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  1. #1
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    Predefinito I grandi pittori emiliani

    Comincio con Correggio... (e giuro che non ho la più pallida idea di come proseguirò… ).


    CORREGGIO
    (1489 - 1534)

    Nasce a Correggio (RE) il più importante pittore del medio rinascimento emiliano, Antonio Allegri detto, appunto, Correggio. L’ambiente in cui nacque il pittore non fu sterile né privo di dialogo intellettuale, anche se risulta difficile poterlo paragonare ai centri culturali del tempo quali Milano, Venezia, Mantova, Ferrara, Firenze o Roma. Correggio riesce ad entrare presto in questo ambiente. A Correggio, tuttavia mancava una tradizione artistica di un certo livello e il nostro pittore dovette presto abbracciare l’idea di recarsi a Mantova, dove si ha l’idea che divenne un’allievo del già noto Mantegna. Correggio qui iniziò la sua meravigliosa crescita, sia umana che artistica. Influenzato dal Mantegna si innamorò dell’antichità classica e della mitologia, elementi questi che entreranno con vigore nella sua preparazione umanistica amalgamandosi con la pacatezza del suo bagaglio artistico emiliano. Non potè evitare che nel suo cammino, opere di Leonardo e Giorgione lo influenzassero, permettendogli di sviluppare un forte senso atmosferico dello spazio e la capacità di dominarlo e comprenderlo nei suoi valori, nonchè avvicinarsi ad un tema allora in voga: il rapporto uomo natura. Dopo la maturazione intorno al 1518-1519 è di nuovo a Parma e qui abbiamo modo di vedere e comprendere il suo operato, poichè dal 1519 al 1530, una dopo l’altra, si susseguono enormi e maestose realizzazioni murarie nella chiesa di S. Giovanni Evangelista, nel Duomo, nel convento di S. Paolo.

    La cupola di S. Giovanni Evangelista
    Entrando nella chiesa di S. Giovanni Evangelista e dirigendoci verso la cupola realizzata dal Correggio, lo spettacolo che si delinea man amano che ci avviciniamo è dei più meravigliosi. Si tratta di uno scorcio possente, articolato, reso con un “sottinsù” vertiginoso. Venne realizzato dal Correggio tenendo conto di due punti di vista diversi, dai quali doveva essere osservato: dalla navata principale dove sostavano i credenti e dal coro dove vi erano i monaci. Due impianti prospettici, due punti di vista, due significazioni e scopi differenti, infatti il tema dominante si frammenta. La cupola che porta rappresentata in sè la discesa dalle nubi di Cristo, trova un ponte concettuale e prospettico con la collocazione di S. Giovanni all’estremità della cupola, che per essere vista necessita di un punto di vista preciso. Il Correggio, quì indubbiamente maturo, capace di creare qualcosa che nel suo turbinio di colori e corpi, doveva, mentre lo realizzava, immaginare come dal basso, ai piedi della cupola si sarebbe potuta vedere. I dodici apostoli alla base della cupola, le nuvole che si accendono di luce verso il centro, i cherubini che a tratti compaiono fra le nuvole e cristo che potentemente salta nel mondo: elementi che si compenetrano fra loro in un equilibrio perfetto. Il Correggio, comunque è stato in grado di dare vertigine, sia fisica che cerebrale. Un grande della pittura. Recatevi a Parma, se trovate un frammento di tempo in questa frenesia generale e… trovatelo!

    La cupola del Duomo
    La cupola del Duomo è a base ottagonale collegata ai pilastri quadrati da pennacchi a conchiglia, con quattro santi protettori di Parma che salgono verso il cielo. Sopra questi, c’è un cornicione monocromo su cui si appoggiano gli apostoli alternati a finestre rotonde.
    Gli affreschi che ornano i pennacchi e la cupola del Duomo sono opere di fondamentale importanza per la pittura del ‘600, essendo stati presi a modello per buona parte dei soffitti barocchi. La scena dell’Assunzione viene concepita come un tripudio di angeli che accompagnano la salita della Vergine verso il cielo: le singole figure perdono la propria individualità, per concorrere, tutte insieme, all’aspetto festoso e corale della decorazione. A tutto ciò contribuisce anche il colore, steso in modo leggero e fluente, senza stacchi netti tra figura e figura.

