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Discussione: Dedicato ai nazi.....

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    Predefinito Dedicato ai nazi.....

    NELLA FORNACE DI STALINGRADO IL PIU' GRANDE DISASTRO TEDESCO


    [Pagina prececente]
    Roberto Rusconi
    a cura di Roberto Rusconi




    --------------------------------------------------------------------------------

    Il novembre 1942 comincia col freddo, nuvole basse, brevi tormente di neve, il termometro a –20°. Il 6 compaiono sul Volga i primi ghiacci, dal 20 il fiume non sarà più navigabile e il 16 dicembre gelerà.
    L’11 novembre i tedeschi lanciano su Stalingrado un attacco massiccio, con cinque divisioni appoggiate da 150 carri e da reparti speciali di assaltatori fatti arrivare in aereo dalla Germania. E’ uno sforzo concentrato, per ricacciare di un colpo solo i difensori nel fiume. Ma i sovietici si sono ben trincerati, i “Panzer” tedeschi, fatti per gli spazi aperti e manovrabili, avanzano con estrema difficoltà fra i cumuli di macerie e sono vulnerabilissimi. I russi li lasciano passare e tagliano fuori la fanteria attaccandola separatamente e sconvolgendo così l’ordine di battaglia nemico.
    Tuttavia i tedeschi, per la quinta volta, sfondano il perimetro della testa di ponte, spezzano ancora in due tronconi le forze di Ciujkov e arrivano al Volga su un fronte di 500 metri. Con un altissimo tributo di sangue (dei 264 uomini del 118° reggimento della Guardia, dopo quattro ore di combattimento, rimangono appena sei superstiti) i sovietici arginano l’offensiva e dopo tre giorni di lotta i tedeschi devono constatare che, pur avendo acquistato altro terreno, non sono riusciti ad annientare la fitta rete di ridotte e fortini fra la collina “Mamaj” e le officine “Ottobre Rosso”.
    Poco dopo l’alba di giovedì 19 novembre, fra le 6 e le 7, l’ora più silenziosa della giornata, i soldati russi accucciati nelle trincee sono destati all’improvviso da un sordo rombo che proviene da sud e da nord. Con una perfetta scelta di tempo, cioè nel periodo fra i primi geli che induriscono il suolo e consentono rapidità di movimenti e le prime grosse nevicate che invece bloccano ogni possibilità di manovra, i gruppi di armate di Rokossovskij, Vatutin ed Eremenko si sono messe in moto per chiudere la tenaglia sul Volga. Rokossovskij e Vatutin, dal Don travolgono i romeni; Eremenko avanza da Sud di Stalingrado.
    Dal 19 al 23 novembre, così, la controffensiva russa sbaraglia 15 divisioni tedesche, di cui tre corazzate, fa 60.000 prigionieri e le sue punte più avanzate, estremità della tenaglia, allo scadere del quinto giorno si incontrano a 65 km a ovest di Stalingrado, a Kalac . Il compasso si chiude: salda attorno ai tedeschi un anello che va dai 35 ai 60 km, trasforma gli assedianti in assediati e imprime una svolta decisiva alla seconda guerra mondiale. Paulus, che è nelle vicinanze di Kalac e sfugge per caso alla cattura, rientra nella sacca ed apprende che il fianco sud è scoperto, che non ci sono riserve, che manca il carburante e che i viveri bastano appena per sei giorni. Il Fuhrer decide di portare diretto soccorso all’armata prigioniera e incarica von Manstein di spezzare l’accerchiamento russo servendosi della 4 armata corazzata di Hoth, della 3 e della 4 romene. Il 12 dicembre, da sud-ovest, Manstein lancia l’offensiva su un fronte di 100 km tra Tsimla e Kotelnikovski, a cavallo delle ferrovie che da Krasnodar e Vorosilovgrad vanno a Stalingrado. Il cuneo d Hoth penetra fino all’Aksai e il 13 attraversa il fiume, il 19 raggiunge la Mischkova in mezzo ad una tremenda tempesta di neve e il 21 è a Verkhene-Kumskaia: 130 dei 180 chilometri che lo separano dagli assediati sono stati coperti e di notte può vedere nel cielo i bagliori della contraerea di Stalingrado.
