente la produzione da un paese all’altro. In altre parole, se in un paese il mercato interno calava improvvisamente, la capacità produttiva in eccesso poteva essere utilizzata per rifornire altri paesi.

    Nel linguaggio degli economisti, il progetto di world car consentiva di mitigare il rischio di business, ovvero di una violenta fluttuazione del mercato di sbocco, rischio per sua natura non assicurabile. La realtà si è rivelata più complessa e vischiosa del previsto. Da un lato, le crisi finanziarie, che hanno colpito i paesi emergenti in sequenza, hanno notevolmente rallentato la crescita dei mercati. Dall’altro, ogni paese impone propri standard tecnici, che richiedono costose modifiche di progettazione: le barriere di tipo amministrativo, doganale e legale rallentano le spedizioni di componenti fra un paese e l’altro; la gestione dei flussi produttivi su scala planetaria, specialmente secondo criteri di just in time, è incredibilmente complessa; i gusti dei consumatori variano da un’area all’altra, per cui la Palio, che è stata un grande successo in America latina, non ha incontrato altrettanta fortuna in altri mercati.

    Il processo di internazionalizzazione ha sicuramente trasformato la Fiat che, nel giro di dieci anni, ha quadruplicato la quota di produzione effettuata fuori dall’Europa. Nello stesso tempo ha però imposto notevoli costi finanziari e prodotto guadagni inferiori al previsto, che hanno contribuito alle attuali difficoltà dell’azienda. Era possibile adottare un diverso modello di globalizzazione? Probabilmente sì, se guardiamo al caso del gruppo PSA (Peugeot e Citroen), che, pur partendo da posizioni analoghe a quelle della Fiat, ha preferito limitare gli investimenti nelle aree emergenti, rafforzando la propria presenza in Europa e investendo nella qualità dei prodotti. La strategia della PSA è stata finora coronata da maggior successo rispetto alla Fiat, sebbene anche il gruppo francese presenti, soprattutto nella gamma di prodotti, alcuni punti di vulnerabilità.

    Il modello di internazionalizzazione della FIAT avrà comunque alcune ricadute positive sul sistema produttivo italiano. Per l’Italia, così poco abituata a investire all’estero, l’esperienza del gruppo torinese ha creato una leva di manager abituata a lavorare nei quattro angoli del mondo. Anche questo rappresenta un asset prezioso.



    * Già Chief Economist della Fiat

  7. #7
    Claude
    Ospite

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    14-10-2002
    Fiat: una storia di investimenti sbagliati
    Giorgio Bodo *
    Con la richiesta ufficiale dello stato di crisi per Fiat Auto sono divenute sempre più evidenti le difficoltà della maggiore impresa italiana produttrice di auto. Data l’importanza del Gruppo per il Paese è fondamentale cercare di capire le cause delle difficoltà attuali.

    Innanzitutto è bene chiarire i termini della crisi. In estrema sintesi oggi la Fiat è caratterizzata da un livello d’indebitamento estremamente elevato, un cash flow molto ridotto, risultati economici negativi per il settore core (Fiat Auto) e una forte caduta di quote di mercato. Le difficoltà, sebbene non uniche a Fiat, sono certamente molto maggiori di quelle degli altri costruttori automobilistici e non dipendono che in parte dal peggioramento del contesto generale. Come si è arrivati a questo punto? Che cosa non ha funzionato nelle strategie o nella loro implementazione? Perché non si è reagito prima? Per rispondere a queste domande è utile richiamare alcuni dati sull’evoluzione dell’impresa negli ultimi anni. Ancora alla fine del 1998 il Gruppo Fiat aveva una posizione finanziaria netta positiva di poco inferiore ai 3000 miliardi di lire. L’auto aveva in Italia una quota di mercato intorno al 40 per cento e disponeva di diversi punti di forza. Proprio in quel periodo avviene il cambio di management del Gruppo con l’uscita di Cesare Romiti, al timone della Fiat da oltre vent’anni, e l’arrivo di nuovi manager nelle posizioni di vertice del Gruppo. Rapidamente buona parte della precedente classe dirigente viene allontanata o posta nelle condizioni di dovere lasciare come del resto era accaduto alla fine degli anni settanta in occasione del precedente cambio di vertice. Contemporaneamente vengono adottate nuove strategie per creare la Fiat degli anni 2000: globalizzazione, focalizzazione sul settore automotive e adozione del principio della creazione di valore. Vengono lanciate nuove iniziative per il settore auto concentrando le risorse sui paesi emergenti (Brasile, Argentina, Turchia, India e Cina) poiché la domanda di vetture nei paesi sviluppati è stabile e la crescita futura è attesa solo nei nuovi mercati. Sono vendute numerose aziende nei settori non appartenenti al comparto automotive e vengono lanciate numerose acquisizioni in tutti i settori automotive. Mentre gli altri gruppi si allontanano dalla componentistica Fiat vi investe pesantemente con l’acquisizione delle aziende Renault, della Pico per la Comau, della Cofap e dell’illuminazione dalla Bosh per la Marelli, della Meridien per la Teksid. Infine, viene decisa l’acquisizione più importante, cioè l’Opa amichevole su Case (macchine agricole), dando così origine, con la fusione della New Holland, ad un’impresa leader a livello mondiale. Tutte queste operazioni avvengono in contante, senza alcun pagamento in azioni e su valori certamente elevati, specialmente per Case che, scambiata per poco più di 20 dollari per azione prima dell’avvio dei contatti, viene poi comprata a 55 dollari. Nel loro insieme le acquisizioni superano i 10 miliardi di euro di esborso nel quinquennio 1996-2001. Contemporaneamente viene deciso il ritiro dal mercato di una serie di aziende quotate: Comau, Marelli e Toro. Anche queste operazioni prevedono il pagamento in cash.

