Intervista ad un soldato
Chi è lei?
Sono un soldato, faccio parte di un esercito a leva obbligatoria, un esercito un
po' anomalo a dire invero.
E' un esercito di fuggitivi. Non ha comandanti, non ha ufficiali o sottufficiali.
Non vi sono gradi in questo esercito perché non servono: questo esercito non
fa guerre, ma fugge.
E' l'esercito che in soli due anni ha mosso l'equivalente di due grandi città di
350.000 abitanti dal sud al nord per cercare fortuna, libertà e futuro.
Ma da cosa fuggite?
Dalla povertà, sia materiale che morale. Anche se, nel mio caso, è stata quella
morale a far scattare la molla. Dopotutto, un pezzo di pane me lo sono sempre
guadagnato a Foggia, anche se il mio lavorare mi ha portato all'età di 44 anni
ad avere solo pochi anni di contribuzione pensionistica, tanto pochi da poter
essere contati sulle dita di una sola mano.
Ma come, anche lei è un fannullone, anche lei ha lavorato così poco?
Magari, magari. E' che l'unico lavoro che ho trovato è sempre stato quello in
nero, con buona pace degli organi di controllo, di giustizia e di ispezione sul
lavoro.
Da dove viene il soldato Gesualdo?
Viene da Foggia, la città dalla quale tutti fuggono, per un motivo o per un altro.
Ma perché fuggono, da cosa fuggono, da chi fuggono?
Si fugge dalla povertà di partecipazione, dall'omertà, dai posti di lavoro negati,
da quelli pagati, da quelli in uso esclusivo ai gruppi di (pre)potere, si fugge
dalla sanità pubblica che funziona male e da quella privata convenzionata che
costa troppo. Si fugge dall'ignoranza, dalla prepotenza, dalla violenza, dalla
stupidità.
Parole pesanti, qualunquiste: come si può pensare che una comunità sia così
devastata, e chi, o cosa l'avrebbe ridotta così?
Ha presente un allevamento di bovini?
Ma cosa c'entra …
C'entra, c'entra.
In un allevamento di bovini, si selezionano i capi che producono più latte, quelli
che forniscono maggiori quantità di carne. Un toro non si accoppia più con una
vacca producendo così una varietà infinita di vitelli, ma si inseminano le vacche
solo con spermatozoi selezionati, che tendono a dare un risultato, sempre lo
stesso. E' una selezione innaturale.
Sì, sì, va bene: ma cosa c'entra con Foggia?
Ebbene, dalla sua nascita Foggia ha subito una selezione simile, innaturale,
immorale oserei dire. Pensi al fatto che ogni nuova generazione ha dovuto
confrontarsi con una mentalità dura, conservatrice, illiberale, non orientata a
svilupparsi e a guardare al futuro.
E allora?
Allora i giovani più volenterosi, quelli più intraprendenti, quelli che avevano un
sogno nel cassetto e la voglia di realizzarlo, sono fuggiti, andati via. E questo,
per generazioni e generazioni, provocando una selezione innaturale che ha
visto le migliori menti, le migliori braccia e le migliori gambe, fuggire da
Foggia.
Da cui l'adagio popolare: “Fuggi da Foggia, non per Foggia ma per i foggiani …
Già, perché come pensa si sia selezionata, al contrario, la comunità foggiana,
la sua leadership, il suo gruppo dirigente? Quali menti, quali braccia e quali
gambe conducono, sorreggono e trasportano questa comunità? Ed anche vi
fosse rimasta qualche risorsa umana intraprendente, che fine pensa possa fare
in una società così chiusa, omologata ad un modello umano fortemente
condiviso e mediamente simile a se stesso? Una brutta fine: alla fine, a furia di
essere respinto dalla comunità, si convince di essere diverso, malato, inutile.
Un mobbing sociale, un razzismo condiviso, comunitario direi ...
Già, il fenomeno del mobbing nella sua accezione più autentica, che deriva dal
verbo inglese to mob: l'isolamento e l'avversione violenta contro ogni forma di
forma vivente diversa dalla media comunitaria, l'annientamento materiale e
spirituale di ciò che viene visto come un pericolo per il sistema sociale, per il
suo ordine, per la sua continuità.
E questo, accade in tutto il meridione?
