La guerra in Cecenia rappresenta la punta di un iceberg di un conflitto in corso da anni per il controllo delle nuove rotte petrolifere. Ma la posta in gioco è ancora più alta e riguarda i rapporti di forza complessivi in tutta l'area. Neanche a dirlo, promotori della crisi che dura da anni sono gli Stati Uniti. Il motivo è molto semplice: togliere alla Russia il controllo dell'Asia centrale, portandola ad una crisi economica e politica dalla quale non si possa più riprendere. Per fare un quadro sintetico di quali siano le ragioni di questa crisi è inevitabile fare un passo indietro. Il 19 agosto del 2000 venne annunciato l'inizio dei lavori di un gasdotto, il "Blue stream", che dovrebbe collegare Novorossik (Russia) a Samson (Turchia). Sono coinvolte Eni, Gazprom e Botas (turca). Ma sempre ad agosto, l'allora segretario Usa per l'Energia, Richardson, era in Turchia ad affermare di "comprendere le preoccupazioni turche per la sicurezza del Bosforo e che la guerra in Daghestan prova la necessità che non ci sia un solo oleodotto". La Russia manifestò subito alla Turchia le sue preoccupazioni che gli Usa volessero mettere "i bastoni tra le ruote anche al progetto Blue stream". Le preoccupazioni di Mosca sembrarono giustificate. La Turchia infatti stava giocando su due tavoli. Oltre a Blue stream era all'esame un altro progetto di gasdotto dal Turkmenistan fino a Baku e poi a Ceyhan con un percorso coincidente e parallelo a quello dell'oleodotto contestato. Il monopolio turco del petrolio - la Botas - ha già firmato un accordo con il Turkmenistan per forniture di 16 miliardi di metri cubi di gas tra il 2002 e il 2010.Il gasdotto avrà una capacità di 30miliardi di metri cubi. Il surplus sarà venduto a Italia, Bulgaria e Austria. Su questa vicenda dell'oleodotto voluto da Usa e Turchia per tagliare fuori la Russia dalle rotte del petrolio, c'è un indicatore importante. L'oleodotto avrà infatti una capacità superiore alle riserve petrolifere esistenti in Azerbajian. Ciò significa che servirà anche per portare sul Mediterraneo anche il petrolio del Kazachistan a tutto danno del progetto di oleodotto diretto a Novorossik. Occorre inoltre sottolineare che a Kashagan (Kazachistan) è stato scoperto un giacimento di petrolio ancora più grande di quello di Tengiz (ritenuto il più grande del mondo). Fino ad allora, la maggior parte delle multinazionali petrolifere presenti nell'area si erano espresse negativamente - per ragioni meramente di costi - all'oleodotto tra Baku e il porto turco di Ceyhan. Ma la BP-Amoco rompe il fronte delle multinazionali petrolifere contrarie all'oleodotto e concorda sul tracciato fortemente voluto dagli Usa e dalla Turchia disposte a concedere anche benefici fiscali alle società che avessero accettato il loro progetto. A Mosca scatta la ritorsione russa: la BP-Amoco viene estromessa dalla proprietà della società Chernogornet che finisce nelle mani della russa Tymen Oil. Ma la posta in gioco va oltre il controllo delle nuove rotte petrolifere. Sulla Cecenia si ricostruisce quel vasto fronte che dietro lo schermo "umanitario" muove in realtà interessi strategici pesanti e materiali. Per i russi una Georgia sottomessa significherebbe l'accesso diretto in Armenia - già feudo di Mosca - e questo taglierebbe fuori l'Azerbaijan e l'Asia centrale dall'occidente, ma significherebbe anche il controllo politico dell'oleodotto Baku-Supsa. A questa eventualità si oppone naturalmente l'America che vedrebbe andare in fumo la sua politica nel Caucaso del Sud e in Asia centrale, una politica antirussa che dura da cinquant'anni ad oggi. Washington vuole mettere in ginocchio Mosca. La guerra in Cecenia è dunque solo l'ultima guerra per il petrolio che va però ad assumere un elevato valore strategico e geopolitico sia per gli attori in campo sia perché rientra nei progetti di controllo imperialista dell'area da parte degli Stati Uniti, un controllo che inevitabilmente deve tagliare fuori la Russia da ogni rotta petrolifera strategica. Ma la Russia è un paese che vive al 70% dell'esportazione di petrolio e gas, rimanere tagliati fuori significherebbe una crisi assai peggiore del crack finanziario dell'estate 1998.