    Si arriva così ad una struttura del Gruppo molto più semplificata, replicando in Italia il modello della General Electric, in cui solo la capogruppo è presente in Borsa. Le somme impegnate nel delisting sono ingenti, dell’ordine di 1,5 miliardi di euro. Viene infine abbandonato il caposaldo storico della gestione finanziaria, cioè il riferimento, tra gli obiettivi del top management, alla posizione debitoria a favore dell’adozione della più moderna creazione di valore. Quest’ultima decisione spinge ancora più in su il ricorso all’indebitamento dato il costo molto più basso di quest’ultimo rispetto a quello dell’equity.

    In ultimo si procede all’alleanza tra Fiat Auto e General Motors, sancita da uno scambio azionario, cercando di conseguire rilevanti sinergie di costo a livello degli acquisti e del gruppo motore–cambio. per conseguire tali risultati sono varate due joint ventures paritetiche tra Fiat Auto e Gm aventi come riferimento l’Europa e l’America Latina. Per tutelare gli azionisti il management Fiat ottiene il diritto a una put option su General Motors che, però, parte solo dal 2004.

    Come si vede gli ultimi anni sono stati densi di cambiamenti e di modifiche della struttura e del posizionamento strategico del Gruppo, cambiamenti però non compresi nella loro portata all’esterno anche in conseguenza della continuità rappresentata dall’azionista di base e, specialmente, dalla figura dell’Avv. Agnelli.

    In seguito alle crisi macroeconomiche che si succedono a catena, la globalizzazione nei paesi emergenti si rivela purtroppo rapidamente un insuccesso, determinando oneri molto elevati in Argentina, in India e in Turchia. Lo stesso Brasile, che per numerosi anni aveva contribuito in maniera significativa a generare utili, vede la sua situazione deteriorarsi. Contemporaneamente lo sforzo dell’auto per internazionalizzarsi si paga sul mercato domestico, quello europeo, dove la gamma troppo ristretta e le caratteristiche poco innovative dei modelli portano a una graduale erosione di quote di mercato, contrastata finché possibile con il ricorso a condizioni di prezzo non remunerative. Le altre acquisizioni non danno i frutti sperati: le società di componentistica hanno risultati mediocri o cattivi, ma la delusione più grande è costituita dalla Case New Holland che anziché generare cassa si trova ad assorbirla, penalizzata dagli elevatissimi valori dell’indebitamento e dell’avviamento conseguenti alla sua acquisizione in un mercato agricolo che è mutato drasticamente per il peggio.

    Il debito continua a salire e le preoccupazioni sulla sua sostenibilità anche, ciò che costringe il management a un processo di dismissioni che viene però avviato in ritardo e che sconta attese sui valori delle aziende da cedere non realistici date le mutate condizioni esterne. Inoltre i benefici delle dismissioni che vengono effettuate sono rapidamente erosi dall’assorbimento di cassa di una Fiat Auto sempre più in difficoltà.

    E’ impossibile indicare delle vie d’uscita senza conoscere la posizione di GM in merito all’eventuale esercizio anticipato del put e ai risultati che si possono attendere dal forte processo di ristrutturazione avviato dal nuovo management. Le strategie scelte si sono rivelate purtroppo estremamente negative sui conti economici dell’azienda ed è mancata una capacità di correzione in corso d’opera al mutare dello scenario esterno di riferimento. Parimenti è mancata una percezione della gravità del deterioramento patrimoniale dell’azienda: si sono immaginati flussi di cassa che sono rimasti solo nei business plan presentati alla comunità finanziaria e che non si sono mai realizzati.





