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  1. #11
    Pulchra Paucis
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    Originally posted by Orazio Coclite

    Proprio l'altro ieri, leggendo l'ultimo numero di 'Storia verità' monografico sul Giappone, trovavo un interessante articoletto a firma Romano Vulpitta, intitolato: "Un impero d'oriente si arrende all'occidente", sottotitoli: "Dopo la sconfitta, lo sconvolgimento morale e civile. Riconquistata la sovranità, lo stato giapponese ha rinunciato passivamente a riprendere la sua piena autonomia e si è adattato senza più reagire a vivere all'ombra degli stati Uniti", dove si ripercorrere per grandi linee il percorso post-bellico che ha portato il Giappone da nazione guerriera e fiera ad amalgama consumista senza alcuna dignità. Fatto sta che anche in questa occasione, l'America si rese principale responsabile della spersonalizzazione e repressione della cultura tradizionale locale creando il brodo di coltura da cui successivamente scaturì il nuovo giappone industrializzato e ricchissimo, ma per sempre senz'anima e incapace di guardare oltre i meri valori terreni... anche loro hanno ottenuto il loro piatto (piattone?) di lenticchie...

    In Giappone ho avuto la fortuna di andarci diverse volte, e ricordo il forte disgusto e sorpresa che ebbi allorché, alla mia prima volta nella terra del sol levante, mi resi tristemente conto di come tutte le mie letture di Mishima, dello Hagakure, delle storie di samurai, non fossero oramai che lettera morta, una finestra su un passato in cui il Giappone moderno non vedeva altro che un'eredità folkloristica da usare per finalità commerciali. Tutto sembrava morto dell'antica gloria, e a poco servì, visto che all'epoca ero studioso di Budo, avere finalmente l'occasione di praticare Kendo e Iaido all'interno di un autentico Dojo giapponese. Al di fuori degli allenamenti intorno a me vedevo solamente una massa informe di corpi senz'anima, poco importava se questi corpi assumevano sembianza di impiegato o di punk (impressionante poi notare come nella sola Tokyo sia praticamente impossibile fare pochi passi senza imbattersi in ragazzi locali conquistati alle ultime mode occidentali (rockabilly, metallari, mods, skaters, ecc.))
    Lo spirito guerriero dei giapponesi è durato fino alla fine del secondo conflitto mondiale, dopo di che il nulla.

    Ave.
    La catastrofe giapponese si può comunque secondo me datare molto prima, da quando, fine '800 non so quale commodoro russo ruppe l'isolamento medievale giapponese per portare la "civiltà". In un arco di tempo brevissimo il giappone mandò in pensione usanze e costumi ben più antichi di quelli a cui ci ancoriamo oggi noi, per fare spazio alla tecnologia. Personalmente, credevo che una società come quella giapponese avrebbe resistito un po' di più all'attrattiva della tecnologia e del lusso occidentale.
    I giapponesi che arrivarono alla seconda guerra mondiale erano un popolo che conservava l'antico spirito guerriero, ma che comunque aveva trasformato l'individuo in un superuomo-tecnologizzato asservito alla logica della produttività che, probabilmente, si sarebbe tirato nella fossa del consumismo da solo, anche senza l'arrivo degli americani. Ed infatti il Giappone oggi è il paese che con più stupido entusiasmo si tuffa nella moda del consumo ed in generale di qualsiasi standard occidentale. Quanto oggi un giapponese è più tecnologizzato di noi? Quanto pesa e quanto è di comune utilizzo la tecnologia in Giappone? Quanto si è già diffuso il sistema della città-formicaio in Giappone? Basti pensare che lì qualche etto di rucola costa più di un computer e che Tokio è una metropoli con 28.000.000 di abitanti, standard peggiori (qualcun altro direbbe "migliori") dell'occidente stesso. Può essere solo che i giapponesi hanno seguito la "moda" statunitense, o si può proprio dire che essi per questa moda erano già portati?


    P.s.
    Sempre riguardo alla "tecnologia", al consumo ed alla massificazione, ho intenzione prossimamente di scrivere un thread riguardante l'evoluzione della fotografia in questi anni dalla fotografia chimica a quella digitale; cosa in sè - per i non addetti ai lavori - insignificante, ma paradigmatico di mille altre micro-evoluzioni insignificanti della società che nell'insieme mostrano un panorama ben macabro.

  2. #12
    Orazio Coclite
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    Originally posted by Mr
    La catastrofe giapponese si può comunque secondo me datare molto prima, da quando, fine '800 non so quale commodoro russo ruppe l'isolamento medievale giapponese per portare la "civiltà".
    1853-1854, il commodoro Matthew C. Perry, della marina militare USA, si presenta con 4 navi a Kurihama con un messaggio del presidente Millard Fillmore a leyoshi (1792-1853; 1837, 12' shogun Tokugawa),che chiede l'apertura di porti e consolati.

