Signor Presidente del Consiglio,
Tenere in piedi la Fiat auto è costato, negli ultimi dieci anni, oltre diecimila miliardi di lire in contributi diretti: senza contare la miriade di leggi ad hoc promulgate da questo o quel governo. L'effetto di questo notevole sforzo economico, sostenuto interamente con denaro pubblico, è stato non solo di "drogare" un'azienda non competitiva, ma anche di
sottrarre risorse produttive ai legittimi proprietari per investirle in un settore incapace di reggere la concorrenza internazionale.
Né la Costituzione, né le leggi ordinarie, né il buonsenso dicono che tra i compiti dello Stato debba esservi quello di tenere in piedi carozzoni improduttivi. Anzi: se questo sforzo implica, come accade da decenni, un aumento della pressione fiscale (o, ciò che è lo stesso, una diminuzione dei servizi) è dovere di un governo responsabile tagliare i rami secchi e
lasciare che il mercato faccia il suo corso. Il pregiudizio nazionalista secondo cui certi comparti produttivi devono restare "in patria" è stato ormai condannato dalla teoria economica e dalla storia. L'industria di Torino, in effetti, costituisce la più brillante manifestazione di come sia possibile privatizzare i profitti e socializzare le perdite. Il protezionismo più o meno mascherato è una soluzione antistorica, inefficiente e costosa.
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