I palestinesi non sono piu' soli
di John Pilger


Il coraggioso giornalista britannico, parlando della splendida manifestazione di Londra, prende nuovamente posizione contro la "congiura del silenzio"




Edward Said chiese una volta chi, se non lo scrittore, "possa sfidare il silenzio imposto e la normalizzata quiete del potere". Ghada Karmi e' una scrittrice del genere. Il suo libro "In cerca di Fatima: una storia palestinese", che sara' pubblicato questo mese da Verso, e' una delle piu' fini, eloquenti e dolorosamente oneste memorie dell'esilio palestinese e dell'allontanamento che le potenze occidentali e la loro creatura, Israele, hanno "normalizzato".
Bambina durante il periodo del mandato britannico in Palestina, Ghada Karmi osservo' i terroristi ebraici creare il clima di terrore e panico che avrebbe posto le famiglie palestinesi di fronte alla scelta dell'espulsione o dell'esilio. Nota con ironia che il termine "terrorista" fu coniato dai britannici per descrivere le bande ebraiche Irgun e Stern ed i suoi assassini, due dei quali divennero primo ministro in Israele.


La famiglia di Ghada si rifugio' in Gran Bretagna, stabilendosi, tra tutti i luoghi, nello Jewish Golders Green. Pochi anni fa, ha cercato la sua vecchia casa di Gerusalemme e vi ha trovato, al suo posto, un asilo per israeliani ortodossi. Tutto della sua infanzia e' passato, come spazzato via dal vento. "La scena avrebbe potuto essere tratta dalla parte ortodossa del Golders Green", scrisse. "Indescrivibilmente scossa, vagai con gli occhi spalancati in quello che era il luogo in cui sorgeva la nostra casa. Dovetti chiudere gli occhi per bandire quell'immagine attuale dalla mia coscienza e ricordare le memorie dell'infanzia, l'eco delle risate e gli odori ed i suoni che mi erano familiari. Ma non vi riuscii. Relitti umani, pensai, ecco cosa siamo diventati, senza una pietra lasciata al suo posto, per segnare la nostra esistenza. Ne' patria, ne' punti di riferimento: solo una fragile, spodestata e non a suo agio famiglia araba in Inghilterra per affrontare questi ruoli cruciali".

La "quiete del potere" non c'e' piu'; i palestinesi, che si sono ribellati, non sono piu' soli. Lo scorso sabato, piu' di 400.000 persone sono scese in piazza a Londra per chiedere giustizia al loro posto, e per opporsi al criminale attacco contro l'Iraq. Le due cose sono collegate; solo il raccolto del regime imperiale di Whitehall e' diverso.
Al Ministero israeliano della Verita' sulla Palestina, e nelle sue propaggini americane e britanniche, vi e' il panico, il che e' comprensibile. Fino a poco fa la narrativa sionista ha dominato in Occidente ben piu' della storiografia e l'immunita' israeliana dal criticismo dei media era sempre garantita. Tim Llewellyn, corrispondente per anni dal Medioriente per la BBC ha denunciato tutto cio', accusando la BBC di "continuare a tradire il suo servizio pubblico, rifiutandosi di spiegare la vera natura del disastro [dell'occupazione] e la grave responsabilita' di Israele in tutto cio' ".


Inutile dire le intimidazioni e le minacce che cio' ha comportato, le quali, ha asserito Yishai Rosen-Zvi, uno dei coraggiosi militari che si sono rifiutati di servire nei Territori occupati, "sono il colossale bluff dell'establishment israeliano, il quale ritiene che ogni critica ad Israele sia segno di antisemitismo, mentre io dico che condannare il proprio governo e' l'unico atto patriottico che possiamo fare". Lo ha detto nel mio documentario TV "La Palestina e' ancora l'argomento", andato in onda il mese scorso su ITV1.

L'orda selvaggia di individui violenti, minacciosi e immorali che assaltarono la Carlton TV dopo la trasmissione del mio film, non hanno parlato ne' di lui ne' di tutti gli israeliani intervistati nel film. Non hanno forse neanche ascoltato le parole del padre di una ragazzina morta in un attacco kamikaze, le quali, secondo Miriam Karlin, autrice di una lettera pubblicata dal Guardian "rappresentano l'essenza stessa del giudaismo, il quale, a differenza del sionismo, non e' avulso dall'umanita' ". Ecco cosa ha detto Rami Elhanan: "Uccidere una ragazzina e' un atto criminale, e chi lo fa dovrebbe essere punito ma, se ragioniamo con la testa invece che con le viscere, faremmo meglio a chiederci come mai vi e' gente cosi' disperata e in quale modo noi abbiamo contribuito a questa disperazione... il ragazzo kamikaze e' una vittima esattamente come mia figlia e solo se lo capiamo riusciremo a risolvere il problema".