    La Camera della Badessa (ex convento di San Paolo)
    Per ciò che riguarda questi affreschi, rimando a un interessante link de Il Nuovo , dove basta spostare il mouse sugli affreschi (naturalmente virtuali) per scoprire i dettagli e leggere il relativo commento dell’esperto Riccardo Braglia.

    Accanto ai grandi affreschi, Correggio ha dipinto importanti pale d’altare esprimendo una sensibilità raffinata, attenta soprattutto alla sequenza dei gesti, individuando il più autentico legame tra figura e figura.
    Esempi di questi virtuosismi gestuali sono:
    La Madonna di S. Girolamo, La Madonna della Scodella, Il compianto su Cristo morto, Il martirio dei Santi Placido, Flavia, Eutichio e Vittorino della Galleria Nazionale di Parma. Qui si trovano inoltre, la Madonna della Scala e la lunetta con l’Annunciazione.
    Negli ultimi anni di vita compie opere a tema mitologico e profano in cui si incontrano natura e poesia: Giove e Antiope, il ciclo con gli amori di Giove per Federico Gonzaga, Danae della Galleria Borghese di Roma, Io e Ganimede di Vienna.


    Danae - Roma, Galleria Borghese.


    Dai siti http://www.mescalina.it e http://www.italytourism.it


  2. #2
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    Ottimo , valeva la pena di aspettare,brava buon lavoro, sei promossa !

  3. #3
    ora ltd poi lti
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    Originally posted by parmigiano
    Ottimo , valeva la pena di aspettare,brava buon lavoro, sei promossa !
    Mi associo e brindiamo (io e Parmigiano, anche Sant'Eusebio che è lo sponsor ) a questo thread!

  4. #4
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    Predefinito Re: I grandi pittori emiliani

    Originally posted by Silvia
    Comincio con Correggio... (e giuro che non ho la più pallida idea di come proseguirò… ).




    Questo sì che è un thread bollente


    P.S. Mi piace l'arte, mi piace il thread

  5. #5
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    PARMIGIANINO
    (Parma 1503 – Casalmaggiore 1540)

    Francesco Mazzola, detto Parmigianino, nasce a Parma nel 1503. Dopo la morte del padre Filippo, pittore, il Parmigianino viene educato all'arte dagli zii Michele e Pier Ilazio Mazzola. Nonostante la grande influenza che su di lui hanno gli esempi del Correggio, l'artista sa mostrare una forte originalità manieristica già nei primi affreschi, realizzati intorno al 1520 per le cappelle di S. Giovanni Evangelista a Parma, e nel Ritratto di Galeazzo Sanvitale.

    Intorno al 1523 riceve la commissione di affrescare la “stufetta” della Rocca dei Sanvitale a Fontanellato con le “Storie di Diana e Atteone” (Cliccando qui, è possibile una visita virtuale alla Saletta del Parmigianino), impresa che conduce ancora nel segno di Correggio, ma con una personale ricerca di eleganza e grazia formale. Nel 1524 il Parmigianino si trasferisce a Roma, inserendosi rapidamente nella cultura michelangiolesca e raffaellesca e dando vita ad uno stile antinaturalistico, basato su forme allungate e colori freddi: a questo periodo appartengono "Visione di S. Gerolamo" e "Madonna col Bambino e S. Giovannino".
    Dopo essere stato imprigionato durante il sacco di Roma del 1527, l'artista viene liberato e si reca a Bologna, soggiornandovi dal 1528 al 1531. Durante la fase bolognese, il Parmigianino esegue opere sempre più preziose e complesse che segnano una tappa fondamentale per il Manierismo italiano del Cinquecento: a questo periodo appartengono la "Madonna della Rosa", la Madonna col Bambino e Santi, la "Madonna di Santa Margherita" e la "Madonna con S. Zaccaria".

