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    Predefinito «Racconterò ai miei nipoti la storia della Padania»

    UN BOSSI “FORMATO FAMIGLIA” NEL NUOVO LIBRO DI BRUNO VESPA
    La Grande Muraglia. L’Italia di Berlusconi. L’Italia dei Girotondi. È questo il titolo del nuovo libro di Bruno Vespa (388 pagine, 16.80 euro) che uscirà domani per Rai Eri-Mondadori. Nei quindici capitoli, particolarmente ricchi di episodi inediti e aggiornati al 31 ottobre, Vespa mette a confronto il presidente del Consiglio con D’Alema, Fassino e Rutelli e questi, a loro volta, con la contestazione di Moretti, Pardi e Flores e soprattutto con le posizioni di Sergio Cofferati. Due capitoli sono dedicati allo scontro sulla giustizia, due ai retroscena della mancata protezione a Marco Biagi. Un capitolo racconta invece i retroscena delle tesissime trattative che hanno portato alla firma del Patto per l’Italia. Nei due capitoli di politica estera, parla per la prima volta dopo le sue dimissioni l’ex ministro degli Esteri Renato Ruggiero e Berlusconi racconta i suoi incontri a quattr’occhi con Putin e Bush. Segue un acceso confronto all’interno di Forza Italia, le polemiche in An per il cambio del simbolo del partito, la nuova strategia della Lega e le confessioni di Pier Ferdinando Casini sul proprio futuro. Infine, “la Rai del cavaliere”, dalle nomine del nuovo Consiglio d’amministrazione fino alle polemiche degli ultimi giorni su Biagi e Santoro. Ma quello che ci interessa è soprattutto il capitolo dedicato al ministro Umberto Bossi. E qui di seguito pubblichiamo alcuni stralci del libro di Bruno Vespa.
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

  2. #2
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    Predefinito

    Nel nuovo libro, in uscita domani,
    le confidenze del Senatur e i capitoli su Maroni e Castelli
    Vespa svela i "segreti" di Bossi
    "Credo che farò in tempo a raccontare le storie della Padania ai miei nipoti"
    di Bruno Vespa