Non so, le realtà sono a macchia di leopardo. L'Italia meridionale è stata unita
a quella settentrionale contro la stessa volontà delle popolazioni del sud, che
sono assai diverse fra di loro per stirpe, provenienza, cultura, indole,
propensione. Il fatto comune è che si fugge da tutto il meridione, per un
motivo o per un altro, per una monnezza o per un'altra. Si fugge perché
cacciati, perché sentiti come diversi, non accomunabili, non assimilabili. Ma per
Dio, come potrei essere assimilato ad un mafioso io? Mai e poi mai!
E le mafie, cosa c'entrano in tutto questo, qual'è il loro peso?
La mafia è una organizzazione delinquenziale unica nel suo genere. Essa si
omologa perfettamente al tessuto sociale, ne aderisce come un cancro, lo
infiltra, lo corrode dal di dentro, sino ad impossessarsene completamente. E
questa sua pericolosa tendenza alla omologazione, non la fa sentire come una
entità estranea al corpo sociale, che non la combatte, non le resiste, non la
avversa, riconoscendola come simile a se stesso. Alla fine di questo processo,
non è più possibile distinguere il corpo sociale dalla società mafiosa.
Non esageriamo, parlare addirittura di società mafiosa …
A Foggia è una realtà tangibile questo concetto di “società mafiosa”. La mafia
locale tradizionale era denominata “ 'a uasta ”, cioè il guasto, ciò che è malato,
manifestando una estraneità alla normalità sociale, sin nel nome stesso che si
era data. Ma oggi la mafia foggiana si chiama “la società”, esprimendo così la
sua perfetta integrazione negli assetti sociali, pretendendo di essere lei stessa
la società, l'unica possibile. E ripensando alle risorse umane di cui dispone la
società foggiana a seguito del continuo dissanguamento umano e della
selezione al contrario cui è stata sottoposta, non si può dar loro tutti i torti:
questa presunzione di onnipotenza è reale e concreta, inavversata, non
combattuta. E' come un virus che entri in un organismo che non lo riconosce
come un pericolo, lasciando che agisca indisturbato, sino alla morte
dell'organismo stesso. E questo è il pericolo che vive anche il nord del paese.
Non riconosce il fenomeno mafioso come un pericolo mortale, non lo
aggredisce perché lo vede lontano da se. Invece, l'aggressione mafiosa alla
società del nord è quantomai contemporanea: dal sud non sono fuggite solo le
migliori intenzioni.
Va bene, l'analisi è incredibile, terribili le conseguenze, temibili le sue evoluzioni, ma
cosa si può fare per fermare tutto questo? Cosa fare per impedire ad un giovane
che nasce nel sud, di abbandonarlo, di essere costretto a fuggire da esso,
sottraendo allo stesso sud, quella forza vitale che lo aiuterebbe ad uscire dalla
questione meridionale?
Ma ha idea di cosa significa essere mobizzati? Ha idea di come ci si sente ad
essere continuamente avversati e combattuti? Alla fine il giovane brillante va
via, e lo fa per ripicca, per vendetta. Non ha nel cuore la voglia di aiutare chi lo
ha relegato al destino di rompicoglioni di turno o di scemo del paese. Egli è
costretto a lasciare la propria madre terra, i suoi amici, i suoi parenti. Egli
fugge, amareggiato. La sua integrazione in un altro territorio coincide con la
snaturalizzazione della sua personalità: non puoi aspettarti aiuto da chi hai
preso a calci nel culo per una vita.
Tiriamo le somme: il meridione non lo possono cambiare i meridionali perché, in
fondo, stanno bene così come sono. Non lo aiutano gli ex meridionali migrati
altrove, perché segnati profondamente dalle devastazioni morali e materiali subite,
non lo aiutano le popolazioni del nord sempre più intolleranti al mantenimento di
popolazioni che costano troppo e sembrano produrre solo problemi e grattacapi ..
Ma allora, chi può risolvere la questione meridionale?
Viviamo in un regime di democrazia repubblicana, regime che non ha la forza
per imporre un comportamento piuttosto che un altro. Può solo proporlo,
incentivarlo, cercando di dissuadere i comportamenti negligenti, con i risultati
che tutti vediamo. Ma è insufficiente. La reazione delle popolazioni del nord è
l'unico cardine di svolta, anche se è visto come una reazione intollerante ed
egoistica. Ma veda, la questione settentrionale nasce come altra faccia di una
medaglia che è stata sinora definita come la questione meridionale. E la
questione meridionale è avviluppata in modo definitivo a quella del
comportamento mafioso. Difficile distinguere chi è mafioso da chi non lo è, per
i motivi che ho già spiegato prima.