Niente di tutto cio' e' stato recepito dai fanatici che mi hanno inondato di e-mail, molte provenienti da New York e dalla California, dunque da gente che neppure aveva visto il film. Analizzando la posta, abbiamo capito che solo il 10% di essa rappresentava una genuina risposta critica al documentario. Il resto era del solito tema generico orchestrato e diretto da una sinistra organizzazione chiamata Honest Reporting.

La corrispondente dal Medioriente per il Guardian, Suzanne Goldenberg, ha affrontato qualcosa del genere l'anno scorso, quando un'ondata di e-mails l'ha completamente travolta (accusandola, tra l'altro, di auto-odiarsi), sicche', attraverso un'investigazione condotta dal giornale, si e' scoperta l'esistenza di un sito web, HonestReporting, appunto, il quale non portava indirizzo ed era registrato con un nome londinese ed un numero telefonico che sembrava inesistente. Il sito era stato messo su da un 27enne chiamato Jonathan, che chiese, come fanno tutti i codardi nella sua situazione, che il suo nome non fosse pubblicato.

Questa organizzazione e' ora sostenuta da un fronte americano chiamato Media Watch International, guidato da un certo Shraga Simmons. Simmons e' impiegato presso un gruppo di fanatici chiamato Aish Ha Torah. Secondo David Leigh del Guardian, Aish Ha Torah e' stato "fondato dal Rabbino Noah Weinberg, il quale si lamentava che ben 20.000 giovani l'anno venivano persi al giudaismo a causa di matrimoni con persone estranee al gruppo religioso. Aish ha inventato appuntamenti rapidi - sessioni di otto minuti nei caffe' - per aiutare i newyorkesi a trovare partners compatibili di religione ebraica. Sono considerati unanimamente oltranzisti conservatori. E certamente non hanno alcun diritto di tormentare i media secondo quello che essi definiscono "oggettivita" ", essendo i meno capaci di esprimere giudizi in materia".

Quello che e' accaduto a noi va anche oltre. Molte delle e-mails sono semplicemente disgustose, una paccottiglia di minacce razziste del tipo di quelle solitamente associate all'antisemitismo. L'assassinio della mia famiglia "non sarebbe una cattiva idea" ed io sarei uno "psicopatico demoniaco" del genere di David Irving. Un certo Arie Karseboom scrive che io apparterrei ad un partito nazista o avrei una moglie araba: altrimenti sarebbe semplicemente inspiegabile la scelta di aver messo in onda un documentario che spiegasse l'ingiustizia fatta ai palestinesi!

L'importante storico israeliano Ilan Pappe, i cui lavori vengono insegnati nelle universita' di tutto il mondo e che aveva definito il mio film "bilanciato e senza macchia nella sua descrizione storica", viene definito un "cane filo-arabo" o peggio.

Per creare la falsa impressione di avere un mucchio di lamentele da rivolgere al sottoscritto, molte e-mail erano lunghissime, addirittura cinque o sei pagine. Ma non tutti erano fanatici americani. Agli uffici della Carlton di Londra, molti dirigenti sono stati insultati dai vicini stessi. Sono stati definiti "peggiori di Hitler". Io ho ricevuto minacce di morte. Anche membri "moderati" della comunita' ebraica non hanno mancato il loro appuntamento con la propaganda. Ad esempio, un dottore del Cheshire suggeriva, in una e-mail, che io "ero stato personalmente incaricato da Yasser Arafat di fare programmi che incoraggiavano l'assassinio di innocenti civili ebrei...".

Le invettive e le minacce aumentarono notevolmente il giorno dopo che Michael Green, il presidente ebreo della Carlton, attacco' il film della sua stessa compagnia attraverso le pagine del Jewish Chronicle, definendolo "una tragedia per Israele" e "inaccurato". Dopo due settimane attendo ancora che Green si spieghi in quale parte ed in quale termine il film sarebbe "inaccurato". Dovrebbe invece chiedere scusa a quelli tra noi che hanno beneficiato la sua compagnia attraverso un lavoro attento, giusto e veritiero. La sua irresponsabilita' e' una disgrazia.

L'Associazione della Stampa Estera a Gerusalemme si e' lamentata con il governo israeliano a causa del comportamento dell'esercito verso i giornalisti - che vengono colpiti per essere uccisi, come di norma vengono uccisi i palestinesi. C'e' bisogno che quegli stessi giornalisti, i quali privatamente esprimono comprensione per l'ingiustizia storica fatta al popolo palestinese, abbiano il coraggio di fare un passo avanti: di sfidare le intimidazioni che arrivano da New York, Finchley e dal Cheshire, e di cominciare a dire la verita'.




traduzione a cura di www.arabcomint.com
da "The Guardian Unlimited"