    A Parma, dal maggio 1531, l’artista riceve il prestigioso incarico di affrescare la chiesa francescana della Steccata ma, dopo un inizio fecondo di idee, di cui sono testimonianza i numerosi disegni preparatori, manifesta un progressivo disinteresse. Nell’ultimo decennio si dedica infatti con crescente passione agli studi di alchimia che lo distraggono in parte dalla produzione artistica. Compiuto al 1539 il solo sottarco dell’abside est della chiesa, Parmigianino viene incarcerato per inadempienza ed esentato definitivamente dall’impresa, affidata a Giulio Romano. Lo stesso anno fugge dal carcere e si trasferisce a Casalmaggiore. Le ultime opere si segnalano per la suprema e aristocratica perfezione, per l’astrazione formale, per la complessità intellettuale delle interpretazioni. Tra queste, ricordiamo la Madonna dal collo lungo, Cupido che fabbrica l’arco, La schiava turca e Antea.

    Il Parmigianino ricopre un ruolo importante anche nella storia dell'incisione poiché, attraverso numerosi disegni, è il primo a divulgare la tecnica dell'acquaforte.
    Francesco Mazzola muore a Casalmaggiore nel 1540.

    Il Vasari ipotizza che la morte del Parmigianino possa essere stata causata da un avvelenamento da mercurio: fu assalito , essendo mal condotto e fatto malinconico e strano , da una febbre grave e da un flusso crudele , che lo fecero in pochi giorni passare a miglior vita... Volle essere sepolto nella chiesa dei frati de' Servi , chiamata la Fontana ; e come lasciò fu sepolto nudo, con una croce d'arcipresso sul petto in alto.
    Era ridotto con aria di mezzo stolto da uomo quasi salvatico (così lo definisce Giorgio Vasari), il volto segnato, la barba lunga, i capelli crespi e grigi, come ci appare nell' Autoritratto della nostra Galleria Nazionale, un cappelluccio rosso che ne evidenzia l'aspetto sofferente. Eppure non aveva ancora 37 anni, eppure era stato un giovane delicato, elegante, educato alla poesia e al liuto, bello e di gentile aspetto, i lisci capelli biondi ad incorniciare un volto adolescente quasi femmineo, gli occhi limpidi aperti sul mondo che gli si spalancava davanti: così, l'aspetto grazioso molto e più tosto d'angelo che d'uomo, si era presentato nell' Autoritratto allo specchio, intorno ai 21 anni, apprestandosi al suo personale, desideratissimo, viaggio a Roma.


    Fra molti, che sono stati dotati della graziosa virtù del disegno e d’una certa vivezza di spirito nell’invenzioni, e d’una particolar maniera di far in pittura bellissimi paesi, non è da posporre a nessuno, anzi da preporre a tutti gli altri, Francesco Mazzuoli parmigiano, il quale fu dal cielo largamente dotato di tutte quelle parti che a un eccellente pittore sono richieste, poiché diede alle sue figure (…) una certa venustà, dolcezza e leggiadria nell’attitudini, che fu sua propria e particolare. Nelle teste parimente si vede che egli ebbe tutte quelle avvertenze che si dee, intanto che la sua maniera è stata da infiniti pittori immitata et osservata, per aver’egli dato all’arte un lume di grazia tanto piacevole, che saranno sempre le sue cose tenute in pregio, et egli da tutti gli studiosi del disegno onorato. Et avesse voluto Dio ch’egli avesse seguitato gli studii della pittura e non fusse andato dietro a i ghiribizzi di congelare mercurio per farsi più ricco di quello che l’aveva dotato la natura et il cielo, perciocché sarebbe stato sanza pari e veramente unico nella pittura; dove cercando di quello che non poté mai trovare, perdé il tempo, spregiò l’arte sua e fecesi danno nella propria vita e nel nome.
    (G. Vasari, Vita di Francesco Mazzuoli pittore parmigiano, in Le Vite de’ più eccellenti Pittori Scultori e Architettori, 1568)


    La Schiava Turca, singolare ritratto, esempio di introspezione psico-
    logica del personaggio da parte dell'artista. Il titolo dato al dipinto
    deriva dal tipo di acconciatura di foggia orientale che adorna
    il capo della giovane (Parma, Galleria nazionale).


