Pagliarini risponde al Corriere: alla Città eterna oltre 615 miliardi,
più del quadruplo del “contributo di solidarietà” per l’intera Sicilia
di Giancarlo Pagliarini

L’emendamento “per Roma capitale”, che prevede ulteriori stanziamenti alla città amministrata da Veltroni, ha fatto registrare un vivace confronto politico all’interno della maggioranza. Riportiamo la risposta dell’ex ministro Giancarlo Pagliarini all’articolo di Gaspare Barbiellini Amidei, pubblicato domenica scorsa dal Corriere della Sera, sulla controversa questione dei finanziamenti alla città di Roma.
Caro Barbiellini Amidei,
rispondo con un giorno di ritardo, imputabile ai ritmi serratissimi imposti dalla legge finanziaria, alla sua “cara Lega, ti scrivo”, e le dico subito che ho molto apprezzato il suo spirito costruttivo e la conclusione che Roma può e deve recuperare fiducia. Lo penso anch’io: non si tratta solo di soldi ma anche soprattutto di stima, rispetto e fiducia. A mio parere questo non è solo un problema della Lega o di politica. Purtroppo si tratta di un comune sentire molto diffuso.
Per quanto riguarda la polemica sui soldi per Roma capitale i fatti, almeno per quanto a mia conoscenza, sono questi. Lei scrive che “i trasferimenti erariali pro-capite ricevuti dal bilancio capitolino sono più leggeri di quelli che arrivano a Milano e a Torino, per non dire di Napoli e di Palermo”. A me risulta che i trasferimenti normali, quelli che il ministero dell’interno chiama “spettanze, assegnazioni e decurtazioni” invece sono sostanzialmente uguali. Per l’anno 2002 i dati del ministero, aggiornati al 9 settembre 02, indicano 341 euro pro-capite a Milano e 356 a Roma. A questo punto non so più quali sono i dati giusti. I miei o quelli che Le sono stati segnalati? Mi permetto di proporle di mettere in piedi, insieme, un gruppo di lavoro per capire in realtà com’è la situazione. Per me la trasparenza e l’accountability sono un valore, ed è anche per la loro costante mancanza che noi della Lega parliamo spesso della “palude dei palazzi romani”.
Questo è stato il punto di partenza del mio ragionamento polemico dell’altro giorno sullo strano emendamento di Publio Fiori. Strano perché la prima firma è di Fiori, di An, mentre tutte le altre firme e anche la copertura finanziaria sono di Margherita e Ds.
Ma dopo i trasferimenti normali, dato che Roma è la capitale, ecco che lo Stato nel 2003, peraltro come negli anni precedenti, trasferirà a Roma questi altri fondi: 155 milioni di Euro previsti dalla legge N 396 del 1990 (“interventi per Roma capitale”, che lei può vedere nella tabella F a pagina 331 della legge finanziaria di quest’anno), e 103 milioni di euro che sono stati approvati nella finanziaria dell’anno scorso (articolo 27 comma 3: le allego la copia della Gazzetta Ufficiale).
Con queste due leggi arriviamo, dunque, a 258 milioni di euro extra. Se aggiungiamo i nuovi 60 milioni della proposta An-Ulivo, che io in un primo momento ho considerato una barzelletta e poi ho contestato, arriviamo a 318: sono circa 120 euro a testa. Più di 615 miliardi delle vecchie lire. Sia ben chiaro: se la situazione dei conti dello Stato fosse diversa non ci sarebbe nessun problema. Ma la situazione è realmente molto grave.
Le cifre hanno una loro eloquenza, e per darle un’idea di cosa significhino questi 318 milioni di euro consideri che essi rappresentano più del triplo di tutto quello che lo Stato spenderà nel 2003 per l’innovazione tecnologica nelle pubbliche amministrazioni. Oppure più del quadruplo della cifra che lo Stato trasferirà alla Regione Sicilia come “contributo di solidarietà” per il 2003. Oppure, ancora, consideri che per tutte le zone depresse del centro e del nord, da Frosinone ad Arese, lo Stato nel 2003 prevede di spendere 30 milioni di euro: meno di un decimo dei trasferimenti per Roma Capitale.
La prego anche di notare che ho citato solo trasferimenti “normali” e ricorrenti e non ho voluto ricordare i circa 700 miliardi delle vecchie lire per il Policlinico Umberto primo, i 3mila miliardi del Giubileo oltre ad altri ancora.
A questo punto due considerazioni conclusive. Non è possibile ragionare senza essere d’accordo sui numeri, che non sono certamente la cosa più importante ma sono pur sempre il punto di partenza del ragionamento che stiamo facendo. Dunque le rinnovo l’invito: mettiamo in piedi insieme un gruppo di lavoro per chiarire questo punto e poi renderemo pubblici i dati nel modo che lei suggerirà.
Seconda, e ultima, considerazione. Nel paese dove mi piacerebbe vivere i “capi” sono quelli che si conquistano il rispetto sul campo, dando l’esempio tutti i giorni. Per esempio, in un’azienda, i capi stimati, rispettati e che fanno funzionare bene l’azienda sono quelli che arrivano al lavoro prima degli altri e se ne vanno per ultimi, quando è già buio, che gestiscono e valutano i collaboratori senza favorire mai nessuno. E tutti sanno che in quell’azienda nessuno è mai stato assunto perché si è fatto raccomandare. E quelli che cercano di fare carriera con raccomandazioni corrono grossi rischi di perdere il posto: altro che articolo 18. E’ solo un esempio, e anche banale, me ne rendo conto, ma questi principi possono essere generalizzati, perché valgono sempre. Si tratta di quei comportamenti che generano rispetto, e che non valgono solo per le aziende, ma per tutte le situazioni. E dunque anche per i rapporti con Roma Capitale. Le chiedo: è più importante il valore dell’amore cieco e acritico oppure il valore di comportamenti onesti, coerenti, da, insomma, Capitale? Ebbene, il punto è proprio questo. Ho l’impressione che al di là dei soldi, dei trasferimenti erariali e degli euro, la fonte della “reciproca incomprensione” tra molti italiani e Roma derivi da una mancanza di stima, che la richiesta di soldi extra, in questo momento di particolari ristrettezze economiche, non aiuta a risolvere.