    Pubblichiamo il capitolo dedicato a Umberto Bossi tratto dal nuovo libro di Bruno Vespa dal titolo La Grande Muraglia. L’Italia di Berlusconi. L’Italia dei Girotondi. (Rai Eri-Mondadori, 388 pagine, 16.80 euro) in uscita domani.
    «Il popolo della Lega venne in massa a Pontida nonostante i quaranta gradi all’ombra» mi dice Bossi qualche tempo dopo «perché vuole capire se questo governo riuscirà a cambiare il Paese. Qualcuno teme ancora che io sia venuto a Roma per sedermi su una sedia e per fare piacere a Berlusconi senza toccare niente. Io farò ricredere questa gente. Provocheremo cambiamenti fortissimi (basti vedere quel che hanno cominciato a produrre Maroni e Castelli). E se l’Italia cambierà, come io credo, la gente ricorderà chi ne ha il merito». Cambierà davvero? «L’altro giorno mia moglie guardava il “tronchetto della felicità”, una piantina che ci hanno regalato dieci anni fa quando abbiamo regolarizzato con il matrimonio una lunga e bella storia d’amore. «Umberto, guarda» m’ha detto. Pensavamo da tempo che quella pianta fosse morta e invece alla base era spuntato un bel ciuffo di foglie verdi. La stessa cosa sta accadendo alla Casa delle Libertà. All’inizio ci chiedevamo tutti che cosa ne sarebbe venuto fuori. Eravamo circondati in Italia e in Europa: un’Europa neogiacobina, guidata dalle tecnocrazie imposte dall’alto. Ci sembrava impossibile battere questi poteri. E invece...».
    Bossi s’alza dalla scrivania del suo studio ministeriale che domina il palazzo di Montecitorio e prende da uno scaffale la foto incorniciata di un bellissimo bambino, suo figlio minore. «Meno male che assomiglia alla madre» osservo rispettosamente. Lui grugnisce un sostanziale consenso. «Il padre l’ha rovinato con il nome» insisto «la mamma lo ha risarcito con la bellezza» Il bambino si chiama infatti Eridanio Sirio (Eridanio è uno dei nomi storici del fiume Po) e per tutta la vita sarà l’involontario testimone della sbornia secessionista della Lega, durata dal settembre 1996, dopo le elezioni nazionali che premiarono Bossi con uno straordinario 10 per cento, al 1999, dopo le elezioni europee che dimezzarono il risultato precedente.
    Per tre anni, Bossi minacciò di spaccare l’Italia. Per difendere gli attuali confini della patria, a “Porta a Porta” gli facevo trovare regolarmente sorprese tricolori. Una sera gli portai un souvenir che avevo raccolto durante un’escursione su una montagna delle Dolomiti, teatro di uno degli scontri più sanguinosi della Grande Guerra: un pezzo di legno carbonizzato, il frammento di una postazione d’artiglieria che un giovane ufficiale e i suoi soldati avevano difeso a prezzo della vita. (Se ha ragione Albertoni quando ricorda che gli alpini del Nord andavano all’assalto gridando il nome dei loro paesi, è altrettanto vero che i confini nazionali sono stati difesi anche da alpini, fanti e artiglieri meridionali che volevano un’Italia lunga e unita). «E di questo che ne facciamo?» chiesi a Bossi mostrandogli il doloroso cimelio. Lui bofonchiò qualcosa di inoffensivo, ma più tardi, in trasmissione, Walter Veltroni mostrò ai telespettatori gli sciagurati manifesti commissionati da un qualche leghista impazzito che auspicavano il ritorno nella capitale di un Nerone con rinnovate smanie incendiarie.
    L’uomo che ho davanti adesso è un’altra persona. Dinanzi alla bellissima foto di Eridanio s’intenerisce, pensando alla famiglia, e la «fortuna che ho avuto sposando Manuela. Lei mi diceva sempre: “Umberto, queste cose le racconterai ai nipotini che ti salteranno sulle ginocchia”.
    Io pensavo che non sarei mai arrivato a quell’età. Due milioni e mezzo di chilometri in automobile, sessanta volte il giro del mondo, percorsi soprattutto di sera e a gran velocità. Pensavo che un incidente m’avrebbe fermato prima.
    Ora, invece, credo davvero che non morirò presto e farò in tempo a mettere i capelli bianchi e magari a raccontare le storie della Padania ai figli dei miei figli, anche a quelli di Eridanio, che è il più piccolo...».
    ECCO L’UMBERTO FORMATO FAMIGLIA...
    Ecco dunque l’Umberto formato famiglia. Vedendolo con la foto di Eridanio fra le mani, si capisce meglio perché quella gran volpe di Roberto Maroni si sia blindato le deleghe sulla famiglia. Una sera dell’estate 2001, quando il governo Berlusconi s’era formato da poco, durante un ricevimento presi sottobraccio Stefania Prestigiacomo, ministro delle Pari opportunità, e la portai da Gianni Letta. «Chi rappresenterà a “Porta a Porta” il governo sulle questioni della famiglia?» «Stefania, naturalmente» rispose Letta con un sorriso. «Già» obiettai «ma le deleghe ce le ha Maroni...». Le aveva, le ha e non le ha mai mollate. Non per gelosie ministeriali e nemmeno per la stramaledetta «visibilità» che regola la politica italiana (è perfino curioso che sia Maroni a parlare di famiglia, visto il gravosissimo impegno da lui assunto con le competenze sul lavoro), ma perché Dio/Patria*/Famiglia sono le nuove parole d’ordine della Lega.

    * Quando si riferiva a “Dio/Patria/Famiglia”, Vespa avrebbe dovuto precisare che la nostra Patria è la Padania.
    ndd
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

 

 

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