    Inutile far presente che il presentarsi con la marina militare al completo sia un atto di intimidazione, ben recepito dai nipponici che pensarono bene di evitare problemi aprendo così il loro paese ai gaijin stranieri. E da lì l'inizio della fine, anche perché l'esempio americano fu subito seguito da tutte le allora maggiori potenze mondiali.

    Ave.

  3. #13
    Pulchra Paucis
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    Originally posted by Orazio Coclite
    1853-1854, il commodoro Matthew C. Perry, della marina militare USA,
    Ecco...l'avevo giusto azzeccato

  4. #14
    vicepres Destra cricetale
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    Originally posted by Mr



    P.s.
    Sempre riguardo alla "tecnologia", al consumo ed alla massificazione, ho intenzione prossimamente di scrivere un thread riguardante l'evoluzione della fotografia in questi anni dalla fotografia chimica a quella digitale; cosa in sè - per i non addetti ai lavori - insignificante, ma paradigmatico di mille altre micro-evoluzioni insignificanti della società che nell'insieme mostrano un panorama ben macabro.


    Ma il passaggio al digitale, proprio perché paradigmatico del postmoderno, non dovrebbe invece spezzare l'uniformità massificata delle vecchie società industriali?

  5. #15
    Pulchra Paucis
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    Originally posted by enrique lister




    Ma il passaggio al digitale, proprio perché paradigmatico del postmoderno, non dovrebbe invece spezzare l'uniformità massificata delle vecchie società industriali?
    Come introduzione a quello che voglio scrivere si può dire che il digitale sì, spezza l'uniformità massificata (nel senso del rullino in sè che - secondo il mio parere - in dieci anni scomparirà come oggetto di comune utilizzo) ma produrrà una massificazione ben diversa, che porterà in un certo senso a ridiscutere la "foto" come concetto astratto.

    Nel messaggio precedente facendo riferimento alla massificazione comunque non parlavo di una massificazione dal punto di vista della produttività industriale.

  6. #16
    vicepres Destra cricetale
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    Originally posted by Mr


    Come introduzione a quello che voglio scrivere si può dire che il digitale sì, spezza l'uniformità massificata (nel senso del rullino in sè che - secondo il mio parere - in dieci anni scomparirà come oggetto di comune utilizzo) ma produrrà una massificazione ben diversa, che porterà in un certo senso a ridiscutere la "foto" come concetto astratto.

    Re: sinceramente....non ti ho capito granché. Che intendi per foto come concetto astratto? Comunque aspetto il thread per affrontare meglio l'argomento....

    Nel messaggio precedente facendo riferimento alla massificazione comunque non parlavo di una massificazione dal punto di vista della produttività industriale.

    Re: secondo me si deve anche parlare di de-massificazione dal punto di vista del consumo, grazie all'intrecciarsi del consumo con la produzione e soprattutto alla dealfabetizzazione della produzione culturale. ieri la musica era Mozart che suonava davanti ad un pubblico asserto, impotente, negato nella sua possibilità di usare il prodotto musicale. Oggi è la musica elettronica, dove l'ascoltatore diventa lui stesso autore nel momento in cui scarica il pezzo, lo usa come base e grazie al digitale ne fa sopra un altro.

  7. #17
    Pulchra Paucis
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    Originally posted by enrique lister
    Propongo qui allora il thread, che magari non ci sarà neanche più bisogno successivamente di comporre.

    La fotografia digitale condurrà ad un'evoluzione tale che permetterà di ovviare al costo notevole che ora comporta ogni stampa, fornirà un prodotto digitale e quindi impalpabile, e che - proprio per il fatto che potrà essere prodotto a costo zero - sarà prodotto in quantità industriale.
    Ma la preziosità di qualcosa sta anche nella sua rarità: prima comporre una foto e scattarla era un'operazione da fare con una certa parsimonia, non costava più un capitale da un bel pezzo la stampa ma 50-60€ la stampa per 4-5 rullini da 24 pose andavano via tutti. L'introduzione delle compatte digitali e ancor più delle reflex digitali porterà a far sì che nulla impedisca di scattare 2500 foto in una sola giornata. Il che, a livello di produttività, è ottimo, ma a livello di arte è negativo. Se ci fossero centomila Monne Lise e centomila Allegorie di Primavera sarebbero buone solo come carta per pulirsi il didietro.