Ma allora? Non vi è nulla da fare? I meridionali non possono tentare il riscatto da
questa condizione?
Saviano ci ha provato, ed ora è condannato a nascondere il suo viso sino alla
fine dei suoi giorni. Falcone e Borsellino ci hanno provato. Nel comune sentire,
queste esemplari testimonianze di fedeltà alla propria comunità e allo stato di
diritto, risultano efficaci, ma infine perdenti. Non rappresentano una
testimonianza da seguire. Gli altri, quelli che vogliono fare, stanno andando
via, cercando un futuro possibile altrove. Chi resta, sta bene così come sta,
visto che non si organizza nemmeno in movimenti sociali e politici che abbiano
come fine ultimo, la liberazione del meridione dalla povertà, dalle mafie e dalla
ignoranza. Veda lei, per me la soluzione ultima non è applicabile in una
democrazia repubblicana. Personalmente io credo nello stato di diritto ed ho
giurato fedeltà alla repubblica e analizzo le questioni italiane esclusivamente da
questo punto di vista. Il problema è serio ed è di difficile soluzione. Soprattutto
se manca una volontà politica forte e l'applicazione della giusta forza, della
coercizione sui comportamenti negligenti, della punizione dell'esempio negativo
come del premio per quello positivo, oltre all'ottima arma (a doppio taglio) del
pentimento. Forse, come accadde per il terrorismo, sarebbe utile una
legislazione speciale. Forse l'istituzione della pena di morte per i reati mafiosi,
forse, questa ed altre soluzioni, darebbero il giusto impeto, applicherebbero la
giusta forza per disgiungere il destino del sud da quello delle mafie, per evitare
che tutto il paese si ammali e muoia di questo cancro.
Ecco, forse. Ma in Italia, con il Vaticano, la pena di morte non è pensabile come
contributo alla soluzione. Ma la politica, cosa può fare la politica?
La politica è fatta di uomini e di donne, e la mafia è furba: non uccide i politici
che contano come fa il terrorismo, ma li corrompe, li ricatta, li affilia. Resto
della opinione che solo la forza e la determinazione delle popolazioni del nord
possa risolvere questi complicati problemi. Ma non si può guarire un malato
contro la sua stessa volontà. Ci vogliono segnali forti dal sud, segnali che
vanno raccolti e indirizzati. Ma io non vedo segnali di fumo, vedo solo il fumo.
La brutta fine di inchieste giudiziarie come Poseidon e Why Not poi, la dicono
lunga sulla volontà politica di abbandonare la condizione di zona franca dalla
legalità che offre oggi il meridione. Nella sia pur breve storia italiana, solo la
dittatura fascista combatté duramente la mafia, sino a farla immigrare
(anch'essa) nelle americhe, infiltrandole. Ma l'America non è l'Italia e una
dittatura è una cosa che elimina le libertà, ed io per primo, non desidero
privarmene. Ho abbandonato i miei affetti e i luoghi della mia adolescenza per
la mia libertà e quella dei miei figli. Non la voglio perdere. La voglio solo
difendere.
Il solito pessimista. Tanta analisi e nessuna soluzione.
Beh, io l'ho detto. Punire i reati i mafia con la pena di morte è una delle
soluzioni possibili, come inseguire i flussi finanziari prodotti illecitamente, così
come fecero in America con Al Capone. Ma l'America non è l'Italia e i cannoli
alla siciliana, li mangiano in troppi in Italia. E cercando nei paradisi fiscali le
ricchezze della mafia, non si troverebbero solo quelle dei mafiosi. Ora,
giochiamo un po', ribaltiamo i ruoli e le faccio io una domanda: lei pensa che
troverà un editore che pubblicherà mai queste cose?
Ora si è fatto tardi, devo andare. Grazie di tutto.
Grazie a lei …
Questa intervista immaginaria, interpretata da un giornalista immaginario e da
un intervistato reale, vuol essere un contributo alla comprensione dei problemi
che viviamo in questa Italia contemporanea. Una esperienza di vita come tante
altre, troppe altre. Nasconde in se una speranza: che nessuno e mai più sia
costretto a fuggire dalla propria terra, poiché la libertà di vivere laddove si
nasce, è una libertà che viene prima di qualunque altra. Solo chi l'ha persa, ne
conosce il valore. Come pure il dolore.
Il cittadino X
Varese
Questa testimonianza mi è stata passata da un fratello che preferisce non svelare la propria identità