    L’offensiva, però, finisce qui. Il 16 dicembre, a monte del Don, un’armata sovietica ha investito le linee tenute dagli italiani aprendovi una falla profonda 50 km mentre nel Caucaso i russi si sono mossi, minacciosamente verso Rostov. Ancora un passo e anche Manstein rischia di cadere in una gigantesca trappola. Hoth si vede costretto a sospendere l’avanzata su Stalingrado per inviare una delle sue tre divisioni corazzate in aiuto al fronte del Don e Hitler è obbligato ad ordinare la ritirata nel Caucaso, pena la perdita di un milione di uomini. La 6 Armata è condannata; comincia la sua agonia, durerà 76 giorni.
    Divenuti a loro volta assediati i tedeschi ripetono il modello russo della resistenza ad oltranza: capisaldi nelle case, fabbriche contese palmo a palmo, battaglie accanite per una strada, una piazza od una altura, come la collina Mamaj, la “Collina della Morte”. La lotta, aggravata dalla prostrazione fisica e morale, è resa quasi insostenibile dall’inverno russo: a metà dicembre il sole cala poco dopo mezzogiorno, fra le 14 e le15 è notte completa.
    Il Capodanno 1943 porta un freddo micidiale (-40°) e la riduzione della razione di pane da 200 a 100 grammi. Tifo, pidocchi e dissenteria mietono vittime: i malati incapaci a muoversi sono 80.000, soltanto la metà potrà essere evacuata.
    Nell’ultima settimana di gennaio i sovietici occupano l’unico aeroporto rimasto ai tedeschi, quello di Gumrak. Il comando decide di abbandonare i 50.000 feriti ricoverati nei sotterranei delle due stazioni ferroviarie, nei ‘silos’ dei cereali, negli scantinati del teatro e nella ex sede del comando di presidio. I morti, per il terreno gelato e durissimo, non vengono più seppelliti, né i loro nomi registrati. Dodici ore dopo, uno spaventoso bombardamento dell’artiglieria russa si abbatte sul centro di Stalingrado, nella zona dell’ “Univermag”, i magazzini generali, nelle cui cantine si trova il comando di Paulus. Alle 5,45 del mattino seguente, il 1° febbraio, la radio dell’Armata trasmette “I russi sono davanti al bunker. Distruggiamo la nostra stazione”. Poi un ufficiale tedesco esce
    dall’ “Univermag” agitando una bandiera bianca e fa un cenno verso l’altra parte della strada, dove sono appostati i sovietici.
    La resa è accettata. Ma fra le macerie fumanti c’è ancora chi non si è arreso: sono gli uomini del generale Strecker, che costituiscono gli ultimi nuclei di resistenza all’interno della sacca nord di Stalingrado. Nonostante si sia reso perfettamente conto della tragicità della situazione, Strecker, che in un primo momento ha tentato di resistere agli ordini superiori che imponevano un inutile massacro, si è lasciato convincere dalle direttive provenienti da Berlino: che ogni sua ora di resistenza avrebbe permesso la creazione di un nuovo fronte di difesa. Quando però vede che le sue linee vengono travolte dalla fanteria russa, dà anche lui l’ordine di cessare il fuoco.
    Nella mattina del giorno 2 febbraio 1943 tutto tace definitivamente.
    Dei 320.000 tedeschi di Stalingrado, 140.000 sono morti per ferite ricevute in combattimento, fame, freddo, malattie, 20.000 dispersi, 70.000 feriti ed evacuati prima e dopo la sacca. I superstiti 90.000 lasciano in mano ai russi 750 aerei, 1550 carri armati, 480 autoblindo, 800 cannoni e mortai, 60.000 autocarri e 235 depositi di munizioni e partono per i campi di prigionia della Siberia. Fra loro vi sono 2500 ufficiali, 23 generali ed un feldmaresciallo: torneranno in soli 5000, meno del 2 per cento.
    Alle 14.46 del 2 febbraio un aereo tedesco da ricognizione sorvola a grande altezza la città e trasmette questo messaggio: “A Stalingrado, nessun segno di combattimento”.

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    Predefinito Re: Dedicato ai nazi.....