    Liberamente tratto dai siti www.parmigianino.com e www.artonline.it

    Un grazie di cuore a parmigiano che, con il suo nick, mi ha illuminata...

  6. #6
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    Originally posted by Silvia
    PARMIGIANINO
    (Parma 1503 – Casalmaggiore 1540)
    ...

    Ti commissiono un incarico :trovami almeno un pittore romagnolo, ti prego (dopodichè cambierò, previo tuo consenso , il titolo del thread in "I grandi pittori emiliani e romangoli")
    Il servizio è grantuito, vero?

  7. #7
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    Originally posted by Sant'Eusebio



    Ti commissiono un incarico :trovami almeno un pittore romagnolo, ti prego (dopodichè cambierò, previo tuo consenso , il titolo del thread in "I grandi pittori emiliani e romangoli")
    Il servizio è grantuito, vero?

    Ok, incarico accettato… Il prezzo pattuito per questa volta rimane invariato e magnanimamente ti concedo di cambiare il titolo del thread, anche subito…

    In fondo, esisterà pure da qualche parte un “grande” pittore romagnolo…


    O no?



  8. #8
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    Originally posted by Silvia


    In fondo, esisterà pure da qualche parte un “grande” pittore romagnolo…


    O no?



    Se non lo sai te...

    P.S. Devo scrivere un articolo per la Rivista "Mi faccio i ca**i tuoi", pertanto ti chiedo: visti i tuoi diversi thread con ad oggetto l'arte, sei una dottoressa in conservazione dei beni culturali?
    Puoi anche non rispondere, ma in tal caso devi pagarmi una birra a titolo indennitario

  9. #9
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    Originally posted by Sant'Eusebio





    P.S. Devo scrivere un articolo per la Rivista "Mi faccio i ca**i tuoi", pertanto ti chiedo: visti i tuoi diversi thread con ad oggetto l'arte, sei una dottoressa in conservazione dei beni culturali?

    Purtroppo no…
    In realtà, per campare mi occupo di quanto di più lugubre esista al mondo: bilanci e tasse. Davvero deprimente, povera Silvia…

    P.S. In serata, o al massimo domani, ti delizierò con un grande pittore romagnolo: Melozzo da Forlì.

    P.S. del P.S. ... e quali sarebbero i miei "diversi" thread di arte?

  10. #10
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    MELOZZO DA FORLI’
    (1438-1494)

    Melozzo da Forlì nacque da Giacoma e Giuliano Degli Ambrogi, del quale non conosciamo l’attività lavorativa; tuttavia gli studiosi sono concordi nel ritenere che la scelta di diventare pittore, per Melozzo, rientri nel campo di quelle possibili specializzazioni artigianali entro cui per tradizione si muoveva la famiglia: infatti sappiamo che il fratello Francesco fu orafo, lo zio materno Matteo architetto e il cognato Negusante pittore.
    L’ ultimo documento che segnala la presenza di Melozzo a Forlì è del dicembre 1464, dopo di che lo ritroviamo a Roma dove lasciò le sue opere maggiori e fu probabilmente maestro di Piero della Francesca.
    Lavorò a Urbino, ad Ancona, a Forlì e a Loreto, dove decorò la Cappella del Tesoro. Disegnatore meraviglioso, insuperabile maestro della prospettiva e dello scorcio, seppe fondere la grandiosità e la potenza della concezione all’eleganza e alla grazia della composizione.
    La pittura di Melozzo non ha avuto fortuna storica, sia perché non sempre gli viene riconosciuta, sia perché in gran parte è andata distrutta: le attribuzioni sembrano legate più al capriccio dei critici che ai dati obiettivi per cui, ad esempio, il "Pestapepe" forlivese è ancora in cerca di paternità certa, nonostante i puntelli storici locali.

    Moltissime sono le sue opere; tra le più famose ricordiamo l’Annunciazione nel Pantheon, l'”Ascensione” della chiesa dei Santissimi Apostoli (ora smembrata fra il Quirinale e la Pinacoteca vaticana), il Cristo benedicente del museo di Urbino e il Pestapepe, affresco staccato dalla facciata del fondaco del provveditore di spezierie di Girolamo Riario, nell'attuale corso Diaz a Forlì e conservato alla pinacoteca della città.