    La ridiscussione del concetto di foto, non è a livello sostanziale come mi pare di avere lasciato credere nella premessa, ma è una ridiscussione come tante ne sono state fatte da quando è nata la fotografia. Da prodigio della tecnica, a modernissima forma espressiva, ad arte decorativa a ricordo delle vacanze al mare.
    Questa nuova riconsiderazione non può fare a meno di tenere conto della smaterializzazione del supporto, e del fatto che la fotografia sia passata da prodotto di consumo comune a un...un qualcosa che è ancora molto indefinito nei contorni, ma che definire "di massa" è riduttivo. Probabilmente, per fare un paragone triviale, il consumo di cioccolata nell'800 sta al consumo di cioccolata odierno come il numero di scatti fotografici di 30 anni fa starà al numero di scatti fra dieci anni. Una voragine. Pensiamo ad altri prodotti che hanno fatto una fine simile.

    All'inizio del millennio scorso il libro era un oggetto di estremo valore, tenuto con cura e fruttto di lavoro anch'esso. Con l'invenzione della stampa chiunque con abbastanza soldi poteva scrivere qualunque cosa e averne mille copie in breve tempo. Ancora fino a questo secolo il libro aveva comunque mantenuto un suo valore intrinseco - se non economico - culturale. A partire dagli anni '50 poi la stampa ha avuto un impulso tremendo, tutti hanno avuto voglia di scrivere un libro, ed oggi ci troviamo le librerie piene di scaffali colmi di cazzate di nessun valore, libri nei quali la copertina vale più di quello che c'è dentro. La digitalizzazione del libro poi gli ha definitivamente dato il colpo di grazia. La difficoltà di leggere un romanzo sullo schermo tiene ancora in vita il supporto cartaceo, ma ormai il libro ha già un piede nella fossa. Se sopravviverà, non sarà più lo stesso di prima, sarà un'atrofizzazione. Si potrà dire che la qualità, l'accessibilità, la facilità di consultazione eccetera eccetera sono migliorate, ma il libro oramai - per come il 90% della gente lo concepisce - è un cadavere. E ci sono moltissimi altri esempi che si possono fare di massificazione di una produzione dalla quale parte una svalutazione del prodotto stesso. Per dirne un altro il panno lana raffinato fiorentino, al quale succede il panno di lana da quattro soldi del domestic system inglese prodotto in quantità molto maggiori, arrivando al telaio meccanico, per finire con la produzione di tessuti attuale che ha un ritmo tale che per reggersi in piedi e non crollare oggi un vestito si mette tre anni e poi si butta via.

    Spero di essere stato chiaro nell'esposizione (conoscendomi ho dei dubbi )

  8. #18
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    Originally posted by Mr


    Propongo qui allora il thread, che magari non ci sarà neanche più bisogno successivamente di comporre.

    La fotografia digitale condurrà ad un'evoluzione tale che permetterà di ovviare al costo notevole che ora comporta ogni stampa, fornirà un prodotto digitale e quindi impalpabile, e che - proprio per il fatto che potrà essere prodotto a costo zero - sarà prodotto in quantità industriale.
    Ma la preziosità di qualcosa sta anche nella sua rarità: prima comporre una foto e scattarla era un'operazione da fare con una certa parsimonia, non costava più un capitale da un bel pezzo la stampa ma 50-60€ la stampa per 4-5 rullini da 24 pose andavano via tutti. L'introduzione delle compatte digitali e ancor più delle reflex digitali porterà a far sì che nulla impedisca di scattare 2500 foto in una sola giornata. Il che, a livello di produttività, è ottimo, ma a livello di arte è negativo. Se ci fossero centomila Monne Lise e centomila Allegorie di Primavera sarebbero buone solo come carta per pulirsi il didietro.

    La ridiscussione del concetto di foto, non è a livello sostanziale come mi pare di avere lasciato credere nella premessa, ma è una ridiscussione come tante ne sono state fatte da quando è nata la fotografia. Da prodigio della tecnica, a modernissima forma espressiva, ad arte decorativa a ricordo delle vacanze al mare.
    Questa nuova riconsiderazione non può fare a meno di tenere conto della smaterializzazione del supporto, e del fatto che la fotografia sia passata da prodotto di consumo comune a un...un qualcosa che è ancora molto indefinito nei contorni, ma che definire "di massa" è riduttivo. Probabilmente, per fare un paragone triviale, il consumo di cioccolata nell'800 sta al consumo di cioccolata odierno come il numero di scatti fotografici di 30 anni fa starà al numero di scatti fra dieci anni. Una voragine. Pensiamo ad altri prodotti che hanno fatto una fine simile.

