4 novembre 2002,
va in onda la giornata dell’orgoglio padano
di Roberto Ortelli
“Padania Libera”, “Padania Indipendente”, “Buona Padania”, “Padania Libera in uno stato federale”.
Dietro questi mille slogan, le aspettative, le tensioni e i sentimenti dei cittadini Padani, liberati ai microfoni di Radio Padania. La promessa è stata mantenuta: ieri, lunedì 4 novembre 2002, è stata la festa dell’orgoglio Padano, della riscoperta e del consolidamento delle nostre origini, delle nostre radici e della nostra storia, mentre altrove si celebrava una festa che da più parti si tende sempre a nascondere, a far passare inosservata. Non sono mancate le testimonianze, classiche come quelle dei ministri Castelli e Maroni che hanno rivendicato la loro azione politica sotto l’egida del Sole delle Alpi, particolari come l’ascoltatore che racconta: «Ho sposato una donna Svizzera, ma vivo a Como e mantengo il passaporto italiano per continuare a votare Lega, nella convinzione di vedere la Padania incastonata nel nuovo stato federale, vedendola così libera», come non è mancata l'evidenza del risveglio delle contrapposizioni, fra la storia di regime italiana e quella concreta Padana, sempre nascosta dal regime. Come le mille bandiere, simboli di libertà e di appartenenza ad un popolo, che sia Insubre, Veneto o Piemontese, forzatamente riposte nel dimenticatoio dalla burocrazia italiota e riscoperte dagli uomini liberi dopo il loro risveglio.
E poi la voce delle lingue locali tradizionali, da sempre veicolo di comunicazione importante per i nostri genitori, i nostri nonni e per le generazioni che furono. Un modo di pensare, che poi irreversibilmente è sempre sfociato in un modo di agire concreto, che ha portato e porta tutt’oggi alla crescita e al consolidamento di questa grande realtà geo-economico-politica che la storia ha chiamato Padania.
Terra di lavoratori, di pensatori, terra di frontiera e laboratorio per lo sviluppo di nuove idee, ma soprattutto terra generosa, di grandi cuori, sfruttati e fregati troppo a lungo. Ne risalta purtroppo l'urlo di dolore di Torino, e del Piemonte, squarciati dal ciclone della crisi Fiat e dalla delinquenza dell'immigrazione clandestina. Ma nonostante tutto, la Padania è viva, il suo cuore pulsa e la sua anima grida vendetta.
E se da laggiù, da chi non vuol riconoscerne l’esistenza viene la condanna, da quassù parte la rivendicazione all’esistenza, alla costruzione di una società migliore, basata sulla libertà individuale e sul rispetto di questa irrinunciabile condizione.
Questo il polso della situazione degli ascoltatori, liberi di dire ciò che vogliono, di decidere se sentirsi uomini liberi Padani, o continuare a rispecchiarsi nel concetto di italianità.
Il verdetto è stato unanime nel riconoscersi orgogliosamente nelle tradizioni di casa propria, tornate alla luce grazie alla buona volontà di un uomo, Umberto Bossi, che della libertà delle sue genti, sta dedicando la propria vita.
E parallelamente, ancora dalla Padania viene la rincorsa al “sì local”, al rifiuto del mondialismo, della logica del «tutti uguali, tutti numeri», logica che se non contrastata e rifiutata, porterà il mondo alla deriva oligarchica, al governo di pochi