    Nel 1477 Papa Sisto IV assegnò al Platina il compito di riordinare la Biblioteca Vaticana e questi commissionò al Melozzo gli affreschi di alcune sale dove si coglie l’influenza che l’opera del Mantegna ebbe su di lui, che certamente ne aveva visto ed ammirato gli affreschi dipinti pochi anni prima a Mantova.
    Le ricerche spaziali di Melozzo trovano piena espressione nella decorazione nell'abside dei S.S. Apostoli con il "Redentore tra gli angeli" e gli "angeli musici" (Angelo uno e Angelo due), concepita con una vastità e arditezza eroica, in cui ritorna la modellazione quasi geometrica di Piero della Francesca e che, purtroppo, è molto frammentata, lasciando molto all’immaginazione circa la visione d’insieme. Ma la grandiosità del pittore si rileva in tutta la sua interezza nel gruppo raffigurante Il bibliotecario Platina che riceve le chiavi della pinacoteca da Sisto IV dove il Melozzo, con il "sottinsù", dà importanza alle figure nella ricca architettura rinascimentale scenograficamente magniloquente.
    L'esperienza compiuta ad Urbino sulla pittura fiamminga permise a Melozzo di indagare i volti, giungendo a sottili differenziazioni psicologiche che sono forse, insieme alla magnificenza cromatica, le qualità maggiori di quest'opera.

    Un assoluto capolavoro della pittura quattrocentesca lo troviamo nella Santa Casa di Loreto, dove Melozzo decorò la bellissima volta della Sagrestia di San Marco. Il visitatore ha l’illusione di trovarsi dentro un tempietto con una visione spaziale di interni ed esterni. L’illusione prospettica dell’impianto architettonico è stata accentuata ideando le ombre dietro le teste dei putti figurati nel cornicione e dietro le foglie dei capitelli. le figure della volta, angeliche e profetiche, formano un tutt'uno con le architetture dipinte, in un organismo decorativo unitario e autonomo rispetto all'architettura della materia, ritmato da mirabili scansioni e animato da una luce meridiana che esalta i lucenti e densi impasti cromatici. Quel che più vi si ammira è l'abilità prospettica che fece scrivere al Vasari: il Melozzo fu un grandissimo prospettivo.
    Le allegorie angeliche, con i simboli della passione di Cristo, sono sovrastate da una corona di cherubini alati, raffigurati, secondo la più comune tradizione iconografica, con la sola testa e sei ali dipinte a colori vivaci come se fossero pennuti. Due ali vengono utilizzate per volare. Delle quattro rimanenti, due servono per coprirsi il corpo e le altre due gli occhi quando si trovano di fronte allo splendore di Dio. Al di sopra, la decorazione è formata da un girone costituito da serafini, rappresentati con teste umane alate ,che si alternano alle composizioni figurate con delfini abbinati . Sull’affresco di base, l’artista ha compiuto una rifinitura a tempera che determina il magnifico effetto finale.
    Nel 1484 Melozzo ritornò a Forlì ed è in questo periodo che decora proprio nella città natale la cupola di San Giovanni Battista in Faliceto, segnalata sino alla metà del seicento.
    Successivamente Caterina Sforza commissionò al Melozzo gli affreschi per una cappella che avrebbe dovuto esaltare l’immagine pubblica del suo ultimo marito, il genovese Giacomo Feo, che però morì assassinato nel 1495 senza neppure vedere ultimata la cappella nella quale, alla morte di Melozzo avvenuta nel 1494, era subentrato , per gli affreschi del registro inferiore, Marco Palmezzano (anch’egli romagnolo… ). Di questa opera ci rimangono pochissimi ragguagli perché finì polverizzata assieme alla Chiesa di San Biagio da una bomba tedesca nel 1944.



    Il bibliotecario Platina– Biblioteca apostolica vaticana


    Liberamente tratto dal sito: http://www.delfo.forli-cesena.it/palmezzano/


 

 
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