    All'inizio del millennio scorso il libro era un oggetto di estremo valore, tenuto con cura e fruttto di lavoro anch'esso. Con l'invenzione della stampa chiunque con abbastanza soldi poteva scrivere qualunque cosa e averne mille copie in breve tempo. Ancora fino a questo secolo il libro aveva comunque mantenuto un suo valore intrinseco - se non economico - culturale. A partire dagli anni '50 poi la stampa ha avuto un impulso tremendo, tutti hanno avuto voglia di scrivere un libro, ed oggi ci troviamo le librerie piene di scaffali colmi di cazzate di nessun valore, libri nei quali la copertina vale più di quello che c'è dentro. La digitalizzazione del libro poi gli ha definitivamente dato il colpo di grazia. La difficoltà di leggere un romanzo sullo schermo tiene ancora in vita il supporto cartaceo, ma ormai il libro ha già un piede nella fossa. Se sopravviverà, non sarà più lo stesso di prima, sarà un'atrofizzazione. Si potrà dire che la qualità, l'accessibilità, la facilità di consultazione eccetera eccetera sono migliorate, ma il libro oramai - per come il 90% della gente lo concepisce - è un cadavere. E ci sono moltissimi altri esempi che si possono fare di massificazione di una produzione dalla quale parte una svalutazione del prodotto stesso. Per dirne un altro il panno lana raffinato fiorentino, al quale succede il panno di lana da quattro soldi del domestic system inglese prodotto in quantità molto maggiori, arrivando al telaio meccanico, per finire con la produzione di tessuti attuale che ha un ritmo tale che per reggersi in piedi e non crollare oggi un vestito si mette tre anni e poi si butta via.

    Spero di essere stato chiaro nell'esposizione (conoscendomi ho dei dubbi )

    Credo di aver capito quello che dici, e credo pure che parliamo delle stesse cose, solo che le vediamo da prospettive differenti.

    Non nego che l'industrializzazione della produzione culturale, sin dalle prime grandi esposizioni universali, abbia prodotto qualche effetto negativo tra cui l'inevitabile abbassamento della "qualità" (anche se sarebbe necessario intendersi sult ermine: cos'è la qualità? l'abilità artigianale? la capacità del pittore di interpretare il suo tempo anche, magari, con una crosta?) ma penso che oggi stiamo per superare tutto questo.

    la banalizzazione delle forme estetiche è la conseguenza, magari negativa, di un fenomeno però più generale, e positivo secondo me, cioé della capacità di appropiarsi finalmente del prodotto culturale e fare fuori così non solo tutti i grandi apparati di intermediazione parassitari (Siae, case distributrici, etichette, grandi major) che in fondo non fanno altro che imporre un pizzo, ma soprattutto di intaccare definitivamente il potere, già molto eroso, delle grandi elité di "intellettuali", "artisti" e via dicendo che da anni si accartocciano in personalissime battaglie corporative spacciate sotto il faslo nome della "cultura"

    L'intellettuale che parla male della televisione (facendolo, guarda caso, in televisione ) dall'alto della sua prosopopea, è una figura storica in rapida estinzione di cui, sinceramente, non rimpiangeremo mai la scomparsa

  9. #19
    Pulchra Paucis
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    Per quanto riguarda l'arte e gli intellettualoidi, io penso che l'arte sia qualcosa di estremamente élitario ed "aristocratico", in un certo senso. Oggi sembra che chiunque voglia fare arte e abbia un sentimento da esprimere faccia effettivamente arte. Inutile dire che non è vero.
    Certe persone che conosco si mettono a comporre loro personalissime poesie.
    Poesie stupide, retoriche, banali, senza metrica, senza ricerca di figure retoriche e quant'altro che faccia di cento parole in fila una poesia. Qualcuno magari si inventa pure un linguaggio un po' aulico, o comincia a interrompere i versi in enjambement per sembrare più "artista". È arte questa? No, questo è cercare di convincersi di essere capaci di fare arte.

    La questione degli intellettuali e artisti da quattro soldi che girano al momento nei salotti bene della televisione è comunque tutta da ridere. Moretti che nella "stanza del figlio" si inventa l'introspezione per poter recitare da attore sofferente e consumato, o Fo che va in giro col suo berrettino da pirla perché fa molto "intellettuale", cercano di gongolarsi dell'immagine del proprio io da artista che si sono creati.
    Più che rendersi conto dell'élitarietà dell'arte, cercano di tenersela stretta scadendo in qualcosa di penoso, ed è dimostrazione di tutta la loro insicurezza e del loro bisogno di conferme alla propria superiorità intellettuale.

 

 
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