    Originally posted by pietro
    NELLA FORNACE DI STALINGRADO IL PIU' GRANDE DISASTRO TEDESCO


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    Il novembre 1942 comincia col freddo, nuvole basse, brevi tormente di neve, il termometro a –20°. Il 6 compaiono sul Volga i primi ghiacci, dal 20 il fiume non sarà più navigabile e il 16 dicembre gelerà.
    L’11 novembre i tedeschi lanciano su Stalingrado un attacco massiccio, con cinque divisioni appoggiate da 150 carri e da reparti speciali di assaltatori fatti arrivare in aereo dalla Germania. E’ uno sforzo concentrato, per ricacciare di un colpo solo i difensori nel fiume. Ma i sovietici si sono ben trincerati, i “Panzer” tedeschi, fatti per gli spazi aperti e manovrabili, avanzano con estrema difficoltà fra i cumuli di macerie e sono vulnerabilissimi. I russi li lasciano passare e tagliano fuori la fanteria attaccandola separatamente e sconvolgendo così l’ordine di battaglia nemico.
    Tuttavia i tedeschi, per la quinta volta, sfondano il perimetro della testa di ponte, spezzano ancora in due tronconi le forze di Ciujkov e arrivano al Volga su un fronte di 500 metri. Con un altissimo tributo di sangue (dei 264 uomini del 118° reggimento della Guardia, dopo quattro ore di combattimento, rimangono appena sei superstiti) i sovietici arginano l’offensiva e dopo tre giorni di lotta i tedeschi devono constatare che, pur avendo acquistato altro terreno, non sono riusciti ad annientare la fitta rete di ridotte e fortini fra la collina “Mamaj” e le officine “Ottobre Rosso”.
    Poco dopo l’alba di giovedì 19 novembre, fra le 6 e le 7, l’ora più silenziosa della giornata, i soldati russi accucciati nelle trincee sono destati all’improvviso da un sordo rombo che proviene da sud e da nord. Con una perfetta scelta di tempo, cioè nel periodo fra i primi geli che induriscono il suolo e consentono rapidità di movimenti e le prime grosse nevicate che invece bloccano ogni possibilità di manovra, i gruppi di armate di Rokossovskij, Vatutin ed Eremenko si sono messe in moto per chiudere la tenaglia sul Volga. Rokossovskij e Vatutin, dal Don travolgono i romeni; Eremenko avanza da Sud di Stalingrado.
    Dal 19 al 23 novembre, così, la controffensiva russa sbaraglia 15 divisioni tedesche, di cui tre corazzate, fa 60.000 prigionieri e le sue punte più avanzate, estremità della tenaglia, allo scadere del quinto giorno si incontrano a 65 km a ovest di Stalingrado, a Kalac . Il compasso si chiude: salda attorno ai tedeschi un anello che va dai 35 ai 60 km, trasforma gli assedianti in assediati e imprime una svolta decisiva alla seconda guerra mondiale. Paulus, che è nelle vicinanze di Kalac e sfugge per caso alla cattura, rientra nella sacca ed apprende che il fianco sud è scoperto, che non ci sono riserve, che manca il carburante e che i viveri bastano appena per sei giorni. Il Fuhrer decide di portare diretto soccorso all’armata prigioniera e incarica von Manstein di spezzare l’accerchiamento russo servendosi della 4 armata corazzata di Hoth, della 3 e della 4 romene. Il 12 dicembre, da sud-ovest, Manstein lancia l’offensiva su un fronte di 100 km tra Tsimla e Kotelnikovski, a cavallo delle ferrovie che da Krasnodar e Vorosilovgrad vanno a Stalingrado. Il cuneo d Hoth penetra fino all’Aksai e il 13 attraversa il fiume, il 19 raggiunge la Mischkova in mezzo ad una tremenda tempesta di neve e il 21 è a Verkhene-Kumskaia: 130 dei 180 chilometri che lo separano dagli assediati sono stati coperti e di notte può vedere nel cielo i bagliori della contraerea di Stalingrado.
    L’offensiva, però, finisce qui. Il 16 dicembre, a monte del Don, un’armata sovietica ha investito le linee tenute dagli italiani aprendovi una falla profonda 50 km mentre nel Caucaso i russi si sono mossi, minacciosamente verso Rostov. Ancora un passo e anche Manstein rischia di cadere in una gigantesca trappola. Hoth si vede costretto a sospendere l’avanzata su Stalingrado per inviare una delle sue tre divisioni corazzate in aiuto al fronte del Don e Hitler è obbligato ad ordinare la ritirata nel Caucaso, pena la perdita di un milione di uomini. La 6 Armata è condannata; comincia la sua agonia, durerà 76 giorni.