    * Già Direttore Finanziario del Gruppo Fiat


    Entrambi gli articoli vengono da: www.lavoce.info

  8. #8
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    LA FIAT è IN CRISI PERCHè HA PRODOTTO SEMPRE AUTO DA TERZO MONDO.......E AD UN COSTO DEL LAVORO DA TERZO MONDO ......GRAZIE ALLE COSIDDETTE CONCERTAZIONI.......
    SiA LA GERMANIA CHE L'AMERICA PRODUCONO AUTO DI BUON LIVELLO..... OTTIME LE TEDESCHE..... CON UN COSTO DEL LAVORO MOLTO PIù ALTO DI QUELLO ITALIANO......
    come ho già detto altre volte i nostri induitriali si sono sempre adagiati sul cedimento dei nostri sindacati compiacenti anziche produrre buone merci e rinunciato alla ricerca e ai perfezionamenti ......e i nodi ora stanno venendo al pettine.......
    Chiunque abbia posseduto una fiat e abbia fatto il confronto con una macchina straniera , meglio se tedesca, può confermarlo....... e in germania non c'è il mercato del lavoro italiano.......
    i radicali purtroppo non prendono i soldi dal finanziamento statale ma pare che riescocno a trovarne altrove,,,,,,, e certe affermazioni ne sono la prova......
    su questo forum è meglio non rispondere ai fessi!
    se l'europa non cambia sistema conviene andarsene...altrimenti ci ridurrà come e peggio della grecia.

  9. #9
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    Cciapas: In Italia siamo partiti da piu' indietro e gli imprenditori non avevano una cultura europea e avanzata, i sindacati hanno fatto errori, ma credimi, non era facile in Italia.


    Claude: il tuo post dimostra come l'economia sia piu' simile alla filosofia che alla matematica.

  10. #10
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    Predefinito Re: La Disfatta

    Originally posted by Wolare
    CRISI FIAT: LA DISFATTA DEL MODELLO ITALO-EUROPEO DI MERCATO DEL LAVORO.

    CRISI FIAT: LA DISFATTA DEL MODELLO ITALO-EUROPEO DI MERCATO DEL LAVORO. CHE ALTRO OCCORRE PER GUARDARE AL MODELLO AMERICANO COME ALL’UNICO CHE FUNZIONA E PRODUCE SENZA CONSUMARE RISORSE E SVILUPPO?

    Dichiarazione di Antonello Marzano, Membro della Direzione di Radicali Italiani

    Con la crisi della Fiat è il “modello italiano” (lo stato sociale, il mercato del lavoro, il ruolo dello Stato) a dimostrare il proprio definitivo fallimento.
    Per questo non ha molto senso limitarsi a denunciare le magagne del protezionismo, del capitalismo assistito, dell'interventismo statale, che di volta in volta sono serviti a riempire col denaro dei cittadini (sottratto ad altri investimenti meno emergenziali) i crescenti vuoti di competitività causati dalla rigidità del mercato del lavoro italiano. Essi sono figli naturali di un sistema che produce - per sua natura - fallimenti, emergenze, disoccupazione di lunghissima durata, diseconomie e squilibri nella dislocazione delle risorse; che non “produce” occupazione, ma “consuma” risorse e sviluppo, e che quindi non funziona, se non nelle astratte, ciniche visioni solidaristiche di alcuni.

    Se Agnelli e la Fiat avessero potuto “licenziare ed assumere” - più o meno come accade nel modello americano di mercato del lavoro - in funzione dell'andamento dei cicli economici e sulla base di una programmazione aziendale libera, e non ingessata dai ricatti e dalle demagogie politico-sindacali, oggi la Fiat non rischierebbe la chiusura, e nemmeno l’elemosina dell'assorbimento da parte di altre grandi aziende (guarda caso: americane) che stanno nel mercato in ottima salute proprio in virtù del modello economico-sociale di cui sono il prodotto.
    In Italia ed in Europa, invece, da un lato si denunciano i "soprusi" delle multinazionali americane, e dall'altro se ne invoca l'intervento in soccorso delle nostre aziende cotte a fuoco lento dalle anacronistiche rigidità di un sistema fatto apposta per generare e difendere sacche di privilegi in conflitto coi diritti dei più deboli.

    L'immagine di General Motors che corre in soccorso della Fiat per assumersi la responsabilità di gestirne la rinascita è esattamente l'immagine del trionfo del modello americano su quello italo-europeo, boccheggiante e trafelato come le sue istituzioni nell’improbabile rincorsa allo strapotere americano.
    E' un'immagine che andrebbe fotografata e stampata a grande tiratura per essere schiaffata in faccia a tutti coloro che hanno ridotto la Fiat ed il nostro paese nell'attuale condizione di impotenza: a sindacati, sinistre, centri, destre e chiese; a tutti coloro che insistono con miopia criminale nel denunciare il modello americano come nemico della "pace", della "solidarietà", della "giustizia sociale"…
    A tutti costoro chiediamo: che altro occorre (dopo lo sciogliersi come neve al sole dell’unica grande azienda italiana, dopo lo stato comatoso in cui versano economie e borse del vecchio continente, dopo l’ennesima dimostrazione di codardia in politica estera) per ammettere il fallimento di un modello che ha fatto - da tempo - il proprio tempo e per guardare al di là dell’Atlantico come all’unico esempio al mondo di un sistema davvero libero, democratico e civile?


    Roma, 15 ottobre 2002

    Wolare
    informato privilegiato da www.radicali.it
    Gia' possimao sempre distruggere l?iraq e poi andare a vendergli le auto FIAT, ma facci il piace wolare, di radicali non ne possiamo proprio piu', per i soldi venderebbero la propria mamma.

 

 
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