Il Parlamento di Mosca approva una nuova legge. La reazione: con queste regole non avremmo potuto raccontare l?assedio al teatro
Terrorismo, la Duma limita la libertà di stampa
Basayev: non ho avvertito il presidente ceceno dell?assalto, mi dimetto da comandante della guerriglia
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
MOSCA - Una copertura puntuale degli avvenimenti, con immagini di qualità riprese da tutte le televisioni del mondo. I giornalisti russi hanno lavorato bene durante la crisi degli ostaggi, ma da oggi le cose cambiano: una nuova legge approvata dalla Duma impone rigorosi limiti a quello che si potrà dire e mostrare su giornali e tv. «In teoria le tv non avrebbero potuto far vedere nulla di quello che accadeva al teatro Dubrovka», spiega contrariato Otto Latsis, uno dei più noti commentatori russi, vicedirettore di Novye Izvestiya .
La legge era già da tempo in parlamento, ma ieri i deputati l'hanno approvata a larga maggioranza. Ora passa al Consiglio della Federazione per lo scontato voto finale. E' una norma volta a limitare l'impatto sui mass media delle azioni dei terroristi. Vieta, per esempio, la diffusione di informazioni su tecnologia, armi, munizioni ed esplosivi usati in operazioni antiterrorismo. Quindi non si sarebbe potuto scrivere nulla sul gas che ha ucciso 117 ostaggi e che ne tiene ancora in ospedale 155.
«Ma tutto ciò è assurdo - si infervora Latsis - perché non deve essere compito del giornalista custodire i segreti. E’ responsabilità delle strutture di sicurezza. Abbiamo fatto vedere troppo durante l’assalto? Ma sono loro che sanno quello che si può mostrare e quello che non si può mostrare. Loro devono dire a un operatore: da qui si può filmare e da qui no». La legge invece prevede sanzioni che vengono applicate successivamente dal ministero per l'Informazione.
Un’altra norma stabilisce che non si possono diffondere notizie che «servono alla propaganda o che giustificano le iniziative dei terroristi». Quindi, in teoria, non si dovrebbe nemmeno dire che esiste una certa azione terroristica o quali siano le richieste dei sequestratori. Alcuni punti della norma sono accettati da chi si occupa di media, tanto che già erano state avanzate proposte per un’autoregolamentazione. «La vita della gente è più importante del diritto d'informazione», ha detto alla radio Eco di Mosca il segretario dell'Unione dei giornalisti Mikhail Fedotov.
Ma la realtà è che la legge lascia ampio spazio alla discrezione delle autorità che durante la crisi del teatro hanno esercitato pressioni fortissime sui media. «Quella della propaganda è una frottola - dice ancora Latsis -, perché i giornalisti fanno solo il loro lavoro. Ma queste formulazioni molto vaghe ed estese potrebbero mirare semplicemente a stroncare qualsiasi possibilità di critica» (in questo clima non sorprende la perquisizione, ieri sera, della polizia nella redazione del settimanale Verija ).
Il commentatore di Novye Izvestiya spiega che se la legge fosse stata già in vigore durante l'assedio, oggi non si saprebbe quasi nulla. «Ad esempio sarebbe impossibile dire che i colloqui non dovevano essere scartati in partenza e che concedere qualcosa non voleva dire cedere ai terroristi, ma fare gli interessi della Russia. Lo stesso vale per l'opinione che il gas è stato del tutto inutile (oltre che dannoso): se le bombe non sono esplose questo non è merito degli attaccanti, ma deriva dalla decisione dei terroristi di non far scattare i detonatori».
La stessa legge codifica anche il principio che i corpi dei terroristi uccisi durante le operazioni non vengano restituiti ai parenti, ma siano sepolti in un luogo segreto. E anche questo è stato fortemente criticato, con richiami allo stalinismo. Latsis non condivide il giudizio: «E’ una norma semplicemente disumana. Piuttosto sono metodi stalinisti quelli adoperati in Cecenia dove ogni giorno si uccide. E non solo guerriglieri». L’Unhcr, l’agenzia per i rifugiati dell’Onu, ha denunciato il comportamento dell’esercito russo che avrebbe messo sotto assedio i quattro principali campi profughi in Inguscezia, che ospitano circa 17.000 rifugiati ceceni.
Ma il Cremlino tira dritto, forte del sostegno di una larga maggioranza dell’opinione pubblica. Nessuna trattativa per una soluzione politica della guerra, nonostante gli appelli di molte personalità, da Mikhail Gorbaciov a Evgenij Primakov, allo stesso rappresentante del Cremlino per i diritti umani Oleg Mironov. Così le dichiarazioni del comandante Shamil Basayev che ha detto di assumersi tutta la responsabilità della presa degli ostaggi, scagionando il presidente ceceno Aslan Maskhadov («domando perdono per averlo tenuto all'oscuro - ha scritto sul kavkaz.org - e gli chiedo di accettare le mie dimissioni da tutte le cariche che ricopro, anche da capo della Commissione militare della guerriglia» ad eccezione della guida del Battaglione dei martiri Riadus-Calikin) vengono liquidate con un'alzata di spalle dall'assistente presidenziale Sergej Yastrzhembskij: «Cerca di coprire Maskhadov».
Il ministro della Giustizia danese ieri ha reso noto di aver inviato una lettera a Mosca: per concedere l’estradizione di Zakayev, braccio destro di Mashkadov arrestato a Copenaghen su richiesta dei russi - è scritto -, sono necessarie ulteriori prove del suo coinvolgimento in azioni terroristiche.
Fabrizio Dragosei
Corriere della Sera 2 novembre 2002