    Divenuti a loro volta assediati i tedeschi ripetono il modello russo della resistenza ad oltranza: capisaldi nelle case, fabbriche contese palmo a palmo, battaglie accanite per una strada, una piazza od una altura, come la collina Mamaj, la “Collina della Morte”. La lotta, aggravata dalla prostrazione fisica e morale, è resa quasi insostenibile dall’inverno russo: a metà dicembre il sole cala poco dopo mezzogiorno, fra le 14 e le15 è notte completa.
    Il Capodanno 1943 porta un freddo micidiale (-40°) e la riduzione della razione di pane da 200 a 100 grammi. Tifo, pidocchi e dissenteria mietono vittime: i malati incapaci a muoversi sono 80.000, soltanto la metà potrà essere evacuata.
    Nell’ultima settimana di gennaio i sovietici occupano l’unico aeroporto rimasto ai tedeschi, quello di Gumrak. Il comando decide di abbandonare i 50.000 feriti ricoverati nei sotterranei delle due stazioni ferroviarie, nei ‘silos’ dei cereali, negli scantinati del teatro e nella ex sede del comando di presidio. I morti, per il terreno gelato e durissimo, non vengono più seppelliti, né i loro nomi registrati. Dodici ore dopo, uno spaventoso bombardamento dell’artiglieria russa si abbatte sul centro di Stalingrado, nella zona dell’ “Univermag”, i magazzini generali, nelle cui cantine si trova il comando di Paulus. Alle 5,45 del mattino seguente, il 1° febbraio, la radio dell’Armata trasmette “I russi sono davanti al bunker. Distruggiamo la nostra stazione”. Poi un ufficiale tedesco esce
    dall’ “Univermag” agitando una bandiera bianca e fa un cenno verso l’altra parte della strada, dove sono appostati i sovietici.
    La resa è accettata. Ma fra le macerie fumanti c’è ancora chi non si è arreso: sono gli uomini del generale Strecker, che costituiscono gli ultimi nuclei di resistenza all’interno della sacca nord di Stalingrado. Nonostante si sia reso perfettamente conto della tragicità della situazione, Strecker, che in un primo momento ha tentato di resistere agli ordini superiori che imponevano un inutile massacro, si è lasciato convincere dalle direttive provenienti da Berlino: che ogni sua ora di resistenza avrebbe permesso la creazione di un nuovo fronte di difesa. Quando però vede che le sue linee vengono travolte dalla fanteria russa, dà anche lui l’ordine di cessare il fuoco.
    Nella mattina del giorno 2 febbraio 1943 tutto tace definitivamente.
    Dei 320.000 tedeschi di Stalingrado, 140.000 sono morti per ferite ricevute in combattimento, fame, freddo, malattie, 20.000 dispersi, 70.000 feriti ed evacuati prima e dopo la sacca. I superstiti 90.000 lasciano in mano ai russi 750 aerei, 1550 carri armati, 480 autoblindo, 800 cannoni e mortai, 60.000 autocarri e 235 depositi di munizioni e partono per i campi di prigionia della Siberia. Fra loro vi sono 2500 ufficiali, 23 generali ed un feldmaresciallo: torneranno in soli 5000, meno del 2 per cento.
    Alle 14.46 del 2 febbraio un aereo tedesco da ricognizione sorvola a grande altezza la città e trasmette questo messaggio: “A Stalingrado, nessun segno di combattimento”.
    Almeno il nazismo è stato battuto con le armi,mentre i regimi comunisti sono implosi da soli,per consunzione

  3. #3
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    Ti sbagli non il comunismo è stato sconfitto per consunzione ma la sua deriva....il nazismo è stato sconfitto dalla sua follia razzista!

  4. #4
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    un momento. Siamo onesti. Lo stato nazionalsocialista tedesco è stato sconfitto militarmente da una formidabile coalizione bellica composta da Inghilterra, USA e URSS.
    Le risorse combinate di questi paesi rendevano praticamente impossibile la resistenza tedesca. Da qui la sconfitta. Che è quindi sconfitta militare, non ideologica.

 

 

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